domenica 2 dicembre 2007

Nicola Ponzio


Il primo libro di Nicola Ponzio (Gli ospiti e i luoghi, NEM 2005) sembra nato dopo una lunga immersione dell'autore nella grande tradizione tedesca che da Hoelderlin arriva ad Heidegger: parola che custodisce il segreto del dire originario, di quel silenzio da cui suono e senso prendono coraggio. La poesia, in questo orizzonte, è il frutto una rigorosa attenzione al movimento della finitezza, che chiede d'abitare il linguaggio quale dimora per eccellenza. Nel secondo libro di Nicola (L'equilibrio nell'ombra, LietoColle 2007), l'essere diventa "granito" da fecondare. Le parole cambiano di stato: se prima appartenevano al crocicchio che tiene uniti cielo e terra, ora diventano "forti", "concrete", parole pescate negli orti del mondo ed usate come grimaldelli per svelare il mistero. Mistero che tuttavia resiste, soprattutto nelle migliori poesie della raccolta.


da Gli ospiti e i luoghi


In limine l'erba
è nel vuoto. In limine l'erba
è nel vento, nel coro
per noi, per la festa soltanto.
L'incoscienza di un argine al canto
un invito a tentare
o ad attendere.
Nello scuro frangente d'estate.
Nel test che prepara le foglie
col fuoco e la rima.
Una veglia più viva, un retaggio
lucente di spazio
corale e di albedini e oblio.




da L'equilibrio nell'ombra


Coraggio delle scelte mattiniere,
non attardarsi a discutere
che cosa sia più giusto
designare.
Il tempo è nell'anticipo
del falco.
Nel suo respiro
di meteora.
Si danno nomi al mutevole
del ciclo senza ipotesi
plausibili per l'erba che rinfranca.
Come se tutto qui dovesse vivere
per noi la stessa gioia,
l'insostenibile esperienza
di un convito
di parole dentro l'erica.



*

Raggi in erba e agnizioni
decisive nel riverbero alfabetico
di vite simulanti le parole.

Nello scarto è così.
Un paesaggio, poi l'altro
imparziale tra i faggi e indifendibile
dal dubbio che si genera
nel dubbio,-
nell'opera terrena.



*

Voglio parole forti.
Concrete.
Simili ad un seme che s'infila
nella crepa
di una ripida parete di granito.



*

Ci sono libri che desiderano spazio.
Più respiro.
Uccelli ubiqui come l'ombra
di uno stelo.
Luci sul filo ardente della mannaia.



*

Meglio gli scacchi che esaltarsi
per le mezze verità dei merlettai.
Riannodano nel canto per se stessi
le parole dette piano agli impiccati.



Nicola Ponzio è nato a Napoli nel 1961. Vive e lavora a Torino. Poeta e artista, ha esordito su "Nuovi Argomenti", "Galleria" e "Atelier". Nel 2005 pub­blica la raccolta Gli ospiti e i luoghi (Nuova Editrice Magenta). Suoi versi sono presenti in varie antologie poetiche, tra le quali Il presente della poesia italiana (LietoColle, 2006). In rete ha pubblicato su Liberinversi, Dissidenze e l'Ulisse. Dal 1987 ha esposto i propri lavori in diverse mostre personali e collettive in Italia e all'estero.

26 commenti:

  1. E sarà che anch'io sono immersa in quella grande tradizione senza saperlo, perchè a me questa poesia piace e molto.
    Poi m'è venuto di pensare che il 61 dev'essere un annata buona per la produzione di poeti ed infine che come farabbi ponzio mi sembra un poco mascolino. :P

    ps. lettori ed eventuale autore di passaggio trascurate l'ultima parte del commento soprastante è un messaggio (apparentemente insensato)per il "grande sfuggente" :) tenutario del presente blog.

    ali

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  2. "tenutario" mi sa da cosa che è meglio che non dica :-)

    gugl

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  3. copincollo da vocabolario on line"
    "tenutàrio: tenutàrio

    (f. -a; pl. m. -àri), s. m., nel linguaggio giuridico, che è possessore di un bene
    nell'uso com. chi tiene una casa da gioco o altro locale spec. malfamato."

    ovviamente io mi esprimo in forbito linguaggio giuridico ;)

    ali

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  4. bene. ma parliamo della poesia di Nicola.

    gugl

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  5. ops, scusa Stefano, ora ho collegato, la farabbi la presentavi lì a vicenza, non qui sul blog. che distrazione imperdonabile!

    si è il momento di parlare della poesia

    vi leggo riferimenti alla natura (faggi, erica, erba, uccelli, seme), agli elementi (vento, granito), ai confini dello spazio (argini, meteore, limine, vento)
    vi leggo l'assenza dell'oggi, del presente, l'assenza d'ironia, una ricerca pensosa tendente al rispecchiamento, al forte volere essere seme che germoglia e spacca la pietra dura.
    Io la sento molto simile a me, al mio essere, almeno per certi aspetti della mia scrittura passata. Il tempo di marombra per intenderci.
    Ali

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  6. grazie Ali. voglio sempre il meglio da te, lo sai.

    gugl

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  7. è incisivo in questo verso sintentico e la sintesi è tra le cose che più riescono ad entrare nelle corde del mio sentire. lo sento dentro le cose. E' una poetica che arriva, tutta.

    per l'annata 61, si dovrebbe vedere la locazione dei pianeti lontani. mi sa che plutone si aggirasse dalle parti dello scorpione, quegli anni :-)

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  8. il 61 è un anno decisivo, in effetti, per la poesia: si pensi ai "Novissimi".

    ciao Francesca.

