
Non lo faccio mai, ma sta volta l'eccezione vale intera. Ecco alcuni inediti di Ilaria Seclì, con un suo corsivo altrettanto esplosivo.
la stessa forza del fiore che apre, la pioggia che si svuota, il muro secco inginocchiato e la nuca giunta alla prima comunione con il sole. arriva la
voce squarciante e sa la formica accanita, sa il silenzio di santuario, l'ammasso di colori alla poltrona.
guarda che l'estate non seppe il nero e tanta ne voglio e cerco ancora. tu, campana che scocchi lontana e spalanchi al palmo il mare che la bocca di febbraio strinse. per i segreti cassetti del monte sommerso che il marinaio pregò e il pesce ebbe confidente. porti la conchiglia all'orecchio per ricordarmi il suono delle madri.
io, sposa del dio estinto. del figlio perduto. se il cielo rovescia ancora
quello che la terra solleva, tu al centro tieni e afferri, gomito che sposti
alla misericordia della valle senza vento.
I
non sarà così diverso il destino di dopo
come oggi grigio e poco vento.
lo stesso filo per la roba ad asciugare
e un’ombra vaga di fumo
forse ancora dai camini. eterno novembre
o febbraio senza attesa. e la grazia, talvolta,
dei risorti alla primavera antica
con un tiepido colore di vendemmia.
un silenzio dei pesci fecondato dall’acqua
per il mistero lungo convesso alla parola
e del mai visto.
si piegano in danze familiari melodie
e col giunco d’ebano cuciono il pensiero
scivolandolo poi, e per sempre
nella quiete illesa del mare.
lì, il mantra dei millenni
lì, il segreto semplice alla porta
del rovesciamento esatto
né alcuna lingua scioglieranno.
II
se poi viene in coincidenza di soli
in balbettii di uccello e tuoni imprecisi d’aereo
di veglie precipitanti e sfatte
come il quadro sonoro che ritorna
del cimitero, del venerdì santo che la nuvola solleva. dove
l’umanità è appesa con lo stesso morso
a ogni latitudine. appesi ai cipressi, ai nomi, alle date
all’illusione della freccia che scortica l’albero.
che nessuno sa se non in rigurgito
sonnolento o leggendario di vocali, polvere
caduta alla terra di unghie rosicchiate.
tu e io siamo così capaci e invisibili all’amore
che lì tutto ci sarà familiare e scoperto
e avremo ogni tempo, ogni anno finalmente
ogni principio di novecento
III
né linea più fedele all’orizzonte.
il palmo stellare preme il muro
sui secoli di pietra. striscia la lucertola
le lancette dell’Immobile Afono
l’eterno movimento che conosce.
tutti riavvolti i respiri degli animali.
i muri d’oriente appiccicano i nomi
gli anni le storie gli attrezzi i vestiti
sui muri gialli presi ostaggi che il sole
avrà. il ferro alla terrazza
il geranio orfano d’aria puntato
alla domanda scomposta del gatto
uno scalcio d’amnio innaturale
attutito da altri mondi in mezzo
dal silenzio pieno che verrà.
tutto resiste al sinistro rombo di vento
venturo. la colomba appollaiata in cielo
l’ultimo sorriso la cenere bianca
l’ultima sillaba gracchiata sul marmo.