lunedì 28 novembre 2011

Roberto Cogo



Il «movimento» di cui parla Roberto Cogo in Senza il peso di un pensiero (Ladolfi Editore, 2011) ha un fluire danubiano, senza scosse, in armonia con l'asse terrestre e con i battiti del suo cuore. E persino con le sue convinzioni sul mondo, dove la storia e la politica sono deformità patologiche, mentre la natura, che pullula sotto e fuori dalla coltre degli artifici umani, è madre terrestre, fonte continua d'insegnamento. Essa non ci nasconde il dolore; semplicemente lo rende abitabile, senza abbellimenti retorici o ideologici. La poesia, che è «ricerca esasperata in briciole d’eterna bellezza», opera infatti entro una verità «dove la morte è sempre compresa», come già gli amati suoi poeti americani avevano annunciato. Non è «misticismo» questa sua scelta, «ma salutare immersione in un progetto illimitato / fatto d’aria e luce e calore», secondo il dettato del «vecchio walt che insegue il canto degli uccelli / parlando di un processo senza fine — // di accoppiamento e trasformazione». Cogo lo va predicando sin dall'inizio del suo viaggio, che consiste appunto nel cercare la quiete dentro il movimento, mai come ora cercandola nei luoghi del biografico, là dove il poeta puntella il senso delle proprie scelte esistenziali: Schio, Kassel, l'Austria, Fasano (nelle Puglie), sono tutte radici che danno l'albero degli affetti, dal padre, alla madre, ai fratelli, alla moglie, ma anche un sostegno alle convinzioni, alle idee, cui contribuiscono altresì l'Irlanda – Achill Island in particolare, dove soggiornò nel 2009 come poet in residence – e il suo dialogo ininterrotto con il poeta J. F. Deane, «cercando di decifrare l’enigma» della propria vita, come gli capita di fare nel tronco degli ulivi cantati nella sezione ulivi a mare.

Sullo sfondo, una passione per la vita e la ricerca della vertigine di immergersi «nell’aumento vigoroso della luce», ripartendo da Monet, forse, dal principio della modernità artistica, quando i sensi ancora dialogavano con l'iride del paesaggio e la scaltrezza avanguardistica non era nata. Meglio lo spirito dell'haiku e del saggio, il quale osserva quietamente lo scorrere d'ogni cosa: «resta un fatto, l’essere qui seduto / su un nero avanzo di tronco rosicchiato dal tempo / nel freddo pomeriggio radioso di fine inverno // e questo è tutto». La vita, ci dice, non va creduta liscia, chiara, senza crepe, anzi. Tuttavia il tronco «rosicchiato», «nero», e il «freddo» pomeriggio non difettano d'alcun ché, non ci consegnano alla nostalgia, essendo emblemi del darsi delle esistenze nella loro caducità, del vissuto che resiste al tempo dell'annientamento, così come le tazze sbrecciate nello Zen e i wiengarten descritti nel capitolo wien, tentativi riusciti di arginare la deriva storica, con ciliegi, cipressi, sorbi, ghiandaie e pettirossi ad imitare il paradiso terrestre, a «offrire ancora nutrimento illimitato» in un'aspra regione come l'Austria, terra dove la natura non è soffocata, ma dialoga con i suoi abitanti, contornandone anche il paesaggio urbano. La Vienna che Roberto ci racconta sembra infatti un paese mediterraneo, pacifico nel suo scorrere e azzurro, nel cielo e nel fiume. E' forse una favola, ma che lui ha visto davvero e che ci dona affinché noi si possa ritrovare un appoggio in tanto bufera.

La sezione più metafisica forse, quella in cui non soltanto s'incoraggia a vivere con i sensi allerta, per avvertire l'impercettibile farsi «schianto», ma si cerca l'immedesimazione con gli elementi («essere prato e roccia / albero che cresce i suoi rami nell'attesa della pioggia», rinunciando all'umano per stare «dinanzi allo scenario naturale») è Supplementi di viaggio, che apre il libro dandogli l'intonazione, quasi come un diapason, che voglia usare la parola-vibrazione «come cuneo, come unico valico», luogo del transito per felicemente cedere, abbandonandosi all'energia del luogo, metafisico esso stesso nella sua luce indeterminata, nel biancore in cui sovente l'autore ce lo consegna. Paesaggio non di rado segnato dagli alberi, da sempre presenze importanti nella sua poesia, quell'albero che, come scrive in Nel movimento (Edizioni del Leone, 2004), «ancora / cammina / tra le nubi / il tronco conficcato nella terra».

