Diario inverso è un dialogo con l'assente, un monologo con l'invitato di pietra. Lucianna Argentino ha un'urgenza tutta privata nel trovare le parole perdirlo, ma non nasconde nemmeno il suo tirocinio letterario. Non ultimo la familiarità con Sandro Penna, che fa capolino nella immagini più tragicamente leggere ("starei come il cuore rintanato nel battito / ma somiglia a domani oggi..."; "un camignolo fumante e una porta / da cui si possa solo entrare") e nella frequente rappresentazione del treno, il cui fischio, "trascina via" (cfr. p.42). La poetessa romana ama tuttavia anche la parola settoriale ("penetrali") o arcaica ("nepente"), ama insomma segnare il territorio per la poesia stessa, collocandola fuori dal lessico amoroso, più in alto. E' come se la sua voce scendesse dall'aria rarefatta, là dove gli immortali siedono per meglio sorvegliare gli umani, e da lì ricordasse all'amore perduto che c'è dell'altro da vivere, che la vita è (anche) altrove. sul quell'anche, Lucianna si gioca tutto il dolore possibile, e la solitudine.
*
Lei sapeva del silenzio che sarebbe venuto poi
per questo gli chiedeva "abbassa la voce"
pensava che se le parole si fossero fatte
simili al silenzio la loro assenza sarebbe stata
più lieve come un bisbigliare oltre una porta chiusa
o come qualcuno che senti muoversi nella, stanza accanto.
"Cambia tono" diceva a lei lui che non capiva,
e confuso rallentava il passo, cercava un riparo
da quell'estate improvvisa, dall'assalto dell'inatteso.
Ma fu in quella luce stinta che cominciò a sentire
che le cose a volte implodono, senza implorare altro,
e tornano in se stesse e stanno affini al silenzio.
Così cedette e abbassò la voce tanto che tacque.
*
Mimetizzata nelle quattro sillabe del mio nome
- oscurata la luce, sospesa la grazia -
tento una strenua difesa dal suo sguardo manicheo
e imito me stessa, ma senza ironia
piuttosto come un insetto imita una foglia.
*
È creatura di un'aria che arriva senza rima
la paura e chiede che lei le disegni
una casa con una finestra aperta e una chiusa
col tetto, con un comignolo fumante e una porta
da cui si possa solo entrare.
*
Una radice breve è quanto ci ha uniti
e poi divisi - un seme gettato tra i rovi
un frutto senza infanzia
*
Chi può dirmi chi sono
se lui non mi è più specchio?
Se di coraggio perso è il suo guardarmi
e di ritorni severi e di ritardi,
se nel suo sguardo disfatti vedo il tempo e me
me ridisegnata senza braccia.
*
e mi ospitasse in quel silenzio
che la sera un poco sfugge al suo parlare d'altro
starei come il cuore rintanato nel battito
ma somiglia a domani oggi...
*
Ci sono vite senza un centro
o vite in cui quel centro s'è perso
un po' come si perdono gli amici dell'infanzia
o come ci si sente quando gli sguardi altrui
ci stancano e il silenzio ingobbisce
e le parole cercano un rifugio
nell'acropoli del significato e stanno nei penetrali
dell'anima come in un abito trasparente
o come nella sua voce
di tempo ritornato sui suoi passi
o di luce giunta da una stella morta.
*
Lei sapeva del silenzio che sarebbe venuto poi
per questo gli chiedeva "abbassa la voce"
pensava che se le parole si fossero fatte
simili al silenzio la loro assenza sarebbe stata
più lieve come un bisbigliare oltre una porta chiusa
o come qualcuno che senti muoversi nella, stanza accanto.
"Cambia tono" diceva a lei lui che non capiva,
e confuso rallentava il passo, cercava un riparo
da quell'estate improvvisa, dall'assalto dell'inatteso.
Ma fu in quella luce stinta che cominciò a sentire
che le cose a volte implodono, senza implorare altro,
e tornano in se stesse e stanno affini al silenzio.
Così cedette e abbassò la voce tanto che tacque.
*
Mimetizzata nelle quattro sillabe del mio nome
- oscurata la luce, sospesa la grazia -
tento una strenua difesa dal suo sguardo manicheo
e imito me stessa, ma senza ironia
piuttosto come un insetto imita una foglia.
