Stefano Lorefice scrive della pietra fredda delle metropoli, raccontandoci l'inautentico che le popola. Ogni cosa, là fuori, fatica a stare in piedi, a trovare la via che rimargini la ferita. Eppure la comunità, quella sua polpa che batte dentro la pietra e che bisogna riattivare, è necessaria, così che "sedere attorno alle cose" sia, nel contempo, uno stare presso la nostra natura profonda, capace di sguardo sereno sul divenire del mondo. L'esperienza della pioggia (Campanotto 2006) è un libro scritto da un viaggiatore risentito, così come lo era l'islandese leopardiano, un cacciatore di quiete costretto a fuggire gli agguati della sfortuna e a tracciare confini entro cui erigere un ordine abitabile, un artificio necessario a controbattere il caos. Eppure in questo libro, tra interno ed esterno la frontiera è labile, tende anzi a confondersi, sino a dare l'impressione che non ci sia isola che salvi, asola che trattenga dalla deriva. A meno di non dare la parola, finalmente, alla nostra tenerezza interiore, polpa capace di tirarci a riva, di legare la comunitas in un abbraccio davvero rivoluzionario. Rispetto ai precedenti libri, dove la virtuosa debolezza veniva travestita con l'armatura delle convenzioni giovanilistiche (la musica jazz e l'inglese quali elementi denotativi, marcatori di differenze), L'esperienza della pioggia sceglie, non solo nel titolo, un'evento naturale, universale, quale legame della specie e tocco di benedizione della Natura, finalmente ritrovata come madre.
***
Certe ferite che rimarginano
nell’insistere delle luci esterne/notturne
la città è nel pieno e resta
presto saranno i passanti
agli angoli
con un bisbigliare compatto
che non c’è tempo
e quel che rimane è diviso
come gli amanti nel farsi l’amore
senza mai dire abbastanza
per quel che sarebbe
sparsi soltanto
a rigare il fondo del cuore
***
Tutti compatti, vicini, schiacciati
in un pub che dà scampo solo ai più sorridenti
tra gli occhi di chi si conosce
e chi nuovo ha la voce più forte
che bisogna portare ciascuno un colore
e non pensare al freddo fuori
e chiedere d’altri
e lasciare fare ad altri ancora
non bisogna essere vecchi, sventolare certezze
ci si accontenta di stare
neanche troppo comodi
tra un sorriso e la musica che non interessa
che c’abbiamo grandi pianure dentro
e laghi
e abbracci
ma nascondiamo ancora le mani
per pudore
per proteggere l’interno più tenero
***
dovremmo sedere attorno alle cose
alla loro vera posizione
come dei messaggeri su un vecchio sentiero
che riposano
come gente che conosce ciò ch'è scritto
senza la finzione che muove la voce
dovremmo ristabilire la gravita che porta al centro
non questo fracasso di strade
che barcolla, con ancora il mattino incastrato fra i denti
e si raccoglie agli angoli, attende l'agguato
mentre il rumore di passi esita
intuisce l'errore
e la difesa ci costringe ad arretrare
che stiamo qui, adesso
che c'è poco spazio
e i corpi stanchi sfregano
consumano
dimenticano
nell’insistere delle luci esterne/notturne
la città è nel pieno e resta
presto saranno i passanti
agli angoli
con un bisbigliare compatto
che non c’è tempo
e quel che rimane è diviso
come gli amanti nel farsi l’amore
senza mai dire abbastanza
per quel che sarebbe
sparsi soltanto
a rigare il fondo del cuore
***
Tutti compatti, vicini, schiacciati
in un pub che dà scampo solo ai più sorridenti
tra gli occhi di chi si conosce
e chi nuovo ha la voce più forte
che bisogna portare ciascuno un colore
e non pensare al freddo fuori
e chiedere d’altri
e lasciare fare ad altri ancora
non bisogna essere vecchi, sventolare certezze
ci si accontenta di stare
neanche troppo comodi
tra un sorriso e la musica che non interessa
che c’abbiamo grandi pianure dentro
e laghi
e abbracci
ma nascondiamo ancora le mani
per pudore
per proteggere l’interno più tenero
***
dovremmo sedere attorno alle cose
alla loro vera posizione
come dei messaggeri su un vecchio sentiero
che riposano
come gente che conosce ciò ch'è scritto
senza la finzione che muove la voce
dovremmo ristabilire la gravita che porta al centro
non questo fracasso di strade
che barcolla, con ancora il mattino incastrato fra i denti
e si raccoglie agli angoli, attende l'agguato
mentre il rumore di passi esita
intuisce l'errore
e la difesa ci costringe ad arretrare
che stiamo qui, adesso
che c'è poco spazio
e i corpi stanchi sfregano
consumano
dimenticano
***
E’ delle rocce scoperte che ti parlo
di un certo capire che non ha riparo
che precede
al limite del dire
consapevole che il non detto è rispetto
come un lago minore
dove tutto sta rannicchiato
compreso
senza attese
perché si fa presto da una parte all’altra
senza il bisogno di voltarsi
l’occhio riesce a con-prendere tutto
abituato com’è al piccolo orizzonte dei piedi
**
Ci resiste un pensiero comune
dei pochi giorni una sciarpa azzurra
stiamo aggrappati all'ordine preciso degli oggetti
pronti per il congedo
non sai come, ma siamo ancora lì
non possiamo oltre
nel piccolo spazio
vicini, che ci sentiamo respirare
addosso un disordine
"ti amo, per quel che posso... ti amo."
