martedì 7 ottobre 2008

Gino Scartaghiande


Nei Sonetti d'amore per King Kong (Cooperativa scrittori, 1977), Gino Scartaghiande frantuma l'identità sino a ridurla in «polvere», in «milioni d'atomi vaganti dentro/ oscure galassie», per poi ricomporla in un dettato biografico tutto esposto sulla dialettica oscena eros-morte, amore-pasto sacrificale, nel tentativo di sanare la «ferita inguaribile dell'essere». Quella ferita che in lui si alimenta nel sentirsi fuori luogo, senza collocazione, estraneo e votato alla perdita, tanto da cercare una comunione, sempre nella polvere, con Rosa Luxemburg, come nella prima sezione dei Sonetti, o con «un regno che scompare» come nelle poesie successive. La poesia di Scartaghiande racconta insomma il dolore e lo spaesamento derivanti dal bisogno di raccontarsi pur sentendo che l'identità è inafferrabile, senza sostanza, proprio nel momento in cui, nella seconda metà degli anni Settanta, il vissuto personale ridiventa realtà indiscutibile degna d'attenzione, in particolare nel clima di "Prato pagano" e "Braci" (riviste con le quale egli collaborò intensamente) ma anche, più in generale, nella cultura italiana degli anni Ottanta, che, sull'identità comunicabile, rifondò la relazione letteratura-pubblico (rilanciando così l'editoria del best-seller di qualità e dei readings performativi ed esibizionisti). Il suo vissuto pare invece una nuvola sul punto di sfaldarsi, già contaminata d'ogni altra sostanza, che la poesia s'incarica di fissare prima della notte perpetua. A questa idea forte di impermanenza, nulla si sottrae, nemmeno la parola, la certezza dei suoi statuti.

Mi chiedo (e chiedo a Gino, se mi legge): il suo/tuo silenzio editoriale c'entra con tutto questo?




da Sonetti d'amore per King-Kong

Frantumazione di cristallo assorbita dal
corpo, schegge, relitti, aspre punte di vetro
inseguenti il loro metabolismo dentro le
braccia. Ancora disteso sul letto, con lo
spavento che incomincia a precipitare dalle
fenditure, dai vuoti delle finestre. Il nero
oleoso, impossibilmente denso, invade la stanza.
M'invade, copre tutto, assorbe tutto. Congloba
tutto. Tutto in effetti già conglobato da sempre.

Se la stanza, la tua stanza, non è più. Non è
mai stata; se non lo stesso nero universo
oleoso; ondulante. Mare che volge e rivolge
la sua sabbia nera: granellini coinvolti
nelle miriadi di combinazioni.

Ora sai bene, lo sai per certezza: il mare
d'acqua azzurra non esiste, non esiste il
cielo azzurro, non esistono le pareti azzurre
della tua stanza e nemmeno i vetri, i frantumi
di vetro, e le finestre.

L'esistenza non ha di queste topografie.
L'esistenza è oltre lo schermo di una
stella che brilla, oltre il polarizzante
cerchio d'oro del sole. L'esistenza non
è dedita allo sfruttamento della morte.

Coltiva questa frantumazione vetrosa
all'interno di te. Frantuma i milioni
di finestre divisorie, lascia che lo sfaldamento
prenda luogo dove entra l'esistenza.

So di certo chi sei, chi sono. L'asfalto
grigio della strada. Il tuo sangue sull'
asfalto penetratomi sin d'allora. E so
che altre strade dovrò ancora assorbire,
altro vetro frantumare, prima di poter
pronunciare il tuo nome, che sarà anche mio
e infine nostro. Ti chiamerò Rosa Luxemburg.
Mi darai il nome.
[...]



E' immobile

La polvere si è accumulata.
Una mano sottomessa all'osso
e alle intemperie. Non farmi
male se vieni ad amarmi
stanotte.
Quello sfumare di colori
nel rettangolo di cielo
alla finestra. Il rosso
vicino quanto la stella.
Ma se davvero, come dici,
il pesco fiorisce nei
tuoi inverni, allora
penetrami più forte che puoi.
La notte d'antenne.



Appena all'inizio

Cara sconoscenza caro essere
disvitale caro disamore
plasmi tutta la materia di cui
sono fatto. Caro Kong mio re
e mio suddito. Caro possesso
dove ci si disperde. È appena
l'inizio di un tempo altro.


