domenica 21 febbraio 2010

Francesco Marotta (inediti)



Anche negli inediti di Francesco Marotta che oggi presento, dal titolo Esilio di voce, la scrittura e la percezione sensibile (contrapposti all'oralità e all'intelligibilità della ragione) sono il luogo in cui la realtà metamorfica si espone. Le differenze (tra interno ed esterno, corpo e paesaggio, sentire e percepire) diventano in tal modo intrinseche all'unità diveniente, così come quest'unità tracima nel continuo aprirsi ad altro, all'imprendibile. L'uso dei «verbi di declino», dal forte impatto emotivo, espressionistico, accentua tale processo che, nicianamente, governa il reale, che violentemente lo pervade, mentre lo stato di dormiveglia, spesso nominato, si mostra quale condizione psicologica necessaria per tradurre in scrittura tutto ciò. Si tratta di una circolarità virtuosa, che pone il soggetto in un vortice espropriante ma ricco di conoscenza, in cui il senso profondo dell'essere si lascia così avvicinare. L'esilio, qui, non patisce lutto, bensì gode del proprio stare nel vero, nei pressi del suo occhio ciclonico. Tuttavia, queste poesie sono attraversate anche da un altro esilio, in conflitto con il primo e che al primo, apparentemente, contende il primato. Esso spinge dai margini l'io lirico verso un disordine non voluto, ma patito, simile alla condizione «di un nevaio che brilla dolore», e che Marotta traduce, con Lévinas, nell'«attrito / di maschera e volto / impaziente nel balzo». Tale evenienza non è che un «presagio», un'ombra che tuttavia, inesorabilmente, rosica la luce: è la voce interiore che vorrebbe lo spazio del dire limpido, della parola impudica perché intenzionata a squarciare il velo, la «maschera" della scrittura rizomatica, lasciando il nudo dolore per la precarietà della vita alla vista di tutti: «una morte in punta di rima», appunto, che «sul foglio appare dal margine». Le due forze, i due esìli, l'uno dato dalla scrittura, l'altro detto dalla voce, non sono tuttavia due principi ontologici, ma vengono entrambi dal medesimo principio/non principio, da quell'essere-differenza che consente maschera e volto, che tiene in moto il tempo, che è il tempo nella sua dicibilità più profonda ed enigmatica. Sapere tutto questo, non libera tuttavia l'autore dal suo continuo stare dis-locato, anticipato sia dal luogo e sia dalla poesia, che egli probabilmente vorrebbe metonimica rispetto al primo e che invece, inevitabilmente, gli si offre, contemporaneamente, come risposta scritta in continuo pericolo di sparizione, e come voce inquieta, "luce malata" del profondo, che cerca, nella scrittura, liberazione.




Esilio di voce (2009, inedito)


scrivi strappando chiarori di pronome
dalla voce la luce malata
che s’innerva
al rantolo di un verbo scrivi
con lo stilo di ruggine che inchioda
l’ala nel migrare anche la morte
che sul foglio appare dal margine
di sillabe di neve s’arrende alla caccia
al sacrificio necessario
dell’ultima lettera superstite



*

come questa luce di specchio
quando raccoglierla è già spreco
di fulgidi rosa un chiedere al sonno
gli spazi
intagli per minimi azzurri
l’abuso di crescere che sia privo del prima
mutilata la mano da una lama
d’inchiostro
che trema sul foglio



*

guarisci il dubbio trafitto
dall’ansia di essere riparo malattia
a cadenze autunnali guarda gli sterpi
che ti battono un’altra luce
sui fianchi e nell’ombra che sale
gioca il sogno di un confine
sospeso la tua pelle si stacca aggiunge
ore ai tuoi segni al graffio che resta
dove togli parole
ai tuoi occhi




*

assenza che sia illuminata erosione
un luogo che i sensi coincide
a un poi di riflessi se colma l’immagine
di grandine di minerali celesti e trascina
a ogni singola mano sangue di fuga
all’occhio l’identico accordo l’energia
perversa di un dono l’attrito
di maschera e volto
impaziente del balzo



*

in equilibrio di colore e distrazione
conserva segni in un forse di miscugli
sillabici il resoconto di un ramo l’ipotesi
di immagini dove presente e senso
versano lacrime agli occhi così
ritorna alla scienza diseguale del volo
l’angelo che spiuma
desideri di carne di danza
il presagio
di un nevaio che brilla dolore
sul confine tra cielo e memoria
ad altezza remota di lingua



*

paesaggi che alle palpebre tendono ombre
e distanze a volte un passo che irrompe
nel viluppo a sfrondare la norma
la linea di bianco imposta
dall’ennesimo inverno eppure
si potrebbe affidare l’oltraggio a grammatiche
docili ogni senso al destino e svanire
al suono che la preda sbalza dal sonno
verso una morte in punta di rima



*

varcare la soglia di una domanda
rasente all’ombra che a fatica
recupera i suoi codici eccede gli argini
imponendosi torsioni di lingua
per esempio la trama discorde
che dai margini offre un sentiero
al silenzio