che sembrano passati cinque minuti
***
riconosco ch'è passato un anno
e degli stessi vetri, doppi per il freddo tenace,
non rimane che una tregua da fuoco incrociato
c'è tutta la tranquillità di un appartamento
chiuso una volta, dall'interno,
per amore
adesso che Settembre è un mese più freddo
dobbiamo tener salde le posizioni,
alle nostre frontiere troppo spesso confuse
c'è da affacciarsi poco,
c'è da rivoltare i sassi per cercare gli indizi
dobbiamo essere cacciatori
e stare sulle tracce
Stefano Lorefice è nato a Morbegno, in provincia di Sondrio nel 1977. Ha vissuto tra Roma e Milano per i suoi studi scientifici collaborando anche per diverse riviste letterarie. Alternando brevi parentesi di vita a Parigi, Budapest e in Andalusia. Attualmente si è stabilito in Francia. Dopo l'esordio poetico di Prossima Fermata Nostalgiaplatz (Clinamen), ha pubblicato la seconda raccolta di poesie intitolata Budapest Swing Lovers e il romanzo Cosmo Blues Hotel, entrambi pubblicati da Edizioni Clandestine. Tutti i titoli sono ora disponibili in tutti i punti vendita delle Librerie Feltrinelli. Nel 2006 ha pubblicato per Campanotto la raccolta di poesie L'Esperienza Della Pioggia.
Qui il suo blog.
Straordinario libro, L'ESPERIENZA DELLA PIOGGIA, come anche annotavo tempo fa qui:
RispondiEliminahttp://www.tellusfolio.it/index.php?prec=/index.php&cmd=v&lev=66&id=1858
Vale la pena leggerlo. Detto sinceramente (con un grazie a Stefano "patron de maison" Guglielmin che ne offre una lettura che sintetizza aprendo nuove interpretazioni)
Fabiano
La tua focalizzazione sulla tenerezza interiore, necessaria al dischiudersi vero di mondi sparsi, l'ho utilizzata per leggere le poesie da te postate. E, di Stefano,dopo, mi è venuta voglia di leggere l'intero libro.
RispondiEliminaCiao Gugl.
Renata
(Qua bisogna stare attenta a come parlo, che siete tutti espertissimi esperti. :))) )
renata
la cosa, in effeti, è problematica
RispondiEliminagrazie per le belle parole, in effetti è un lavoro che si distacca parecchio dalle due raccolte precedenti; una sorta di nuovo inizio
RispondiEliminaah, giusto per, ormai sono quasi due anni che sono tornato a vivere nella zona di Colico sul lago di Como. Ma, al tempo de "L'esperienza della pioggia" ero ancora in Francia, vero.
RispondiEliminaciao Fabiano, avevo letto la tua recensione dettagliata e la consiglio vivamente anche agli altri ospiti.
