giovedì 4 settembre 2008

Luigi Cannillo



Cannillo sa, con Leopardi, che "la natura ha un disegno evidente": "affondare la spina" nei mortali, anche quando finge di dar loro ristoro. Eppure è in grazia della sua leva, del fuoco che irradia la caduta, riaprendo alla lotta, che l'uomo sopravvive alla ferocia dell'artificio, nato con la modernità. Per questo, diversamente dal recanatese, egli non la condanna, bensì cerca un dialogo con le sue forze oscure, per coglierne gli echi familiari e perdonarla. Poesia meditativa, questa di Cielo privato (Jocker 2006), dal passo metrico sicuro, amico dell'endecasillabo, e in dialogo con la precarietà patita dalla generazione precedente, "quando il lavoro/ più che redito", accumulava "fatica". Tenere amorevolmente a briglia la tradizione in questi due modi, l'uno formale, l'altro sostanziale, consente il lasco necessario al poeta per abitare l'intrico del presente, tra amori-tiranni e vuoti in cui il disinganno spaura. Dice bene la Fantato, nel saggio introduttivo, quando riconosce alla sua poesia la capacità di evocare scene "sempre vibranti di attese, segnate dal dolore per ciò che è perduto o protese in slanci gioiosi". Definizione che s'addice anche a Cieli di Roma (LietoColle 2006), quinta mobilissima in cui gioia e dolore si contendono il privilegio della parola, così come l'animale e l'angelo, gemelli siamesi nell'animo umano. In questo libriccino, più forte si fa il sentimento di un'origine perduta, di un "universo bambino", lo stesso, forse, che popola ora il cielo romano e al quale lo sguardo del poeta tende, quasi a cercarne una promessa, un "futuro spicchio". Se nel cielo, ad ogni istante, si ripete il caos dei primordi, l'altezza d'uomo è quasi ignorata, spuntando a scorci e bocconi, sempre grigia, se non fosse per un "tu", che a volte pare letterario ed altre si fa concreto, come lo era nella sezione "Fuoco amico", in Cielo privato. Un "tu" a cui l'io narrante rivolge l'unica esplicita domanda rintracciabile in entrambi i libri: "E' stata la gravità ad atterrarci/ o ci respingono i palmi del cielo?" Tra queste due forze, sta la "terra di mezzo" dove, con "leggeri umani/ piedini", sopravviviamo.


da Cielo privato


Come mai questo silenzio
dopo i ruggiti e i traffici notturni
il tempo così carico fermato
alla periferia del giorno
Sarò io a immergere per primo
il cucchiaio nel vuoto e deglutire
È il momento instabile nel quale
filano zucchero nelle miniere
in cielo esplodono fasce di raso
Una rete di lampi intanto
si sta annodando attorno
ognuno isola muta
la parola trattenuta da una fionda
come aereo di carta o tuono


*

La natura ha un disegno evidente
fingendosi fragile affondare la spina
offrirsi armata all'aggressore
Mentre contempli o modifichi
prepara burrasca fuoco improvviso
detta la legge e il suo rovescio
Chiamando per nome raggiunge
il rifugio sommerso nell'isola
e nella moltitudine ogni singolo
Mio carnefice, insiste, figlio amato
Correvo inseguito dal richiamo
alfiere avvolto nella sua bandiera
Accendo i suoi misteri e quando cado
mi risolleva ancora incandescente


*

Non ritornate più, ospiti segreti
come radice che riaffiora a distanza
La vostra casa è altrove
L'epoca dell'assenza e il respiro
dei viventi non si annullano
circolano invece qui saldati
Non le care presenze, le reliquie
ma una rete di angeli ostili
a stordire le caviglie e il sogno
La sostanza sopravvive alle creature
nella visione, insiste a custodire
la specie estinta e la reincarna
Chiedevo a bassa voce padre
mostrami la cicatrice, la guerra
ma il panno non si è sollevato allora
la mano scostata dall'offesa
L'alleanza sta affiorando adesso
il segno incide fresco la mia pelle


*

Romeo Romeo non è la forza
delle armi a renderti valore
ma la serena resistenza
alle convenzioni, trovarti
all'inizio e alla fine di ogni stanza
e farti accompagnare senza attrito
Tu che avanzando calmo
hai spianato il muro che divide
la mano dal calore della carne
Primo nome acceso nell'ignoto
corpo intatto dono senza lacci
è la tua mitezza a dominarmi
E mentre mi smarrivo negli abbracci
insieme alla beata vetta hai spalancato
la porta dell'inferno sconosciuto


