lunedì 18 agosto 2008

Alberico Sala

Nella costellazione della scuola lombarda, Alberico Sala ha uno spazio tutto suo, tra Luciano Erba e Vittorio Sereni, che la critica accademica fatica ancora a riconoscergli. Se cerchiamo "maestri" occorre cercarli nei classici: la bussola sul fare contemporaneo ne trarrà giovamento. E dunque: dalla koinè lombarda, che cosa abbiamo da imparare? L'uscita dall'ermetismo, per esempio (anche se De Angelis, declinandolo nel tragico, lo rende categoria imprescindibile della modernità). E poi: la forza delle cose nominate (e Sala ce le fa tastare, persino), l'antiretorica, l'ironia pacata (di radice illuminista), la città con le sue pieghe, e un'idea del tempo mutuata probabilmente da Montale, lettore dei crepuscolari. Alberico Sala, di suo, vi aggiunge il piacere dell'elencazione, la particolare atmosfera malinconica e - qui ho riportato un solo esempio - il fascino della lingua straniera, il francese in particolare - che d'improvviso lacera il verso, ottenendo effetti fonetici originalissimi, come la quasirima "dangereux - giro".

Credo che gli editori farebbero bene a raccogliere le sue poesie, visto la loro pressoché totale irreperibilità.


da Chi va col lupo (Rusconi, 1975)

Sui rami della folgore

Nella corte le foglie ancora verdi,
pieni i limoni centenari. Nella casa bresciana
la mia stessa carne si corrompe.
Altre stanze, per noi, nella pianura, alberi
e cavalli, conigli e galletti (nella gabbia
le tortore si dolgono della luce che sgronda
con la pioggia). Da tempo la siepe t'annoiava;
partivi, ti rifugiavi tra gli oggetti consunti
(la passione antiquaria), tentavi di sfuggire,
all'indietro, ai tiri dalle gramaglie fitte
del roccolo. Potessi mondarti; cerco parole
fra i tuoi libri scoperti sotto gli spari,
il tarlo dell'aereo rapace fra le colline,
sul lume distratto, l'operaio in bicicletta,
lungo il ciglio del sentiero. Le stesse mura
che guardi assente, mi nascosero ( il pane
sulla brace, il formaggio stillato dalle garze).
Tu no, la talpa nera ti ha scovato, percorre
le tue ossa, non c'è trappola. La vergogna
è dell'uomo pioniere sulla luna, sconfitto
in terra.
Il temporale si lacera: due ragazzi
in piedi sulla tua dimora di mattoni vecchi
alzano voci bianche, il prete contadino
parla d'altri raccolti. Chi c'era lo sa:
una rondine guizzò dalle bocche dei loculi,
sparì lungo i rami della folgore.

Gussago, Vailate, novembre 1970


Benedetta giovinezza


Benedetta giovinezza: a due passi dal bar
sulla via d'autocarri del console Emilio,
la neve a Palermo sfarinata sulle teste,
i mandorli ghiacciati nel video, una muta
di vent'anni corre sulla brina dell'oratorio.
I jets striano la sera lombarda calando
sotto il quarto di luna; i ragazzi si passano
le maglie scombinate nel lume dei riflettori.
Saltelli fra i pali della porta, controlli
il pallone, la mia immagine sottovetro
nella casa del curato. All'intervallo ti sporgi
dalla rete, divori il fuoco della sigaretta.


San Giuliano milanese, 2 marzo 1971



Un altro mondo


Sento la pioggia trepida sui tegoli
(i passi il becco del passero errabondo)
della mansarda, il vecchio abbaino dei famigli
spolverato dall'architetto nature. Sarà neve
se il vento rinforzerà dai monti, il lupo
scoprirà un altro mondo. I ragazzi
di maglie e pelo di coniglio l'annunciano
chiassosi lungo il viale. Le pecore ritrovate,
una folata più calda nella nebbia,
nella stalla ruminano quiete,

Dicembre 1971


Non sanno, fanno


Un meteorite così, di mezzo chilo,
è niente, ma è caduto in un cortile
di Lodi (le case rosse, i fieni, il latte,
la bicicletta greve di classici).
Io torno
da bastioni di vento e pioggia, statue
di luce azzurra e rossa al Forte, pianeta
di Giotto e Michelangelo, isola di Pasqua.
In treno ho guardato per cento chilometri
il massacro a colori di An Loc, un cesto
rovesciato d'avanzi di verdura, e mani
contadine.
.......Nell'orto lombardo misuro
la pazienza della foglia: vecchio Ho,
non è vero che «la rosa s'apre, la rosa
appassisce senza sapere quello che fa»,
gli uomini non sanno, e spensierati fanno.