*
È creatura di un'aria che arriva senza rima
la paura e chiede che lei le disegni
una casa con una finestra aperta e una chiusa
col tetto, con un comignolo fumante e una porta
da cui si possa solo entrare.
*
Una radice breve è quanto ci ha uniti
e poi divisi - un seme gettato tra i rovi
un frutto senza infanzia
*
Chi può dirmi chi sono
se lui non mi è più specchio?
Se di coraggio perso è il suo guardarmi
e di ritorni severi e di ritardi,
se nel suo sguardo disfatti vedo il tempo e me
me ridisegnata senza braccia.
*
e mi ospitasse in quel silenzio
che la sera un poco sfugge al suo parlare d'altro
starei come il cuore rintanato nel battito
ma somiglia a domani oggi...
*
Ci sono vite senza un centro
o vite in cui quel centro s'è perso
un po' come si perdono gli amici dell'infanzia
o come ci si sente quando gli sguardi altrui
ci stancano e il silenzio ingobbisce
e le parole cercano un rifugio
nell'acropoli del significato e stanno nei penetrali
dell'anima come in un abito trasparente
o come nella sua voce
di tempo ritornato sui suoi passi
o di luce giunta da una stella morta.
un caro saluto a Lucianna e al Gugl.
RispondiEliminaquesto libro è un gioiellino. merita cercarlo, scoprirlo e riscoprirlo.
francesco t.
un caro saluto a Lucianna, che è un'amica e una delle migliori voci femmnili in giro; e a Stefano, con cui ho un debito di amicizia...
RispondiEliminagiacomo
Innanzi tutto voglio ringraziare Stefano per l'ospitalità e per aver con brevi tratti di penna dato un'idea precisa dello spirito che anima "Diario inverso". (Che si manifesta anche nella scelta delle poesie da offrire ai lettori).
RispondiEliminaE mi fa piacere anche che abbia sottolineato la questione del linguaggio che pure mi sta a cuore in quanto credo che la nostra bella e ricca lingua vada "rinverdita". E poi c'è da dire che a volte mi capita di sentire o di leggere alcune parole definite difficili perchè poco usate, in via di estinzione e di innamorarmene, magari perchè hanno un bel suono, e di ritrovarmele dentro al momento giusto.
Un saluto carissimo unito alla mia stima e al mio affetto va a Francesco e a Giacomo...
Buonanotte, Lucianna
Innanzitutto avrei voluto intervenire anche nel post precedente. Lucianna e Iole sono tra le mie "poetesse" preferite, incontrate nel web (mi espongo).
RispondiEliminaPurtroppo ho avuto difficoltà nel raggiungere il tuo blog in questi giorni, Stefano; ti ho anche mandato una mail, c'era uno strano messaggio del mio antispy che non mi permetteva di raggiungere la pagina.
La scheda di presentazione è molto bella, come lo è tutto il libro di Lucianna, del resto e rende giustizia alla sua bravura.
Il primo testo è tra i miei preferiti.
Ma attenzione anche "verso Penuel" altro libro d Lucianna,tra l'altro prefatto da Dante Maffia, merita tutte le attenzioni del caso, dove una ricerca, un incontro col mistico, resta più marcata.
un esempio:
" accusata stavo nello spazio
tra chi chiama e chi è chiamato
e lui,lieve tracciava segni sul mio viso
- nessuno scagliò pietre
nè io chiedevo perdono.
Ma per quanto indicibile sia il sacrificio
posso ora pregarlo: rinnovami
con la tua lingua d'issopo
chiamami alla santità
includimi nel conto delle tue dita
perchè il due sia perfetto all'Uno"
"Ha occhi chiari, ardenti, un'omelia
indecente alla mia fuga tra i pori
della sua sostanza. Ha sembianza di siepe
ma a volte diviene un sicomoro e io
sulle sue spalle abbraccio Dio"
ciao,
roberto
grazie a tutti per la testimonianza.
RispondiEliminae grazie a Lucianna per la precisazione sulla lingua.
io dico: si attinge da un serbatoio ricchissimo, ma l'epoca non coincide con il serbatoio. Recuperare parole rare e preziose significa recuperare un'epoca; domando: significa anche recuperarne i valori?
gugl
Lucianna è un'autrice che ho già avuto modo di leggere ed apprezzare ...
RispondiEliminala sento straordinariamente pulita nel suo verso essenziale.