*

Il molo, apice d'uno spazio
aperto, grigio e cemento.
Spiaccicato, più sangue rosso
e più immondizie rifluttate.
I marosi già superficie, e sputano.


*

Mentre s'appanna, risolvendo
con uno sforzo la debolezza.
Nera incerata dove brilla
il tuono, o locusta nel nido
erbivoro. Contenuto fuori dell'
involucro; bicchiere e corpo,
acqua e corpo. Così improvvisamente
t'attraversa un parlare quotidiano;
sai che la crosta s'indebolisce
e sfumano connessioni nei suoi passaggi.
Diceva: assassino. Qui
l'angolo brucia capelli, anche
il bosco di una nuda parentela,
dove ti perdi, nei secreti di guerre
e amore, riappare per devastazione.


*

Nella sua curva dolce metto
una porta oscura e la lascio
aperta. Vi conserva un'acqua,
uno specchio nell'erba e nido.
Vi respirano la notte e le ombre.
Quando distese le cose s'insinuano
nei propri vuoti. Un rimando duplice
ora, mettermi io stesso a parlare.
Dove si sposta il cerchio alle labbra.
Se qui scagliato io fossi sempre tu.




estratto da Sedici perìcopi in “Oggetto e circostanza”
(una riscrittura del primo capitolo di "Bambù")


I


Avevo la simpatia di
pormi in un regno
che scompare. Sempre lontano

dal vero dove poi le presenze
ti respingono è una voce così
vicina che sembra tale. Dove

incontri è un coricarsi e un
peso delle foglie viste.

Io non avevo dimestichezza
o densità o coincidenza.

Se seminavo so anche
divorarne il vento, sempre

quando le visioni d’arte
sperdevano di tutto il nostro.



II


Una notte d’inverno
invitava lentamente la penombra
come un fanciullo riconoscente
la sua ottima posizione. Restarne

l’esistenza che poi sconvolge
le porte, chiude le fatiscenti
statue della luce ma non
gli baratta un sogno dall’opposto
scorrere del fiume. Quasi nulla.




III


Io seppellivo la testa
che ritornava sempre. Come

possono roteare di cieli
e più elementi l’infittirsi.

Io volevo più grazia e quasi
supplicavo. Io volevo soccorrere
e spiegarmi.



VII


Perché non immaginano, una polvere
bianca della densità è discesa
una ferma nei marmi su scale.

A vortice dei cieli è il silenzio
dell’amore, così sempre regge
il risveglio, la verità.




XI


Io scompaio e tu ed anche
scompaiono le voci che più
sono e ciò che più resiste.




XIII


Non l’immaginario è il paese.
Egli, nella densità d’angelo,
scanala una città dalle
altezze. Non fu popolo, mai,
tra i serrami d’oro delle
leggi, a seguito, nella distesa.




XIV


Non sei solo a scomparire. A parte
il genio. Accade spesso che si diventi
neutri, se sostanziati dalla luce, accade
sempre, lo spirito che può darci, mentre
una cosa è fatta è un’altra che compare.





Gino Scartaghiande è nato nel 1951 a Cava dei Tirreni (Salerno) ed ha studiato presso "La Sapienza" di Roma. Ha pubblicato due libri di poesia, Sonetti d'amore per King Kong (Cooperativa Scrittori, Roma 1977) e Bambù (questioni di provincia) (Rotundo, Roma 1988) Per i commenti critici si veda E. Pagliarani - "Periodo ipotetico" n° 10/11 - G. Sica "Avanti!" - 13/02/77 - A. Giuliani - "La Repubblica" - 23/04/77 - F. Cordelli - "Il poeta postumo" (Lerici, Roma 1978) A. Zanzotto, "Corriere della sera" 07/06/96 - S. Caltabellotta, dall'antologia "Ci sono fiori che fioriscono al buio" - Frassinelli 1977.

14 commenti:

  1. "Coltiva questa frantumazione vetrosa
    all'interno di te. Frantuma i milioni
    di finestre divisorie, lascia che lo sfaldamento
    prenda luogo dove entra l'esistenza."

    :-)

    mitralika

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  2. forte no?

    gugl

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  3. Ottima riproposizione, questa, di un poeta che ha segnato il finire degli anni settanta con una voce di scrittura lirica ma anche fortemente cruda, senza "poeticità" superficiale.

