martedì 13 febbraio 2007

Patrizia Cavalli

Quattro poesie di Patrizia Cavalli. Le prime due tratte da Le mie poesie non cambieranno il mondo, la terza da Cielo, l'ultima da L'io singolare proprio mio (ora in Poesie 1974-1992, Einaudi).
Le parole signorine, le stanze indomabili, l'io carnale, gli oggetti che rimangono estranei al destino degli esseri viventi, Roma degli affetti e minacciosa, l'amore come impossibilità comunicativa: sono questi alcuni temi della sua poesia. Poi c'è il canto, aderente alla sordina del quotidiano e che talvolta diventa guizzo, invettiva, una "lingua piatta e bassa" come recita un verso di Pigre divinità e pigra sorte (Einaudi), il suo ultimo libro.


*

E chi potrà più dire
che non ho coraggio, che non vado
fra gli altri e che non mi appassiono?
Ho fatto una fila di quasi
mezz'ora oggi alla posta;
ho percorso tutta la fila passetto
per passetto, ho annusato
gli odori atroci di maschi
di vecchi e anche di donne, ho sentito
mani toccarmi il culo spingermi
il fianco. Ho riconosciuto
la nausea e l'ho lasciata là
dov'era, il mio corpo
si è riempito di sudore, ho sfiorato
una polmonite. Non d'amor di me
si tratta, ma orrore degli altri
dove io mi riconosco.



*

Non ho seme da spargere per il mondo
non posso inondare i pisciatoi né
i materassi. Il mio avaro seme di donna
è troppo poco per offendere. Cosa posso
lasciare nelle strade nelle case
nei ventri infecondati? Le parole
quelle moltissime
ma già non mi assomigliano più
hanno dimenticato la furia
e la maledizione, sono diventate signorine
un po' malfamate forse
ma sempre signorine.


*

Ah sì, per tua disgrazia,
invece di partire
sono rimasta a letto.

Io sola padrona della casa
ho chiuso la porta
ho tirato le tende.
E fuori i quattro canarini
ingabbiati sembravano quattro foreste
e le quattromila voci dei risvegli
confuse dal ritorno della luce.
Ma al di là della porta
nei corridoi bui, nelle stanze
quasi vuote che catturano
i suoni più lontani
i passi miserabili di languidi ritorni
a casa, si accendevano nascite
e pericoli, si consumavano
morti losche e indifferenti.

E cosa credi che io non t'abbia visto
morire dietro un angolo
con il bicchiere che ti cadeva dalle mani
il collo rosso e gonfio
vergognandoti un poco
per essere stata sorpresa
ancora una volta
dopo tanto tempo
nella stessa posizione nella stessa condizione
pallida tremante piena di scuse?

Ma se poi penso veramente alla tua morte
in quale letto d'ospedale o casa o albergo,
in quale strada, magari in aria
o in una galleria; ai tuoi occhi che cedono
sotto l'invasione, all'estrema terribile bugia
con la quale vorrai respingere l'attacco
o l'infiltrazione, al tuo sangue pulsare indeciso
e forsennato nell'ultima immensa visione
di un insetto di passaggio, di una piega di lenzuolo,
di un sasso o di una ruota
che ti sopravviveranno,
allora come faccio a lasciarti andar via?



*

Ah smetti sedia di esser cosi sedia!
E voi, libri, non siate così libri!
Come le metti stanno, le giacche abbandonate.
Troppa materia, troppa identità.
Tutti padroni della propria forma.
Sono. Sono quel che sono, Solitari.
E io li vedo a uno a uno separati
e ferma anch'io faccio da piazzetta
a questi oggetti fermi, soli, raggelati.
Ci vuole molta ariosa tenerezza,
una fretta pietosa che muova e che confonda
queste forme padrone sempre uguali, perché
non è vero che si torna, non si ritorna
al ventre, si parte solamente,
si diventa singolari.

9 commenti:

  1. fantastica. nella seconda poesia soprattutto c'e' questo orizzonte femminista sulla teorizzazione della rinuncia al seme e alla fertilita' in ambito sociale come domestico (materassi, pisciatoi). seme come prigione, e c'e' questa ironia ("ho fatto una fila ? di quasi mezz'ora alla posta") che dimostra la volontà della poetessa, del mostro sacro, o del debole di mente, con l'ambiente e le sue esigenze di omologazione. ambiente la cui violenza misogina e' percepita a livelli infinitesimali, traspare dai dettagli (odori atroci di maschi; il mio corpo si e' riempito di sudore). Davvero "un orrore" del riconoscersi estranea a sè, nei temuti e rifiutati altri. La città è arena di stupro (mani toccarmi il culo).

    happy day, erminia

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  2. Ottima scelta, Stefano!

    Un abbraccio da Gianfry

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  3. ottime osservazioni, Erminia.

    u nsaluto a Giamfry

    gugl

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  4. Mi è piaciuta particolarmente l'ultima che rimette in gioco di nuovo il linguaggio come il "fenicottero di alice" (Giovenale docet).

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  5. ho presente il fenicottero di alice, ma non le osservazioni di giovenale. a me ricorda anche il mazzarò di verga :-)

    gugl

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  6. belle tutte, fra tutte mi è piaciuta di più la terza. naturalmente :-) a.

    ps. mi fa piacere che hai levato la moderazione, prima era come lanciare un messaggio nell'oceano, e ti chiedevi arriva o non arriva?

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  7. ho visto patrizia cavalli recitare le sue poesie dal vivo, tutte a memoria con grande carisma. Nella stessa sera leggevano altri poeti piuttosto noti, ma le poesie della Cavalli avevano un ritmo particolare e sembravano funzionare meglio di tutte quelle degli altri, quanto meno all'ascolto.
    teresa

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  8. sempre che voglio leggere, trovare un poeta ...lo trovo in questo blog...grazie ...muchas gracias Stefano...e grazie anche a la poetessa...

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