Tratteggia di un disincanto che trova corpo in una quotidianità che non lascia scampo. E lo fa con un dire discorsivo che ha lo stesso tono dimesso di certi pensieri e solitudini.
Che BravaBellaDonna che sei!!!!
e un caro saluto a tutti :-)
Mi è sempre piaciuta Lucianna, come persona e come poetessa, per la sua semplicità orgogliosa, il sussurrare quasi, in poesia, concetti che però sono importanti.
RispondiEliminaSono d'accordo con Giacomo, è una delle migliori voci femminili in giro.
Cristina Annino
Molto belle. Autrice che conosco poco, approfonditò.
RispondiEliminaUna scrittura femminile, morbida.
Bellissimo "la porta da cui si può solo entrare"
liliana
approfondirò ;))
RispondiEliminae mi scuso con l'autrice per la citazione non fedele
liliana
sono come l'insetto che imita la foglia: l'umiltà comincia qui e nella fede in Dio che, mi pare, caratterizza il percorso umano di Lucianna.
RispondiEliminagugl
Che bello stamattina trovare tanti amici!
RispondiEliminaRoberto, grazie anche per aver citato "Verso Penuel" che è un libro che sento ancora molto.
Interessante la domanda di Stefano e peraltro concordo con il fatto che il serbatoio e l'epoca non coincidono ed è un vero peccato per tutto quello che ciò significa. Sarebbe bello se attraverso la lingua si potessero recuperarne anche i valori, ma forse basta far sentire alla gente che comunque, che nonostante tutto sono ancora vivi. Ieri sera parlavo con una amica di tutt'altro argomento, parlavamo di aborto, e lei ha detto una frase che mi è sembrata si possa adattare all'epoca. Ha detto, riferendosi a donne che decidono di ricorrere all'aborto, che "non se la sentono" (di diventare madri). Ecco, mi sembra che oggi non ce la sentiamo riguardo tante cose.
Ed è giusto anche il tuo notare, caro Stefano, la fede in Dio come percorso umano e direi pure poetico e spirituale. Fede come apertura ancora più estrema verso il mistero che è in noi e fuori di noi.
Francesca grazie anche a te per avermi voluto testimoniare ancora una volta la tua stima che come sai già ricambio di cuore.
Cristina, come puoi immaginare la tua sosta qui mi fa estremamente piacere. Presto mi faccio viva e ti vengo a trovare.
Contenta naturalmente anche dell'apprezzamento di Liliana di cui pure io conto di approfondire la conoscenza.
Una buona giornata a tutti, Lucianna
Ti aspetto, Lucianna,abitiamo così vicine che non possiamo sempre incontrarci per caso, dovrai pur venire!
RispondiEliminaCristina
Lucianna è una donna poeta di estrema sensibilità, semplice, libera, gravida di un amore di madre, addosso ai suoi occhi "da uccellino azzurro" Diario inverso un percorso d'amore e di dolore, in un "inversione" che si fa conoscenza. Lei è testimone fedele in primis a se stessa. E i versi non la "tradiscono". Un bacio grande Lucianna, poeta di cuore. Dale Zaccaria
RispondiEliminasono contento che ci siano tutti questi interventi!
RispondiEliminaancora sul lessico: usare una parola della corte di luigi XVI, implica un'assunzione di resposnabilità ben chiara, appunto perché significa portare nel proprio testo quel mondo. Se lo faccio con ironia, scelgo l'89, se lo faccio con passione archeologica scelgo la neutralità (apparente), se lo faccio con passione politica sono un reazionario.
per questo io sarei prudente nel voler recuperare il serbatoio tout court, come se fosse pane dell'umanità: è piuttosto stratificazione e somma di tesori che appartengono a precisi vincitori.
ciao!
gugl
Su 'Diario inverso' di Lucianna Argentino, così scrivevo nel blog di Giovanni Nuscis qualche mese fa:
RispondiElimina“Compiuto è l’anno, invertita la rotta…”. L’incomunicabilità, l’impossibile condivisione, i silenzi e le parole che non s’incontrano più, sono i dolorosi oggetti di questa poesia più recente, tre anni dopo il ‘pellegrinaggio’ a Penuel. “Vedo la nuca del suo allontanarsi…” ed “io sono il bianco e lui il nero” da quando “smise d’essermi amante il suo sguardo” mentre “in lui cercavo una me più esatta”. Ora “canto il diniego, la resa”, addirittura, alla fine “mi manca la poesia”. Questo percorso inverso è un tentativo di salvezza, un esorcismo poetico del vuoto dell’assenza e del pieno del dolore – quasi un diario poetico/analitico dagli esiti positivi, forse insperati.
