Lethal Dose 50 corrisponde alla quantità radioattiva necessaria per uccidere il 50% della popolazione entro 60 giorni. Un titolo che ci getta senza mediazioni in un mondo laboratoriale, in un mondo-lager, moderno perché razionale, reale perché esistito, esistente.
Lavorando 'in levare', Elisa Devoglio posa l'occhio nelle pieghe della pelle, sulle labbra secche di due creature umane esposte alle radiazioni, cavie tenerissime, non lontane dai Yukel e Sarah jabesiani, che si muovono in uno spazio-tempo acquoreo, indeterminato, fuori asse, capace di amplificare il dolore degli esseri: uomini, cose, animali.
Da Lethal Dose 50
(inediti)
“Poesia è l’immediato nella ruminazione orale d’uno scritto già estraneo a noi dicenti”
Lavorando 'in levare', Elisa Devoglio posa l'occhio nelle pieghe della pelle, sulle labbra secche di due creature umane esposte alle radiazioni, cavie tenerissime, non lontane dai Yukel e Sarah jabesiani, che si muovono in uno spazio-tempo acquoreo, indeterminato, fuori asse, capace di amplificare il dolore degli esseri: uomini, cose, animali.
Da Lethal Dose 50
(inediti)
“Poesia è l’immediato nella ruminazione orale d’uno scritto già estraneo a noi dicenti”
Carmelo Bene
prima composizione - Frizione
*
Più non mi stringi
sete
acqua sgorga gialla
dall'angolo di un fiato
di un pesce quasi morto
al mercato
non si ha più voglia di bere
da annegati
si scioglie l'aspetto composto
impettito in piedi
davanti a un boccheggiare
che si rovescia calmo
uno, uno, uno
e più ultimi respiri
caldo, prova di uno
stagno privo di riflesso
grigio di putredine argento
ritira il piede bagnato,
inzuppato di tutta la sete
ora incolore
questa è la morte mi spiego
convessa nella pupilla
di un pesce artico
- poco prima hai massaggiato
la pelle delle spalle
portava le tue tracce
un'impronta dal vero
la riconosci nel fondo della pozza-
*
il groviglio ti suggerisce amore
una delizia tutta prosciugata nell'asola
che si restringe
tendili, i fili
prosegui lungo il villaggio
zitto, dici
i fili cedono e cade un bottone
sotto i piedi
roba da tenere nelle mani
dita che sono
e frangente dove inghiottire
altra pelle
lei, dove?
Ha la schiena che si tende
come il filo
quando lo lavora e chiude
asole di nuovo
stringile le hai detto
tempo di acqua negli occhi
nodi forma
nei capelli e non vedi bene
per questo lacrimare
batte una campana
una e una e una volta
contali
fa un numero che ti sfugge
lei è più facile da toccare
dietro la legna
cade tutto ma il rumore è lento
quando arriva è già notte
si chiudano tutte le porte
*
si chiudano tutte le notti
rimane il giorno da masticarsi
anche se il bottone rimane, lento
l'odore chiude il naso, credi
si spinge direttamente dietro l'asola
e costringe i fili
in file di numeri primi
da guardarsi allibiti
quale parte trattenere per prima,
e come si forma un nodo
con le parole
vuol dire cappio nel quale passare
una e una volta
l'altra estremità
crosta nel dito
e altro per le mani
lattice ordine di molecole in fila
il filo inciampa se non incontra la pelle,
disorienta
*
lei si chiama
Judith, e non è ebrea.
