lunedì 7 gennaio 2008

Paolo Donini



Poeta maturo eppure fuori dal gran carrozzone poetico, Paolo Donini, classe 1962, ha pubblicato sinora soltanto Incipitaria (Genesi, 2005, pref. S. Gros-Pietro), da cui presento alcuni testi, scelti tra quasi un centinaio. Il solco è montaliano, direi, quello delle Occasioni, ma l'esperienza che accende il ritmo non è mutuata dai libri, e si sente. Consapevolezza tecnica, dunque, e scelta di rimanere nella via maestra del Novecento, attingendo, fra l'altro, alla cultura della soglia, a quello stare nell'incipit dell'evento, che lo tiene in dialogo con il lettore, senza esaurirlo nella cronaca. Poi c'è la vocazione alla "ciotola", per così dire, alla semplicità francescana, quella che legge il mondo come un sistema di segni universali, soltanto che con Donini, anziché additare l'aldilà luminoso della tradizione cristiana, tale lingua mi pare annunci il limbo, quasi che non ci sia altra possibilità per gli umani, altro destino. Se c'è un poeta che abbiamo incontrato di recente e a cui mi sento di avvicinarlo, indicherei Nicola Ponzio.


*

Da quanto siamo in fila — dicono
che laggiù ci sia lo spaccio,
che sia rimasto in piedi l'oratorio, zampilli
l'ultima fontana - sciama a ventaglio
una luce più alta -
forse è l'oro del colle oppure
lo scintillio dei parabrezza — dicono
che più sotto ci sia una strada, ancora
una pompa di benzina - alcuni sostengono
che siamo tutti in coda davanti alla latrina
ma a volte si riesce a vedere là ruotare
l'occhio del riflettore, la garitta della guardia
nera nella luce, dritta.



*

Che tu non sia nelle cose, non sia
nelle forme, coglie la mente china
sulle tue orme di neve
ma la scomparsa di questo giorno,
lungo la polvere chiara del polso,
pure mi riporta con te al sentiero
che l'azzurro raffina là fuori, al saluto del viandante alla soglia,
la chiarità dell'addio aperto a gelare
su quelle strade e noi, non apparsi, silenti
all'appello di lampanti felicità della sera: erano luci soltanto
gli occhi immobili dimenticati o terse, splendenti
le tue guance affacciate un istante alla tenebra.


*

Stai vicino al silenzio, appena fiorita
a un labbro da nulla - sono io
e sei tu: rimaniamo
qui e viviamo la sera. A una prodiga luce
che giunse non resta che aprire
l'accoglienza dei palmi: quello
che porta alla soglia
un vento vuoto è ancora
qualcosa che il mondo ha perso: ramo
delle tempeste, ghirlanda
che t'aggirò la fronte, nome
che s'intrecciò come nido.

*

Io non ho nulla e vivo di questo, mi basta
la semplicità delle tue vittorie assolute, ho imparato
a parlarti propriamente, ti tendo la mia ciotola
vuota e tu mi dai ancora qualcosa.


*

Vengo a vedere
se c'è qualcosa nel bianco
e tu hai portato
queste poche parole notturne; sono così
le tue visite mute: piume alla soglia,
il ramo candido, un bagliore dal gelo
che non si è mai spento, talvolta nella voce
una vecchia moneta. Davvero non so
come tu possa sola nel silenzio o ignota
là fuori nella lingua che impera,
racimolare ancora la lingua di prima, e ritornare qui
con queste quattro cose fondanti.


*

Noi ce ne andremo
fra la scrittura degli alberi, lontano
dalle città del verbo violento su in cima
alle colline di neve. Il nome
sarà inciso sul fondo della ciotola, la parola
nella fetta di pane.


14 commenti:

  1. Cos'è la cultura della soglia?

    Grazie

    Piero Casella

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  2. quella che cerca di dire la relazione fra l'essere e il linguaggio, partendo dal presupposto che l'essere si dia nel linguaggio, ma non si identifichi tout court con esso.

    gugl

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  3. ci sono tanti modi di scrivere sulla soglia. per esempio, caro Piero, prova a leggere Jabes (viene più facile fare un esempio piuttosto che teorizzare sulla questione).

    anche gli ermetici scrivevano dalla soglia.

    gugl

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  4. quindi più che una corrente di pensiero,è un metodo di intendere la scrittura.
    una metodologia,usando questo termine abbastanza improprio.

    farò un giro in qualche motore di ricerca per trovare jabes,mai sentito nominare e
    mai letto niente di suo
    ovviamente

    un grazie infinito,
    sono anch'io convinto che una lettura sia più esplicativa

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  5. è questo il jabes che intendi?

    http://www.bibliografie.net/carlino/introduzione.htm

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  6. Edmond Jabes.

    se provi a scrivere il suo nome in questo blog nello spazio in alto a sinistra (dove c'è la B bianca inquadrata nel rosso) qualcosa ho postato, di suo, nel tempo.