Per la poesia di Lucianna Argentino vorrei spendere anche il nome di Margherita Guidacci, per l’atteggiamento dialogico con Dio e per certi esiti e ragionamenti fatti sbocciare dal testo, e vorrei anche sottolineare che il verso nasce e cresce “nell’umiltà della pagina”, con raro e diretto legame al grumo interiore ma anche alla limpidezza, a quella luce cui umilmente aspira.
Ripropongo volentieri questo breve commento e saluto con rinnovata stima Lucianna e Stefano Guglielmin
Antonio Fiori
grazie antonio: commento prezioso.
RispondiEliminagugl
Ritornando al serbatoio e all'epoca, è vero: il sebatoio non corrisponde all'epoca ma anche: l'epoca non corrisponde a noi. Pensiamo alla parola come cibo, nelle nostre città è più facile trovare un hamburger e una bibita che non un piatto ancestrale e un bicchier di vino ma, onestamente, la differenza c'è, e l'anacronista, se può, si mangia pane e salame in trattoria, fosse l'ultima che resiste in tutto il comprensorio. Voglio dire che il recupero del vocabolo è peregrino se estetizzante ma non se accorda al passato il suo ancorare il presente. La poesia è un transfuga che si porta dietro tutto, carabattole inservibili, le modififica e reimpiega al punto che non le riconosciamo più ma a ben guardare sono quelle, antiche; un linguaggio che taglia i ponti prima o poi si ritrova gergo; è vero che le parole hanno un tempo vitale ma è solo la scrittura che le salva alla fine, e sceglie quali salvare; ci sono parolette che ci si affretta a definire neologismi ma nascono e muoiono come mosche, ce ne sono altre che nessuno ormai più riconosce, se le afferra un poeta - una poetessa - scintillano cone il gruzzolo degli zecchini
RispondiEliminapaolo
infatti: "keciap" connota una cultura differente da "riso basmati". Nominare l'uno o altro è differente non solo per il suono (e il sapore)
RispondiEliminaCondivido l'importanza di salvare la lingua, ma lo si può fare salvando la civiltà che la conserva. altrimenti il serbatoio è nel laboratorio, in un non luogo.
gugl
Ne approfitto per ricordare, a chi vivesse nel vicentino, che domani, alle 18,30, palazzo fogazzaro, ci sarà Tiziana Cera rosco. Io presento.
RispondiEliminagugl
Stefano, ti tratti sempre bene! ;)
RispondiEliminaTanti interventi ricchi di spunti di riflessione e di confronto che sono molto stimolanti.
RispondiEliminaVorrei dire che la materia della poesia è la lingua e sulla lingua si lavora e per quanto mi riguarda credo che la poesia sia sempre nella storia, nell'epoca e se qualche volta uso parole che ho definito in via di estinzione, è solo per la poesia che d'altra parte nemmeno può essere ridotta a mero documento della realtà sociale.
Stefano tu dici: "Condivido l'importanza di salvare la lingua, ma lo si può fare salvando la civiltà che la conserva." E i poeti come la salvano la civiltà che li ospita? o dobbiamo (ancora) con Pasternak chiederci: "che millennio abbiamo, cari, adesso nel cortile?"
Mi rendo conto che il discorso è ampio e che non può essere qui e ora (e forse neanche altrove e mai) esaurito, comunque sono contenta che se ne sia parlato.
Ho trovato molto interessante e pertinente l'intervento di Paolo di cui ho apprezzato quel "se accorda al passato il suo ancorare il presente". E poi la poesia transfuga che vola radente alla terra e al cielo e a volte ci si ficca dentro la terra o sale sale e raccoglie tutto: buio, luce, formiche e farfalle.
Un caro saluto e un grazie per la loro sempre affettuosa e sollecita presenza va a Dale Zaccaria e ad Antonio Fiori, veramente due cari amici.
