giovedì 2 dicembre 2010

Ercolani legge Chiara Daino



Uno spasimo della scrittura

Leggiamo, in una delle pagine centrali del libro di Chiara Daino, Virus 71, questa frase, stagliata in alto nella pagina: “La vita è un pendolo che oscilla tra massacro e meraviglia”. Daino ci offre, con questo aforisma, una chiave soggettiva di lettura che fa, della dance macabre del suo libro, di questa Spoon River reale di maschi sterminati, un atroce “spasimo” della scrittura. La poesia di Chiara è spasimo e spasmo, il suo linguaggio è spinoso e aggressivo, come la voce dark di Diamande Galas, orientato e disorientato da un continuo martellare ritmico, da un’ostinata tensione barocca della/nella parola. Una poesia scandalosa non tanto per i contenuti erotici esibiti, quasi a scherzo e parodia dell’eros, quanto per la sessualità selvaggia e percussiva della parola stessa. La sua lingua poetica assale con unghiate improvvise, con una vis comica che scardina certezze e canoni. L’uso ricorrente del corsivo, l’iperbole ostentata, la transe radicale del dettato, gli inserti in prosa tesi fino al parossismo, formano una poesia senza pause, acustica, agitata, guerriera, antilirica, che rifiuta le anestetiche bellezze formali e i deboli biografismi quotidiani ma esige la maniacale forsennatezza della sua maschera. In questa violenza di maschera è il suo “essere scrittura”. Anche se, in questo libro, domina la volontà demonica di dileggiare il “canzoniere” amoroso con un capovolgimento carnascialesco e parodico.

La pagina di Chiara non è mai pagina bianca dove le parole si depositano come tracce rasserenate di un’emozione ma foglio da cui trapela la potenza dell’emozione con la sua voce guerriera, infetta, blasfema, stregante, antilirica e assetata d’estasi, il suo rancore anti-mondo, da invasata.


Quanti volumi nella mia vita: pieni vuoti persi vinsi
quanti ricoveri: ricetti e rigetti, vitto e sesso, flebo e gesso
quanti medici quanti musici quanti maschi mediocri

quanti ricordi resi al rum quanti casi clinici collezioni?
corpi contusi quanti lividi ematomi emocromi quanti
vizi quanti analisti arresi quanti organi quanti orgasmi?


Chiara scrive, in una recente intervista a Davide Nota per il portale online “La Gru”:
«Una retta è “parallela” solo in relazione ad un’altra retta. Tanto per incominciare. Si aggiunga che due rette parallele non si incontrano se ragionate nell’ottica della geometria Euclidea, geometria che – spiace comunicare anche questo – non è la sola geometria possibile [ricordare per credere – l'assioma di Riemann: “due rette qualsiasi di un piano hanno sempre almeno un punto in comune”. Per la serie: anche le rette parallele si incontrano, nel prima nel poi. Che sia in un punto o in un postribolo, per bastonarsi o per bere del whisky, poco importa. Le geometrie non euclidee esistono».

Queste affermazioni di poetica ribadiscono che l’armonia è solo un sogno antico e perverso: è inutile produrre sogni deboli, è necessaria un’utopia percussiva, potente. Daino usa la lingua italiana sfruttandone tutte le risorse retoriche e ritmiche, ostile a ogni piattezza espressiva. Spesso ostenta un linguaggio aulico e violento, come liquefatto in brevi colate laviche, sapendo che “La scrittura è fare festa con i fantasmi, perché la scrittura salva e condanna”. Chiara, in fondo, “trama” se stessa:

penelope che mi tramo ricami migliori mi devasto la notte nel tempo disfare bene l’ennesimo epico coccio di carne che replico cronici massacri di maschie miserie riferire cronache di coltelli pugnali ché poi lo sai: l’eternità non si ferma su di noi

Non ci sono tele da fare e da disfare. La tela è Daino stessa, la sua febbre metrica, il suo ardore scritturale incontenibile, che la rende, nel panorama astenico della poesia italiana, una creatura anomala. Ogni sua scrittura è un amalgama violento, un nodo inestricabile. Ogni scrittura autentica è tossica, fino ad essere letale. Non è coperta che salva o protegge, come si illudono certi poeti fiduciosi e ipocriti, ma un panno strappato con cui, al limite, coprirsi le ossa o esibirle in atto di sfida come ultimo insulto da gettare al lettore-passante dalla propria cripta-antro. La migliore prospettiva da cui vedere la propria vita è, parafrasando Ernst Meister, la bara in cui saremo sotterrati.

