giovedì 1 marzo 2007

Roberto Capuzzo



Il silenzio, le cose, ventottesimo volume di Via Herakleia, collana di poesia contemporanea curata da Ida Travi e Flavio Ermini, lo firma Roberto Capuzzo, un avvocato veronese nato nel 1952, alla sua seconda prova dopo Senza vera regola.



E' con piacere che presento i suoi modi pudichi di guardare e di annotare il divenire del mondo, così che le cose nominate vengono alla luce come da un fondo misterioso, che si ritrae silenzioso dalla vista ma non dal sentire. Sfrondati i rami del racconto, l'essenziale dei viventi trova dimora in queste poesie, in una purezza che diventa scelta di vita, eticità.



*


Allo specchio il volto è fermo,
la figura si incammina
le spalle distintamente
si riconoscono.


L'angelo è comparso più nitido
nel contorno, volge il capo
osserva la stanza, rientra;
non riflette l'ombra,
accenna tre passi
alla luce socchiusa degli sguardi.



*


Di per sé le parole
non aiutano a concepire
dove la giovane poggi
altissima e immutabile
a fianco di oggetti comuni
in attesa dei passi pesanti
provenire di lato anziché
le note sfiorate fuori tempo
senza apparente relazione.



*


La traccia
sulla spiaggia alla luce
dell'aurora era l'impronta
del cinghiale che invano
avemmo atteso.

Con fedeltà fotografica la sabbia
calcata riportava il solco
dell'unghia di modo che potemmo
riconoscere, per noi incomprensibile,
il percorso dell'animale.
Ci parve anche di udirne
l'urlo tra i colpi della
risacca, ma era certo
l'inganno del silenzio, come
accade talvolta nelle
ore che raccontano il mare.



*


Stremata ha sostato l'intera notte
in equilibrio sulla zampa affondata
nell'acqua lenta del Danubio, il ghiaccio
l'ha tenuta a sé oltre il mattino
in questo inverno, mai così asciutto.
Un rigido frammento
nella direzione della foce
al passaggio del blocco candido
perfettamente levigato riluce
indifferente a vento e
sapore di sangue.
Sulla scala che conduce nel buio
minuscole ginocchia scoperte
dal giallo gettato dall'alto
tra scritte incise a rovescio,
se ne fa fuoco per ora
dove mani crepate si allungano.

(olio di Marcello Bertini)

15 commenti:

  1. come talvolta accade, l'impaginazione non è perfetta. Le poesie hanno tutte un interlinea "singola".
    Mi scuso con l'autore e con i lettori

    ps. se qualcuno di voi sa trovare la soluzione rapida al problema ben venga
    (magari non in questo post, ma in via privata)

    grazie

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  2. il problema è formattizzare il testo interlinea 1, prima su word e poi postarlo. credo così si risolva l'eccessiva spaziatura...almeno con splinder.

    erminia

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  3. Ma la pudicizia è essenziale alla poesia? e la dolcezza?

    Mi piacciono queste dalla prima all'ultima in ordine decrescente.

    Ciao, Stefano, una cara buona notte

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  4. Bellissime.

    Grazie Stefano, mi procurerò una copia del libro.

    fm

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  5. Ciao Francesco, l'autore sarà senz'altro contento del tuo giudizio.

    Grazie Erminia, nel prossimo post proverò.

    Buona notte a te alivento.

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  6. "la pudicizia", dimenticavo...

    credo che no nci sia nessuna regola esterna. la coerenza, secondo me, deve esserci fra la voce interiore e la parola pubblica.

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  7. "la coerenza, secondo me, deve esserci fra la voce interiore e la parola pubblica"
    questa cosa che hai scritto è una cosa che mi dicesti tempo fa e che io non dimentico mai. credo che per la poesia debba essere così, ma non così per la prosa. antonella

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  8. sì, sono d'accordo, anche se la voce che dice "io", nella prosa, non è mai esattamente quella che credi di dire "io" (come in poesia).
    In questo senso, poesia e prosa non sono agli antipodi, anzi.

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  9. non sono del tutto d'accordo, Stefano...in poesia io uso quasi sempre il monologo drammatico e la voce travestita. questo mi ha liberato sempre dall'Io, e posso dire senza sentirmene vergognata o coinvolta cose che altrimenti non saprei dire. la voce ad esempio del genere opposto, travestita appunto, ti consente una prospettiva che per quanto arbitraria, ti porta altrove da te: è un atale liberazione. Io confido nel fatto che chi mi legge sappia, sappia intuire e capire immediatamente, che quell'io che parla non è quello mio, di erminia. forse, in tutto, la coincidenza esatta tra voce interiore e voce pubblica è quando ho detto "si" al comune a marcello.

    :) erminia

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  10. cara Erminia, sollevi una questione complessa - come sai - e che tu hai affrontato benissimo in "Vested Voices. Literary Travestitism in Italian Leterature" (transference ed.).

    io credo che la cultura contemporanea debba superare l'idea stessa di travestimento nella misura in cui l'io nudo non si dà. Ma chiaro che la questione avrebbe bisogno di uno spazio diverso che un commento sul blog. chissà che ci sia l'occasione per parlarme, magari proprio a monfalcone, il 23 marzo.

    un abbraccio

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  11. ciao Stefano,

    quello che intendo è che raccontare solo della mia esperienza, o del mio Io, come può bastarmi? quanto poco ho da dire su di me, rispetto al tanto che vorrei dire "immedesimandomi", travestendomi da altro da me..., pur nell'errore dell'ipotesi dell'Altro, delle sue ragioni e soluzioni. Ma non siamo altrettanto all'oscuro anche rispetto all'Io, e non è la poesia un tentativo fatto al buio della conoscenza di sé che piano piano porta più alla luce la forma che l'essenza di quell'Io che crede di rappresentarsi e che può darsi operi un sistematico "autonascondimento"?

    forse questa mia è una tendenza alla drammaturgia, ormai, e/o al romanzo, alla scrittura in prosa, e non alla lirica, che credo piano piano mi stia lasciando alle spalle, proprio per l' ingiustizia che faccio sistematicamente al cosiddetto "Io", mai parlando di lui/lei (non so dire ad esempio se dietro il concetto di Io ci sia o meno un genere)

    Ne parleremo certamente a Monfalcone, il 23.
    buona giornata.erminia

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  12. Ciascuno fa della poesia l'uso che gli è proprio, che corrisponde al suo sentire. Parlo di uso, quindi, l' uso di uno strumento come ve ne sono altri, come le cesoie per potare le rose, ad esempio.
    Ma anche per per fare questa operazione, dietro lo strumento vi è il giardiniere, le rose non si potano da sè.
    Dietro la poesia, o forse dentro, c'è chi la vuole, la pensa, la scrive, c'è l'io travestito, scrive Erminia. Mi piace più pensare ad un io osservante, distaccato dal testo, che guarda sè stesso di sottecchi, meravigliato, critico, ironicamente appostato oltre la pagina. Grazie a Stefano ed Erminia. A risentirvi presto. roberto

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  13. brani piacevolissimi!
    ciao,
    alessandro.
    ps: sull'"io" voto a favore di Erminia!

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  14. "io dovrebbe" recita una serie di mie poesie. E quel "mie" sta ad indicare non una proprietà, bensì uno spazio che va definendosi via via che la parola avanza, come quando un branco di animali si sposta nella prateria, lasciando tracce e definendolo.

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  15. formattare, dare un formato..
    non "formattizzare", per carità

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