martedì 14 ottobre 2008

Maria Marchesi


Premio Viareggio 2004, L'occhio dell'ala (Lepisma 2003) di Maria Marchesi è stato presto dimenticato, malgrado ne avessero parlato poeti e critici di assoluto rilievo, quali Zanzotto, Starobinski e Pampaloni. In rete c'è l'interessante lettura di Ivano Mugnaini (critico attento alla produzione letteraria contemporanea, come si evince da Dedalus, il suo sito) oltre che la recensione di Luca Benassi, da cui stralcio un'osservazione vera ma, per fortuna dei lettori, non del tutto: "È difficile immaginare se la Marchesi pubblicherà un altro libro: l’occhio dell’ala si muove intorno ad un unico accordo con variazioni sul tema dell’esperienza manicomiale della poetessa. Lo strumento è la metafora, non intesa come mezzo retorico, ma come fioritura del linguaggio poetico, replicabile all’infinito sullo stesso oggetto. In questo senso la poesia della Marchesi si presenta in uno slancio propulsivo, che esaurisce nella propria accensione tutta la materia creativa del vissuto, rendendo difficilmente pensabile uno sviluppo poetico che non sia una ripetizione prismatica, una riscrittura del già detto. L’occhio dell’ala è in ogni caso un libro straordinario, nel quale il linguaggio si fa poesia attraverso il codice della metafora che sublima il vissuto in un distillato di simboli" ("noi donne", febbr. 2005). Di fatto, il libro successivo, Evitare il contatto con la luce (Lepisma 2005), pur mancando della tensione tutta ventrale dell'opera prima e mantenendosi legato all'ossessione manicomiale, possiede un suo originale disegno compositivo oltreché un'attenzione scientifica alla nominazione, che mancava nell'Occhio dell'ala.

Quest'ultimo libro non ha eguali nella poesia italiana, se si esclude Terra santa di Alda Merini. La Marchesi è tuttavia una donna che ha rinunciato alla ribalta e della quale non ho altre notizie se non quelle riportate in calce ai suoi due libri. Sbagliato sarebbe costruire una graduatoria fra queste due borderline, alimentata dalla stessa Marchesi nella prefazione, mettendo in dubbio che la Merini abbia davvero vissuto l'inferno. A me tuttavia interessano i testi: in quelli di entrambe c' è la violenza manicomiale e la tenerezza dell'amore, il sentirsi la primavera crescere nelle vene e la consapevolezza che la scrittura possa dare unità ad un'anima franta. Così si legge anche nella Serie ospedaliera di Amelia Rosselli, tanto da poter affermare che in queste tre ancelle dannate sta il fondamento della poesia femminile del secondo novecento. Se Merini e Rosselli hanno avuto la canonizzazione che meritavano, credo sia giunto il tempo di restituire anche alla Marchesi il credito dovuto, perlomeno con studi critici che ne evidenzino l'originalità e la forza programmatica.



*

L'infanzia troppo ricca di suoni,
di partite interminabili, canzoni
colorate, mattini dorati, giochi.
La demenza era nel tuo stringermi
senza pietà fino a farmi sanguinare,
nel farmi ingoiare fichi acerbi
e latte appena munto e poi darmi
pugni alla pancia. I lividi erano ghirigori
che accarezzavi nitrendo. E' partito da lì
qualche fulmine e ha perso la strada?



*

L’arenarsi dei voli
nel corpo morto degli orologi
guasti. La discesa
nel vasto impero del riconoscersi appena
o del negarsi. Nella smemoratezza.
Sul foglio bianco
S’arruffano le penne dei pavoni
morti da millenni. Un mutare
di ruote che inseguono l’alone
di mercenari pronti all’invasione,
un’oncia di postille messe a caso.