    "Io scompaio e tu ed anche
    scompaiono le voci che più
    sono e ciò che più resiste"

    "Non sei solo a scomparire. A parte
    il genio. Accade spesso che si diventi neutri, se sostanziati dalla luce"

    Forse il senso del silenzio di Giano Scaretaghiande è in questi versi, che parlano e parleranno.
    Ciao.
    Giorgio Bonacini

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  4. Scusate gli errori nel nome del poeta, non so se li ho fatti o o il computer.
    Giorgio

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  5. grazie Giorgio per la conferma che mi dai.

    gugl

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  6. davvero sorprendente quanto mi coinvolgano questi versi... forse sbaglio ma mi viene da difinirla una poesia dai toni...Hard Rock, se mi è concesso.... un affermarsi con toni forti e chiari.
    Continuamente, inseguendo sè stessi all'interno del proprio essere. Cercare una permanenza tra i granelli di sabbia. e sembra quasi un grido, camminando sulla strada...vedo l'asfalto, il cemento. Ed è questo che più d'ogni altra cosa mi affascina. è come se permanesse quello scenario, in tutti questi versi. come se venissero poi, sempre da quella stessa strada, quella su cui affaccia quella finestra, che non smette di spezzarsi, dentro, di farsi in frantumi per cercare una comunione con l'esterno, qualcosa che leghi a quell'asfalto (o a quei pezzi di vetro stessi)...qualcosa che lo renda REALE, per una volta! forse l'ennesima ricerca di una qualche specie di noumeno... chissà. o cercarlo in chi viene lì accanto...nel cerchio delle labbra....volendo credere ad un pesco che fiorisca d'inverno...

    forse è il mio amore per l'asfalto e i capannoni industriali e i cassonetti e le città e quel che ci viene appresso a rendere tutto questo così interessante.....so soltanto che voglio approfondire. Gugly, a te il compito!!!

    grazie per queste poesie.

    Patty!

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  7. Le ho lette e rilette. Significati e sensi nascosti che si aprono e chiudono a ventaglio. Una bellezza abbacinante nella sua naturalezza. Ringrazio Stefano Guglielmin per aver postato queste splendide poesie di Gino Scartaghiande. È un'impresa più che ardua trovare sue poesie in giro. Ogni suo verso apre un varco, un pertugio nel muro dell'indicibile. E lo fa con un gesto per niente brusco, anzi...
    C'è una grazia così naturale, che seduce e ammalia come musica inaudita che ti prende e non ti molla più. Non saprei dire altro... Grazie.

    alessandro salvi

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  8. "L'esistenza non ha queste topografie".
    Bello e terribile questo verso.
    Dentro, quasi si scorgono gli occhiali rotondi di J. P.Sartre.
    Le poesie di Gino mi hanno portata in un mondo che conosco già: qua dentro non attecchiscono prosopopee di finta salvezza.

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  9. L'anonimo di prima ero io,
    Renée.
    Ciao Gù.

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  10. Patty, approfondiremo.

    un grazie ad Alessandro e a Renee.
    Vero che non si trova quasi nulla in rete (e niente del tutto in libreria). Informazioni ulteriori le trovate nell'antologia curata da F. Giacomozzi, "campo di battaglia" (Castelvecchi, 2005)

    gugl

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  11. è una scrittura che influenza
    me almeno

    mi capita spesso di rileggere a più riprese un testo prima di esprimere un giudizio, per quanto provvisorio e lasciato correre in un dibattito più esteso e plurale

    quindi mi è successo di aver riconosciuto una forte influenza di "oleoso" (da Sonetti d'amore per King-Kong) in una cosetta che ho scritto fra una prima e una seconda lettura

    magari è poco come indizio, però non riesco a prescindere da questa viva impressione di un plasmare la parola che fa vasta risonanza attorno al suo deposito testuale, una scrittura che agisce

    Mario

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  12. "oleoso" mi pare un attributro che rende l'idea. Ed è materia moderna, che fa più rima con vischioso che con fluido.

    ciao!
    gugl

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  13. ogni debito, in poesia, è sempre un credito se non spiaccicato... infatti sotto l'evidente influenza di Scartaghiande scrivevo "oleume ideologico"

    dall'oleoso all'oleume c'è tutto il transito vischioso di materie che davvero possono ridurre al silenzio come strategia di resistenza poetica

    ;-)


    Mario

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  14. già!

    gugl

    ps. buon sabato!

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