lunedì 20 giugno 2011

Gabriele Pepe


Da un paio d'anni Gabriele Pepe si è defilato non soltanto dalla rete, ma dalla poesia tutta, con una ragione che dovrebbe far riflettere: "Ho preso atto dei miei limiti e della mancanza di un vero talento". Naturalmente io non sono d'accordo. Per tentare di dimostrarlo, pubblico la prefazione che scrissi su invito di Erminia Passannanti, curatrice del volume collettivo Poesia del dissenso II (Joker, 2006).

L’intento principale di Gabriele Pepe in mi pare sia la messa in scena della ‹‹luce eterna che s’infoiba››, passando dall’esorcismo nei confronti della seducente società massmediale (Spot’n’roll e Corrente capitale), alla biologia geocarsica dei testi successivi: così come lo sguardo tutto-in-fuori dei primi testi raccontano infatti gli ‹‹osceni budelli›› di un mondo nato settimino, orrendo eppure fascinoso, femme fatale che ingoia la luce ingenua del bene per sputarla nel buio del ‹‹guado strepitante››, allo stesso modo il corpo crettato, che in seguito prende la parola, dirupa polveroso nell’‹‹aldilà voragine›› che tutto rende frattaglia o sparisce nella ‹‹selva››, oscura per turbinio dei sensi che al diletto non sanno rinunciare. Il dissenso trova qui nell’ossimoro la sua figura preferita, in specie nel delineare un autoritratto d’uomo ‹‹lesto›› che sonnecchia, di ‹‹bradipo›› che sfarfalla, che pugna contro l’istintiva vocazione al volo, martoriata dalla greve sostanza corporale, zavorra fisica eppure, per via scrittoria, trampolino della mente: e così il poeta – condannato, per complessione e per umana sorte, a strisciare sulla terra, a visitare le tenebre – si fa demiurgo che manipola, leggero, la materia linguistica, giocandola al trapezio luminoso della retorica. Ed è tutto un fuoco d’artificio, un doppio salto mortale dello stile quello a cui il lettore assiste in questo circo tragico-grottesco, una sarabanda dove l’espressione curva lo spazio della visione ed il lessema s’incrosta (quasi fosse steso con la spatola, come giova ai pittori anticlassici) dopo esser nato per secrezione d’un pensiero materico, dunque estraneo alle rarefazioni del concetto. Di conseguenza, la costruzione sintattica del dissenso, messa in opera da Pepe, rinuncia a delineare una operatività tassonomica, che gerarchizzi univocamente l’etica a cui rimettere le decisioni della polis, scegliendo, in sua vece, una strategia destabilizzante fondata sulla ‹‹coscienza-imago che tutto scinde››, così che le vescicole oscure del reale s’illuminino grazie alla ‹‹pupilla allucinata›› della scrittura, fino a darsi, immedicabili, nell’oscenità pacchiana della superficie.





Gemello lupo fratello capriolo


Guerriero circonfuso coscritto disertore
proiettile loquace nell'armeria ventosa
sbreccato da erosione nel plesso mi dirupo
per sindrome cretosa s'impetra il mio torace
e sfiato in frana luce asmatico declivio
abraso precipizio di croci e falcilune

per cui sicario in pectore vittima e aguzzino
non posso mio malgrado carne midollo e colpa
massacrarmi per destino nel sangue dell'iperbole
nell'osso della truppa costringermi piagato
perché sin troppo fragile è il corpo dell'ignoto
frattaglie sotto vuoto dell'aldilà voragine

che implode e si dilania configge dall'interno
scritture e sacramenti Demiurgo delle spine
dei rovi dell'inferno sull'isola Moicana
sbrandelli le pupille Matrioska dei serpenti
dei torti e le ragioni Mammella della selva
allatta la mia belva ma salva i caprioli




Corpi di versi



Un corpo crotalo che al mondo crepita
l'algoritmo caudato del suo nulla
trillo strisciante d'una morte acuta
retrattile tossina che s'inerpica

e sotto i ciottoli ripone pelvica
abbondanza di quel che sempre muta
scagliogramma di scienza biforcuta
per sistole e per diastole d'estetica

segnato sulle dune della mente
papiro sensoriale d'un dio scriba
stellato codice in astro rasente

nei cieli della carne mi trascina
come una ritorsione delle vene
dal calcagno s'abbatte sulla spira




Il tratto è dato



Non muoio a sangue pisto ed ossa rotte
ma a cauti vezzi e vizi di rimpallo
che gaia incuria e vaga strategia
di lampi prodigiosi disadorno
luce inferno nell’occhio mi strabordo
fomento e supponenza di eresia
dei miei santi non valgo il piedistallo
ma drago di mulino e donchisciotte

sui campi di battaglia faccio il morto
ramengo oziando in quieta frenesia
lesto sonnecchio e bradipo sfarfallo
tra simboli fuggenti e lune estorte
tra ombre e luci al chiuso riprodotte
burba tempesta in bolla di cristallo
di vento e di bufera scheggio via
che scorpione mi scodo e capricorno

mi strappo delle corna e a muso inerme
tra le corazze e gli armamenti vago
carcassa appesa al morso della fiera
eunuco consumato a fiamma casta
dal dogma mi distacco per scissione
e sguardo al cielo e membra tra le ortiche

a fior di pelle sbocciano vesciche
all’occhio s’addolora la visione
pupilla allucinata che sovrasta
sovranità dell’iride frontiera:
prisma dell’essere coscienza-imago
che tutto scinde e carne mi prosterne



