lunedì 13 giugno 2011

Ida Travi


La luce metafisica in cui ci immerge Ida Travi in Tà poesia dello spiraglio e della neve (Moretti & Vitali, 2011), come nei suoi due libri precedenti, si colloca nella cesura fra l'io e il tu, ne è il taglio che li tiene in contatto, nel medesimo respiro poetante. Tà, a me pare, è sillaba che convoca la presenza nell'interrogazione continua, paziente, che ogni presenza chiede. Tà è l'occhio che fissa l'immagine, è la parola che la descrive nel suo oscillare ontologico, in quell'imprendibilità che, impedendoci di dominarla o di escluderla, ci tiene appassionatamente in sua prossimità. In nessun altra poesia come in quella di Ida Travi ogni cosa (gesto, paesaggio, oggetto) tiene il mondo nella sua quadratura di cielo, terra, divini e mortali, lo si sente agire in essa, in una tensione com-movente. I quattro, infatti, si muovono insieme verso di noi, che siamo della stessa sostanza, ci scuotono intimamente, affinché ci si ponga in ascolto vigile della "briciola smagliante" che ogni cosa è nel grembo del mondo. Ogni cosa in effetti luccica in questi versi, ma per spostamenti minimi, per gioie e dolori senza clamori, perché tutto è piccolo e grande allo stesso tempo, caduco e immortale. E lo stesso tempo ha sempre due volti, due vie, appunto: l'altro e il basso, la luce e la tenebra, la parola e il silenzio, e ciò perché, come scrive la stessa Travi ne L'aspetto orale della poesia, "la lingua materna [...] lascia andare sia il trionfo che l'orrore". E lo fa perché "è concreta, non astrae [...] narra per eventi, dice e quel che dice lascia subito scomparire".

Contrapposta alla logica del dominio, dell'essere uno eternamente uguale a se stesso, Travi pratica una poesia dell'in-comune proprio della relazione madre neonato, nomina quel tratto del conoscere in cui i confini del proprio corpo toccano quello dell'altro, laddove il neonato riconosce se stesso nel luccichio dello sguardo materno, nelle sue labbra dischiuse, e la madre vede nel figlio l'altro da sé che la completa, in una commistione mancante di nulla fra fisicità ed emotività. Così succede in questo libro, dove il Tà annuncia, fra le innumerevoli altre possibilità che Travi stessa ci suggerisce, "la natura plurale delle cose e degli esseri del mondo". Tà, in definitiva, come il "tempo" in Derrida, si fa dono che, sottraendosi, rende possibile l'offerta di quanto – cose ed esseri viventi – in esso si apre, costantemente sorgivo e che passa, disseminandosi nei racconti degli altri, nella memoria di chi c'era, nel desiderio di esserci stato. Sotto questo aspetto, Tà è la differenza stessa, ma detta come lo farebbe un monaco Zen: battendo sulla fronte dell'allievo, affinché questi esperisca l'offerta e la biforcazione, l'inquieta sua pace in cui lo stesso tempo è il dono e il donante, l'io-tu che, in Ida Travi, per aprirsi alla gioia deve accettare il dolore, l'imminente nascita, l'ex-sistere che inaugura il "duetto iniziale" neo-madre neo-nato, come essa scrive nell'Aspetto orale, tragico eppure ricco di promesse, nello stesso tempo.



( il piede del bambino più piccolo )



Il piede del bambino più piccolo

è più grande d’ogni tuo pensiero



Cosa mangia la foglia adesso?



Il pianto del bambino più piccolo

ha coperto il tuo canto, il mondo

sta strillando sull’altare



Il fiume, il salice, la porta. Il tronco spalancato



Ti cadono le foglie dalla testa, te ne accorgi?







( tutto era a posto)




Tutto era a posto, tutto era perfetto

poi è venuto l’uomo con la falce

e s’è preso le nostre fragole



Allora sono scesa dalla sedia regina

alzando le braccia al cielo



Sono scesa dalla sedia regina

portando le mani al petto



Tutto era perfetto, cento colombe alte

sono volate in cielo, come un ventaglio

in cielo, le fragole antiche dormono

nel fazzoletto nuovo.






( vedrai la spalla del tuo vicino )



Vedrai la spalla del tuo vicino alta nel segno nero



Nel filo di fumo azzurro vedrai quel fiume

e il monte lì vicino, vedrai un ramoscello

argento che sale, sale…



È così che testimonia il ramo



È così che il sasso ritorna alla sua storia



Ci sono vetri dappertutto, Usov

sei pieno di schegge in testa.