RispondiEliminaChe piacere il tuo commento, Renata. guarda che la tua intelligenza e la tua competenza non hanno bisogno di rinforzi :-)
Stefano, però se non erro, per l'autunno, hai in mente altri lidi...
gugl
Ho iniziato a leggere Stefano Lorefice senza mai scrivergli per più di un anno. Mi sembrava una persona "irraggiungibile" forse per quell'idea che m'ero fatta di lui, di persona molto riservata, distaccata, tormentata per certi versi...e quel ritmo di blues che sentivo in quella stanza-blog mi incuteva un po' di "paura". Poi, forse tramite oboesommerso (?) non ricordo, alla fine mi sono trovata a parlarci su messenger... trovandomi di fronte una persona vera, che non era solo un poeta, un amatore della musica al ritmo di blues, ma anche una persona con un forte intreccio di pensieri, di sentimenti... adoravo persino le sue fotografie che trasmettevano sempre un non so che d'inquietudine... sì anche la sua poesia emana sentimenti, ma personalmente credo che la poesia mascheri molto di una persona... quindi mi attendevo diciamo una persona "diversa" forse... o non so...
RispondiEliminapoi un bel giorno mi sono vista arrivare per posta questo libro "l'esperienza della pioggia", che mi ha stupito molto. anche il gesto di per se, visto che conoscevo da poco Stefano... l'ho letto, l'ho goduto, l'ho amato.
la prima parte, in una forma più larga d'un insieme più piccolo, la città, mi rapiva per l'odore del whisky quando tratteggiava i pub, o l'odore delle strade, della pioggia, delle cose che hanno un corpo perchè parti di qualcosa di più grande, parti di un insieme tutto vivamente intero... e la seconda parte, con quel tratto di frontiera, un qualcosa di molto più intimo e cavo, qualcosa di più interno all'uomo... parlando dell'amore per l'amore, per il corpo, per quei dettagli di figure tutte appartenenti all'un l'altra...
se nella prima parte vedo l'autore come uno "sceneggiatore" dei dettagli, nella seconda lo vedo come un "personaggio" all'interno dei suoi quadri...
ho adorato ogni verso di questo libro e ringrazio ancora Stefano per avermene fatto dono.
spero di non aver esagerato col commento...
a rileggervi,
Anila
ho letto i testi pubblicati qui, e quelli dell'articolo su tellusfolio di Fabiano.
RispondiEliminada quel poco/tanto che ho potuto, che sono riuscito a capire, L'esperienza della pioggia è un grosso passo in avanti come consapevolezza di una parola che però già prima sentiva di avere molto da dire.
qui il passo, ha ragione Stefano, è più consapevole (non voglio usare la parola maturo), non tanto nel senso di riflessivo quanto in quello di interiorizzato, profondo. in certi momenti anche più lieve, di quel distacco che non è distanza ma volontà di superare il momento.
testi belli, una voce decisamente degna di emergere.
francesco t.
Commenti che faranno senz'altro felice l'autore.
RispondiEliminapersonalmente, mi è piaciuta di più la prima parte.
chiedo a Stefano: l'hai scritta dopo?
gugl
per prima cosa grazie a tutti, sincera-mente.
RispondiEliminaper seconda cosa: sì, la prima parte de l'esperienza l'ho scritta dopo; per la quasi totalità, le ultima delle seconda parte sono scritte nel periodo in cui prendevano forma quelle della prima.
per quanto rigiarda i nuovi lidi...forse cambieranno ancora, sì.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminasono poesie di un sentire talmente vero... non saprei dire meglio...
RispondiEliminaè quel guardare che percepisce il tutto e poi il dettaglio, come amo che sia.
"vicini, che ci sentiamo respirare
addosso un disordine
"ti amo, per quel che posso... ti amo."
che sembrano passati cinque minuti"
uno splendore, questi versi.
anche "a rigare il fondo del cuore". io sono terrorizzata dall'utilizzo della parola "cuore", ma in questo caso sorprende!
quella relazione tra mani e pudore è qualcosa di davvero interessante. vorrei tanto che l'autore mi spiegasse... perchè condivido in pieno e sento forte e chiaro, ma non so perchè!
in questi versi rivivo certe mie sere, la stessa dinamica mi si scompone al pub, agli angoli di strada... e non avrei saputo dire mai meglio di così.
complimenti Stefano!