Il libro si chiama Virus 71 perché – come spiega l’autrice – più che un sorriso è una smorfia [napoletana! E 71 è l'Ommo 'e Merda!.].

Ogni poesia della Daino è un’epigrafe ingiuriosa, una “canzone disperata”. Proprio leggendo questi versi mi vengono in mente le rime del poeta Simone Serdini, detto il Saviozzo. Nasce a Siena nel 1360. Bandìto dalla sua città nel 1389, scrive poesie che chiama disperate, bibliche invettive contro l'insensatezza del cosmo e degli uomini. Muore nel 1420 suicida, in carcere, a Toscanella. Nelle cuciture del manto che rivestiva il cadavere furono trovati questi versi:

«Maledetta la luce e lo splendore
che prima mai s'aggiunse agli occhi miei
e chi ne fu l'autore
co' denti'l teness'io come vorrei!»


Scrive Chiara:

«Cartolina da Genova - dopo anni – dieci – dita sulla tua faccia fantoccio
stringo falangi e schiaccio e spiumaccio dal tuo cranio rotto solo piuma
e gomma bianca lacera ancor la tua testa vuota e brucia ora si vendica»

«La scrittura di Chiara Daino, oltre i limiti della mera comunicazione, - scrive Mirko Servetti alla prefazione dell’inedito non-romanzo della Daino Noi siamo soli - sembra smarrire (su piani di realtà) il proprio destino. È come un sussulto all’interno del moto perpetuo innescato in un movimento centrifugo di perdita, accelerato, inesorabile, che si conclude poi con il tracollo definitivo. È il disastro della scrittura. Ma, al tempo stesso, la sua più viscerale emancipazione». Servetti centra il discorso musicale che sottende la poesia di Daino: un moto perpetuo, una parola che si avvita su di sé, si autotrivella, tende a implodere esplodendo del suo stesso furore.


Un punto, un piccolo piccolo punto,
cerchi il motivo di vanto
la giovane che più giovane [ti senti?]
ti puoi illudere…

mi carico sulla pelle i tuoi anni
sono vecchia per i tuoi trucchi
canta canta forte tu canta pure
ho smesso da tempo di ascoltare
la campana rotta, la cassa capace
non cessa, ti ricorda a tutte le ore
che ci vuole classe – per morire

Ci vuole classe anche per citare Patrizia Vicinelli (perché non si può perché non si deve perché / io vi amo vi amo maledettamente tutti / e mi faccio schifo per questo desiderio d’amore / inappagato) e Emile Cioran (Talvolta si vorrebbe essere cannibali non tanto per il piacere di divorare il tale o il talaltro quanto per quello di vomitarlo). Il leitmotiv di questo libro-pamphlet è una transe da “taranta” che utilizza il motivo del maschio da annientare come occasione del linguaggio di trasformarsi in bollettino bellico, sberleffo marziale, lotta inesausta contro i luoghi comuni

Daino scrive ancora, nella sua intervista a Davide Nota:

Ogni lotta è «lotta di confine», dal singolo al sistema, dal morale al materico: è μέθεξις del margine. […] Il corpo non è contenitore inerme di un contenuto [variabile e variato da soggetto a soggetto], il corpo è lo strumento percettivo primo: ci presentiamo al mondo e il mondo si presenta a noi – nell’accidente/incidente di corpi. Il corpo ci parla e il corpo parla per noi [al di là della fisiognomica, della genetica e di tutta la programmazione neurolinguistica, tutti abbiamo e siamo – anche – la nostra “storia clinica”]. Il corpo ci condiziona e – per quanto possiamo cercare di condizionarlo/cambiarlo/cancellarlo – il corpo pesa, influenza la nostra esistenza. Per quanto la voce possa trascendere o cercare di trascendere la carne: è sempre [e da sempre] una lotta di forze “uguali e contrarie”. La voce di Leopardi sarebbe stata la stessa senza il corpo di Giacomo? Quali Metamorfosi Kafkiane senza le patologie di Franz? E Saffo? E l’elenco tende all’infinito…
Il dramma è il dramma della meccanica dei rapporti. Di tutti i rapporti: con il proprio sé e con l’altro da sé. Dramma della meccanica di azione e reazione, percezione e presa di posizione. La «desertificazione definitiva della Carne» che Ottonieri rileva in Virus 71 – significa proprio il vuoto, l’assenza di quella sintesi che l’umano può e deve: cercare. Conoscere il mondo anche attraverso il corpo necessita che il mondo intenda conoscere – anche – l’oltrecorpo. E quando e quante volte accade? Quale oltrecorpo possibile se i corpi stessi non sono più rispettati, ma solo – usati e abusati [e da noi stessi e dall’altro]?

