martedì 25 ottobre 2011

Silvia Zoico


Coniugando l'"angelica farfalla" dantesca, corpo dei beati cui gli uomini-vermi devono aspirare, con quella di Primo Levi, nel cui omonimo racconto guerra e imperfezione si fondono, offrendo tuttavia la certezza che noi siamo angeli potenziali, Silvia Zoico in Famelica farfalla (Puntoacapo, 2010) fa precipitare il tutto, lo capovolge in un dialogo con i morti e il loro inferno concentrazionario. Di quella farfalla mistica, Zoico ritaglia la crepa, la falla famelica dove passarono i corpi sopravvissuti, ma tatuati, a lei vicini perché parenti o nonni di amici, che in questo terribile libro, scritto in ottave per sublime intuizione, che carica le trame di un'epicità altrimenti impossibile, raccontano in prima persona l'immedicabile strazio del lager e l'effetto spaesante del ritorno. Eppure, Zoico ci insegna che qualcosa sopravvive all'annientamento, ed è la parola quando "è luce nascosta" e si fa "custodia" della fragilità oppure diventa, come nella cultura ebraica, forza dirompente, spiazzante, "maledizione": "Sparirai come bava di lumaca / come un aborto di donna in cloaca" recita contro Helga (la moglie "scrofa" del "pescatore d'uomini" di razza impura), Hanka, "ebrea polacca di Vasavia".

E Zoico s'impasta con le parole, rimando con soluzione estreme, uniche nella poesia italiana contemporanea: lo si era visto in Testa e croce, ed anche ora (tre esempi: Salò / down by low; la tmesi Um- / schlagplatz / [...] / indigna sum / domine; l'ipermetra imperfetta, bucce / zucchero) la poetessa evidenzia le sue competenze retoriche, mai fini a se stesse, ma dense del sangue degli scampati. C'è una tale scambio tra parola e cosa, un sovraffollamento di toponimi e nomi propri, un plurilinguismo talmente infestante, che talvolta il lettore si smarrisce in tanta foresta di vocaboli, rivivendo il disagio dei prigionieri, il loro Ich habe nich verstanden di fronte agli ordini e all'assurdo totale della situazione nel lager (ma c'è anche, per me vicentino, il piacere di trovare il vernacolo della città berica perché da questa provincia sono partiti i suoi avi paterni). A fianco di questa mimesi babelica, c'è probabilmente anche "un'esigenza di precisione assoluta [...] che collochi i nomi e le cose saldamente nel tempo e nel luogo" come rileva Mauro Ferrari nella postfazione.

Famelica è in definitiva la falla che Zoico vuole tenere aperta, memoria di una ferita che è corale, non soltanto dunque bisogno di rifondarsi nel sangue dei propri cari, non soltanto genealogia, ma soprattutto sentire che ancora le circola nelle vene l'affronto radicale della Shoah, che la piaga dall'interno, come se esso si fosse tramandato di generazione in generazione e cercasse un canto liberatorio, una parola-scrigno, appunto, ove la luce non avvilisca la tenebra, ma ne custodisca il monito.




Kopfschmerzen



... là dove Calle Venier piega a gomito
tra Campo e Rio di Santa Margherita
risollevati dall'ultimo vomito
degli ubriachi non gli occhi annerita
conosceranno del popolo indomito
in ruggine ferrosa la ferita
Platzkommandantur pulsando alle tempie
con l'incubo che svuota e che riempie

di voci che al comando della piazza
gemono come libri nei falò
accesi per far luce sulla razza
propriamente detta di Salò
autarchica nell'uso della tazza
di caffè degli Inglesi down by law
e della forza contro quella feccia
che non va all'adunata della freccia...

.. .quando la notte dell'ottavo giorno
nel nono mese del quarantatre
sulla tradotta per Iasi e ritorno
negandomi al Fuehrer al Duce e al Re
con altri tremila arrestati attorno
a Casalecchio di Reno oltre a me
che Internati Militari divennero
da Bologna a Verona verso il Brennero
gettai per mia madre dal finestrino
prima della partenza del convoglio
la fede che avevo nell'Uno e Trino
e tutto il mio disprezzo per Badoglio
un pensiero alla Gina a Carlo e a Pino
con l'indirizzo scritto su quel foglio
ritrovato in un cespo di lavanda
mentre il treno era già quasi in Olanda...