*

Vieni più vicino abbracciami
muovimi come vuoi a marionetta
amami a tempo e scegli quanto
Invidiano il laccio che ci stringe
prìncipi della città e delle sue piste
coppia di vento e cromo su Gilera
Le labbra s'incontrano di lato
ma petto e schiena remando in sintonia
respirano chilometri aderenti
S'inchina il circostante a quel peccato
e rende omaggio perfino al suo tormento
amore di tiranno e di devoto
Sensi opposti da emigranti
non smorzano l'impronta del passaggio
le sale d'aspetto condivise in azzardo
L'aureola, i liquidi scambiati
sigillano la nostra casa d'aria


*

Il cuore della stagione
non batte al centro
al posto del petto di rondine
offerto al palmo indifeso
sporge una pietra bianca
È fondo che arresta la caduta
e ne sancisce il carico
Nuvola cresciuta alla caviglia
impastata in sasso
da cui vola e ritorna
il falco dell'ossessione


*

L'origine invisibile dell'ombra
risiede altrove
oltre il telo dietro cui le mani
disegnano nell'aria l'universo
L'ombra mutante
pietrifica in asfalto, si sgrana
in sabbia o si scolora
ma la causa persiste ostinata
Come carovana buia
attraversa il paese delle luci
Appena scocca il segno e appare
se non il colpo il livido fantasma
rientra il carro rapido alla sede
Mentre tu incantato ammiri
le ali che attraversano la stanza



da Cieli di Roma


I


vola volano piumaggi
folate di colombi corvi,
da bocche di guanciali aperti
nuvole e dietro spinge il sole
subito un nuovo soffitto, piogge
e sereno, alterni e antagonisti
I cieli si contemplano senza
spiegazioni, manca alla formula
una materia solida e sovrastandoci
solo colore, luce pura
Tutti da interpretare quei singhiozzi
di grandine sull'anima, e le carezze



IV


Dicono che l'universo bambino
fosse più clemente agli abitanti
gli idoli al loro posto
la massa oscura che decide
la nostra sorte ancora circoscritta
Esilio le pareti di clausura
al tatto raggiungibile sapere
si popolano di animali spighe
armi e famiglie racconto su granito
Anche le nostre impronte sono vita
piuma o pietra operose unghie
Il tempo sostava in una nicchia
rito e indiviso
epoche a scandire terre ferme
Ora tra le supreme schegge
sopra nasi e motori
ondeggiano lampi di diario
le nostre lettere, curvi dubbi
Pattugliano elicotteri
i cieli della capitale



VIII


Se poi tutto l'effimero
di queste poche ore
fosse l'eterna storia
noi sbriciolati sul terrestre
e la stagione a scandire
indiscutibile un giro di lancetta
La bocca si offre ancora fiduciosa
all'aspro del futuro spicchio
e i figli già riversati in padri
guidano a destino
senza tradimento
la specie breve e l'illusione: perle
ruotano nella mano
e il fondo di universo
tutto tradotto in guadagno e gioco



X


L'alba accende i primi mulinelli
aghi di pino e sabbia
memoria del mare alle spalle
Si intravede la città con i suoi archi
ancora piatti in una striscia
di sole all'orizzonte
Sospesi, in questo bossolo di tempo
Non vince né la gemma della notte
né il giorno che si va a disporre
È l'armistizio fra passione e schema
la nostra breve pace del risveglio
ogni momento poi si avvita in un filare
in un nome e già minaccia il successivo
Così nel viaggio non coltivi
nostalgia ma il chiodo
all'incrocio delle ore
io con te, a inseguire a malincuore
il sonno, poi le curve e i condomini
E la separazione, la città commovente
al risveglio, che va per il suo verso



XI


L'orizzonte ha abbassato
improvviso i suoi tendaggi
A noi il soffitto calato
la schiena sul terreno,
il resto è l'orto della caccia
il raccolto basso
Noi che abbiamo osato
siamo privati adesso
della forma dell'aria e del suono
E quando senza amore
misuriamo i nostri pochi passi
negli occhi sta il richiamo
di ogni amore, il suo residuo
È stata la gravità ad atterrarci
o ci respingono i palmi del cielo?
Il volo plana verso altri occhi,
specchi del ciclo che ci manca
ma nel battito di sguardi che si sfiorano
un'ala fila appena rasoterra