In questo oltrecorpo di cui parla Chiara c’è un protagonista assoluto, un’armatura-corazza che ricorda la celata di Don Quijote, ben sigillato nella lettura dei suoi libri-incantesimi con cui reinterpreterà la realtà assediandola, popolandola dei deliri delle parole lette, parole incandescenti, più vive del reale, parole di libri che si sono scritti da soli:

«E avanzo con un piccolo scudo per sopportare il peso: una pagina che è coperta, è sacra, è calda. Una pagina serra. Una pagina resuscita. La pagina è sorella, è stirpe simile, perché è una pagina sola. E non è solo una pagina: è la sola che mi suturi. E se perdo il filo mi basta cercare: è lì, placido e cullato nella nota. «Io» è chi cade ai piedi della pagina e insegue la linea: ne basta una – e mi prende la mano, mi prende per mano. «Io» è chi è sempre da sola, ma più sicura – se scrivo. E chiudo a chiave: lo scrigno e la gioia di ragno.
Di foglio in foglio, hanno dato ogni spartito: organi e collane. Libri che si sono scritti da soli. E gli autori? Si sentono meno soli: succinti [sugli scaffali], sorretti [sotto i banchi di scuola], scanditi [in balli di braccia e bignami], … Serafici e serafini sostano sulla scrivania, nelle teche si tengono saldi, nei tuoi palmi si aprono a corolla.
Ora siamo soli: tu mi leggi, io ti scrivo [sempre, anche se non mi rispondi]. Ti dedico tutte le mie parole: sai, io ho solo loro…».


Le citazioni sono tratte da:

Intervista di Davide Nota a Chiara Daino: Born to Lose, Live to Win, in «La Gru, Portale e di poesia e realtà», 7, 2010.
Siamo soli [morirò a Parigi], (inedito, 2010).
Virus 71 (Cagliari, Aisara, 2010).


Su Daino qui in Blanc 


[G.T.]



Aveva più anima il mio cibo di bambina
ora la vita clessidra muove verso il basso
e chi curiosa quella cosa che chiami cielo?

quel prendersi per mano e lasciarsi – prendere
la mano a mano: l’ottava più in alto la mano
ti prende la mano perdi di proposito l’ultima
mano persa sul tavolo verde su nero: il tasto
bianco il tono basso nel mezzo calice è cavo
l’arte di perdere – e la tecnica di togliere
l’atleta dell’abbandono si allena: a digiuni, e deserti
ometto come ostacolo come orpello barocco
come bronchi neri, i tuoi baci di catrame:
.................................................quanto fumi?
figaro di forbice fa fette di fiabe di fiati – si tronca

un cuore cinico
[dimentica]




[S.D.]


Più pettino più platino parole,
tanto ti tenebro [tenie taciute!]

quando sarà davvero divertente
il dondolo di carni, quel secondo
di piacere con misto di tortura:
tutte le bugie alla terza moglie,
come quell’allacrima coccodrilla
per tua figlia! forse: figlia non sono?
nata, il cinque di Marzo!, per dire
Il massacro! Ti dico: la Funzione
di quell’altare – che mi sacrifico
invano: non posso salvare tutti!
né i natali, non i miei genitori!

Ché non salvo non spezzo matrimoni!
non si salva, non si spezza! – da soli
siamo soli! solo noi: gli artefici
dei nostri soluti dei nostri squarci!
quel tornado non porta il mio nome!