*


dove macerano tracce e l’abisso
è radice di ore lo scarto svelato
tra il crepuscolo e un’assenza
disattesa di voci dove scopri
sgraziato e distratto
tutto il credito di una piccola morte
l’orizzonte che regge la scia
di astri vanescenti e la tua mano
che ne traghetta il lutto
verso il largo



*

febbri e vene a passo d’erosione
il farmaco in affondo da scomporre
in linee inquiete notte dopo notte
inaugurando verbi di declino
il lontano di un’offerta in forme d’acqua
la replica ardente che passa sugli occhi
e depone il franto
pulviscolo
di un nome alla deriva




*

nudità di deserto e alla cintura
una sacca d’aria rarefatta per talismano
e balsamo tu la trascini
abbandonando respiri a folate alla luna
seguendo a palpebre sbarrate
nell’esilio di voce
la lampada elementare che risale
fino alla sommità delle labbra
la selva di due desideri intrecciati




*

alla curva del vento
slarga foglie e rotaie l’assenza di cielo
e labbra a distesa dall’altra parte
dell’acqua si pensa un paesaggio
grande quanto una mano lungo
fino a sfiorare i capelli con la dolcezza
verde della sabbia si pensa la terra
divisa in pagine leggere e uno sguardo
luminoso di bambina
piantato tra le zolle come una spina
come una sillaba
come un’attesa


qui e  qui altre recenti e interessanti letture.

Francesco Marotta è nato a Nocera Inferiore (SA) l’11 marzo 1954. Ha compiuto studi classici e si è laureato in Filosofia e in Lettere Moderne. Vive in provincia di Milano, dove insegna Filosofia e Storia nei Licei. Ha tradotto Bachmann, Bonnefoy, Char, Celan, Jabès, Sachs. Suoi testi sono apparsi, fra le altre, nelle riviste: “Il Segnale”, “Dismisura”, “Anterem”, “Convergenze”.  Tra le sue pubblicazioni in versi, Le Guide del Tramonto (Firenze, 1986); Memoria delle Meridiane (Brindisi, 1988); Alfabeti di Esilio (Torino, 1990); Il Verbo dei Silenzi (Venezia, 1991); Postludium (Verona, 2003, Vincitore del Premio “L. Montano”, sezione inediti); Per soglie d’increato (Bologna, 2006); Hairesis (E-dizioni Cepollaro, 2007); Impronte sull’acqua (Sasso Marconi, 2008. Premio "Giorgi"). In antologie ha pubblicato diverse sillogi. Gestisce lo spazio web http://rebstein.wordpress.com/

51 commenti:

  1. Qual è il vero dono?

    Il corpo di parole a cui il poeta disegna labbra e occhi, modulando i suoi segni sul ritmo di tracce familiari o inavvertite, sul profilo incerto che
    gli specchi rimandano a fatica, oppure la devozione di chi leggendo
    in quella carne si immerge, recupera dai fondali i suoni che danno voce a quelle labbra, le radici che danno immagini a quegli occhi – la sostanza che immette sangue, respiro e movimento in quella creatura d’aria?

    Grazie di cuore, carissimo amico.

    fm

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  2. Ho letto con vero piacere questi bei testi di Francesco nei quali, credo, l’interrogazione filosofica costituisca una precipua costante; non mi sorprende, apprendendo dalla nota biografica che il campano Marotta è giastappunto docente di Filosofia. Pertanto, in tal senso, trovo che la presentazione di Gugliemin è sorprendentemente acuta e imprescindibile per una comprensione della silloge. Quello che più mi ha sorpreso di questi testi, comunque, è stato il loro vigore descrittivo, il loro timbro stilistico. Parole forti (anche fonicamente) come erosione, graffio, sterpi, trafitto, macerato, deserto, sgraziato, strappando - per citarne solo alcune - disegnano un paesaggio scabro, roccioso, in negativo, da “ennesimo inverno”, semifunereo, da esilio (per intenderci); beninteso, uno scenario che però pure si schiude nel finale a un suggestivo e primaverile paesaggio di luce (“grande quanto una mano lungo
    fino a sfiorare i capelli con la dolcezza
    verde della sabbia”); uno scenario che si apre a una speranza, ad un’attesa di “sguardo
    luminoso di bambina”. Luce, tuttavia, che è parola richiamata anche in altri testi, come, per esempio, nell’abbacinante incipit del secondo testo dove sembra che essa risulti particolarmente intensa, decuplichi la sua intensità per l’effetto del vocabolo “specchio” cui è legata) e nel rispettivo finale attraverso il lemma “lama” (in clausola e peraltro in un verso tra i più belli per costruzione allitterativa).
    Dunque, i miei complimenti sia a Francesco, sia a Guglielmin per la sua bella, profonda lettura.