Un saluto a tutti, Lucianna
Lucianna è donna di sensibilità e umanità rare: alimenta la fede in silenzio come alimenta parole e versi, uno dopo l'altro semplicemente ma con tenacia, costanza. La conosco da moltissimi anni ma la ricordo così come ora: sorriso e occhi teneri, un desiderio di partecipare al mondo i propri sentimenti e di trasmetterne i valori. La poesia unisce i sensibili e far muovere i sordi, così entra nel mondo per stare in mezzo alla vita.
RispondiEliminaGrazie Gabriella (Gianfelici) dell'affettuoso commento qui sopra risultato anonimo.
RispondiEliminaCiao, Lucianna
cara Lucianna i poeti salvano l'umanità ogni volta che agiscono con giustizia e compassione, come tutti gli altri esseri umani. Non c'è leva che sollevi il mondo, ma ogni mano offerta lo rigenera.
RispondiEliminaciao!
grazie a Gabriella per il commento "affettuoso".
gugl
Una radice breve è quanto ci ha uniti
RispondiEliminae poi divisi - un seme gettato tra i rovi
un frutto senza infanzia
Adoro la forza e la potenza del frammento. Un abbraccio Lucianna e complimenti anche da me. Mapi
Stefano sono pienamente d'accordo con quanto affermi!
RispondiEliminaMapi, grazie e un abbraccio anche a te.
Un caro saluto, Lucianna
ringrazio Stefano Guglielmin che da una discussione in Liberinversi sul significato dell’uso di maiuscole/minuscole a partire dalla poesia di Giovanni Turra Zan ha segnalato questa discussione sul lessico poetico in corso qui, così mi sono affacciato per la prima volta al suo blog, che merita di essere seguito…
RispondiEliminaSicuramente il lessico, materiale primario, è il limite primario di chi usa la scrittura per manifestare un atto estetico. Perché se un lettore non conosce il significato di “manicheo” non capirà mai che cosa significhi “sguardo manicheo”, a meno dello sforzo di accedere ad un buon dizionario, che però è sempre uno sforzo supplementare e al lettore spesso fa dire: “non me la sento”. Con tutte le conseguenze del caso. Mi sono in questo momento ricordato che il significato del termine “implosione”, addirittura la possibilità della sua esistenza, mi è arrivato solo verso i 19-20 anni, trovandolo in Montale (che per me da allora è per eccellenza il “poeta dell’implosione”, e forse questa definizione non gli poi così aliena), né ebbi allora bisogno di sfogliare il dizionario, perché la trama di significati in cui era inserito me lo rese comprensibile. Se leggo con gli occhi di quando avevo 18 anni :“Ma fu in quella luce stinta che cominciò a sentire / che le cose a volte implodono, senza implorare altro, / e tornano in se stesse e stanno affini al silenzio. / Così cedette e abbassò la voce tanto che tacque”, ecco che accade la stessa cosa, la stessa illuminazione di significato, impreziosita per di più dal gioco “implodono/implorare” che suscita nella lettura un moto di forte curiosità per la valenza psicologica di questa esplosione al contrario.
Certo che finché l’esistenza è martellata da esplosioni ad ogni angolo della cronaca nera e guerriera, e la frequentazione di scritture letterarie è scarsissima, quell’implosione può rimanere sepolta nella fantasia di un lettore ancora per decenni. Il lavoro del poeta, disseppellire, per me parte da qui. Ma quante volte per disseppellire si rovescia terra sopra altri significati che ripiombano così nell’oblio… Una coscienza drammatica del limite lessicale accompagna chi vi si sporca le mani. Ma in questo drammatico stare all’erta, il limite può divenire risorsa: così un invecchiato “comignolo” che qualche comico potrebbe confondere col “mignolo” della mano, in “una casa con una finestra aperta e una chiusa / col tetto, con un comignolo fumante e una porta / da cui si possa solo entrare” può divenire una forma esatta della specie “canna fumaria”, “camino” e un odore inconfondibile di legna che arde. Calvino, mi piace immaginare così, direbbe: “ottimo, Lucianna!”. Aggiungo un grazie per il conforto che dà sempre il lavoro di chi, come Lucianna, non sfugge a questa consapevolezza, fatica, devozione di fronte alla somma fragilità (e manipolabilità, che spesso diviene purtroppo malversazione) della parola.
“Ci sono vite senza un centro
o vite in cui quel centro s'è perso
un po' come si perdono gli amici dell'infanzia
o come ci si sente quando gli sguardi altrui
ci stancano e il silenzio ingobbisce
e le parole cercano un rifugio
nell'acropoli del significato e stanno nei penetrali
dell'anima come in un abito trasparente
o come nella sua voce
di tempo ritornato sui suoi passi
o di luce giunta da una stella morta.”