    è un modo di intendere la scrittura, hai ragione.

    gugl

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  7. Caro Stefano,

    grazie del profilo che hai scritto su Incipitaria; collochi queste poesie dove credo si trovino in buona parte;

    la soglia, che è in Rilke, che è in Celan.

    La poesia non viene solo dalla vita e non solo dai libri, forse dimora in un luogo di contrabbando infinitesimo fra l'una e gli altri, fra cosa e linguaggio.

    Non è per questo suo stare, fra mondo e sospiro, che abbiamo iniziato a leggerla, che abbiamo poi tentato? per un giovane, primo indizio di riconoscimento. Poi, l'unico.

    Il nostro tempo, di parole così certe e inverosimili, ha ancora bisogno di questo discrimine dove si apre tremolando il dire. Un fuoco di stecchi.
    Alba delle parole.

    Quando fa buio, per proseguire, può essere che si debba ritornare.

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  8. Grazie Paolo per questo prezioso contributo.

    Mi chiedo come mai hai aspettanto tanto a pubblicare.

    e poi: so che ti interessi di arte contemporanea; riconosci anche ad essa lo stesso approccio con il codice?

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  9. Ultimamente ho rallentato la frequenza del leggere poesia, ma, quando lo faccio non posso che augurarmi di leggere cose così, dove ci si perde cullati dalla grazia che apre, verso dopo verso, il mondo incantato del poeta sotto gli occhi. Un dire apparentemente privo di sforzo formale, di lima, che restituisce senso ai molteplici perchè dello scrivere poesia.
    Grazie Stefano di questa proposta. Grazie all'autore di questa poesia.
    ali

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  10. Caro Stefano,

    attendere a pubblicare è stato come scrivere nel deserto, è interessante perchè ti distacca; si scrive in esilio, in una zona franca, nella terra di nessuno; poi non si smette più, neanche pubblicando.

    Agotha Kristof "Per scrivere bisogna essere niente".

    Nell'arte contemporanea dilaga la nuova figurazione, credo corrisponda alla strana fiducia che certa scrittura ha nella parola che si suppone realistica o nei "nomi propri"; per questo ho curato mostre che riguardano il rapporto tra scrittura e visualità - "A mano liber(A) (Dalla mano il libro)" ha messo in relazione i manoscritti originali dei poeti del '900, dal prezioso archivio di Pavia, con l'opera verbovisuale di Nanni Menetti; "Il silenzio delle parole" ha portato in mostra la pittoscrittura di Anna Boschi eccetera.

    Ma anche la nuova figurazione ha qualcosa da dire: ho realizzato una mostra , "Dinamiche del Volto", dove una cinquantina di artisti contemporanei hanno presentato lavori assolutamente figurativi sul volto umano, quasi tutti pittorici.

    Un pittore oggi si trova in una situazione che somiglia, in quanto a statuto dell'arte, a quella del poeta: usa una tecnica antica di cui molti suggeriscono (le cornacchie!) l'esaurimento.

    Ma non è così. Ieri, ad esempio ho guardato i fogli di un disegnatore che segue la stessa minuzia, l'eccelsa verità di sguardo che era in Vermeer, su piccole carte che comportano sei mesi di lavoro. Si dice che nessuno ha tempo,fare una cosa simile significa reinventarsi il tempo.Far saltare in aria l'anatema della velocità.

    Ci sono distanze fra le arti ma anche punti di contatto, passaggi segreti, scale di fortuna che uniscono.

    E ci sono viandanti che proseguono fuori dalla strada maestra. Come scrive Montale, "la Storia è una ruspa" ma "lascia buche, cripte" e talvolta si incontra qualche "scampato", con un'aria improbabile, spesso ha un barlume negli occhi, una minuscola, inscalfibile allegria.

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  11. anch'io mi sono occupato di un disegnatore che fa del tempo un altro tempo. Si chiama Franco Santacatterina e disegna a china paglie e cortecce riempendo completamente la superficie disponibile, costruendo un reticolo minuzioso, un nido dove lui ci passa decine di ore alla volta.

    La scrittura, in effetti, è nido quasi per definizione: essendo intrico e casa, artificio e gesto naturale.

    gugl

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  12. il nido, la casa, in Heidegger la parola è la "casa dell'essere";

    intrecciare, tessere;

    A Silvia di Leopardi, la panchetta del Pascoli, ma nell'antichità lo stame delle Parche,la tela di Penelope; in Foscolo il velo delle Grazie; e poi Lina, la cucitrice, in Saba: il tessere, colloquio con i morti, configurazione del destino.

    Il recidere. Mettere il punto, appuntare, trapuntare, per far stare in piedi, qualcosa: il nome:

    l'atto del cucire intrecciare è già scrivere, unire il disgiunto, il filo nero si inabissa nel bianco e riemerge poi si rituffa: resta il ghirigoro, la sutura, Magrelli parla della "cicatrice"

    casa nido intreccio cucitura cicatrice ghirigoro scrittura

    Paolo

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  13. alincantata :)

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  14. mi pare che sia venuto un ottimo post.

    Ringrazio Paolo e gli ospiti per l'attenzione.

    gugl

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