Patty!
spiegarti? mmm
RispondiEliminasono davvero contento della con-divisione di queste sensazioni. spiegare, mmm, il dire è nei versi. Spiegare ulteriormente rischia di dare una mia interpretazione di ciò che perde di proprietà diventando verso. in fondo è un donare la poesia, almeno per me, e questo donare, sempre per me, prevede una perdita di possesso ed una ripresa di possesso filtrata da altre esperienze, magari diverse, ma comunque vere. ma è un discorso lungo e non vorrei annoiare.
hai ragione...
RispondiEliminanon c'è nulla da spiegare... hai colto una sensazione che mi è capitato di provare, senza riuscire a trovare parole. e le tue bastano così, in effetti. l'essenza è già tutta lì.
grazie.
Stefano, hai letto le poesie di patty? le trovi in data 15 maggio. dacci un occhio che vale la pena.
RispondiEliminagugl
faccio un salto
RispondiEliminawao! grazie Gugly.... mi fai pubblicità? :)
RispondiEliminaStefano, grazie per essere passato, e per le buone parole che hai lasciato...
...speriamo non restino premesse!
Baci!
la seconda, quella ambientata nel pub, la trovo di un’efficacia descrittiva impressionante (un amico avrebbe detto impressionistica, ma quell’amico diceva impressionistici i testi di Vasco Rossi…)
RispondiEliminaè proprio quel genere di pub in cui mi ci vado a ficcare solo se costretto (mi è successo una settimana fa, a Lecco, perché era l’unico aperto nel raggio di chilometri e avevo fame, però almeno il cibo la birra e la compagnia erano buone, il resto era proprio come in questa poesia di Stefano Lorefice, aaargh!)
c’è una sonorità molto interessante in questi testi, magari alcune immagini riaffiorano come dei déja vu (che si affollano in “dovremmo sedere attorno alle cose…”)
una domanda all’autore: perché in “l’occhio riesce a con-prendere tutto” scegliere di far inciampare l’occhio, del lettore stavolta, in un vezzoso “con-prendere”, e non “comprendere”, o meglio sarebbe “prendere”?
(mi scuso per l’impertinenza, so di essere tremendo quando afferro la matita rossa-blu, è per questo, credo, che non ho mai insegnato italiano)
anche se non è un genere di scrittura a me congeniale, faccio tesoro
Mario Bertasa
caro Mario è sempre corretto mettere il poeta di fronte alle proprie scelte stilistiche.
RispondiEliminaciao!
gugl
precisa scelta per sottolineare il prendere con Se, il farsi carico di, non il capire.
RispondiEliminauna radice, etimologica, differente e differenziata. non era uno sgambetto, era un rialzo del tono, in senso stabiloboss
infatti, come ho detto, un semplice "comprendere" non mi avrebbe convinto, meglio, dicevo, un "prendere", sicuramente più vicino al sentire che tu stesso, Stefano, poi espliciti
RispondiEliminaperò (son gnucco nato in una valle più stretta della tua!) continuo a non capire il bisogno, proprio in quel luogo del testo, di marcare un innalzamento di tono - che tra l'altro rischia di diventare deviazione, anziché innalzamento, perché è più tipica della saggistica o dell'analisi critica una strategia linguistica come quella di evidenziare con trattini e altre denotazioni le componenti etimologiche di una parola
perché allora non giocarsi appunto qualcosa in linea con ciò che espliciti come un "farsi carico", un "prendere su di sé" (con l'accento acuto!) - che già basterebbero ad un buono strattone di briglia
mi permetto...:
senza il bisogno di voltarsi / l’occhio riesce ad addossarsi tutto / abituato com’è al piccolo orizzonte dei piedi
ovviamente è una variante in linea con il mio modo di lavorare, non vuole essere una "correzione", è giusto per sincerare del senso di quanto vado argomentando
credo in un mondo in cui artisti comunicanti possano "innalzare" il profilo del paesaggio in un lavoro di condiviso travaso
Mario
la tua soluzione, pur argomentata secondo gusti legittimi ed anche validi, non mi piace. la mia soluzione, argomentata col mio sentire opinabile, mi soddisfa. e questo mi basta, per sincerità verso me. e di riflesso verso te.