(ritorna in te)



Ritorna in te, togliti dalle rose

Superbe nella loro natura,

svettano nel colore

come irriducibili bandiere



Questa è la verità, Inna

non puoi discutere con le rose

hanno sempre ragione loro.







( Olin, ti sbendo )





Olin, ti sbendo. Tu guarda

dall’altra parte, guarda

se per caso è fiorito il braccio

e come è semplice la testa, adesso.







( le mani in preghiera )



Le mani in preghiera escono dal buio

ti svanisce il cerchietto sulla testa

e il vetro argentato ti chiama Inna



C’è un volto nel biancore dei ghiacciai

C’è un cuore giù nel sottosuolo



L’angelo prende con sé i bambini

li porta alla luce della candela

Ora alla luce della candela brillano immensi

davanti a noi, li vedi?








( caleranno le pale dei morti )





Caleranno le pale dei morti

MA IO NO!



Li vedi quegli uccelli in volo?



Io sono a conoscenza d’un mistero

so l’ordine preciso d’un mistero



Svaniranno i fiori dappertutto

ma io non svanirò. Lo giuro!








( non entri nell’acqua?)





Non entri nell’acqua, Attè?



Corre veloce il fiume, corre veloce

come il nostro desiderio



Desiderio?



Così lo chiameremo!



E non dirmi che non ti piace, Attè

il bambino è immortale, lo sai.




Si legga anche questa bellissima nota di Alessandra Pigliaru

Ida Travi vive a Verona. Ha scritto anche per il cinema, la musica e il teatro. Tra le raccolte poetiche, L'abitazione del secolo ( 1990), Regni ( 1991 ), il distacco (1994), La corsa dei fuochi, libro + CD (Moretti&Vitali, 2007), Neo/Alcesti (2009). Tra le prose, Diotima e la suonatrice di flauto (La Tartaruga-Baldini Castoldi Dalai, 2004), L'aspetto orale della poesia (Anterem Edizioni, 2000, Moretti&Vitali, 2007), Selezione Premio Viareggio 2001. è finalista allo stesso premio 2011

3 commenti:

  1. La quiete dell’identità di percezione di Ida Travi

    La poesia di Ida Travi[ma anche il cappello di Stefano Guglielmin, non neghiamolo, che, una volta calcato in testa, ferma l’immagine, si fa addirittura “punctum” dello stile del poeta trattato] mi riporta a un mio saggio su Rabindranath Tagore, pubblicato nel 1978 in “Galleria” , la rassegna bimestrale di cultura diretta da Leonardo Sciascia, Mario Petrucciani e Jole Tognelli e che dedicavo a Carlo Cignetti, il poeta torinese autore di "Un gioco di carte", e a Silvia Zangheri, la figlia del sindaco di Bologna durante gli anni di piombo .
    Il rapporto di sinestesia e la contingenza dell’anima, il Tu non ha identità, il Tu rileva l’identità di percezione dell’Io, il finito esaurisce l’impersonalità dell’Assoluto, ossia :
    1)”nella scrittura di Tagore tutto il movimento semantico si congela in quiete dell’identità di percezione” ;
    2)”l’interazione con l’habitat è una sospensione temporale” ;
    3)”l’immaginario(…) è il luogo della trascendenza dell’ego, solamente che, nel caso di Tagore, questa trascendenza ha la duttilità della quiete, chiasma che dona corpo al mondo” .

    v.s.gaudio

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  2. "il mondo sta strillando sull'altare"

    questo verso mi resterà nella testa almeno qualche giorno.
    grazie per il post Stefano.

    red

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  3. Mi scrive Ida Travi, in una mail privata, slegata da quanto postato qui nei commenti:

    "Con spirito di attesa ho letto la tua nota, ben più di un cappello.
    E' tutto vero quello che scrivi: mi riconosco nella quadratura in cui siamo, in questo quadrato del mondo abitiamo la terra come se fosse la luna, ciascuno chiuso nel suo invisibile scafandro, tutto sospeso, cangiante, tutto strano, tutto senza il suo peso. Eppure tutto grave, tutto lieve, tutto non si sa che cosa.

    E mi fa molto piacere il riferimento allo Zen che nessuno nota mai, ma c'è, molto sotto sotto ma c'è, dato che è proprio dello spirito Zen non dire di sé, non farsi notare pena il suo stesso svanire. Anche se a noi occidentali pur amandolo
    possiamo al massimo coglierne qualche riflesso e inserirlo a pioggia nel nostro vivere.

    La lingua materna invece non può nascondere, resta nell'evidenza
    dall'inizio alla fine di ogni esistenza. E molto molto importante quell'aver colto che Tà è il taglio della differenza stessa, insanabile e proprio per questo via di liberazione per tutti, eppure via che riapre un vincolo, per tutti".

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