*

Il prato è stato falciato. Domani
ci faranno giocare a girotondo.
Io mi nascondo nel braccio, nel naso,
nella mia camicetta ricamata. Così la luna
potrà calpestare gli indugi
funesti delle cariatidi. C'è uno stellato
stasera in cui si può nuotare facendo il morto.
La giostra ha il cuore grande dei bambini.



*


E io aspettavo la primavera, dicevano
che porta turbamento e scioglie i sentimenti.
I tagli del cuore si moltiplicavano. Leggevo
presagi nelle pratoline, nello squittio
delle rondini disegnate sul vetro della cucina.
Una mattina presi le forbici e provai
a evirarlo. Fu una lotta cruenta. Sanguinava
quasi come il mio cuore.



*


Fu quando apersi gli occhi e vidi l'alba
e conobbi il principio dell'azione
che vidi il mio corpo in agonia
e l'anima separata dai miei occhi.
Mi soccorse la parola, la sola ombra
che ha sangue e carne,
mi dette la pietà che occorreva.


*


Sogno ciclamini crescere sul mio pube,
un'eleganza di piccoli petali, un'esuberanza di profumi.
Non un solo dubbio sul mio essere terra
vergine e fertile per connubi adamantini.
Ma una cantilena di vecchie abitudini si dimena
esausta e non sa dove andare. Aprite le porte
del diluvio ch'io possa detergere il sonno
dei cicloni. Mi mancano vere ragioni
da opporre all'invadenza del grigio. Quella cingallegra
è spaurita, mandatela via, primavera
non è mai sbarcata in questo letamaio.



*


A volte lo psichiatra mi guarda
come se fossi una donna e gli svelassi
l'arcano della creazione e dell'amore.
Gli faccio notare che io sono appena una parola,
un indizio di vita, una cicala sbandata
ch'è stata scambiata per formica.
Ride, mi pone la mano nella mano, si scuote.
E io che lo consolo dicendo che scherzavo,
suoni pure le campane della sua abiezione
quotidiana, ecco, sono pronta, la vena
è aperta ancor prima che arrivi l'infermiere.
Mi mette un dito nel culo, poi chiude la porta,
ha i brividi d'un animale.


*

Se sono stata madre non lo so.
Tutto è possibile. Mesi di silenzio assoluto,
ovatta di parole, gesti, ronzii.
La tramontana dava la mano
al sole marcio, cadevano torri antiche
senza far rumore. Il mio ventre
non sentiva aromi, né sussurri, era
un davanzale di pietra e aveva tanto sonno.



*


Io non sono poetessa
ma mi piace scrivere e affermare
di esserlo. Da piccola ho sentito dire
che i poeti sono pazzi e allora
perché non secondare il detto?
E poi, da quando scrivo
Mi è più facile avvicinare
gli uomini; cominciano a trovarmi
interessante, d’animo gentile.
Così mi vengono sopra
con giusta violenza, temono di sciupare
una bella pagina o di finire
nei miei versi con nome e cognome.



*


Primavera è a un passo, mi colma
d'azzurro e di riverberi, mi chiude
nel desiderio che fa duri i seni
e fa sussultare la vagina. Al canto
delle rane uscirò nuda per le strade.
dovranno vedermi che sono bella
e piena d'ardori. Lui verrà a saperlo
e perderà le staffe. Lo sa che anche il vento
può farmi godere da forsennata.



Maria Marchesi è nata nel Veneto da madre lombarda e da padre friulano. Si è laureata in Lettere Classiche, con una tesi su Lucrezio, e ha lavorato per un breve periodo nella scuola insegnando greco e latino. Ha sofferto per lun­ghi anni di gravi disturbi della psiche relegata in una casa di cura da cui è uscita dopo la legge Basaglia. Ha pubblicato: L'occhio dell'ala (Lepisma 2003) e Evitare il contatto con la luce (Lepisma 2005)

23 commenti:

  1. Grande proposta, Stefano.

    Grazie.

    fm

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  2. quanto mi piace la poesia!, quando la scrivono i poeti!

    un abbraccio

    alessandro ghignoli

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  3. non riesco ad assorbire la botta.
    è troppa: ne terrò un pò per domani
    e dopodomani e gli altri giorni.
    Grazie Stefano
    vincenzo

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  4. in questi testi io leggo una vitalità che diventa violenta, il coraggio di sentirsi diversi non da qualcuno, ma diversi in sè. il tutto espresso in un modo che non in tutti i passi, ma spesso invidio.

    bella proposta.
    si vede anche da queste cose che credi nella poesia.

    francesco t.