(mi capita così raramente di commuovermi leggendo qualcosa…)
La singolare centralità di “parole” nello snodo fra le diagonali visive geometriche e significanti della composizione di questi versi (non sto ad analizzarle tutte, altrimenti sforo i termini più tollerabili di un commento), mi fa dire: “petrarchesco”…
Mario Bertasa
ringrazio Mapio per il passaggio in questo lido e Mario Bertasa che ha commentato con grande luce interiore.
RispondiEliminagugl
Prendo spunto da quanto dice Mario Bertasa nel suo intervento davvero illuminato, come dice Stefano, e illuminante, aggiungo io, a proposito di "manicheo" che certo mi è ritornato da reminiscenze scolastiche e da letture filosofiche (altra mia passione) e di come a tutt'oggi pur essendo consapevole della poca comprensione del termine da parte dei più, non saprei con quale altro, non direi sinonimo che tra un sinonimo e l'altro qualcosa sempre si perde, ma quale altro termine equivalente usare. Manicheo è perfetto per indicare esattamente come io percepivo quello sguardo in quel momento: distante, rigido, chiuso, muto,tutti aggettivi insufficienti...
RispondiEliminaIn una prosa poetica del 2005 dicevo che "Nè credo che la poesia deve tirare giù Dio perché Dio ce l’ha già dentro semmai deve tirare su gli uomini sollevargli il mento..." (altra questione: io Dio non riesco a scriverlo con la minuscola!e comunque non dico che la poesia non possa o non debba tirare giù Dio, ma questa è un'altra questione) Volevo dire quindi, anche giocando con l'etimologia della parola metafora (portare sopra), che è la poesia che deve innalzare gli uomini o che comunque gli uomini si debbano alzare verso la poesia. Non è la poesia che si deve abbassare. Questa estate poi in un libro molto interessante di Jeannette Winterson, "L'arte dissente" leggo: L'arte non esclude nessuno, ma non può abbassarsi al nostro livello; siamo noi che dobbiamo salire fino in cima, se vogliamo godere di una vista straordinaria.
Ecco questa è un piccolo e insufficiente chiarimento su un argomento tanto vasto e profondo.
Lucianna
capisco il tuo punto di vista. il mio è un po' differente: la poesia è. ossia non tira su, né tira giù, ma fa l'opera per l'autore, che è nella poesia che fa.
RispondiEliminaaltra questione: manicheo. E' vero quanto dici, ma un manicheo si offenderebbe perché non si ritiene rigido, distante chiuso, bensì tutto dentro la verità della rivelazione. Le eresie sono tali per chi pensa di essere nell'ortodossia. Usarle come aggettivo dispregiativo è già un giudizio politico, una presa di posizione che difende una certa gerarchia di potere. Quello che dicevo all'inizio di questo post, insomma.
conclusione: le parole sono lo spirito di tante comunità: usiamole con prudenza.
un caro abbraccio
gugl
ho seguito fin qui lo scambio di opinioni, compreso quello su lingua e uso delle parole con le corrette osservazioni di Stefano e l'ottimo intervento di Bertasa. Osservo marginalmente che l'apparente off topic non fa che aggiungere punti al valore poetico di Lucianna, e questo mi fa un enorme piacere. In lei l'uso della lingua nasce essenzialmente dalla necessità di comunicare senza infingimenti, lei non crede, come invece molti, che la poesia sia quella cosa che, esotericamente, prima deve essere cifrata, poi decifrata, poi interpretata, e se usa qualche parola ricercata lo fa per fare risuonare un gong che come notava Bertasa rimanda a quell'aura psicologica che compete pienamente alla poesia. Per altre impressioni che ebbi leggendo questo libro rimando, se interessa, al post che scrissi a suo tempo qui:
RispondiEliminahttp://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/110-Lucianna-Argentino-Diario-inverso.html
di nuovo un saluto a Lucianna e Stefano.