.. .quattro giorni in viaggio e lunghe soste
senz'acqua senza cibo e senza nomi
di luogo allo Stalag di Fallingbostel
portando il nostro cuore negli addomi
liquefatti... la mente andò alle poste
di pasque e primavere in tempo domi
bellique nonostante non annoveri
la toponomastica ad Hannover

il mio "Fruehlingposten" come Stammlager
perché dei campi esistono radici
etimologiche precise e ex ager
ti porta a esagerare se lo dici
per alludere ironica alle vaghe
speranze di avversari o di nemici
del Reich che rende liberi al lavoro
tessile i capelli e dai denti d'oro

ricava lingotti e dalle ossa asfalto...
.. .lessi più tardi di prove sui codici
genetici a me bastò il blu cobalto
degli occhi Arbeitsfuehrer per dodici
chilometri di marcia finché il salto
dalla torre di guardia senza i modici
referti del numero esatto ingiunse
di ogni chiodo o carriola o becco Bunsen...

... commutatami la Feldstrafe in cella
frigorifera pensai "qui dispone
di vita forse chi ha netta l'ascella
da pulci e sudore" e per un sapone
un pettine e una lama la gamella
della zuppa cedetti dove espone
al pubblico ludibrio le mostrine
chi già fiero ora è supplice in latrine

e si aggira per fogne come un ratto
nello spasmo dell'ultimo tabacco
che era moneta corrente al baratto
dei prigionieri privi di ogni pacco
della Croce Rossa... tenni l'estratto
in un involto di tela di sacco
con tante non fumate sigarette
cingendomi i fianchi e frasi corrette

appresi in tedesco da una grammatica
pagata ai trecento grammi di pane
di una giornata prima che enigmatica
interpretazione un bastone o un cane
desse degli ordini con matematica
precisione addentando come rane
quel che un tempo coperto da mutande
pudiche era strappato ai "nix ferstanden"...

... fu con febbre che lessi di nascosto
dal Blockfuehrer 12 B ed emerse
dall'immensa follia del sottoposto
la domanda "Haben Sie mal Kopfschmerzen?"
formulata come a chiedere il costo
al traghettatore d'anime perse
di un progetto di fuga o di protesta
ridotto a cortesia sul mal di testa...

... e per il galateo capobaracca
ed interprete divenni con bucce
di patate che una cuoca polacca
mi permise di raccogliere e zucchero
trovato abbandonato in una sacca
che sostenne le gambe come grucce
mentre pesavo addetto alla bilancia
che avevo costruito il pane rancido

nell'ora in cui scoppiavano le risse
degli occhi volti all'ultima misura
umana che restava sugli abissi
abominevoli della pastura
riservata ai volontari che [omissis]...
...e non potè più chiamarsi paura
quanto sangue resistette alle arcane
fortezze sorvolanti americane

tanto che a Pasqua del quarantacinque
alla minestra di rape e di miglio
invano anelavo nel mentre ad Inge
prigionieri sovietici scompiglio
portavano dentro il ventre a delinquere
invitati a sorpresa dal cipiglio
liberatorio dei liberatori
angloamericani vincitori

su micidiali epidemie di tifo
petecchiale e mille parassitosi
ricadendo non so se per lo schifo
o la pietà il DDT a certe dosi
di veleno che tememmo unter Brief
und Siegel di bruciare per gassosi
emolumenti anche noi come larve
di pulci... e più di qualcuno disparve

perché a carne non ressero le viscere
in scatola o al cioccolato ingerito
allo stremo... altro che "vittoria vincere
vinceremo"... restò il misero rito
privato di sopravvivere vittime
di un già triplice esercito sparito
predando i magazzini della Wehrmacht
di un paio di stivali e una coperta

di un paltò militare e una valigia
all'esterno della quale riscrissi
come mi chiamavo... come se ligia
la vita di prima fosse e la crisi
non mi aspettasse in forma di alterigia
nei visi di chi fuori dagli infissi
recinti incontravo per dei commerci
che al loro giudicare erano lerci...

