giovedì 16 dicembre 2010

Luisa Pianzola



Luisa Pianzola, con Salva la notte (La Vita Felice 2010, nota critica di G. Fantato e postfazione di M. Santagostini) conferma di essere una delle migliori poetesse della mia generazione. Con questo libro, poi, porta a compimento il suo viaggio verso il termine della finzione, per darci il mondo nel suo crudo malessere, nel suo quasizero che è diventato. Non solo: l'umana compulsione a costruire e distruggere, narrata nella sezione (il tempo delle cose), non viene semplicemente osservata nel suo stucchevole non-senso, bensì interrogata, quasi nella convinzione che la stessa idea critica sul mondo in sfacelo sia un pregiudizio, un effetto dell'umano orizzonte, visto da chi ha perso. L'ideale sarebbe diventare invisibili al desiderio, essere come l'ultima cosa del mondo, così da vivere la libertà della presenza senza contagi di sorta. Come la vecchia che si vorrebbe "liquame [...] per vedere cosa c'è dietro tutto questo". "Questo", direi, è la griglia che tiene in tensione dialogica la res cogitans e la  res extensa, è il reticolo dentro il quale ogni evento accade e che noi riconosciamo come "il vero". Intrecciato a questo motivo ontologico, troviamo il filo esistenziale, la vita agra che insegna a non tentare voli azzardati, per ambientarsi, invece, "al buio / o al massimo a un breve chiarore". Altro non possiamo, ci dice Pianzola, per sopravvivere alla crudeltà della natura, che ci fa a "pezzetti", e a quella della cultura, che ci soverchia "la gioia". Il richiamo, mi pare, è al Leopardi del pessimismo cosmico, anche se nel titolo traspare invece il poeta ancora illuso che un tempo buono sia forse esistito nell'antichità e forse ancora sopravviva negli ingenui: "Dolce e chiara è la notte e senza vento", il memorabile verso incipitario de La sera del dì di festa, mi pare infatti sopravviva, sia pure mutilato, in "Salva la notte", se non altro grazie al riscatto che l'amore potrebbe offrire, se vissuto pienamente. Purtroppo, tuttavia, anch'esso, qui, si dà lacerato, corrotto da una bufera dal piglio dantesco: "Dio dei terremotati e dei dispersi, che cosa si è abbattuto su di noi?" chiede implorante una voce in cerca d'amore in principio della sezione dedicata agli affetti, dall'emblematico titolo (tempesta, tempesta forte, tempesta dura). Questi canti del disamore, tuttavia, lasciano intendere che abiti qui la via d'uscita dal non-senso storico, non tanto nell'agire dei corpi e delle parole, ma nei loro silenzi, nelle loro pause, nelle quiete attese che fanno fiorire la speranza di un tempo non operoso, di una foscoliana "sera", anzi di una notte che salvi dallo struggimento diurno. "Qualcosa tace e ci conforta" recita infatti una delle ultime poesie del libro, aprendo all'infanzia quale altrove salvifico, purché legato alla consapevolezza d'essere mortali. Sta in questo confine, in questo stare "tra due fuochi", tra la vita e la morte, il farmaco capace di sollevarci dal dolore e dalla solitudine che la misura razionale della realtà comporta. Lo dice bene la poesia di epilogo: "Prima di andare, Lorella, siedi un po' qui con me. / Prima di vederci chiaro, per un attimo, spoglia lo sguardo / della prospettiva, stai tra due fuochi. / Che non s'incendi la vista, però. Che c'inneschi una nascita / anche minima, da morituri."




Un colpo d'ascia, di netto, abbatte il frassino adulto.
Del resto non credevamo in lui, come non crediamo
in chi non resiste.
Resistere all'ascia, da piccoli si fa, si riesce. Ma l'adulto
vacilla, scricchiola, cede, vede doppio.