Luigi Cannillo è nato e vive a Milano svolgendo l'attività di insegnante di lingua e letteratura tedesca nella Scuola Media superiore. Ha insegnato in corsi per universitari ed è autore di testi scolastici. Ha pubblicato le raccolte di poesia "Transistor" (TS, Novara, 1986); "Volo simulato" (Campanotto, Udine, 1993), "Sesto senso", (Campanot-to, Udine, 1999) e "Cielo privato" (Edizioni Joker, Novi Ligure, 2005); nella serie "12 Arcani Maggiori", "II giudizio" (Edizioni Pulcinoelefante, Osnago, 2000) con carta illustrativa di Francesco Merletti. Singole poesie sono state pubblicate su numerose riviste e, in qualità di poeta, saggista o curatore, ha partecipato a diverse iniziative antologiche, tra le quali La Biblioteca delle Voci — Interviste a 25 poeti italiani (Edizioni Joker, Novi Ligure, 2006). È componente dell'Associazione Culturale "Milanocosa", per la quale ha ideato e coordinato eventi culturali. Ha partecipato a per­formance e spettacoli teatrali, collaborando con musicisti e artisti visivi. Si occupa dell'organizzazione di rassegne e iniziative di scrittura creati­va, anche in collaborazione con Enti pubblici e con le Case Circondariali di San Vittore e di Opera.

14 commenti:

  1. Ottima recensione. I miei complimenti a Luigi Cannillo, poeta e critico che stimo molto. E che meriterebbe di più.
    Corrado Benigni

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  2. hai ragione, ma Luigi sa difendersi :-)

    gugl

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  3. noto che Cannillo pubblica un libro solo ogni sei anni...
    anche solo per questo andrebbe apprezzato!

    (dico questo anche perché ho come la sensazione che "Cielo privato" e "Cieli di Roma", più che due libri distinti editi a poca distanza l'uno dall'altro, siano due facce della stessa medaglia

    è da tempo che mi riprometto di leggere qualcosa di Cannillo, non so perché, una sorta di sensazione di trovarvi "roba buona" e, quindi, grazie Stefano per questa proposta! andrò a rintracciarlo anche altrove...

    tra l'altro, Stefano, aggiungerei alla tua intuizione critica a proposito di dialettica uomo-natura la percezione di un substrato "ecologico" del tutto sconosciuto all'orizzonte leopardiano, quando nell'accanirsi della natura contro l'uomo il poeta la coglie nell'atto di "offrirsi armata all'aggressore", in una sorta di legittima difesa che essa, con tutta la sua forza scatenata, esercita contro chi ne abusa

    allora la manifestazione del male, cui Cannillo guarda negli occhi ma senza lo sguardo della metafisica pura, né tantomeno quello del moralismo, è riscritta nel tremendo risvolto di un'umanità che ubbidisce all'unica legge della devastazione di cui è capace

    la natura "detta la legge e il suo rovescio" perché fra questi due estremi manifesta un'intelligenza che non è inaccessibile all'uomo - da qui un fragile ottimismo che però può sopravvivere, uno sguardo umanistico che mi spinge ad ascoltare la voce di Cannillo con maggiore attenzione

    Mario Bertasa

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  4. caro Mario, pesna alla "ginestra": anche là la natura è vulcanicamente armata. Sicuramente l'ottimismo "ecologico" attraversa questa poesia; semmai è la città ad essere un imbuto infelice.


    Se leggi i due libri interamente, vedrai che sono due momenti distinti (ameno a me pare che sia così).

    Vediamo se l'autore ci dice qualcosa.

    gugl

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  5. Grazie per la lettura sensibile dei miei testi.
    "Cielo privato" e "Cieli di Roma" hanno avuto per un certo periodo una gestazione parallela, una scrittura contemporanea. Poi si sono andati delineando, anche per la diversa collocazione editoriale, due diversi (ma non contrastanti) progetti di scrittura, forse più evidenti dalla lettura integrale delle due raccolte. Con una accentuazione più orizzontale e materica in "Cielo privato" e una più verticale in "Cieli di Roma". Comune il peso dato al vissuto e alla riflessione.
    Mario Bertasa ha colto correttamente il rapporto con la natura presente in uno dei testi selezionati, vedendovi un substrato "ecologico": anche per gli scenari futuri si può ben dire che la natura eserciti una forma di legittima difesa contro gli abusi umani. La poesia è anche percezione della Natura, o meglio, delle Nature: le manifestazioni non solo del Luogo, ma dell'esperienza e della lingua fatta propria da ogni singolo, nella convivenza non sempre pacifica tra disomogeneità.