    Daniele Santoro

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  3. ciao francesco. sebastiano

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  4. Sia Stefano che Francesco hanno chiarito bene, nella nota introduttiva e nel commento, i meccanismi da cui ha origine la poesia di Francesco, e, direi, almeno in parte, della poesia tout court. Della poesia autentica, come quella di Francesco, scritta per esigenza profonda, per dare corpo e carne ad una voce che nasce autentica, e tale rimane, perché non c'è volontà di sfoggio fine a se stesso, ma necessità di cercare misura per lo spazio interiore che è anche, a dispetto di tutto, sangue, respiro e movimento generati dal confronto con il mondo e dal sogno mai spento di mutarne le prospettive e le coordinate. Felicitazioni e un caro saluto da Ivano

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  5. quando la poesia è necessaria, arriva. Ci devono essere possibilità implicite, che vadano dritte a cambiare la vita, in modo anche impercettibile ma saldo. Non è questione di ottimismo, ma di etica.
    Ecco dunque, accorta e strenua come un tramonto, la scrittura di francesco.

    elio grasso

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  6. ci vuole coraggio a fare di questi viaggi avventurosi in questi luoghi impervi e pericolosi, percepisco tanta sofferenza, tanta fatica, un viaggio necessario per tutti noi, un viaggio negli abissi profondi e nelle ombre, alla ricerca della parola, per la salvezza, un san giorgio quasi che combatte il drago, un don chisciotte, un sopravvissuto che esplora un pianeta malato alla ricerca di un germoglio di vita nuova, te ne sono grata. Molto profonda l’analisi di Guglielmin. Tutto molto bello, tutto molto confortante. un saluto a voi maestri con allegato inchino. antonella

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  7. Una bellissima analisi che limpidamente restituisce la poesia di Marotta nelle sue apparentemente contrastanti "dis-locazioni" di luce ed ombra, capaci di abbattere i confini pragmatici tra la veglia aderente al reale nel suo "Esilio (volontario e consapevole) di voce" e quello "stato di dormiveglia, [...] quale condizione psicologica necessaria per tradurre in scrittura tutto ciò", ingenerando una poesia fortemente lirica ed evocativa, ricca di immagini perfettamente sincrone al suono delle sillabe che ne pronunciano ogni piega di senso.

    Grazie per questa splendida analisi critica e per i rimandi all'articolo curato da Enzo Campi, nonché alla mia affettiva lettura della poesia di Francesco.

    natàlia castaldi

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  8. Ringrazio tutti.

    Ho una connessione precaria che non mi consente, in questo momento, di essere presente come vorrei.

    Proverò domani da una postazione meno aleatoria.

    Buona serata a tutti.

    fm

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  9. Leggendo queste poesie di colpo e straordinariamente appare ai miei occhi Rembrandt. Raramente subisco quest'effetto ottico. Versi con una forza di dolore solenne, tanto è composta e profonda e perfettamente "prospettica" alla mente di chi legge. E nello stesso tempo c'è una magistrale sonorità di pensiero.
    Cristina Annino.

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  10. capita davvero di rado questa manifestazione, sincera, di stima e affetto. Francesco se l'è guadagnata sul campo, giorno dopo giorno.

    il dono tiene vicini i lembi del mondo. e non è nulla senza quelle mani. grazie a tutti.

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  11. margherita ealla21/2/10 23:32

    Credo che dovrei aspettare, lasciare un po'sedimentare la lettura, però mi piace lasciare quello che mi è venuto incontro a caldo:

    un setaccio (un inviluppo, anche inteso come trama di scrittura rispetto un interno- esterno, paesaggio spazio tempo)
    insomma un crivello di versi attraverso i quali passano le immagini e i segni,

    e così come il crivello di Eratostene trattiene fra i numeri quelli primi, eliminando le ricorrenze,
    qui i versi trattengono nel proprio reticolo di resistenza ciò "che trema sul foglio", i "segni al graffio che resta dove togli parole", "l’energia
    perversa di un dono", i "codici" che vengono recuperati e soprattutto quel bellissimo "sguardo/luminoso di bambina/
    piantato tra le zolle come una spina/come una sillaba"

    trattengono cioè quello che si inchioda, che trattiene, che fa un balzo, che regge, che recupera (etcetera), cioè appunto che resiste alla discesa
    dal setaccio, dentro, oltre lo spazio bianco dell'attesa, della mancanza o del silenzio
    di quella "sabbia", di quel pulviscolo che evochi in diverse parti,

    pulviscolo che è "franto", perché il passaggio attraverso il crivello è di attrito "di maschera e volto", di rima-lima, " a passo d’erosione", di "trama discorde" in "oltraggio a grammatiche" e "torsioni di lingua"...

    una discesa di pulviscolo che esilia proprio quello che esonda dalla realtà, dalla luce rispetto all'ombra o viceversa, finanche quello che "eccede gli argini" della scrittura (il movimento della bocca e della mano dello scriba che soffiano o staccano l'eccesso di inchiostro secco, la parola esiliata, forse il non detto ma che è lì, o anche il non dicibile, non so)

    e questo di più, l'eccesso che non è perché, non trattenuto, cade
    ecco questo è l'elemento che paradossalmente ricompone o ri-vela
    questa polvere diventa un velo di maya
    che "regge la scia", che un po' scopre, un po'confonde, in un gioco di luci/ombre

    in questo senso il crivello diventa la griglia che "nell’esilio di voce" contiene "la lampada elementare"
    (più che il lanternino di Demostene, mi pare).

    oh,devo avere fatto un periodo lunghissimo, cmq
    mi manca un'altra suggestione, che riguarda la struttura, che è influenzata (questa suggestione)anche dalle linee di colore che qui e là compaiono
    mi sembrano le immagini dei tuoi versi (ma anche proprio la sintassi) degli shangai, se "tocco" un'immagine, me ne vengono dietro tantissime (ma non gioco bene a shanghai).