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  5. "Prima di presentare i prossimi poeti (tre numeri uno, quasi introvabili in rete)..."

    così esordivi, Stefano, un paio di post fa

    conoscendoti, attendevo con fiducia... (ma anche pensando: non facile però trovare tre numeri uno)... è arrivato Scartaghiande, adesso questa Maria Marchesi... voglio proprio sapere chi sarà il terzo!!

    Mario

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  6. ciao a tutti e grazie per il sostegno. a volte mi chiedo chi me lo fa fare? la risposta è "quella vacca della poesia", oppure "la mia vanità" o, forse, "sapere che ho amici sparsi nel mondo che ogni tanto mi pensano, mi danno un senso"

    pensate che i due libri di Maria Marchesi li regalavano alla fiera del libro di Pozzolo Formigaro. E che nemmeno io, prima, sapevo della sua esistenza.

    un caro saluto
    gugl

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  7. Ciao Gugl,

    queste poesie non passano inosservate, ti costringono più o meno piacevolmente a fermarti.
    Un saluto

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  8. hai ragione. la poesia deve costringerti a fermarti e a ripartire, cambiata (almeno per un attimo).

    gugl

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  9. Ecco, finalmente parole che non fanno lunghi giri per nascondersi, o per abbellire realtà sfrangiate, dure, dove è difficile che un tempo soggettivo coincida con tutti gli altri tempi.
    Mi confortano, e molto, parole così.
    Portano voci vive nel nostro lungo buio.

    renata

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  10. non a caso sono parole di donne.

    ciao Renèe!

    gugl

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  11. sai Stefano, il sostegno è reciproco

    ci sono sere in cui non riesco ad andare a letto sereno se non mi leggo almeno qualche poesia

    periodi, invece, in cui domina il silenzio

    a volte preceduti da un'indigestione di poesie fatte con tutti gli ingredienti giusti, le parole ad effetto, le metafore azzeccate col principale intento di far sì "che un tempo soggettivo coincida con tutti gli altri tempi", come dice Renata

    mi ha troppo colpito una battuta di Giulia Niccolai, alcune settimane fa a Paullo, per l'inaugurazione di una mostra su Franco Beltrametti, rispondendo ad un interlocutore del pubblico: "Milo De Angelis è un grande poeta? certo: ha deciso a 18 anni che doveva diventare il migliore poeta della sua generazione, e ha programmato tutta la sua esistenza a questo scopo. E ce l'ha fatta."

    ieri sera, prima di dormire, ho letto Roberto Piumini - non mi ha alterato il sonno, anzi, ma stamattina mi sono svegliato con tanta voglia di silenzio

    lui sì che sa "abbellire realtà sfrangiate"!

    Maria Marchesi, invece, sa esattamente quali sono le cose che i "normali" non vorrebbero venire a sapere in quel modo ("Lui verrà a saperlo / e perderà le staffe"), sa che cosa spiazza il suo psichiatra, e lo fa nel più diretto dei modi

    per questo torno a rileggerla: cruda quanto si vuole, ma non suicida ciò che dice con la lama di un sottile tecnicismo - né cade, pregna di classici, in una goffa *naiveté* - tiene sveglio il desiderio (di poesia, almeno!)



