venerdì 16 settembre 2011

Maria Pia Quintavalla


Una particolare forma d'amore è quella tra madre e figlia, che tutte le donne probabilmente vorrebbero condividere, e che ogni poetessa, prima o poi, lascia passare fra le maglie perché sa decisiva per la propria poetica: la madre è, negli anni, modello, rivale, autorità, proprio come la scrittura, la quale può, a sua volta, rivaleggiare simbolicamente con la madre, come capita in China (effigie, 2010), l'ultimo libro di Maria Pia Quintavalla: «Scoprivo / la ferita della letteratura, la sola / che potesse in questa vita a te competere». Madre e scrittura, «occhi nero liquido / di china», lei, e nero di china dei versi con i quali «fare luce / alle sue pene»: questo il compito che Quintavalla s'impone, a riscatto di una relazione vissuta conflittualmente («non avevi mai avuto un buon rapporto con me»), quando la nutrice esigeva la ribalta, tutta la scena per sé, come una diva, ed era il «sole» per tutta la famiglia: «Quando tornava il tuo sorriso era il sole / noi bambine respiravamo piano, / il tuo buongiorno era il permesso / a vivere daccapo».

Il riscatto, tuttavia, porta con sé uno spostamento dei pesi, nella misura in cui nel libro la madre appare malata, oramai debole regina, mentre la scrittura vuole essere un canto epico, forte, dove quel «permesso / a vivere» non ha più ragione d'essere. Esiste infatti un ulteriore movimento, quello della bambina diventata madre a propria volta, e poetessa, la quale ha finalmente l'ultima parola, vittoriosa, sul tempo trascorso insieme, scegliendo che cosa portare in scena e cosa invece nascondere del loro rapporto. Poteva diventare una vendetta, come il romanzo Mammina cara scritto dalla figlia adottiva di Joan Crawford, invece Quintavalla non s'è fatta prendere dal rancore, ma è riuscita a consegnarci un ritratto di donna vera, complesso, cresciuta essa stessa nel duro di una educazione matriarcale, «in non meno feroci perimetri di casa», e le ha costruito intorno un coro di parenti e luoghi, citati per nome e cognome, utili a restituirci l'humus entro il quale Maria Pia è cresciuta, quel tanto di trasgressione, piacere e dolore che è diventato, poi, poesia. China infatti è anche questo: la storia di un'educazione alla scrittura, una storia borghese, come potevano essere quelle urbane a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, fra moralismo e contestazione, in cui il padre pare un soffio di vento e la madre la pietra su cui fondare il destino, una storia emotivamente complessa, che non è finita nel dramma come quella di Nadia Campana – della quale fu amica «sorda e cieca» (come Quintavalla dice di sé in una bellissima evocazione della poetessa suicida, su La Poesia e Lo Spirito nel febbraio dell'anno scorso), ma che le ha dato gli strumenti, umani, per covare ancora a lungo le sue prime poesie organiche, tra il 1982-83 – uscite parzialmente per Tam Tam nel 1984 e poi, nella loro interezza, ne Il cantare (Campanotto, 1991) – in cui la madre è già tutta presente nella sua «tonda pace» e «guida di partenza». Lì domina il frammento, l'illuminazione, come se la parola pudicamente si trattenesse dalla fiumana che avrebbe potuto diventare. Ci sono voluti quasi trent'anni e differenti libri per liberarsi di questa reticenza, per avere il coraggio di mostrare apertamente, a tutto tondo, e trasformare in canto, pur talvolta debole d'immaginazione per eccesso di volontà biografica, quell'intimo balbettio che, piccina, la faceva sentire inadeguata.




Balossa, per farla scherzare,
le sussurrai un pomeriggio,
Sei proprio una balossa,
facendo solletico piano sulle gambe scarne,
ma pur sempre belle.
A quella parola che in dialetto significa monella
volevo ricordarle tutta l’impertinenza,
e sfida che da lei emanava,
nella giovinezza, dal suo corpo sempre.

Ma cosa dici, fu la risposta,
Io che ho vissuto come una suora,
mi tappasti la bocca.