    Infine, invece di questa tiritera probabilmente bastava un grande complimento!
    (Domani passo sui link, che sono interessata.)

    Grazie davvero a gugl e a te Francesco Marotta (ho un po' di soggezione a mettere solo il nome).

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  12. Con vero piacere leggo degli inediti di Francesco Marotta che trovo una limpidezza e intensità straordinari. Fanno parte di un progetto di una raccolta o è ancora tutto in fieri?

    Un caro saluto e complimenti davvero!

    Luca Ariano

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  13. Un bell’omaggio Francesco Marotta. Un plauso, dunque, a Stefano per la proposta. A Francesco, a Stefano e a tutti il mio cordiale saluto, Marco Scalabrino.

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  14. @ Daniele

    Lo “sguardo luminoso di bambina” è un lascito, forse inconscio, di "Postludium" - un fantasma che mi dimora ormai da molti anni: detta i ritmi e ricama la veste formale in cui vanno a prendere luogo le mie parole (o le “sue”: ho smesso da tempo di interrogarmi sui “possessivi”).

    @ Ivano

    Il sogno è quello di una scrittura che recuperando l’atto (non il senso) della “nominazione” riscriva il mondo all’interno del cerchio della condivisione e dell’ospitalità (uso non a caso due termini chiaramente jabesiani) – dell’apertura: un’apertura che si dà solo se quell’alfabeto è capace di rendersi irriducibile e impermeabile alla categoria dell’utile.

    @ Elio

    La necessità è la molla iniziale dell’accensione poetica – è sostanza etica non data a priori, ma tutta raccolta nell’atto in cui, dis-ponendosi, si manifesta come offerta, come “partage” che crea legame. E in questo, ma non solo in questo, la tua scrittura (mi) è (un) modello.

    @ Antonella

    Il “coraggio” è poesia nella sua assoluta nudità – in quell’esporsi senza finalità e senza ricompensa che è nient’altro che una premessa, ineludibile, per la restituzione della vita alla vita: e proprio mentre si resta sospesi nel nulla – e da quel nulla si ricrea, con l’umiltà di sguardo della prima volta, la parola che colma il baratro. Quell’umiltà di sguardo tu la conosci bene – è in tutti i segni che finora hai lasciato. Se un maestro esiste, non può essere altri se non colui che quell’umiltà possiede – perché ne è posseduto.

    @ Natàlia

    L’identità/intensità di sguardo con cui tu, Enzo e Stefano avete letto – autonomamente, e da differenti punti dell’orizzonte – è (a prescindere dai miei testi) ciò che permette alla poesia di essere: è in quella fusione, che ingloba una pupilla "altra" nel paesaggio segnico che si attraversa, che si origina il "respiro" che muove quel “corpo di parole” verso il giorno. L’esilio è anche (o unicamente) la condizione, l’attesa, in cui quell’oggetto-soggetto è sospeso – fino all’incontro col fuoco che gli dà voce e lo estingue, lo cancella in quanto possibilità: id est: lo fa vivere.

    @ Il pensiero ricondotto alla sua matrice immaginale – alla tavolozza metamorfica da cui si originano, e in cui si ri-solvono, le forme – è la precondizione del mio ex-perimentare / ex-perimetrare. Grazie per averlo ricordato. Credo/so che la tua “lectio” non è estranea a questa mia intuizione.

    @ Margherita

    Grazie di tutto – qui e altrove. Stai regalando alla poesia – attraverso le tue letture – il senso e il ritmo della traccia che resta: la sintassi di un occhio esercitato a cogliere l’essenziale.

    @ Luca

    "Esilio di voce" è stato concepito, molto probabilmente, durante la stesura di "Impronte sull’acqua": mentre scrivevo quei testi, elaboravo, senza nemmeno esserne cosciente, la visione di ciò che resta dopo la cancellazione di quelle tracce.

    @ Marco

    Mi unisco a te nell’omaggio a Guglielmin: senza il suo lavoro e la sua estrema dedizione, la poesia, in rete o altrove che sia, avrebbe ben poco senso.


    Grazie a tutti.

    fm

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  15. @ Il pensiero ricondotto...

    Qui rispondo a Cristina.

    Spero di non aver tralasciato nessuno (nel caso me ne scuso). Sono in una postazione da i.p. Controllerò più tardi.

    Un abbraccio a Sebastiano.

    fm

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  16. Prima di tutto un carissimo saluto a fm e st, e non solo per il loro lavoro a cui tanti devono essere riconoscenti, e io per primo lo sono, ma per l'affetto sincero che provo per loro.