GABRIELE PEPE (Roma, 1957). Ha pubblicato Parking Luna (Arpanet, Milano, 2002); Di corpi franti e scampoli d’amore (LietoColle, Como 2004);  L'ordine bisbetico del caos (LietoColle, Faloppio 2007); è presente nelle seguenti antologie: Ogni parola ha un suono che inventa mondi (Arpanet, Milano, 2002); Fotoscritture (LietoColle, Como, 2005); Il segreto delle fragole (LietoColle, Como, 2005). Suoi scritti sono apparsi su “L’Avvenire”, “Tuttolibri”, “Il Segnale”, “Il Segnalibro”, “Spiragli”, “Storie”, “Il Foglio Letterario”, “Tam Tam”, “Stradafacendo”, “La clessidra”, “Poiesis”, “Tirature ’03”.

10 commenti:

  1. A G.P.

    "Facciamo spazio al vento. Incurante di quanto fu già scritto, fermenta copie di scintille al suo passaggio. Vampate di colore dove immergere le dita, e con gli occhi ridipingere il giardino spianato in sabbie da uragani d’arsenale. La storia non costringe, l’artiglio non ti stana, se scavi nel suo ventre putrescente anfratti di stupore. Se ti fai cavo, intarsio, guaina, matrice, insonne abitacolo di sguardi. Chi ti vide in un verso farti foglia, e nel respiro solidificare in lampo di radura, conosce ogni ramo da cui spunti. Il suo corpo è la cenere che illumini. La casa."

    fm

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  2. Un poeta vero, non un rigattiere di smorte parole. (Dino Carampana)

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  3. Egregio Carampana, visto che l'unico commento qui, fino al tuo arrivo, era il mio, tenderei a pensare che quel "rigattiere di smorte parole" fosse riferito a me.

    Mi sbaglio?

    Se mi sbaglio, mi scuso per averti chiamato in causa e, magari, involontariamente importunato. Se invece ti rivolgevi proprio a me, e me lo confermi, posso sempre spiegarti che cos'è quel testo - che Gabriele conosce bene - e a cosa si riferisce. Alla quale spiegazione, poi, non farei sicuramente mancare il "conforto" di un significativo invito...

    Saluti.

    (Francesco Marotta)

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  4. No, non riguardava lei. (Dino Carampana)

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  5. Ecco, dopo anni di sparizione appena mi riaffaccio sul mondo della scrittura e dei blog faccio subito litigare! E' la prova che meno mi si vede, meno mi si legge meglio è per tutti! :o))
    Saluto l'amico Francesco che ha sempre speso parole buone, troppo, verso le mie poesie e la mia persona. Francesco è un'altra vittima dell'oscurantismo premeditato che, diciamo così "il sistema letterario" , tanto per capirci, attua nei confronti della buona poesia e dei poeti VERI.
    Ringrazio e saluto altresì Stefano che è venuto a cercarmi su "chi l'ha visto" e mi ha convinto a rifarmi vivo, seppur virtualmente :o))
    Come ho già scritto in privato a Stefano fa uno strano effetto rileggersi dopo un po' di tempo. Rileggendo queste mie postate mi è venuto il mal di testa e se è venuto a me, che sono l'autore, non oso pensare quel che i poveri innocenti miei lettori presenti, passati e futuri, provano, hanno provato e proveranno... :o))
    Mi ero ripromesso di smettere una volta per tutte con la poesia ma se in qualche modo prima o poi riuscissi a scrivere dei versi più "respirabili" prometto che li proporrò in giro.
    Un abbraccio a tutti
    gp

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  6. caro Gabriele, respirabile è l'aria quando nessuno la tocca. la poesia va in mezzo allo sporco oppure è arcadia. poi lo sporco può essere in tanti posti, fuori o dentro di noi.

    un saluto a tutti gli ospiti.

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  7. La respirabilità non è detto che sia un pregio dei versi.
    La dignità sì, e questi ne hanno.

    francesco t.

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  8. Ciao Gabriele, ben tornato.

    fm

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  9. rileggo con piacere gabriele pepe -che mai ho dimenticato - e caramente lo saluto sperando di rileggerlo presto. a me non veniva e non è venuto neppure ora il mal di testa :-) saluto e ringrazio anche stefano per averlo riproposto.
    antonella

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  10. grazie a tutti per essere passati di qui ed aver lasciato un vostro graditissimo segno (profumato, s'intende :-).

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