Cielo e terra, con le loro variazioni cromatiche, descritti in Alfabeto naturale, la sezione di poesie tradotte in inglese da J. F. Deane, che cantano torrenti locali «spesso penosamente in secca», ma anche il bosco di Kassel e il miracolo della «vita in movimento» (compreso quello della parola poetica), per giungere all'ultimo paragrafo, scritto direttamente in inglese dall'autore scledense, omaggio al soggiorno ad Achill Island e ad una lingua che lo costituisce come patria culturale, a fianco del tedesco, lingua materna e dell'italiano, lingua dell'esperienza, della ribellione giovanile diventata, oggi, saggio discernimento.


Sez. Supplementi di viaggio

*

davvero disse — basta soltanto udire e vedere
vivere ogni cosa con tutti i sensi
essere prato e roccia
albero che cresce i suoi rami nell’attesa della pioggia




*


l’antico ippocastano alla confluenza dei due fiumi
segna un inizio — con la sua ombra assottiglia la differenza
la tonalità verdazzurra delle acque tra le increspature d’onda
regolando il flusso delle correnti avvia un nuovo corso




sez. Schizzi d'Austria



bärenshulsattel (m. 1795)


quelle nubi gonfie d’acqua adagiate sulla punta
degli abeti allineati
lungo il ripido dei monti stretti tra le valli
nell’altopiano austriaco

l’inesorabile serpente d’asfalto sotto a spostare
merci e persone

poi si sfaldano in isole di bianco contro lo sfondo
scuro come fumetti pensosi
o sogni verdi di umidità e piogge
nel morbido riflusso avvolgente del silenzio

un tonico salutare spalmato sulle rughe in volto
al mondo

scriverne percependo il peso delle piume
sotteso a un corpo di mobili terre
tra accumuli spinosi di aghi e foglie
nel sacro marciume che il piede rivolta con cura

l’invisibile elemento biologico in simbiosi col suolo
e con la melma

ecco il viscido galoppo a fisarmonica del lombrico
il brulicare affaccendato della formica
nel basico silenzio geologico ignorato
perennemente presente e vivo

un inquieto mutamento a somigliare e sovrapporsi
al tempo dell’oblio



peter lappi


l’io in un palmizio accanto alla luce dell’oasi
ad allargare il concetto di poesia
ad elevarsi sulle vette delle alpi retiche e noriche
dando voce ad una personale cartografia
al volteggio delle due aquile contro l’azzurro
sopra le punte degli abeti impassibili
lo sfondo squarciato dal grido ripetuto
eco a un richiamo dei primordi
senza nomi o cataloghi senza suddivisioni
soltanto gli elementi di un sapere naturale
ad orientare gli sguardi riconsiderando
di anno in anno alterazioni alla mappa del mondo

a salire verso le cime cosparse d’azzurro
col suolo calpestato così pregno d’acqua
i rivoli a scendere infiltrati tra le crepe
negli umori segreti del bach di trieben
a congiungere un irto di milioni d’abeti
proiettati verso la luce nel cielo scrosciante
dal profondo verso lontane corolle sulle cime
i profili accomunati dalla striscia luminescente
di un bagliore come un’aura di saggezza e forza

salendo ancora con l’essere compresso
nell’andare percorrere stradine ghiaiose
o felpati sentieri di bosco tracciati nei millenni
dagli uomini per bisogno o follia — dai cervi
come da altri animali del folto — sentieri
a tratti di muschio gentile o come manate a sferzare
il volto e le gambe con ostili cambi di direzione
tra lontananze di roccia e granito nell’attesa
della grafite — grafite in scaglie e monconi di massi
strappati al corpo nudo dei monti — arti
in polvere e scisto nel pensiero orale di geologie
rivestite dai più solenni dubbi