G.Cerrai
Premesso che ho usato il termine manicheo così come è riportato sul mio Devoto Oli ossia: "di qualsiasi posizione rigorosa e dogmatica...ecc. ecc." e senza l'intenzione di offendere alcuno, penso sia noto che alle parole accadono di queste cose e che il significato originario cambi, si traformi o assuma connotazioni diverse. Se stiamo a questo punto, cioè come sta accadendo nel linguaggio comune, non avrei potuto scrivere nemmeno sguardo cieco o muto o avrei dovuto scrivere sguardo non vedente? o diversamente parlante?
RispondiEliminaIn una poesia inedita parlo di un "mendicante storpio" e ti confesso che di primo impatto, quando ho visto la parola storpio sulla pagina bianca ho avuto qualche esitazione. Avevo termini alternativi? Mutilato? deforme? disabile? (o diversamente abile?!). No era storpio e basta per tutta una serie di evocazioni che questa paorla porta con sè.
Mi viene in mente una polemica che poi tutto sommato non ha avuto nemmeno grossa risonanza, di qualche anno fa quando Gianna Nannini cantava: "quest'amore è una camera a gas" (in effetti una metafora poco felice. A proposito se avessi scritto sguardo nazista avrei offeso qualcuno?). O di tono diverso Roberto Benigni che a metà degli anni novanta diceva di non riuscire più a inneggiare alla nostra nazionale di calcio con il tipico Forza Italia per i motivi che tutti sappiamo.
Comunque a parte tutto ciò Stefano io credo come dici tu "la poesia fa l'opera per l'autore, che è nella poesia che fa". Perchè poi alla fine il poeta è solo davanti alla pagina bianca, è sempre come fosse la prima volta. Quasi come se alle sue spalle non ci fossereo secoli e secoli di poesia e ogni volta deve ricominciare.
Ti ringrazio e ti saluto, Lucianna
Grazie Giacomo. Ci siamo quasi sovrapposti e leggo solo ora il tuo intervento... Ti abbraccio, Lucianna
RispondiEliminaringrazio Lucianna che ha chiarito con molta pazienza e dovizia di particolari la sua posizione poetica, la sua militanza.
RispondiEliminaE ringrazio gli intervenuti a questa interessante discussione.
Naturalmente sono ancora possibili ulteriori commenti.
per esempio il mio: condivido che la poesia non debba essere "politicamente corretta"; dicevo invece che dev'essere sempre consapevole che una parola porta i valori del mondo che esprime. La parola ha una storia, è vero, una storia che finisce temporaneamente nella nostra poesia, la quale, così facendo, si schiera, milita appunto.
gugl
se da qualche tempo mi aggiro per la blogosfera poetica, credimi Stefano, è perché ho tanto buio dentro e trovo, nella selvaggia entropia che in questa sfera precipita, zone di luce dove altri si soffermano per “fare spazio a ciò che non è inferno” (Calvino) e lì iniziare anch’io ad “allargare”.
RispondiEliminaOra: che significa “entropia”? difficile spiegarlo anche a chi si accinge a studiare le leggi della fisica e della termodinamica. Ma in una stringa di testo come quella che poc’anzi ho composto con intenzionale “artificio” per comunicare un mio effettivo sentire, forse l’entropia viene definendosi con una certa evidenza agli occhi del lettore digiuno di tale concetto. Non esaurirò certo la sua lacuna, ma potrò sempre sperare, ingenuamente, di averlo incuriosito, sollecitato. Lungi da me pensare, cara Lucianna, di dover imboccare il lettore anche quando è in grado di portarsi da solo il cucchiaio alla bocca!
Una dozzina d’anni fa, via fotocopia, distribuivo una sillogetta dove astrusità manichee ed entropiche ce n’erano tre o quattro ogni verso. Non l’ho rinnegata, magari un giorno mi deciderò anche a pubblicarla, ma ad un certo punto ho smesso, assalito dalla sensazione che il gioco, furiosamente sperimentale, stesse divenendo troppo facile. E’ lo scrittore, comunque, che deve salire per primo, e tracciare un sentiero che, foss’anche una maledetta ferrata d’alta quota, abbia un sufficiente e coerente percorso di segnali decifrabili.