Padre di ricotta


Padre di ricotta, gridavi un tempo:
sei un uomo di pasta frolla,
perché non mi difendi?
Nelle ore del bisogno e del pericolo
gridavi all’uno e all’altro, muti.
Io pensavo al friabile molle dei dolci
nella lingua contadina, che addolciva
l’invettiva, Babbo, babbo!
erano le urla udite appena messo piede
in clinica, Fa così tutta notte,
spiegavano le infermiere, come rinfocolando.
Di notte specialmente lo invocavi,
né mamma, o il nome proprio del marito,
ma Abba padre! invocazione e strazio.
Quel padre-madre che più non vedevi
dalla volta di un cielo già scurito,
non amico e non pronto alla tua notte,
monte calvo getzemani,
di sua natura reclinante, duro.




**


Ti vestirono ignuda e fredda,
e leste mani ti disinfettarono,
non ne vidi nulla
non ne seppi immagini.

Tu, abbandonato il corpo fuori,
imperversava un’aria bassa
di bisbigliate condoglianze
mentre il tuo vuoto dilatava altrove.
Senza di me, gelida e muta,
tu fra ignoti, ti lasciarono partire
ti truccarono di bianco,
il viola delle guance, e mani, buchi
nel volto e orbite feroci,
né domestici doni ti portammo,
demandata a sconosciute mani,
noi di là attorali in un circuito chiuso
non sentimmo, imploravi:
figlia, figlio, accurri.

Di tante notti spese al bene,
ultimi gesti di pietà inviolata non ci furono
onoranze al tuo corpo smunto medicato,
niente lenirne i colpi profumarlo
riscaldarlo in carezze labbra benedirlo –
L’immagine della Madonna di Berceto
infilai nella bara il giorno dopo, in fretta,
con altri bigliettini in amuleto al viaggio,
dalle tue figlie separate e segrete come il dolore
fosse cane da nascondere.



**

Sta venendo un tempo, te ne uscivi improvvisa,
spalancando vetri e silenzio,
sullo stupefatto giardino di San Paolo.
Indicavi il nord, viene da Milano e porta pioggia.
Annuivo, seguendo il tuo profilo sporgersi additare
dove il fischio dei treni aumentava

tu restavi calma,
ne eseguivi imperterrita l’ascolto
di vicende del tempo di stagioni, latrice
di messaggi, giudizi antichi.




**


La sostanza, tu
che di “sostanza” amavi fare scorta.
Tu, che la ciccia dolce e imperturbabile
portavi addosso come collana d’oro;
che non osasti mai smentire tale,
il grande corpo della madre, trovasti
nell'impenetrabile magrezza ultima,
una catarsi mistica di te sognata, tappa
ritmica del corpo e cuore di ragazza
che diceva no al suo cibo.
Una sua splendida e trovata vita,
poiché dal lato di magrezza del pensiero,
spirito dove non ti eri mai piegata
dal lato sconsolato di tuo corpo attento,
febbrile sua muscolatura,
scatto dei “no” ripetuti in fondo al tempo
dove non ti eri più plasmata; così all’ultimo
tu lo facesti integra, t.u.o.
Né pancia o adipe più rivedemmo
ma corpo asciutto di ragazza.




**


Anche i sapori proteici dopo quelli dolci,
da te ho imparato a degustare:
di cui sembravi avida,
cucciolo ferito da un’assenza di corpo,
che non aveva sfamato la tua fame.
Allora,
era la poesia di contemplarti a tavola,
mentre mangiavi appena potevi riposare,
stremata da compiti infiniti
quasi strozzandoti di carne, la sostanza;
come mangiavi la carrozza con le mani,
metafora del dorso bianco
sostando sulle ossa dopo averle spolpate,
miravo la scena dell’osso bianco,
come lo chiamavi,
riportava nutrimento alle tue ossa stanche,
anche lì mescolandosi i ricordi della psiche
che confondevi: tua madre, confidavi,
non ti aveva aiutato a camminare
mentre tu piccola cadevi a lato.
Gommén, ti chiamavano i cugini,
per la fragilità delle gambe, e tu gommina
cercavi di riprendere il tuo cibo
per ossa non cresciute al sole quando,
ai primi passi dalla madre,
devono avere forza a compierli, quei passi,
subito alzarsi non cadere – selezione crudele
della crescita che premia i forti,
non la reggesti a lungo:
tutto un nastro di immagini
ai miei occhi si spiegava, mentre lo dipingevi.

