qualcuno dei lettori l'avrà conosciuto questo poeta, al quale gli amici hanno dedicato una finestra virtuale (ma reale) e una poesia, in memoriam.
La sua indole giocosa, neobarocca, ha sedotto la critica, ma il suo ultimo libro, Abiti insolubili, mi pare invece un tentativo di riscattarsi da questo angolo e dalla navigazione di superficie cui esso allude. Quando infatti Villa lascia la voce al profondo, l'inquietudine gli guida la mano e la passione, evidente, per il ritmo, per il suono e per la sensualità, trovano nella lucidità di sguardo il proprio nerbo. Una poesia ricca, questa, ma di un dannunzianesimo alimentato dal fuoco della perdita, dalla crisi in cui la poesia postavanguardista si è trovata ad operare, legata soprattutto al riconoscersi postuma e dunque impossibilitata a promettere un futuro.
In un post a lui dedicato (a cura di Luca Ariano), Maria Pia Quintavalla lo ricorda così: "Dario era un bravissimo poeta, e uomo straordinario, sapeva volare (anche troppo), comprese le sue debolezze, che lo hanno travalicato, sotto forma di malattia, ma aveva un animo candido, estatico. Lo ricordo bello, di giovinezza insieme al suo grande amore, Marta P., e alla fine, anche se travolto dal male, andò a presentare il suo ultimo, “Abiti indelebili” , presente Raboni, in una galleria, sfidando la gente che lo fissava... Amava tanto la vita".
*
mi usa come teatro ed è soltanto
un giardino di crude vite erbali
vanesio che si gloria con i semplici
e induce enormi sue complessità
d'intrico ad infestarmi le ragioni
del cuore sradicato da un volere
già vacillante per le ripetute
apparizioni della belladonna
tra le pause del gesto e l'ampio spettro
di replicate vestizioni in fondo
allo specchio che falcia il tempo degli
steli che mi sobilla a trapiantare
stili semi pupille lingue strane
sotto l'ombra nevrotica dei rami
dei traumi dove gli orti sono storie
illividite in vecchi blu d'ortensia
o isterie lillà di glicini e lini
le storie degli umani intendo viste
da molte lune o dal corpo celeste
che mi coccola fatuo fiocco d'ombra
tra il giallo del pensiero e della viola
bastarda che mi accorda la radice
scoperta appesa a un ramo per i nervi
d'ogni fioca parola che fiorisca
o fragile inflessione entro la sfera
di fiamma dove m'abbarbico e duro
*
lei si nutriva di creme, di zolfo celeste,
d'estetica trascendentale, di metafisica del diluvio;
educava mi sembra un giardino cutaneo,
un medioevo catartico a fior di pelle
a cena con scardanelli faceva la pindarica
però poi dava corda alle tirate di goethe,
perché agognava il demonio, piedino forcuto,
e leggeva il giornale, «ma il tedio ha più corso»
la rivedo, gestante che sogna un siamese,
tra vampate di zelo in un fuoco di specchi,
mentre brucia serate tra l'arcolaio e la stufa
provando al muro la fiaba dell'unicorno lunare
quando il bambino nacque, rompendo i liquidi
(e perse il mare), lei si trasfuse in caute metamorfosi,
mise il piede nell'alveo, che è oggi e scompare,
si trovò tra le mani due anime, o veli, e si mise a lavare
*
o ci eravamo forse
conosciuti sull'istmo, sulla
lingua terrestre che parla
e pronuncia due mari: zone
di tutti i giorni, costola
di significati sassosi, passaggio
frustato dalle correnti:
ma certo in mare aperto
tutto sarebbe parso più sicuro,
meno complesso, ma intricato e oscuro:
qui però mi sentivi inammissibile,
risfolgoravo a tratti nelle tenebre,
ero il vecchio lampione che delucida
sintassi impenetrabili, ombrosissime,
di viali e deviazioni, vuoti e incroci
improvvisi: e che io ti cercassi
non era cosa che ci concernesse
più del sale bruciante nell'aria
marina popolata di carcasse
non impreviste ma significative
*
non ha sapore la morte mi vedi
mentre mi scappa sotto i piedi un treno e dico
devo stare più attento depongo
ricordi nelle apposite cellette
deposito bagagli buca lettere
viene il postino e niente mi ghermisce
scompaiono i binari
i grovigli si sciolgono il vento
fischia tra l'erba che mi cresce addosso
scompiglia il buio e non c'è buio
rompe la luce e non c'è luce niente
niente mi ghermisce
l'interlinea è spazio 1 per tutte le poesie. I soliti scherzi di "Blogger".
RispondiEliminaSegnalo tre traduzioni di Santi Spadaro in inglese negli ultimi aggiornamenti di nabanassar (www.nabanassar.com), versante anglofono. Ciao. GiusCo.
RispondiEliminaciao Giuseppe, ben fatto!
RispondiEliminagugl
Caro Stefano, stasera facevo una ricerca su Dario Villa e sono capitata qui.
RispondiEliminaProprio ieri l'altro ho ricevuto dalla California in omaggio il poemetto "Venere strapazzata dai lunatici" tradotto in inglese da Duncan McNaughton, poeta e amico di Dario Villa (su internet mi sembra però di non aver trovato i testi traslated).
Un saluto carissimo
Mapi
http://lucaniart.wordpress.com/