giovedì 12 febbraio 2009

Amelia Rosselli scrive a Gorbaciov


Fira occupava due stanze, ed era di già un privilegio per una persona singola, nell’appartamento che condivideva con altri due inquilini, Misha Didenko e la signora Maria Sergevna, che invece ne avevano una sola. Io m’ero accampato nel soggiorno, mentre Amelia dormiva con Fira nell’altra camera.

La signora Maria era una vecchietta minuta, tranquilla, ma acuta osservatrice. Voleva bene al mondo, nonostante fosse rimasta sola, dopo la morte di tutti i suoi parenti e il padre vittima delle persecuzioni staliniane. Amelia si intratteneva spesso con lei in cucina; le piaceva tanto, si divertiva a constatare quel gran spreco di gas e di acqua calda. Non costava nulla. E le piacque molto anche la stanza da letto della signora Maria, che era favolosa, come se il tempo si fosse fermato. Mobilio, icone, tutto lindo e antico. Al contrario la stanza di Misha, grande amante dell’alcool, alla russa, era un efficientissimo laboratorio dove egli faceva di tutto, dal portapane cesellato allo sviluppo delle foto, in un caos inimmaginabile, tra mozziconi di sigarette e bottiglie vuote. Amelia non è mai entrata in quella stanza, ma anche Misha è stato un altro bellissimo arcangelo, gentilissimo, pieno di spirito e di intelligenza. Fece molte foto ad Amelia in casa, ed anche a me, che poi sviluppava immediatamente nella sua stanza laboratorio. Ma non ha mai fatto foto di noi insieme. Ora me ne dispiace, ma in fondo ne comprendo la ragione. Noi veramente non ci pensavamo, talmente eravamo presi in quella nostra unione familiare con Amelia.
Fira ci accudiva maternamente, riuscendo a conciliare il tutto con il suo lavoro di ingegnere; telefonava, si muoveva per gli uffici, prendeva contatti, per finalmente farci ricevere dal Primo Segretario del Presidium del Soviet Supremo dell’Urss, vicinissimo al Cremlino. Amelia era fiduciosa, nonostante la complessità della situazione. Ma in genere prendevano sul serio la sua richiesta, la stavano ad ascoltare. Ed era contenta già solo di questo. Aveva preparato due lettere con la sua richiesta d’asilo, con paziente resoconto della sua tragica vicenda familiare e delle persecuzioni che subiva in Italia, soprattutto da parte dei servizi segreti americani, per via satellitare. Lei veramente desiderava vivere in Russia, forse a Mosca; non vedeva altre possibilità di essere protetta. Una di queste lettere fu consegnata da lei stessa al segretario del Presidium, l’altra, diretta a Gorbaciov, alla torre Kutafia del Cremlino, subito dopo. Qui, dopo che il segretario ci aveva licenziati, ci trovammo ad attendere il nostro turno in fila tra gente del popolo e si respirava una certa aria di effettività, come se ogni cosa potesse avvenire davvero. Forse l’aria così devota di quel magico luogo, le tante piccole chiese sparse come scrigni dorati, e ora riaperte, la campana sbrecciata ai bordi, la più antica, la più grande, messa lì quasi negligentemente in uno spiazzo tra i viottoli. Eravamo come consolati da quel popolo. E’ vero, riuscimmo a farci ricevere dal Primo Segretario, ma non so quanto fosse stato consapevole della situazione di Amelia, anche se a suo modo aveva avuto un certo tatto, ma sempre dal di dentro di una formalità burocratica. E Amelia pur sentendosi abbastanza a suo agio nello spiegare, questa volta in inglese, di nuovo le urgenti ragioni della sua richiesta di asilo politico, fu davvero pazientissima. E quando alla fine il segretario esternando la sua giusta meraviglia per una richiesta mai prima pervenuta da alcuno al suo ufficio, alzò il muro di fatto della legge, per cui in Russia non si dava e non era mai stato dato asilo politico, Amelia non si deluse né si diede per vinta; e anzi fu solo di fronte al dato di fatto della legge che si passò a valutare altre possibilità più concrete. Incominciarono a parlare, lei e il segretario, di una probabile residenza, una dacia, un villaggio nella campagna attorno Mosca, che lì può significare anche centinaia di chilometri di distanza, e dei mezzi di sussistenza di Amelia; suoi beni mobili e immobili, probabili pensioni di Stato, o altro tipo di sussidi. Tutte cose che poi si sarebbero dovuto precisare con cura presso il Consolato Russo in Italia di via Nomentana, dove di fatto il Primo Segretario ci avrebbe rimandato. Ma anch’egli consigliava comunque ad Amelia di inoltrare la lettera con la richiesta di asilo politico a Gorbaciov . Ma anche di un’altra possibilità si era intanto parlato, e cioè che Amelia potesse sposarsi con un russo per averne la cittadinanza. Alla fine tra Consolato in Italia e Gorbaciov, dacie e villaggi, lo Stato Sovietico veniva a levitare e si intrecciava talmente con una probabile situazione nuziale , che Amelia quasi in un soprappensiero s’aprì in una risata, non senza un po’ d’ironia, esclamando: “Ma al dunque, non dovrò mica sposare lo Stato!”.