Intinge le dita
in un succo blu
e le conduce verso una lavagna
dove scrive
acetilene e sottolinea
non guardarmi durante l'esperimento
la frizione della carne
ci indurrebbe nell'errore
di un peso ingenuo inglobato
ad altra massa
quella dello spazio che dobbiamo porre
su una bilancia a nanogrammi
la carne va indotta neutra
per essere misurata
senza incidenti a parte il bottone
l'acetato ci aiuta a sotterrare i colori
e adesso Judith siede di fronte a me
e non la vedo
è solo un brusco passaggio d'aria
ma la finestra
la chiuderemo
*
Tutte le palestre del mondo
Ci guardavano soffrire
Mentre stringevi il freddo nel legamento nudo
Soffiandoci sopra
Ribalti il margine
del dolore
e non ostacoli
una ferita da ortiche casuali
nel prato
dici
è solo uno di tutti i verdi possibili
-Leibniz avrebbe detto
Il palazzo dei verdi-
E il legamento e diventava verde
Ribaltava la sua frazione di luce
Diventando caldo
Uno dei verdi destino
*
Elemento primo
Della passeggiata a ritroso
È stato il paesaggio rilevato
Dalla sua consuetudine
Stormi che andavano
Alla rovescia
Smarrivano la direzione
Del verso corretto delle stagioni
Muggivano a dicembre
Roteando il cielo
Sopra la città
-Tornavano quando noi si partiva-
Poi gorgogliava
il giorno successivo
Noi andavamo indietro
Colmi di futuro con le gocce dei giorni
Che ci ballavano dentro gli occhi
(Andavamo a tavola
a spezzare in due
gli angoli del banchetto)
*
E Judith mi dice
Basta preparare
Con il sangue
Il giusto condimento al laboratorio
Le tue braccia si abbassano
giuste
Sotto il bordo del tavolo
bastano
Gli occhiali caduti
per gemere
Annusa l'orma del corpo
non è distratta quando afferma
Qualche fiocco bianco
raggiunge Torino
Elisa Davoglio è nata a Livorno, vive a Roma. Ha sempre lavorato come curatrice e promotrice di eventi culturali, fra i quali in particolare festival internazionali di poesia e letteratura. Attualmente è assistente presso la galleria di arte contemporanea "Monitor", Roma.
prima composizione - Frizione
*
Più non mi stringi
sete
acqua sgorga gialla
dall'angolo di un fiato
di un pesce quasi morto
al mercato
non si ha più voglia di bere
da annegati
si scioglie l'aspetto composto
impettito in piedi
davanti a un boccheggiare
che si rovescia calmo
uno, uno, uno
e più ultimi respiri
caldo, prova di uno
stagno privo di riflesso
grigio di putredine argento
ritira il piede bagnato,
inzuppato di tutta la sete
ora incolore
questa è la morte mi spiego
convessa nella pupilla
di un pesce artico
- poco prima hai massaggiato
la pelle delle spalle
portava le tue tracce
un'impronta dal vero
la riconosci nel fondo della pozza-
*
il groviglio ti suggerisce amore
una delizia tutta prosciugata nell'asola
che si restringe
tendili, i fili
prosegui lungo il villaggio
zitto, dici
i fili cedono e cade un bottone
sotto i piedi
roba da tenere nelle mani
dita che sono
e frangente dove inghiottire
altra pelle
lei, dove?
Ha la schiena che si tende
come il filo
quando lo lavora e chiude
asole di nuovo
stringile le hai detto
tempo di acqua negli occhi
nodi forma
nei capelli e non vedi bene
per questo lacrimare
batte una campana
una e una e una volta
contali
fa un numero che ti sfugge
lei è più facile da toccare
dietro la legna
cade tutto ma il rumore è lento
quando arriva è già notte
si chiudano tutte le porte
*
si chiudano tutte le notti
rimane il giorno da masticarsi
anche se il bottone rimane, lento
l'odore chiude il naso, credi
si spinge direttamente dietro l'asola
e costringe i fili
in file di numeri primi
da guardarsi allibiti
quale parte trattenere per prima,
e come si forma un nodo
con le parole
vuol dire cappio nel quale passare
una e una volta
l'altra estremità
crosta nel dito
e altro per le mani
lattice ordine di molecole in fila
il filo inciampa se non incontra la pelle,
disorienta
*
lei si chiama
Judith, e non è ebrea.