Giugno 1972


Improvviso il vento


Le donne di casa si chiedono perché
mi ostini con le finestre chiuse al sole
che spinge le gemme fra le spine, i bambini
fra le primule degli argini. Non sanno,
temo il crollo improvviso del vento
dai colli, che disperda il tuo odore,
ti scompigli dimenticata nelle stanze.

Febbraio 1973



Nunc


Almeno questo è certo, è primavera
da me e da te, nella gola delle primule,
e nel vaso sul davanzale della tua stanza
verboten (anche programmare i giorni).
Al contrario di me che debbo uscire
per vivere dal nunc, spingermi avanti
anche se è dangereux.
....................Faremo il giro
del mondo, può darsi, per ritrovarci.

22 marzo 1973


La sabbia rossa


L'Africa che inseguivi con le rondini,
la freccia madida nel bungalow (primizie
sono rimaste nel ventre dell'isolotto),
è arrivata con la pioggia sul terrazzo.
Sabbia rossa del Sahara, petrolio e sangue.
Ha volato sette giorni. Ora, blocca le uscite,
minaccia la moquette, da asciugare con il fon.
Nella notte ambrosiana, presso la luna,
bruciano i fari della torre di guardia.


Maggio 1973


Avanti, indietro


La ragazza con la minigonna azzurra
espone il fuoco di due giorni al mare,
fra siepi di polvere metallizzata. Il fragrante
«gaudio della carne che appena sopporta
la sua pienezza», profumato ondeggia;
ed io nella sua scia non vado più
avanti, ma indietro, verso la gioventù.


Agosto 1973



Dalla nostra parte


Dalla mia noce di cocco che galleggia
sulla domenica ambrosiana, o dalla sauna
dell'Hilton; dalla tua stanza sgombrata
dal commando imberbe giù per gli spioventi,
sulla rosa spaesata, non c'è pericolo d'errore,
siamo noi due, i soli abitatori del mondo
non cancellato dall'ira e dall'ignoranza.

Il vento asciuga la riviera, porta
profumi da socchiuse serre nel buio.
Fra le lance dei cactus (foglie e rami
secchi stridono contro le porte), per anni
m'hai atteso.
................Sono qui, rifugiato
in un albergo tra vecchie immerse
nel siero del video, che stinge i guai.
L'Europa esplora le caverne, smura i camini.
Tra queste pensioni soffocano un'estate.
L'whisky a gogò (nome di mercenari in Africa,
coloni impudichi), è sbarrato. Mia sorella
guardava le barche raccolte nel recinto
d'acqua; poi, è passata sull'altra sponda.
La stagnola delle foglie dei salici,
dagli orti ferroviari nella sera acidula
di vinacce, è riversa dalla nostra parte.


Dicembre 1973


Alberico Sala nasce a Vailate, paese della Gera D’Adda, nel 1923. Studia a Venezia e a Milano. Poeta, narratore, giornalista, critico cinematografico, autorevole critico d’arte e letterario. Giornalista fin dal 1945, dopo una parentesi bergamasca e un’altra romana, passa a Milano e a vent'anni è il più giovane redattore capo della stampa italiana. Fonda il premio letterario S. Pellegrino di poesia e nel 1946 la rivista internazionale di letteratura Misura. Nel 1957 pubblica il suo primo libro di poesie Epigrafi e canti. Seguiranno Sempre più difficile (1960), Un amore finito male (1963), Senza malizie (1968), Il giusto verso (1970), Chi va col lupo (1975), Fino all'ultimo (1979), Il pantano di Waterloo (1982), La prova del nove (1988), La sera prima (1991). Come scrittore ottiene prestigiosi premi e menzioni speciali. Muore a Vailate nel 1991

5 commenti:

  1. tutto tace. Non è bello? ;-) GTZ

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  2. mah!

    gugl

    ps. bentornati!

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  3. grazie Stefano, non lo conoscevo. Mi sembra davvero un'ottima penna.
    C'è tanta concretezza in questi versi
    senza la ricerca esasperata di stupire a tutti i costi, ma tanto stupore nel leggerli nella loro semplicità e forza. Un verso in modo particolare di Sala, che ho trovato in giro per il web, (mi scuso per la citazione da un testo diverso da questi proposti)mi ha davvero colpito e mi è rimasto impresso :

    così verso la sera d'origano

    Tratto dalla sua poesia "Ero in riserva" dedicata a Dino Buzzati.
    vincenzo(cino720)

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  4. la scrittura lombarda, caro Vincenzo, tendenzialmente evidenzia un animo senza grilli per la testa.

    bello il verso che citi.

    benarrivato in questo blog!

    gugl

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  5. dio che emozione

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