    quest'estate ho chiacchierato a lungo, in montagna, con una psicologa che ha lavorato per anni in un ex-OP (ultima di tante ricche conversazioni con chi "dell'ambiente") e leggendo questa Marchesi continuavano a balzarmi in mente certi "personaggi" che quella mi descriveva, incontrati nei suoi anni di corsia, potenti e tremendi lettori della psiche dei loro interlocutori curanti, più assai del più forbito degli analisti

    sarà perché quella simpaticissima signora raccontava quelle storie con un accento veneto che ritrovo nel modo di "piegare" l'italiano della nostra Marchesi (es.: "Da piccola ho sentito dire / che i poeti sono pazzi e allora / perché non secondare il detto?") ma qui arretro d'un passo, e mi rimetto al giudizio di un vicentino, e di tanti altri geograficamente competenti lettori di questo bel posto (sotto la Serenissima i miei antenati sono stati solo per tre secoli)

    Mario

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  12. il rapporto fra poesia e follia, caro Mario, è complesso e senz'altro va spogliato del mito romantico seecondo cui la poesia nasce dal genio folle o da chi (e qui ci sento il giudizio della Niccolai) vive nel pericolo estremo.

    riporto in tal senso un passo di una e-mail che mi ha scritto in questi giorni Erika Crosara, poetessa di valore e critica assai lucida: "su maria marchesi: la sua è una
    poesia interessante, credo che dovrei leggere però l'opera, merita un
    approfondimento. rispetto al tema della "follia" e dei rapporti che ha con la scrittura, dico con la scrittura perchè dire con la poesia in questo caso fa un po' clichè, lo dice lei stessa, è un tema piuttosto fondamentale (e spesso, appunto, declinato al femminile) della nostra letteratura poetica. io però tendo a pensare che il rapporto diventa fecondo soprattutto quando la follia smonta, fa qualche passo indietro e lascia spazio all'atto della invenzione, nel momento in cui "si ritorna" (il che non significa che non si riprenda poi la folle strada: borderline). però quando c'è la follia, quando è il momento della follia, c'è la follia e basta: la parola, presente anche se muta, non
    si fa, non viene fuori. lo dice anche deleuze che la letteratura non è patologia, ma salute (se capisco giusto il senso ultimo). ma ovviamente questa visione non è un teorema".


    sulla veneticità dell'espressione che citi (intendi in verbo "secondare"), non direi che essa sia usata dalle mie parti. però io vivo nell'alto vicentino: posto ai piedi delle prealpi e dunque chiuso, abbastanza isolato.

    sperando che Erika non si sia troppo irritata di questa mia "sorpresa", ti mando un caro saluto.

    gugl

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  13. è cruda come sa esserlo la verità,
    senza sfrangiamenti,tecnicismi o classicismi. Per questo io penso
    che sia anche "pura" sia interiormente che esternamente e in questo credo che la follia possa aiutare, togliendo ogni diplomazia,ogni contrattazione con se stessi e anche verso gli altri.
    Leggendola, te ne accorgi subito,
    almeno a me fa questo effetto,
    la "senti" e non hai scuse,
    non c'è nulla da andare a cercare,
    nessun appiglio: sai che è vera.
    vincenzo

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  14. certo la "follia" dà un contributo a questa scelta di aincerità, ma, appunto, ci vuole anche l'etica, la decisione.

    gugl

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  15. sono molto d'accordo con l'analisi di Erika Crosara

    Diego Napolitani, capostipite italiano della gruppanalisi e grande protagonista dello svecchiamento della psichiatria tradizionale, è giunto a sostenere che non sia sensato parlare di "terapia" per certe forme di malattia mentale acuta, perlomeno con gli strumenti dello psicoterapeuta (e non del neurologo) - questo concetto è sostenuto da molti, tuttavia la posizione di Napolitani è molto interessante perché propone un'alternativa: la formazione. Più che di un andirivieni fra follia e normalità, che si osservano nella storia di un paziente, egli ragiona in termini di aree cerebrali compromesse e non compromesse (non sto a dilungarmi sulla sua teoria del pensiero ellittico): queste ultime possono servire a qualcosa se "riempite" di contenuti che permettono all'individuo di sviluppare comunque azioni preordinate ad uno scopo, al proprio autonomo mantenimento, ecc.