    Luigi Cannillo

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  6. grazie Luigi per le informazioni preziose sul tuo lavoro.

    a proposito di "disomogeneità": sto appunto leggendo, in questi giorni, "Critica dell'amore. Breve saggio sulle disarmonie naturali" di Giuseppe Rensi, uno dei massimi filosofi eretici del novecento italiano. Mi pare calzi a pennello con il tuo discorso sulle "nature".

    ciao!
    gugl

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  7. mi incuriosisce molto questa idea di una poesia come "percezione delle Nature"... chiedo troppo a Cannillo se ci dà qualche lume in più?

    (tra l'altro adoro certi termini astratti che, rimasti al singolare per secoli, nella nostra epoca acquisicono un plurale da cui irrompono eccellenti aperture di senso, possibili convivenze di individualità distinte eppur tali perché dialoganti

    Mario


    e pensare che il plurale di natura lo si usava pressoché solo per le nature morte dei pittori...

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  8. Luigi è un poeta autentico.
    A me sembra particolarmente importante, nella sua ricerca, il rapporto con il ricordo dei luoghi (sia quelli visitati, sia quelli immaginati, oppure ridisegnati per il tramite di una creativa rielaborazione psichica). E' per questo che la Natura, proficuamente fitta di tutti questi "ritorni" di immagini, di ri-apparizioni di luoghi (fisici e onirici), si trasforma e si dilata, nella sua poesia, in una moltitudine di "nature", nel segno di una continua e sospesa interrogazione del passato.
    Mario Fresa

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  9. Cercherò di trovare il libro che suggerisce Stefano, "Critica dell'amore".
    Per quanto riguarda la poesia come "percezione delle nature" intendo questa definizione - non tanto come programma, quanto come prassi, in diverse accezioni.
    Innanzitutto come percezione della natura in senso stretto, ma anche dei Luoghi, luoghi reali e luoghi interiori, infine delle nature umane e dei loro linguaggi. Questa curiosità mi ha accompagnato in particolare nelle raccolte che hanno preceduto "Cielo Privato", in particolare in "Volo Simulato" e "Sesto Senso" che, anche nel titolo, alludono alla percezione nella dimenzione cosiddetta virtuale o applicata a diversi organi sensori (tatto, vista, udito).
    Ma il senso della percezione delle diversità, delle disomogeneità, anche di ciò che genera conflitto, è legato strettamente alla messa in atto di diversità di linguaggio poetico - come come dicevo anche del progetto dei diversi "Cieli", privato e romano. La lingua poetica rappresenta sempre la natura espressiva di un autore (non quella della lingua comune...). E' legata alla vita e all'esperienza, ma la rappresenta creando una natura diversa, un territorio fatto di tempi verbali, di neologismi, di figure retoriche, che si stringono all'autore come una guaina, così strettamente da diventarne una "seconda natura" nelle modalità di espressione, nella parola.
    Prescindendo quindi da un unico modo di rappresentare le Nature, e liberandosi dall'imposizione di un unico codice, è accettando le disomogeneità espressive, il conflitto anche all'interno della propria scrittura, che le Nature vengono rispettate, anche in poesia.

    Luigi

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  10. grazie Luigi per l'approfondita risposta

    sono felice di incontrare un autore che comprende le "contraddizioni della scrittura poetica" (disomogeneità, conflitti, ecc.) non all'interno di un generico discorso sulla natura contraddittoria dell'essere umano, ma in un più ampio "progetto di co-esistenza" - mi scuso da subito se questa definizione azzardata può risultare riduttiva

    sento grande affinità, soprattutto nell'ultima parte della tua risposta, con la mia poetica del difforme, della ricerca di una non-cifra stilistica - sempre usando accette categoriali... è per non dilungarmi

    Mario

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  11. Cari amici,
    anche un poeta vero, proprio come la Natura, "detta la legge e il suo rovescio", rifuggendo sempre dall'epistéme, dal canone costituito. La disomogeneità è allora necessaria e non per questo totalmente conflittuale; essa può essere colta solo attraverso una trasformazione non univoca, ma sempre cangiante della lingua (che appunto non è quella, come dice lo stesso Luigi, di "tutti", o "di sempre"). Ciò deve avvenire attraverso una rivalutazione più ampia del concetto meramente fisiologico dei "sensi" (e il modello, ancora una volta, potrebbe essere quello della lezione rimbaldiana).
    Mario F.

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  12. vi sto seguendo con attenzione.

    gugl

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  13. Ciao Stefano :-)

    Mario F.

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  14. ciao Mario.

    mi fa piacere che ogni tanto passi di qua.

    gugl

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