RispondiEliminain questo momento mi sfugge il nome di quel filosofo contemporaneo che dice, più o meno così: per affermare se una cosa è o non è, occorrono almeno tre persone che contemporaneamente la osservano; due sono poche, potrebbero non mettersi mai d'accordo fra è e non è
RispondiEliminanon ho ragioni per dubitare della tua sincerità con te stesso, Stefano, e altrettante ne ho per dubitare della fondatezza del mio sentire e così pure del fatto che non mentire a me stesso possa fondare una qualche verità meno soggettiva di quella che da solo mi illudo di produrre
ma per fare un passo avanti abbiamo bisogno di un terzo osservatore, il più possibile "esterno" (sempre che abbia voglia di intervenire... ma anche se non intervenisse, metterebbe in atto un pur minimo indicatore valutativo
il successo di certi blog che sviluppano discussioni sensate e autorevoli, è proprio dato, credo, dal fatto di saper dare luogo ad intrecci fecondi fra almeno tre punti di vista, attorno al medesimo oggetto distinti: chi pone l'oggetto (autore), chi tutela l'esistenza di tale porsi (blogger), chi sperimenta su di sé le conseguenze estetiche del relazionarsi con l'oggetto (lettore eventualmente commentatore)
vabbe', mi fermo qui...
Mario
io non posso intervenire, ma certo la cosa è complessa. se la poesia fa crescere l'essere del poeta che la scrive, difficile che questi se ne stacchi. D'altro canto, è naturale che un altro poeta senta la natura di quella poesia come qualcosa che, in parte, non appartiene al poeta che l'ha scritta, bensì alla comunità che la riceve. Un terzo direbbe forse una terza via?
RispondiEliminaanch'io sono curioso di sentire qualcun altro.
gugl
perdonate la semplicità di entrambe le domande (o dubbi) qui sotto. ho letto il libro da poco ma ora non l'ho qui con me. prima domanda o dubbio: perché il verso? la solita domanda! (direte voi). perché va a capo? non lo dico però per il solito motivo (i.e. "è prosa tagliata in versi") ma per un motivo quasi opposto: mi sembra prosa poetica tagliata in versi, e prosa poetica interessante, viva, con un ritmo ed una urgenza che il verso viene quasi a spezzare. come se tutto in questa poesia negasse la validità del verso (la sua natura e funzione di unità, la sua capacità di coincidere con respiro e pensiero) e però il poeta (o la poesia) non se la sentissero di fare il passo necessario a spogliarsene. così a volte capita che i versi che non sono versi non riescono a sopportare la responsabilità della loro posizione (ma la sopporterebbero benissimo se non fossero versi). mi ha incuriosito questa cosa e non mi sono dato una risposta soddisfacente (né per me né per gli altri). domanda seconda (più "flou"): c'è una certa irresolutezza in questo libro? in qualche modo un graffiare molte cose ma un non arrivare veramente al "dunque"? (sarà il "jazz"??) o arrivare al "dunque" e non scrivere la conclusione? questo è l'aspetto che la fa stare un po' in bilico e a rischio di confondersi nel magma di tanta altra poesia d'oggi (rifiuto di rispondere, vaghezza). almeno per me. per me sta in bilico, per quanto l'ho letta finora. terza domanda (bonus): la prima e la seconda domanda sono in relazione tra loro?
RispondiEliminaciao,
lorenzo
il verso ha scansioni libere, non necessariamente codificabili. anche se qualche codifica c'è, nel libro ho cercato il dire svincolato nel verso. c'è chi ha detto che ce l'ho fatta, c'è chi ha detto "non so". c'è chi ha detto "no". questioni varie per la varietà delle persone. ma ci posso fare poco, sicuro non voglio mettere tutti in accordo.
RispondiEliminail jazz è sempre stata una cosa d'ascoltare, non da scrivere almeno per me. quindi ben-vengano le supposte infleunze passate, ma non le sento poi così vicine personalmente.
quanto all'irrisolutezza: preferisco suggerire. almeno in quel libro ho cercato di lavorare in tal senso, in questa ottica ci vedo una irrisolutezza positiva. che spinge il lettore a risolvere da se questioni suggerite.
sono in relazione fra loro prima e seconda domanda?
RispondiEliminapuò darsi, come verso/prosa poetica, dire/suggerire.
se in questi casi si tratta comunque di poesia.
e comunque recentemente, per Lietocolle, è uscita una raccolta di più autori dove trovi una quindicina di inediti; che faranno parte del nuovo libro.
RispondiEliminaCi sono anche delle parti in prosa poetica, questo per precisare che non l'ho mai disdegnata.
Anzi.