è tutto tuo quest’Impero Cannibale,
non mi aspettare al freddo: congela!
tutto è morto e come: ti sgozzo,
senza toccarti! così: ti barchetto
il mio sorriso, il ghigno il migliore

Da grande volevo fare l’adulta…
Tu sei vecchio per fare il bambino!




[E.N.]


un punto, un piccolo piccolo punto.
cerchi il motivo di vanto
la giovane che più giovane [ti senti?]
ti puoi illudere…

mi carico sulla pelle i tuoi anni
sono vecchia per i tuoi trucchi
canta canta forte tu canta pure
ho smesso da tempo di ascoltare
la campana rotta, la cassa capace
non cessa, ti ricorda a tutte le ore
che ci vuole classe – per morire.

16 commenti:

  1. un'analisi lucida e splendida, Marco, che rende giustizia alla grandezza di Chiara nel registro e nel pensiero, nella rabbia e nel rifiuto di schemi e generi ciclostilati.
    abbraccio entrambi.
    nc

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  2. [S.D. è tra le mie preferite di questa raccolta.]
    Chiara Daino è tra le voci più forti, personali, sconvolgenti della poesia contemporanea. In lei ho visto davvero qualcosa di nuovo, vero, una consapevolezza nel trasformare l'uso della parola. Non desidero altro che il suo talento sia finalmente riconsociuto.

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  3. E ringraziando Marco [per l'indentrarsi oltre le fibre del non detto] e Stefano - per l'ospitalità
    abbraccio forte tutti!

    E Natàlia, con gioia di bimba che l'ama e che spera un giorno eguagliare la sua mamma-guerriera, amalgama d'Arte e di Vita e di Arte in Vita e Vita dell'Arte
    <3

    e Marcella che sempre è sprone e sempre sostiene - quel delirante Urschrei che mi natura

    Aìsara e tutti i chi che credono nel mio misero mio

    Nell'inchino

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  4. lo scrivo qui, Chiara, con amore e lucido rispetto verso la scrittura: tu, la mamma, l'hai superata da tempo.
    go on, io ti seguo, "scodinzolo nel buio libresco" e sorrido.
    n.

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  5. Guglielmo Amore2/12/10 19:45

    Grandiosa lettura.
    Come fatto in altre sedi, rimarco il rispetto per l'Opera della Daino, solida interprete dei nostri anni, forte di un carico di Vita vissuta senza riserve impressa nelle cicatrici e nei riconoscimenti dovuti. Ecco l'Artista che non tradisce se stesso e dona un'Opera vera "come un tempo" in un tempo di artificiosa, sconfessata baldanza.

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  6. Grazie a Stefano dell'ospitalità e grazie a chi ha apprezzato queste mie pagine per Chiara. Nascono dalla passione sincera per una voce poetica non conciliata col mondo. Da questa non-conciliazione possiamo solo imparare e rinnovarci.

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  7. Poetessa e critico sono di qualità: perché non concedere spazio?

    un grande abbraccio a tutti e due.
    (ma i commenti sono ancora aperti)

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  8. Una lettura splendida (Ercolani, as usual) per una delle poche scritture "altre/oltre" dell'odierno panorama letterario. Scritture che amo.

    Chi-ara semina...

    fm

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  9. Chi ara semina
    e
    Dà i no ai mediocri :-)

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  10. Chi ara, semina, cioè chiama alla nascita. Chi ara, dunque, è sempre colei/colui che chiama: perché solo Chi-ara è Chi-ama.

    Dà-i-no ai mediocri è splendido!

    fm

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  11. ritrovo la voce di francesco, è una gioia grande, ho anche saputo da Giuseppe che il suo blog è ancora vivo, ora ci corro, abbraccio fraterno e grande. Da i no? Ottimo! No Contro la merda usual. Bisogna frequentare i grandi. "Frequentare i nani deforma la spina dorsale" (S. Lec).
    Marco

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  12. Ho incrociato altre volte il nome - i versi - di Chiara Daino, ma non mi ero mai davvero soffermata.
    Qui, ora, una bella scoperta!
    Incisiva scrittura che coinvolge in una sorta di incantamento; un mulinello, un gorgo che ghermisce di bellezza,stupore,forza.