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  9. Nicola è un poeta e un artista bravissimo, una persona stupenda, insomma un ragazzo (del 61) davvero insopportabile!!
    a me pare che Nicola quando parli dei boschi, degli alberi... in realtà giochi con la nostra percezione. mi pare che entri 'dentro' le pietre; la sua descrizione non è mai 'superficile' o solo del visibile, bensì provi una introspezione nelle 'cose' e nel fare della natura. scrive in "L'equilibrio...": "Pensare finalmente col respiro" (vado a memoria-speriamo bene!) e mi pare che lì ci sia una poetica da seguire, un ritmo vitale.

    un abbraccio

    alessandro ghignoli

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  10. aspettiamo a sentire Nicola che ne dice.

    di fatto, la poetica di cui parlo nella nota introduttiva, istituisce appunto una relazione fondante tra luce ed ombra, tra visibile e invisibile.

    gugl

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  11. solo ora riesco a rispondere, e di corsa, da una biblioteca. Grazie a tutti, e in special modo a te, Stefano, per la tua bella nota e per l'ospitalità offertami.

    Che dire della mia poetica. E' sempre difficile parlarne, so solo che cerco un ritmo, scrivendo, come ha giustamente notato Alessandro, che coincida col respiro, un "continuo" tra mente e corpo, materia e pensiero, visibile e invisibile, luce e ombra. Oltre il sistema binario delle rappresentazioni. I dualismi, per intenderci. Da qui il difficile equilibrio di una scrittura che pare sempre sfuggire di fronte al suo referente.
    La natura che cerco così di rappresentare (mai di descrivere) è colta dall'interno della sua eterna e presente contraddizione, specchio di ogni agire umano.

    N.P.

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  12. Stefano, ma perchè il 61 ha colpito tutti in questo modo?

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  13. forse perché anch'io sono del 61? (ma guarda che a lanciare la palla è stata Alivento, che con me gioca sempre :-)))

    quanto dici sulla tua poesia è importante: la fa essere partecipe della migliore sensibilità contemporanea, là dove quest'ultima la si voglia frutto di una relazione uomo-natura non più dominata dallo sfruttamento bensì dal dialogo e dalla riflazione analogica.

    gugl

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  14. Sì, credo che un'autentica responsabilità etica sia necessaria, intrinseca, al linguaggio poetico che si pone in relazione vitale con il proprio tempo, interpretandolo.

    N.P.

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  15. mi sembra (nella poesia di Nicola)che il rapporto individuo/natura non sia più "rapporto", ma unione. non c'è dialettica e credo neppure dialogo bensì comunione. un po' forse sullo stile orientale dove individuo e natura non hanno una "e" congiunzione.

    un abbraccio

    alessandro ghignoli

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  16. potremmo dire che abitare il linguaggio è abitare il mondo.

    gugl

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  17. Pieno di merito, tuttavia
    poeticamente, abita
    l'uomo su questa terra.

    Hoelderlin

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  18. già, il vecchio e saggio scardanelli!

    gugl

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  19. Volevo aggiungere una cosa, caro Stefano, visto che siamo in vena di citazioni, una piccola prosa di Jaccottet tratta da La semaison, se non ricordo male, che funge un po' da bussola, o da catalizzatore, rispetto alle false tensioni che necessariamente operano, agiscono sul linguaggio poetico, confondendo i sentieri che ognuno dovrebbe percorrere con umiltà e tenacia.

    "La difficoltà non è di scrivere ma di vivere in maniera tale che la scrittura nasca naturalmente".

    Quasi un mantra, per me.

    N.P.

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  20. caro Nicola, con questi tuoi commenti dimostri che la poesia senza consapevolezza non è possibile. Mi fa piacere che la tua posizione sia emersa con chiarezza.

    la frase di Jacocttet mi fa venire in mente un vaso che versa ciò che contiene. lo versa dalla bocca, madre dell'oralità. La mano, invece, è madre della scrittura. sono due luoghi differenti. La poesia che nasce dalla mano, appartiene al tempo dell'incisione e della pazienza, mentre quella versata dalla bocca dona il tempo della nascita.

    un caro saluto

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  21. Grazie di nuovo a te, Stefano, anche per questa splendida metafora, suggeritati dai versi di Jaccottet.
    Sì, sono assolutamente convinto che la poesia non si dà se non è sorretta da una necessaria, sofferta, consapevolezza.
    La pena da scontare in sua assenza è uno sguardo impietrito che non supera i confini del nostro ego-ombelico.

    Un caro abbraccio.

    N.P.

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  22. una saluto, dunque, di cuore e un grazie per la tua gentilissima partecipazione.

    gugl

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  23. che bello quest'ultimo scambio di commenti, mi colpisce e resterà tra le cose belle che ho imparato nel web sullo scrivere, sulla sua impellenza, necessità la citazione di Jaccottet

    "La difficoltà non è di scrivere ma di vivere in maniera tale che la scrittura nasca naturalmente".

    ali

    una frase su cui riflettere lungamente

    si Stefano, io gioco spesso con te e la bontà dell'anno di nascita di ponzio sta nel fatto che è tuo coetaneo

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  24. e visto che ci sono lascio un saluto e i miei complimenti a nicola per i suoi versi che ho avuto modo di leggere e apprezzare. antonella

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  25. Grazie, Alivento, per le parole di stima. Non possono che far piacere, davvero. Antonella, vedo ora il tuo saluto. Ma quante donne gentili!

    Un bacio allora.

    N.P.

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