Intinge le dita
in un succo blu
e le conduce verso una lavagna
dove scrive
acetilene e sottolinea
non guardarmi durante l'esperimento
la frizione della carne
ci indurrebbe nell'errore
di un peso ingenuo inglobato
ad altra massa
quella dello spazio che dobbiamo porre
su una bilancia a nanogrammi
la carne va indotta neutra
per essere misurata
senza incidenti a parte il bottone
l'acetato ci aiuta a sotterrare i colori
e adesso Judith siede di fronte a me
e non la vedo
è solo un brusco passaggio d'aria
ma la finestra
la chiuderemo
*
Tutte le palestre del mondo
Ci guardavano soffrire
Mentre stringevi il freddo nel legamento nudo
Soffiandoci sopra
Ribalti il margine
del dolore
e non ostacoli
una ferita da ortiche casuali
nel prato
dici
è solo uno di tutti i verdi possibili
-Leibniz avrebbe detto
Il palazzo dei verdi-
E il legamento e diventava verde
Ribaltava la sua frazione di luce
Diventando caldo
Uno dei verdi destino
*
Elemento primo
Della passeggiata a ritroso
È stato il paesaggio rilevato
Dalla sua consuetudine
Stormi che andavano
Alla rovescia
Smarrivano la direzione
Del verso corretto delle stagioni
Muggivano a dicembre
Roteando il cielo
Sopra la città
-Tornavano quando noi si partiva-
Poi gorgogliava
il giorno successivo
Noi andavamo indietro
Colmi di futuro con le gocce dei giorni
Che ci ballavano dentro gli occhi
(Andavamo a tavola
a spezzare in due
gli angoli del banchetto)
*
E Judith mi dice
Basta preparare
Con il sangue
Il giusto condimento al laboratorio
Le tue braccia si abbassano
giuste
Sotto il bordo del tavolo
bastano
Gli occhiali caduti
per gemere
Annusa l'orma del corpo
non è distratta quando afferma
Qualche fiocco bianco
raggiunge Torino
Elisa Davoglio è nata a Livorno, vive a Roma. Ha sempre lavorato come curatrice e promotrice di eventi culturali, fra i quali in particolare festival internazionali di poesia e letteratura. Attualmente è assistente presso la galleria di arte contemporanea "Monitor", Roma.
possibile che non ci sia alcun commento? Le poesie mi sembrano davvero interessanti!
RispondiEliminagugl
Sì, brava Elisa, che usa la tecnica dei found poems con disinvoltura e intelligenza.
RispondiEliminaLe più riuscite mi sembrano la prima e le ultime due.
come sarebbe la tecnica dei "found poems"?
RispondiEliminagugl
anche a me queste poesie sembrano molto interessanti, mi piacciono soprattutto la seconda terza e quarta. mi pare ad esempio che bottone-fili sia un'immagine, un'idea fissa che, come è in genere per le "fissazioni", dice molto dell'intorno in cui è calata, perchè non si limita a descrivere, ma racconta, qui affabula persino i corpi. trovo davvero efficace il modo di procedere di questa scrittura, insomma la sento molto, risuona(che poi è quello che cerco leggendo), per una via che non passa necessariamente attraverso il sentimento, o non solo quello (ciò per me è un valore aggiunto). brava all'autrice.
RispondiEliminaerika
confermo!
RispondiEliminagugl
Ciò che mi colpisce nei versi di Elisa è la capacità di far dialogare una fantasmagoria di eventi [l’oggetto non è mai inteso come “correlativo”, bensì elemento che scioglie (o crea?) un mistero] alla più intima percezione, quasi che l’immagine (mosaico formato da tessere che mescolano e uniscono realtà e finzione) servisse non già ad evocare, bensì ad interrogarrsi e quindi ad affondare “sensibilmente” lo sguardo in una stanza, sino a quel punto, privata. Mi sembra che proprio nel carattere "duale" (né singolare né plurale, ma coppia di enti) si trovi la cifra più riconoscibile.
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