Provo ad introdurre un concetto, per far evolvere i termini di questa discussione: “condurre”. Che non è se-durre (narcisistica autocelebrazione), né tra-durre (devozione alla causa contro il babelismo), né ri-durre (i bignami sono l’anticamera dell’impero globale), né in-durre (l’autonomia dell’individuo è sacrosanta), né pro-durre (fortunati i poeti proprio perché non hanno un mercato con cui puttaneggiare), né “durre” e basta, ché di “dux” traboccano le nostre quotidiane relazioni sociali. [Ho scritto “ché”… Arcaico… …]. Sovrana eccezione ammissibile il “duca” Virgilio che mena Dante per i passi più impervi dell’oltretomba. Ma che alle porte del paradiso si ferma. Il compito del poeta è qui esaurito…
Qualche estate fa, con una numerosa comitiva di amici, quella sopravvissuta alla tentazione di fermarsi alle tappe intermedie, si fece gita al Rifugio Genova, in cima alla Val di Funes (BZ). La fatica delle ore di salita venne ripagata da ottime birre e cucina tirolese. Ma il paesaggio di là per tre quarti è angusto. Alle spalle del rifugio, con dieci minuti di facile dislivello, si arriva ad un passo. Ci andai da solo e il fiato mi mancò quando di botto mi si aprì davanti uno scorcio che andava dalle Zillertaler al Civetta (cioè dall’Austria al bellunese) interrotto dai massici squadernati delle Fanes, e spalancato a valle su lontanissime pinete e prati sorvegliate dall’alto del Gruppo del Puez. Un minuto e sono di nuovo al rifugio: coglioni, cosa state qua stravaccati a digerire, che là sopra, fate due passi e c’è una vista magnifica!
Una volta lassù, un amico (lo psicologo) tira fuori la carta dei sentieri e fingendosi esperto: se prendiamo per di qua possiamo tornare a valle per un’altra strada, si allunga di un’oretta o due, ma ne vale la pena…
Il lessico è un paesaggio incantevole e ostile. C’è il poeta “tappa intermedia”, quello “birra patate uova e speck”, quello “siete proprio dei coglioni” (l’invettiva è uno dei miei generi poetici prediletti), quello con la carta topografica… E’ chiaro che fidarsi di quest’ultimo è molto più complesso che fidarsi del primo. Ognuno di loro però offre un godimento. E ognuno a suo modo bara, sia chi, politicamente corretto, invocando i diritti dei più deboli scoraggia i forti dal guardare oltre, sia chi fa come il mio amico psicologo. Chi non bara forse, o bara meno, è chi inveisce. Però è noioso, ripetitivo…
Condurre il lettore in alto a vincere la petrosità del lessico e a guadagnare il tesoro indissolubile di un allargarsi della geografia interiore. Le strategie passano dalla disposizione dei ritmi come dall’infingimento (in senso, per me, teatrale, non certo nel senso dal quale Giacomo Cerrai giustamente mette in guardia), dalla contestualizzazione come dal disvelamento progressivo dei significati (un mio maestro di drammaturgia, Gabriele Ferrari, spiegava il disvelamento analizzando canzoni di Paolo Conte: alla prima strofa, di solito, anche se il lessico è pianeggiante, non si capisce una mazza, se prese a sé stanti; solo di strofa in strofa Conte ci aggiunge pezzetti di informazione che portano inequivocabilmente all’ultimo verso a dire: ecco!).
Con tutto ciò, Lucianna, non saprei trovare al nodo del “manicheo” una soluzione a piombo tipo “fai così che funziona”. Ma la soluzione c’è, ne sono convinto. Sta nel fiatone che accomuna scrittore e lettore durante la salita. E sta nello scrittore-conduttore che, quando proprio non ne può più, trova le energie per un nuovo colpo di reni.
mario bERTasa
Capisco ciò che vuoi dire. Io mi sento poeta e basta. Amo le parole, amo quando si riesce a trasformarle in poesia. Ho provato anche a trasformare in poesia un esperienza lavorativa che mi premeva dentro e se vi va potete andare a leggerne qualcosa qui:
RispondiEliminahttp://chiaradeluca.leonardo.it/blog/lucianna_argentino_le_stanze_inquiete.html
Ve lo segnalo anche perchè sono testi diversi da Diario inverso: segno pure mi sembra che diversa è ogni volta la spinta a scrivere e diverso è il segno.
Ti saluto caramente, Lucianna
per un appassionato camminatore di montagne come me, caro Mario, a vedervi tutti nel rifugio a bere birra, mi si sono piegate le gambe, ma poi hai recuperato benissimo: la meta è il viaggio, sempre.
RispondiEliminarimngrazio tutti di nuovo per la riuscita del post.