    Versi che sentirei bene interpretati a viva voce.

    Molto interessante anche l’intervista e la lettura critica di Ercolani.

    Complimenti!

    _______
    Mi unisco alla gioia di ritrovare Francesco!

    ciao a tutti.

    iole toini

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  13. posso solo dire che CHIARA è
    Poeta RARA
    voce turbinosa e sconvolgente, maestra di una tecnica stilistica da cui apprendere molto
    lucetta

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  14. @ Natàlia: ogni scarrafone è bello a mamma soja;)
    Mammanima – tu sei faro e forte e fortezza – perché io possa: crescere. Perché la mia scrittura cresca con me. E la salita, per quanto ripida, è l’unica strada – come ci ricorda l’Omuncolosso di Moers: «Sai perché è più facile salire che scendere? Perché abbiamo gli occhi davanti […] è semplice. Continua ad arrampicarti. È come scrivere un romanzo: all’inizio è tutto facile, i primi capitoli vengono di getto. Poi però, ad un certo punto, subentra la stanchezza, ti guardi indietro e vedi di non essere arrivato neanche a metà strada. Guardi in avanti e vedi che ti resta più della metà del tragitto da fare. Se ti perdi di coraggio in quel momento, sei fritto. Cominciare una cosa è facile. Difficile è portarla a termine».
    E tu sei il mio coraggio carico di costante Poesia in atto di Luce
    Nel benestremo, Tua


    @ Guglielmo: *sembrare e non essere è come filare e non tessere* e s’incarna il proverbio [non si re-cita, carmelianamente, you know]. *Coincidenza* non è sinonima/si nomina: *Caso* [tutto lo è e nulla lo è]. *Coincidenza* è adesione perfetta all’anima che si abita e che ci abita. Al di là di ogni più *adattata* convenienza e convenzione – sociale.


    @ Marco: come la Tua, la Nostra Diamanda: « Non resto muta./Mai muta. Mai muta./I miei dèi inesistenti fanno da sentinella, sorvegliano i porci esistenti». Benché si sappia l’Eraclito espresso train- tranchant: «I porci godono della melma più che dell'acqua pura». L’alterità non è mai: scelta. La natura sa quel che opera e, forse, un domani – si spiega.
    Abbraccio anfibio, al di là di ogni biforcuto accanimento, al di qua – nell’impronta di una vera e cruda: resistenza


    @ Francesco: Numinoso Tu! Ittico l’inchino per Te che sei – da sempre e per sempre – la *grotta di grazia*, la prima e la parola più pura. Nel nomen omen, nell’intreccio di senhal, nello stratificare per velare, svelare e rivelare – Poesia che pulsa e che pratica: una più potente presenza. Tu sei, Francesco. Altro non serve.
    E ti bacio l’Anima superlativa, tua devota me

    @ Stefano: splendido davvero il vivere [Tuo e di Francesco] la tasca interna della parola. E commossa, dopo *settimane sugli scudi*, per tutte le mani tese, per l’ospitalità e per la condivisione. *L’universo si controbilancia* e grazie alla verità di un Foscoliano riassumere: controbilanciate il tutto che tutto trita, a prescindere


    @ Iole: nel grazie per le pupille-porta di parole, in effetti – ogni mio scritto è scritto per essere detto. Forse il limite più grande: uno spartito basato sul mio respiro. Spero il Tempo mi maturi e scolli i miei polmoni dai dettami e dalle ossessioni teatrali.
    Nell’abbraccio – gioisco nella gioia generale di trovare e ritrovare Francesco

    Un tutto più facile e più felice per tutti
    Chiara

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  15. @ Lucetta: e scende - lacrima gravida di gioia! Tu sai QUANTO Tu - e il Tuo Poetare - significhiate per me! Sei stata e resti: sprone e sostegno, l'onestà amorevole di chi mi ha aiutata e mi aiuta. Tu mi migliori Lucetta e sia sempre lieve il cielo e complice e *fibra docile* a carezzarti!

    Grazie dal profondo per avermi r'accolta

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  16. Beh, mi pare che solo a leggere le risposte di Chiara, sia evidente il suo talento!

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