Tu, esperta in carrozze d’ossa,
e non di zucca,
ci convertivi a un mondo, della fame
spiegata a tavola,
mai più curabile da un amen.




Qui  il suo sito, ricco di informazioni

10 commenti:

  1. Mi è arrivato da poco "Lettere giovani" di Maria Pia Quintavalla, dopo averlo richiesto a lungo, e felice coincidenza escono in questi giorni due interventi su " China", qui e su Rebstein. Di "China" ho già scritto e non aggiungo altro, ma due parole per dire che è un grosso ostacolo la difficoltà di reperire libri usciti da diverso tempo per chi si occupa di poesia contemporanea per interesse e/o lavoro critico. Un saluto a Stefano e a Mariapia.

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  2. sì, in grosso ostacolo, anche se il libro è mondadori o einaudi, ma non credo ci siano idee di cambiamento in giro.

    un saluto a te

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  3. Posso sapere se e come il primo amico che commenta ha ottenuto le "Lettere giovani"?(copie personali..che tristezza!)i grandi editori, mah, li ritrovi forse nei Remainders...oh destino della poesia!

    Maria Pia Q

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  4. Difficoltà con il nuovo computer stamane hanno fatto saltare la firma, il libro l'ho ordinato almeno 4 volte prima di riceverlo, alla fine, da una libreria online.
    Prima dicevano non c'era anche se è in catalogo e non arrivava. Un saluto. nadia agustoni

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  5. La scelta delle citazioni dovrebbe invogliare chiunque a leggere questo testo nella sua compiutezza; ne vale davvero la pena, una "piccola pena" compensata per multipli dalla sapienziale bellezza del testo. Testo che si intreccia con quelli di tutti gli altri libri di Maria Pia Quintavalla, con un gioco di richiami ed incastri che mi rammenta - e non si consideri questo paragone come blasfemo né, tantomeno, come irriverente - la "Conceptual Continuity" che collegò, a suo tempo, tutti i lavori musicali di Frank Zappa

    Roberto Del Piano

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  6. Beh, il paragone è forte, ma passi :-)

    @ Nadia: la distribuzione è il tasto dolente di molti editori. Se li incontriamo, facciamoglielo presente.

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  7. Ma se i grandi editori li trovi nei
    Reimanders, allora non sono così tristi le "copie personali" che lì almeno non ci finiranno mai, no, Mariapia?
    Direi che la poesia, non è affatto povera, la poesia il destino se lo fa da sè,basta lasciarla lavorare bene:)
    Del tuo libro dolente e fluviale, ricco, povero, affascinante, che fotografa così caparbiamente e minutamente la vita,ne abbiamo già parlato; ma sarà un piacere addirittura necessario continuare a farlo.
    Con affetto, Cristina.

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  8. A Nadia: sospresa davvero molto della sorte delle edizioni online
    A Cristina: non è consolante in sè, la mia battuta sui remainders è una lode a loro,uno dei pochi regni dove li trovi, i libri. Sul causa- effetto Poesia sta-da-sola e meglio sia così, però comporta gravi prezzi quando gli introvabili sono un'intero(tant'è che fatica è trovare l'editore giusto che s e lo accolli)Il disagio e impedimento rimane e non so se faccia parte necessaria eintrinseca al destino. O se è' incuria italiana, del non creare circuuto tra lettori- scuola -società civile,( biblioteche e situazioni poetanti vere.?)long way
    Di Zappa so poco, so che a molti poeti è comune scrivere un poema ininterrotto. Rinagrazio anche Gugl
    Maria Pia Quintavalla

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  9. grazie a voi, care Cristina e Maria Pia.

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  10. molto belle queste poesie, davvero.il passaggio di poesia per i propri figli per una donna è quasi necessario, è viscerale.
    davvero apprezzata la lettura.
    grazie e complimenti,
    Anila

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