    Data la mia ammirazione umana per Francesco, mi è difficile aggiungere qualcosa di sensato ai commenti già scritti così bene, nè probabilmente sarei in grado di farlo. Lascio solo alcune idee, da prendere come tali, in aggiunta a ciò che è stato detto.

    Per me la scrittura di Francesco è ostica per certi aspetti, ma affascinante per altri, e questo è un privilegio dei grandi. Mi è ostica nel momento in cui scardina il collegamento con una qualche realtà narrativa e figurativa a cui io, come lettore, farei appiglio per sentirmi più sicuro. Qui invece non c'è e non è possibile trovarla quasi mai. Allora l'unica strada da percorrere è per me il fidarsi delle parole, il "Lasciarsi portare": a differenza di molti altri (non c'è nessuna polemica, sia chiaro) questa scrittura ha una densità e una proprietà - umana e intellettuale prima ancora che formale o lessicale - da tracciarsi una strada, da scavare un significato. E' come se scardinasse il senso delle frasi e delle parole e ne determinasse uno nuovo, diverso. In quest'ultima raccolta a me la sospensione sembra quasi più accentuata che in altre (avevo già scritto che mi sembra più "fruibile" nell'accezione migliore del termine) anche se non posso dire che Francesco abbia raggiunto la sua maturità, dato che probabilmente l'aveva raggiunta prima ancora che io mi sognassi di cominciare a leggere poesia. Però il suo è un percorso che cambia, e senza perdere densità si è fatto sempre più chiaro e determinato.

    Questa capacità di esprimere spessore intellettuale e filosofico in un linguaggio così personale e trasversalmente comune e condiviso è straordinaria.

    Francesco t.

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  17. non aggiungo nulla perché vedo che tutto accade lo stesso e con grande maestria. segnalo solo che sto leggendo con passione.

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  18. Esiste una "processione immaginale" attraverso la quale una storia, una "rappresentazione" si dà, seguendo il ritmo di un ordine delle parole dettato dal pensiero: un ritmo che, nelle migliori espressioni poetiche, non rinnega lo "scarto" che "obbliga" il "reale" a dirsi in una luce e con accenti diversi.

    Ma esiste (e non per forza ne è il rovescio speculare), anche un ritmo interno alla parola che, nel farsi immagine, "si" dice - rispondendo a un alfabeto e a una sintassi che il pensiero può "solo" osservare, inglobando/vi/si - e mai guidare nella sua transeunte e metamorfica epifania. In questo caso, la "rappresentazione" è il "medium", non il "fine" della "pro-cessione" - fine che resta, unicamente, la prova - "in - afferabile" - che attesta un'esistenza che parla in "altri" accenti (il "prima" della significazione e del silenzio).

    Ciao, ft, grazie.

    fm

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  19. a questa poesia non manca proprio nulla.

    un piacere leggerla.

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  20. è un privilegio essere qui, ascoltare la scrittura di francesco e quelle che lo accompagnano...
    elio

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  21. Quando un poeta come Francesco Marotta dona, condivide il proprio percorso, e chi ha la fortuna di leggerlo è pronto ad “accogliere”, mettendosi in ascolto, accade qualcosa di straordinario: la Poesia arriva a sfiorare la vera essenza, è lì, prossima al nucleo, al senso delle cose.

    Verso dopo verso, si viene “portati” (dice bene ft), condotti in una dimensione “altra”, dove la prospettiva cambia, la percezione non è la “solita” percezione. Sento le parole di Francesco rivoluzionarie, tanto sono pure. Perché sovvertono, rovesciano le certezze.

    Grazie a Francesco per la sua poesia, per tutto ciò che fa per la poesia. E grazie a Stefano per questa lettura che accompagna magistralmente chi – come me – cerca un po' confusamente un varco per “entrare”.

    Un caro saluto a tutti
    stefania c.

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  22. Ringrazio e saluto Anila, Elio e Stefania.

    Buona serata a tutti.

    fm

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  23. grazie caro francesco (e grazie caro stefano). "la poesia si ferma, il significato procede...", questa la mia prima impressione che si rinnova ancora adesso immergendomi in questa poesia...un abbraccio.
    roberto cogo

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  24. Complimenti per lo sguardo poetico, ma anche per quello fisico che inchioda alla profondità l'interlocutore, lo costringe alla resa o alla verità, lo smuove, lo (com)muove al pari della poesia.
    Nelle stesse corde, mi sembra l'introduzione "L'esilio, qui, non patisce lutto, bensì gode del proprio stare nel vero, nei pressi del suo occhio ciclonico."
    M'incanta in particolare l'ultimo testo, l'uso della parola bambina che lascia interdetti, il suo sguardo luminoso
    "piantato tra le zolle come una spina
    come una sillaba
    come un’attesa"
    come la poesia, come la parola quando assorbe e riflette luce,
    riconosco le stimmate del soffio, quando aleggia tra pensiero e bocca e si fa pane da condividere per sopravvivere.