    in questo senso un corso di scrittura creativa per pazienti psichiatrici potrà avere ampi margini di successo, pur senza influire in modo significativo sui sintomi del male

    in questo senso è perfettamente comprensibile che una persona già dotata di una solida formazione, ed è il caso degli studi classici di Maria Marchesi, possa far convivere momenti di buio (che non vorremmo mai augurare a nessuno) con momenti di lucida ed intensa creatività in cui ridefinire, "alla Enrico IV", "alla Pirandello", nei rapporti sociali questa sua vicenda da una posizione di forza

    non sarei tanto dell'idea che sia scevra da classicismi: il lessico di certi suoi testi (“L’arenarsi dei voli / …”; “Il prato è stato falciato. Domani / …”; “Fu quando apersi gli occhi e vidi l'alba / …”) dice esattamente il contrario, dice tutto il suo essere imbevuta di classici, la sua ricerca di una parola preziosa, necessariamente esatta, esistenzialmente esatta e in questa sua esattezza appunto ricercata

    Mario

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  16. interessante l'ipotesi di Napolitani.

    e, vero: l'equilibrio della classicità si legge in questi versi. Equilibrio reso drammaticamente dinamico dallo spleen della Marchesi.

    gugl

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  17. per ragioni inspiegabili, il post sul pubblico della poesia non riesco a vederlo dal mio computer. Leggerò dunque i commenti dal computer del mio liceo. Mi spiace anche perché ho visto là che ci sono interessanti osservazioni. domani dunque vedo di intervenire nel dibattito.

    un caro saluto a tutti

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  18. Devo dire che nonostante io spulci periodicamente il tuo blog, caro Stefano, mi era sfuggito questo post, come molti altri! La cosa grave è che conosco questa poesia possedendo casualmente la seconda uscita della Marchesi sempre con Lepisma, altro bel libro, ma di quest'altra invece ancora non avevo letto e ne sono rimasto affascinato, in alcuni passaggi c'è una rara profondità che solo è data in momenti particolari nella vita di ogni (vero) poeta, e si sente molto in questo tracciato che riproponi. Chiederò senz'altro alla Maffia appena posso, una copia di questo libro, sperando ne abbiano ancora.

    Grazie, a presto

    Antonio B.

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  19. non riesco a trovare notizie di lei da nessuna parte. ho scritto anche a niva lorenzini: nemmeno lei sa più niente (malgrado "Evitare il contatto con la luce" le sia dedicato). Ho scritto anche a Lepisma, ma non mi hanno risposto. Ma insomma, questa meravigliosa poetessa è viva, è morta? Tu ne sai niente?

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  20. Di lei no, ebbi il suo libro per caso a Firenze. Bisognerebbe chiedere ai Maffia, magari risponderanno, anche perché vorrei ricevere questo suo altro libro...notizie ulteriori non ne ho al momento.

    Proverò a chiedere anche io, magari se sollecitiamo in tanti, arrivano risposte....

    p.s. se ti può interessare, ricordo una bella recensione di Mugnaini alla Marchesi su vico acitillo che lessi un po' di tempo fa, dovrebbe esserci ancora...

    Stefano ma come mai non mi arrivano per mail le notifiche di nuovi commenti?

    Devo visitare sempre i post per verificare risposte...

    a presto

    Bux

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  21. ho già chiesto a Maffia, ma non sapeva niente.

    sulle notifiche mail, non saprei dirti. hai consigli in tal senso?

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  22. Maffia mi ha riferito che Maria Marchesi è morta l'anno scorso. Chissà che qualche editore ne capisca l'importanza e la editi bene. ciao!

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  23. Nel leggerla, questa poesia ti blocca. Bella proposta.

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