... finché un abito intero mandò Pio
XII il fu Papa Pacelli
e improvvisamente memore Dio
vide nei predestinati ai macelli
d'Europa... ritrascorse un mormorio
di preghiera uno sguardo per gli uccelli
migratori forse grevi d'angoscia
messaggeri del gran sole d'Hiroshima

dell'agosto in rapsodia di Nagasaki
di cui nulla sapevo... di mostarda
rammentando il sapore da macachi
si sorrideva perché chi bombarda
si veste certe volte in tinta cachi
e ne sogna la fame che lo guarda...
...partimmo organizzati dagli Inglesi
a poco a poco anche noi per paesi

diversi transitando e le macerie
di Berlino vedemmo e tanto male
timore indusse di processi in serie...
.. .era il cinque settembre che in Viale
Alfonso Lamarmora le mie ferie
a Vicenza accordò quel generale...
...o forse era un altro... passai da Porta
San Bortolo a qual ora non importa

e affannose percorsero le voci
sfiatate del mio arrivo la campagna..
...incredula fu colta da feroci
tremori e perse sangue la compagna
dei nontiscordardimé... e nei tò oci
celèsti mare mia fa ' che me bagna
prima de nare in zenòcio dal serico
viso de la Madòna a Monte Berico...



NOTA


Kopfschmerzen: mal di testa. Platzkommandantur: Comando di piazza. Stalag: campo di deportazione e concentramento per Internati Militari Italiani. Stammlager: Lager originario. Arbeitsfuehrer: caposquadra. Feldstrafe: punizione specifica del Campo. Nix ferstanden: dal tedesco (Ich habe) nicht verstanden, "non ho capito", espressione ricorrente fra i soldati italiani. Blockfuehrer: capoblocco. "Haben Sie mal Kopfschmerzen?": "Ha forse mal di testa?" Unter Brief und Siegel: per direttissima. "E nei tò òci celèsti mare mia fa' che me bagna prima de nàre in zenòcio dal serico viso de la Madòna a Monte Berico": in dialetto vicentino, "e nei tuoi occhi celesti, madre mia, fa' che mi bagni, prima di andare in ginocchio dal volto setoso della Madonna, a Monte Berico".



Silvia Zoico è nata nel 1969 a Venezia, dove vive. Si è laureata in Lettere all'Università di Padova. Ha esordito con una scelta di haiku, La civetta è di ritorno, pubblicata nel 2000 dalla rivista La clessidra; Alberto Casiraghy ha reso omaggio ad uno dei suoi haiku facendone un Pulcino Elefante (Osnago, 2004). Dopo Testa e croce (Valentina Editrice, Padova 2006, primo premio al concorso "Anna Osti" 2007) e Kalendae, -arum (Edizioni di Sinopia, Venezia 2010), Famelica farfalla, poema in ottave per quattro voci di sopravvissuti alla Shoah, è il suo terzo volume di poesia.


Silvia Zoico, assieme ai poeti Luca Bragaja e Marina Agostinacchio, tutti editi da Puntoacapo, leggeranno le loro poesie presso la libreria Mondadori di Vicenza (Ponte Pusterla, 14), sabato 29 ottobre, alle ore 18,30. In quell'occasione sarà presente anche l'editore, Mauro Ferrari e il sottoscritto.

4 commenti:

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  2. Lucia Guidorizzi26/10/11 23:20

    La famelica farfalla aspira alla luce, ma le sue ali sono state generate dall'Ombra. Una preghiera, un'invettiva, un mantra contro l'annientamento. Un esercizio di stile per arginare la lava infernale della storia. Un ritmo incalzante d'incantazioni dove la parola salva ed uccide, libera ed incatena. Si può morire più di una volta, si può riscattare il silenzio di chi è andato via con la pietas di un risarcimento che libera l'energia bloccata dalla rimozione e dal risentimento. Si può attraversare la notte e trovare le parole per dirlo.Grazie Silvia per questa farfalla di fuoco.

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  3. Un tuffo, un volo che fa tremare lungo le discese negli abissi infernali dove la memoria di una ferita "immedicabile" illumina la famelica atrocità umana quando esa s'allontana dalle storie di tanti per essere solo Storia. Noi ci siamo: loro c'erano, ci sono - mi pare che Silvia mi dica con il suo tagliare e incrociare le voci, i brusii dei deportati che vanno verso destinazioni tanto oscure quanto oscurate. Poi le lingue con i risvolti a volte crudeli o ironici e la lingua quella poetica che Silvia ocnduce con sapiente e e attenta danza. Farfalla decisa a volare e a posarsi tra luci e ombre che lasciano il lettore, vero, a volte troppo "alla luce" ma una luce benefica, salvifica, che approda. E la preghiera finale? Come un tendere la mano, allungarsi verso qualcosa,una silenziosa preghiera di sguardi che non può non incontrare anche il mio, il nostro. Un continuum.
    Cara Silvia, ancora grazie e grazie a Stefano che me lo ha fatto rileggere, questo bel libro, con ancora più attenzione.
    anna lombardo

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  4. grazie per i commenti.

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