    Loredana Semantica

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  25. Un grazie di cuore e un caro saluto a Roberto e Loredana.

    fm

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  26. Con stima che diventa gratitudine e bene, saluto Francesco
    e mi unisco a tutti voi nel seguire il percorso di questo uomo che sa dare se stesso in modo così limpido sincero e totale.

    ( in particolare sottoscrivo il commento di francesco tomada - e sembra di vedere un filo che corre da voce a voce, che lega e schiude al senso più profondo della poesia)

    Un saluto e un ringraziamento anche a stefano e a tutti.

    iole

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  27. "mutilata la mano da una lama/d'inchiostro/che trema sul foglio".

    Caro Francesco, io credo che nella forza della tua poesia ci sia anche questo: la consapevolezza di una lingua ferita nella precarietà di una vita che sta dentro la scrittura. Ferita e precarietà che sono sì mutilazioni, ma anche mancanze dove le possibilità di un'esistenza "altra"
    trovano spazio e respiro, e non si adagiano, non fissano il loro essere, ma lo determinano continuamente. E' un andamento poetico che scardina il dolore circostante con una lingua inquieta,una parola felicemente inquieta.

    Un caro saluto e un grazie, allora, a te che hai scritto e a Stefano che ci fa leggere.
    Ciao.
    Giorgio Bonacini

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  28. Iole, il “filo che corre da voce a voce” c’è: è il carico che porto scritto sulla pelle e che mi “costringe”, da più di trent’anni, a tessere la stessa interminabile tela. Posso, ad ogni tappa, variare la “forma” dei nodi, dei punti e degli incroci (ed è quello che avviene: non riuscirei mai a “ricamare” due segni simili), ma non mi è mai stato possibile (e forse non ho mai cercato di farlo) ritornare sui miei passi, sbrogliare tutta la costruzione e, col gomitolo perfettamente riannodato all’asse di raccolta, iniziare un nuovo percorso, prefigurare un’alternativa, una di-versione al cammino che sto percorrendo.

    “Per soglie d’increato” afferrava per i capelli l’istanza concettuale e la calava nel magma di un mondo al suo primo apparire, nello specchio della prima nominazione – inglobando in questa "descensio albale" il soggetto e la sua pupilla; “Impronte sull’acqua” recuperava il “soggetto” ma solo per farne un “medium” di attraversamento, un canale linfatico attraverso il quale la “parola” si dice nella sua dissolvenza; “Esilio di voce” si cala in quel “bianco” e chiede alla traccia di parlare dall’ultimo margine – là dove l’assenza si fa respiro, vento.

    In ogni caso, a dettare legge è il "non-detto", “la consapevolezza di una lingua ferita nella precarietà di una vita che sta dentro la scrittura”, come dice Giorgio: l’inquietudine e l’erranza - il solo alfabeto capace di dimorare “il labbro della ferita / senza morire del desiderio”.

    Vi ringrazio.

    fm

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  29. ringrazio tutti, particolarmente Francesco che porta ulteriore chiarezza critica al suo discorso poetico.

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  30. Leggo e faccio tesoro.
    Non ho ancora capito se mi piacciono di più le poesie o gli approfondimenti di Francesco in risposta alle osservazioni degli intervenuti. Solitamente si consiglia di giudicare le opere e non l'autore, scusatemi, ma io faccio una fatica terribile a tenere scisse le due cose.
    Mi sembra che Francesco
    sia molto la sua poesia e questo mi piace ancora di più :)
    Un saluto a Stefano a Francesco e a tutti gli intervenuti.
    vincenzo celli

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  31. In ritardo, ma in tempo,saluto l'amico poeta Francesco Marotta, mentre è intento a questo fare poematico, anche se denso di infinitivi, poussé da un afflato lirico, ed estremizzato, inoltre, su un fare ed un chiedersi della parola pura ( nella linea del dopo Mallarmé, per intendenderci),e pure, dall'intensa luce: ne concordo con Cristina Annino; perché, in traccia, per come lo leggo io, vi scorre anche un andamento narrativo,o una sua vocazione, che contraddice la spezzatura di ogni singola lirica... il mio sentire,non *la* verità...ma il respito vi conduce, chi lo sa che questo doppio non costituisca la chiave di una svolta latente di scrittura poematica, che F.M. ha certo in anima ...se non in mente.
    Maria Pia Quintavalla

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  32. Correggo: il respiro...

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  33. Ringrazio Vincenzo e Maria Pia.

    Sulla "svolta narrativa", proprio non saprei cosa dire. In fondo,la differenza tra "conto" e "canto" è tutta in un cambio vocalico.

    Ho dei forti dubbi, comunque; ma, in ogni caso, mi piacerebbe tanto esserci qualora dovesse avvenire...

    Saluto e ringrazio tutti per l'attenzione e l'estrema bontà degli interventi; un saluto particolare all'eccellente ospite, al quale auguro di continuare sempre con immutata passione il suo encomiabile lavoro.