II

Dice voglio diventare vecchissima, voglio essere vecchissima
decrepita senza più desideri, oltre la tensione visibile,
un liquame adagiato su vicende private, un dirupo vergognoso
che mi crolla ancora addosso. Dice voglio arrivare a essere
vecchissima, senza più giovani intorno, ornata solo di sabbie
armate immobili per vedere cosa c'è dietro tutto questo,
cosa c'era dietro tutto questo. Incappucciata in una storia risibile,
ormai non più vista né osservata, vedere come intruglio
maleodorante il vero motivo di tutto questo il vero (...)




**


II bene salva. Abbiamo attraversato il tunnel di stazioni
irriconoscibili per velocità di passaggio e fermate non richieste.
Poi il buio delittuoso di una contrattazione rapida, marciare
veloci, qualcuno che imprecava. A quel punto la paura
aveva già consegnato la ragazza (chiamiamola così) alla schiera
innocua di quelli che vanno. Voglio dire: si stava allontanando,
le sembianze non erano più le stesse, la si portava via da noi.
Senza allarme, senza orrore. Con una certa cordiale meticolosità.
Ma il buio, a volte, salva. Salva la notte.
Di mattina gli arti spossati, pesanti quintali. La fatica di essere
di nuovo leggeri.




**


Ottobre carsico, ma anche gentile. Tra l'inizio e la fine,
in una staticità accudita, tutto parla di un sentimento mediano,
gregario malpagato e riconoscente. Riconoscenza, ecco come
respingere le ondate estive irrisolte. Senza guardarsi indietro,
attraversando muri a spallate.




**


Quanto vuoi bene alle molecole che accarezzi prima di cadere.
Il sangue ti avvicina, tu lo insegui e baci, senza esser visto,
le sue labbra: tutta meraviglia. Quanto vuoi bene, quanto ami
senza esser visto, senza imparare. Di' un nome: è anche quello
il tuo mestiere. La pena di dire «anch'io rischio di perdere,
anch'io ho già perso».




**


Ma nessuna fonte rimane per sempre là
dove si trova, né il corso delle sue acque è eterno


II tempo delle cose è brevissimo, eppure operai demoliscono
insistentemente per costruire una multisala. Scavatrici
in funzione, materiali edili in quantità indescrivibile: io per me
infilo in fretta le scarpe alla mattina per scampare al crollo
prevedibile e correre da qualche parte. L'inguine nei pantaloni
non parla, ammutolito stancabile sfinito. E un tempo incolume
finora, mi dico, ma a fatica lo intendo, a fatica assumo
posizioni durevoli. Non è certa la causa, l'effetto addirittura
manca, ma quotidianamente insisto in un tempo che resiste,
dentro una storia non richiesta che non rischia suoli,
non escogita.




**


Da un po' mi attraggono le sante, quelle che si ammalavano
gravemente e prendevano il dolore come un premio speciale
del padreterno, il segno che gli voleva proprio bene.
Teresina, per esempio, diceva che Gesù era un ladro
e la voleva rubare. Lo diceva con un sorrisetto furbo mentre
la fatica di respirare la faceva sobbalzare sopra il letto.
Ha parlato così un'estate intera, con boccioli di gardenia
che le uscivano dal petto.




**


Ci pensi, essere una pecora. Meraviglioso il prato, meraviglioso
il recinto, inutile sconfinare.
E l'orizzonte, come lo vedresti?
Come l'orlo del mastello dove mi piacerebbe bere. Né più
né meno che un punto lattiginoso del creato dove la provvidenza
mi ha depositato.




Qui altro su di lei e sulla sua opera.

21 commenti:

  1. Ringrazio Stefano e non ho parole per le sue, di parole, che mi sorprendono per la capacità potente di inabissarsi nel senso della poesia degli altri. Luisa.

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  2. conoscevo gia' molte di queste poesie, su cui ho lavorato, e che hanno lavorato dentro di me. La verita', offerta al lettore con la piu' grande semplicita', senza batter ciglio: ``la si portava via da noi./ Senza allarme, senza orrore.'' E la perfezione nella scelta di cio' che non si dice. Un nome che farei, forse a sproposito, e' Fleur Jaeggy dei Beati Anni del Castigo, anche se in te, Luisa, e per fortuna, c'e' molta piu' salute.