Qualcosa cadeva al di fuori, e qualcosa si rafforzava al di dentro. Solo un momento di nervosismo. Nella folla della metro, l’unica volta che la prendemmo, Amelia s’affaticava molto, aveva forti dolori alle gambe, ed io e Fira un po’ ce ne dimenticavamo, andavamo troppo lesti per quelle scale di marmo. Lei ci sgridò, non avevamo compreso lo sforzo che faceva in quei sotterranei.

La lettera a Gorbaciov non ebbe mai risposta. Pure al ritorno in Italia per Amelia ci fu un periodo di remissione dai mali e dagli attacchi satellitari da parte della Cia, come se la nostra missione avesse comunque ottenuto un risultato, anche se parziale e momentaneo. Portavamo con noi la pace di quella casa, la bontà di quelle persone che ci avevano accolto. Il ricordo delle loro piccole attenzioni, come quei gelati meravigliosi, i Borodino, che Venera Keselova, una sorella di Fira, ci portava, da Novgorod. O la frutta profumatissima di Anatoli, il marito di Fira, da Xerson in Ucraina; o il pane genuino che Misha Bauch, affascinante ragazzo amico di Youri, ci portava da Minsk. Fira stessa non ci aveva fatto mancare nulla; una varietà straordinaria di altri pani, torte, yogurt, e naturalmente champagne russo e caviale, anche troppo.

Di allora anche Misha, Anatoli, la signora Maria, la sorella di Fira, non ci sono più, e Amelia. Come foglie portate dal vento, quest’oasi che s’apriva, che la stessa legge invece di già aveva riconosciuto inviolabile, da sempre. Come da sempre è la sapienza di Amelia, il suo andare. Sarà follia solo per gli sterili borghesi e i sempiterni burocrati. Ma Amelia nel suo tralappiare di giorno in giorno contemplava di già la legge, attuandola. La sua Musa, questo luogo dove violenza e rapina non possono essere, è l’antico battistrada che ha percorso: “Romolo ordinò un luogo il quale egli chiamò asilo, cioè luogo di rifugio, ove gran moltitudine di popolo si radunò, inizio secolo XIV, Livio”. Ed io sono contento se questo suo desiderio, questa sua necessità, di vivere in Russia, grazie al concorso di tanti amici, si sia potuto realizzare. Anche per così poco, ed io con lei.


Gino Scartaghiande

4 commenti:

  1. Ecco Amelia, catapultata nella storia e in un paese "vero", dove la gente è il popolo, essi esistono ancora, e dove le emozioni le relazioni sono quelle semplici, primarie; nonché gli eventi che si avvicendano secondo una naturalezza che a lei piace, e Gino ce lo fa toccare con mano, come lei sia vivificata da questo.
    Amelia, per chi non lo sapesse era anche gioiosissima, dionisiaca quasi, nell'espressione di quanta vita ancora le spettasse.
    E tenera delicatissima quando incontrava la bontà negli altri esseri umani.
    Eccola arretrare davanti alla legge, che ebraicamente comprende bene come superiore a noi.
    Ma l'effetto rasserenante di un paese amico le giovò: e benissimo fece questa esperienza lei, ad essere andata là, a inverare il sogno.
    Grazie a Gino, grazie a Stefano: è di incalcolabile valore questo documento,leggerlo nelle scuole si dovrebbe, parlando di lei e della sua grande vita.
    Maria Pia Quintavalla

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  2. la cosa che più mi fa impressione, è la faccenda dello spionaggio. qualcuno attribuisce questa sensazione alla stato esistenziale di Amelia. Qui invece pare che non ci siano dubbi. Mi sembra che anche Gino sia dello stesso parere.

    tu che ne pensi?

    gugl

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  3. che belli questi post, documenti per imparare.
    grazie.

    francesco t.

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  4. leggo solo adesso questa coppia di post, con colpevole ritardo. Ringrazio per averlo condiviso in rete. Vorrei un giorno poter incontrare Scartaghiande, se fosse possibile.

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