    Buone cose a tutti.

    fm

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  34. bella poesia, in sospensione in-quiete

    contenta di conoscerti meglio, Francesco

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  35. davvero commenti capaci di far fiorire dei testi in apparenza impenetrabili.

    mi scuso per l'assenza, ma in questi giorni, fra letture pubbliche e forum di orientamento scolastico, sono sempre stato lontano dal computer e dai libri.

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  36. il tempo non è clemente per definizione: ho in animo da tempo una più approfondita ed esperienziale analisi sulla relazione fra le scritture poetiche di Francesco Marotta (dico "scritture" e non "scrittura", dissenziendo a priori con chi intravvedesse una sola precipua linea poetica... una rilettura di "Hairesis", per esempio, è in tal senso illuminante) fra le scritture, dicevo, e la loro vocabilità, la loro vestizione (stilnovisticamente parlando) con movenze vocaliche melodico-declamatorie, e non spettrali, relegate in allucinazioni mentali, ma fisiche, vibranti, fatte di quella carnalità speciale che esala dall’organo indicato dai latini con la radice OR-.

    ed ecco che Francesco sopravanza le mie intenzioni e se ne esce con questo "Esilio di voce"…

    aver ascoltato quasi un anno fa proprio la voce di Francesco declamare suoi testi (quasi tutti da "Impronte sull'acqua" se non ricordo male) ed osservare la pluralità di sensi che l'intonazione andava accumulando, faceva allora il paio con un episodio capitatomi invece l'anno prima ancora, quando un gruppo di lettori, della Biblioteca di Brugherio, nell'arco di un mesetto selezionò dei testi che io avrei poi letto in una maratona di "libri da non dimenticare": la regola era che io avrei preparato tutte le letture, ma sarebbero “salite sul palco” solo quelle i cui propositori sarebbero stati presenti in sala - e io tirai un sospiro di sollievo vedendo che all'ultimo minuto "Per soglie d'increato", segnalato per ben due volte da due diversi lettori, non sarebbe stato incluso! Facevo una fatica tremenda ad affrontarlo con la voce, tecniche interpretative e guittonerie varie si schiantavano di fronte a quel corpo densissimo, la cui densità non trovavo in forme possibili di vocalizzazione.

    Più tardi ne scrissi anche a Francesco, in privato. Provavo ad enucleare una sfortunata coincidenza fra un sicuro limite mio e un dato scritturale intrinseco.

    Poi la voce sua che restituisce “Impronte sull’acqua”… ed ecco ora questo "Esilio di voce"…

    Ho sempre pensato che ad un essere umano nessun altro essere umano può sottrarre animo e anima, per quanto possa schiacciarli verso le regioni della brutalità con l’esercizio tracotante delle seduzioni associate alla “libido potiendi” (così Sallustio di Catilina, ma “libido” lo uso anche come richiamo alla necessità di riconoscere una “pulsione primaria all’esercizio del potere, del dominio di un uomo sui propri simili”, più sfrenata delle pulsioni legate, freudianamente, alla sfera sessuale).

    Lo stesso valga anche per la voce. Mi possono cavare la lingua e mangiarsela, ma la voce che mi fosse negata da un taglio netto alle corde vocali nessuno potrebbe consumarsela per sé. Eppure niente come la voce è specchio bioacusico di una storia. Una persona che ha subito soprusi, lo senti solo da come parla. Volontario o meno che sia, uscita di sicurezza o espulsione immediata, un esilio, rispecchiato in una sua rintracciabilità vocale, fin dal sommo esempio della Comedìa dantesca, è l’esito di un vivere sociale affranto dalla “libido potiendi” che ne modella dinamiche di gruppo, scelte politiche, formazioni mentali e culturali.

    Mentre affronto la dimensione performativa, orale, di questo inedito marottiano (per me indispensabile cartina al tornasole di ogni approccio “critico”) mi accorgo che i versi esigono di “calarsi in una parte” che non è quella altrove rintracciata nelle altre mie letture (purtroppo non risalenti oltre “Per soglie d’increato”, non avendo sottomano edizioni delle precedenti uscite editoriali di Francesco). Penso che avrò bisogno ancora di un po’ di tempo per “capire” che “parte” sia, in senso drammaturgico – “parte” che è anche porzione di voce, per-sonaggio, per-sonare, suonare attraverso. Ma ne vale la pena. E grazie a tutti i preziosi spunti che provengono dai vari interventi interpretativi (e auto-interpretativi) qui raccolti.

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  37. caro Mario, le tue riflessioni sono autentiche perle!

    ho avuto da poco "Mappa giovane. Voci poetiche di Monza e Brianza" (Le voci della luna) dov'è allegato un cd con le voci dei poeti,. Ci sei anche tu.

    non ho avuto ancora il tempo per ascoltare, ma, adesso che dici queste cose, non posso più aspettare.

    ciao!

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  38. Ringrazio Silvia, e Mario per il suo articolatissimo e pregnante intervento.

    Dico solo che, anche per me, conoscerlo sui testi e poi soprattutto di persona, ha rappresentato un'occasione unica di arricchimento umano e una possibilità, come se ne danno poche, di utile e fertile confronto culturale.