    Ti abbraccio forte,
    Alessandra Palmigiano

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  3. e un saluto e un abbraccio anche a te, Stefano! Grazie per questo bel post su Luisa!
    Alessandra

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  4. Ciao Alessandre, e grazie... una delle due... è sempre olandese? ;-) L

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  5. Entrambe, ossia ero sempre io.
    AP

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  6. più che semplicità, direi: precisione senza fronzoli.

    ciao Alessandra, da tanto che non passavi di qui.

    Grazie Luisa per il pronto intervento (ma i pompieri non c'entrano :-)

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  7. a me di luisa piace il fatto che la sua poesia è intelligente e diretta senza dimenticare quella giusta dose di "sentimentalismo" che ci vuole...
    s.

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  8. cara Silvia, il sentimento, forse più che il sentimentalismo, viene comunque da sé, non che uno ce lo mette "qb"... ;-) Come stai?, tanto che non ci si sente..

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  9. Cara silvia, così semplifichi una poetica assai complessa, che lavora anche sul registro emotivo.

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  10. Poesia forte e intensa, quella di Luisa. Non la conoscevo, ma mi riprometto di conoscerla e ri-conoscerla. Soprattutto mi attrae, come dice Stefano, quest'aria da leopardiana fine, da "dolce e chiara notte" mutilata, espressa con un coraggio del corpo e della mente. Grazie.

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  11. "Resistere all'ascia, da piccoli si fa, si riesce. Ma l'adulto
    vacilla, scricchiola, cede, vede doppio."

    "Da un po' mi attraggono le sante, quelle che si ammalavano
    gravemente e prendevano il dolore come un premio speciale..."

    sono due scene che dichiarano lo sguardo di un poeta autentico. questo catturare il margine delle età rivelandone il germe immateriale di una differenza percepita come imprendibile saggezza. uno stimolo per cercare i tuoi libri, tua anima che non conoscevo,Luisa. buone ore, se le tue sono così colme di senso. che dilaghi
    annamaria ferramosca

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  12. A marco e, ad annamaria: grazie. Suprema e dolcissima, per chi scrive, la sensazione di depositarsi e scavare (almeno un po') nel cuore e nella mente di qualcun'altro. In questo, la rete e la sua possibilità di "arrivare" (e di comunicarlo, dall'altra parte, questo "arrivo"),su una strada dritta dritta e senza tante cerimonie, sono impagabili. luisa

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  13. cara luisa, sentimentalismo, perchè solo quello si addice a una donna... :)
    caro stefano semplificare non è poi mica un reato... :)

    baci baci
    s.

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  14. apprezzo moltissimo la poesia "concreta", non sentimentale ( ma di sentimento) senza fronzoli, come la definisce Stefano, e sempre più convincente,"in progress",mai banale e conciliata, con una sua cifra già distinguibile dalle prime prove(quelle che seppure parzialmente conosco).
    Complimenti a lei,di cuore, e un Grazie a Stefano per la proposta
    lucetta frisa

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  15. Ho letto queste nuove poesie di Luisa e devo dire che fatico un poco a "contenerle" come a percepire
    il lavoro fatto dall'autrice sui testi e ancor prima, probabilmente, su se stessa. Mi piacerebbe sapere da Luisa, quanto di questo lavoro
    sia stato naturale e quanto invece, voluto, cercato o addirittura necessario. Mi stupisco anche, delle cose che Stefano riesce a "pescare" nei testi degli autori
    nelle sue schede di presentazione, quasi ne sentisse i battiti, appoggiando l'orecchio al petto tra i boccioli di gardenia.
    Concordo con il padrone di casa, una delle migliori voci della nostra generazione.
    vincenzo celli

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  16. A Vincenzo: non distinguerei molto tra lavoro "naturale" e "voluto", la poesia (come l'arte in genere) è frutto di una continua ricerca, dentro e fuori di sé, che non ci si impone, ma è indispensabile per sopravvivere, ;-) L

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  17. grazie per la risposta:)
    vincenzo

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  18. grazie Vincenzo anche da parte mia.

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