    Il discorso che fa sul rapporto "parola-voce-testo" è veramente importante: la voce fa tutt'uno da sempre con la corporeità, e se la parola poetica non è altro che il recupero in altre forme di quel "respiro" primario, il suo legame col corpo è tangibile e ineludibile - anche e soprattutto in funzione della ricezione critica, o della ricezione tout court.

    Per quanto riguarda i miei libri, non ne posseggo nemmeno una copia, tranne che per gli ultimi due.
    "Il verbo dei silenzi" e "Postludium" sono riuscito a metterli in rete (li si trova nel mio blog, cliccando su "Tracce") e volevo fare la stessa cosa anche per gli altri - ma ho problemi vari che mi mangiano tutto il tempo e, almeno per il momento, il progetto è rinviato (a forse mai...).

    In "tracce pdf", invece, ci sono molti inediti: ma qui si aprirebbe una parentesi oltremodo "sgradevole", ed è meglio glissare. Ne saprete di più prossimamente, perché sono fermamente deciso ad andare fino in fondo e a spazzare via, per quanto mi è possibile, i pirati e i farabutti della rete...

    Grazie ancora a tutti, a partire da Stefano, con l'augurio di una buona giornata.

    fm

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  39. dopo aver letto queste poesie che mi trascinano in un mondo subliminale dove l'ipnosi non corrisponde però solo a un abbandono assoluto del logos, ma solo a fluttuare in un universo acquoreo che d'ora in poi chiamerei soltanto marottiano "tout court" ,e dopo avere apprezzato, condiviso, ammirato e applaudito l'alto livello dei commenti critici,non mi resta che ringraziare profondamente Stefano per questa ulteriore OCCASIONE di lettura e conoscenza del nostro grande Amico e Poeta.
    Ciao, carissimi Francesco e Stefano
    lucetta

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  40. Grazie, Lucetta.

    Un caro saluto.

    fm

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  41. In grave ritardo su tanti eccellenti commenti, posso solo aderire al flusso di questa poesia che ipnotizza il lettore con lucidità trasfigurante, trasformando metafisica e simbolismo in corpo di parole.
    Un grazie a Stefano e Francesco.
    Marco

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  42. un saluto e un grazie a tutti gli intervenuti, che tanto hanno dato un contributo all'approfondimento delle questione aperta alla poesia di Francesco.

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  43. La poesia di Francesco propone al lettore comune ricerca, il drenaggio degli stessi fondali che drena l'autore.
    Ma è anche infinitamente esplorabile, come dimostra l'intervento di Stefano Guglielmin e tutti i commenti che sono seguiti.
    Un saluto e un abbraccio a Francesco
    (che mi scuserà per il passaggio tardivo)
    Antonio Fiori

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  44. ciao Antonio, grazie per la testimonianza.

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  45. Ringrazio Marco e Antonio per i loro interventi, e ancora Stefano per avermi ospitato.

    Un caro saluto a tutti.

    fm

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  46. arrivo tardi . ma la vera poesia non ha fretta . "’abisso
    è radice di ore " è un verso che mi coinvolge profondamente . la lettura di questi testi di francesco davvero è stata preziosa . grazie .

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  47. Caro Stefano, il tuo passaggio (forse è la prima volta?) la dice lunga sulla tua stima per Francesco.

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  48. Grazie Stefani, al piacere di rivedervi presto.

    Un caro saluto.

    fm

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  49. dopo averti letto, ho volutamente 'saltato tutti i commenti e le risposte.
    ti leggo anche altrove ma non sono brava a lasciare tracce delle mie impressioni, non sono capace nel commentare.
    i tuoi testi sanno di terra e bocche disegnate, arate quasi, alla parola, modificandone il percorso. me li tengo vicino. grazie, api

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  50. Francesco Marotta: il penetrare adesivo nel Regime Diurno

    Tra spostamento e adesività, Francesco Marotta allaccia i sintagmi che hanno l’archetipo del caldo al paradigma che, invece, è a regime diurno, e diaireticamente fa salire lo schema verbale Distinguere di sintagma in sintagma, ma, un passo più in là, e si è nella coppa di un immaginario in cui lo schema verbale è necessariamente quello del Penetrare, come se la notte fosse in costante discesa sui simboli e sugli archetipi sostantivi afferenti però al Regime Diurno. Così facendo, non c’è il passaggio continuo dal repertorio dei “sensoriali” a quello dei “presentati”, ma un sottile sottentrare del repertorio delle relazioni che subentra a quello dei segni:fantasie, stimoli, personaggi, metafore, ma come se fossero a distanza, un po’ Einfühlung-freccia, ma non alla Giulia Niccolai.

    v.s.gaudio

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  51. C'è poco che posso aggiungere, solo che mi piace molto la poesia di Marotta, e in genere una poesia che si fonde con la filosofia è quella che prediligo e che cerco, con scarsi risultati, di praticare...:)

    ringrazio Gugl per la possibilità di leggere questi testi.

    A presto

    Antonio B.

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