su fino alla comparsa della baracca di legno
dove peter bambino giocava a scoprire il mondo —
adesso tutta un crollo un avanzo
il tetto squassato dal peso della neve
per un tempo che fu d’oro — tutto da rifare
chissà per quante volte ancora



wasser (brot und steierkäse)


dedico questa pagina inadeguata
alla miriade di rigagnoli in discesa dai monti
al loro prezioso congiungersi e confluire
nell’argento del ruscello a fondo valle

all’acqua che fruscia il suo idioma tra le pietre
nello schiumare di bolle a ogni salto o caduta

dedico queste parole al prodigio riapparso
nella luce del sole di sorgenti e risorgive
dopo il viaggio nel corpo di tenebra e gelo
dalle mille e mille stratificate geologie

al sistema circolatorio delle rocce cristalline
lo spruzzo che nei loro organi vive

dedico queste sillabe cagliatesi tra le mani
all’indomita energia delle argille
al raccogliersi creativo di sedimenti e arenarie
al nome del bianco calcare senza fine

a scisto e grafite come a falde di granito
per ogni legame cresciuto nel silenzio delle ere



wiengarten 1


il giardino viennese è un grande ciliegio
contornato da tulie cipressi nani e pini screziati
tra il verde e l’azzurro nell’ibisco color malva

un vecchio muro nel riverbero rossastro
delle aspre bacche del sorbo in grappoli
con un ampio tiglio chinato su una giovane quercia

la realtà del luogo intrappolata nella lingua
fino alla comparsa di uccellini taciturni a dare vita
ai colori con movimenti aggraziati tra i rami

saltellando con discrezione da un albero all’alto
nel fremito delle fronde al loro passaggio
al tocco delle scheletriche zampette — adesso

il luogo è questo queste le parole di questo silenzio



sez. Alfabeto naturale / Natural Alphabet



3 .........al Leogra 1


uno stato di chiarezza spirituale
dove tutto appare possibile e trasparente —
liquido o scintilla
fluido difforme in sciolta vegetazione...

come organi aperti da dentro sull’origine dei mondi

non l’idea della creazione
ma un costante incessante schiudersi della materia
sotto forme incalcolabili di energia

per trasparenza
per chiarezza
per barlume e soffio del genio naturale

l’ineccepibile radice aggrappata al seno terreno
alla fertile sostanza
al prillare eterno del cosmo

non è misticismo
ma salutare immersione in un progetto illimitato
fatto d’aria e luce e calore

non è distacco
ma umido contatto avvolgente con la terra e il suolo
con la sponda e il greto del solito torrente

è il vecchio walt che insegue il canto degli uccelli
parlando di un processo senza fine —

di accoppiamento e trasformazione



3........ by the Leogra 1


a state of spiritual clarity
where everything seems possible and transparent —
liquid or sparkle
formless fluid amongst loose vegetation…

like organs exposed from within over the origins of worlds

not the idea of creation
but a constantly incessant opening-up of matter
under incalculable forms of energy

for transparency
for clarity
for a gleam and whiff of the natural genius

the faultless root grasping at the breast of earth
at the fertile substance
at the eternal spinning of the cosmos

it is not mysticism
but a salutary immersion in a project without limit
made of air and light and heat

it is not separation
but a wet wrapping contact with earth and soil
with the bank and bed of the usual river

it’s the same old walt pursuing the song of birds
speaking of a process without end —

of coupling and transforming


da Achill poems

Leaving Dublin, Heading for Achill


the big city is not the land
it’s just a part of it — green fields are all around
and sheep and cattle and a flock of birds

dipped in a grey air wrapping up the sky
really closing the view
to a bluer contact with the above —

travelling is the same everywhere you go
you can move from town to town
losing your link with the earth

that’s why the city is not the land nearby
but just a little part of it

15 Aug. 2009



Lasciando Dublino, puntando verso Achill


la grande città non è il paese
è solo una sua parte – tutto intorno campi verdi
e pecore e bestiame e uno stormo d’uccelli

immersi nell’aria grigia che avvolge il cielo
a chiudere del tutto lo sguardo
verso un contatto più azzurro con l’alto –

viaggiare è uguale ovunque si vada
si può andare di città in città
perdendo il contatto con la terra

ecco perché la città non è il paese intorno
ma solo una sua piccola parte


Roberto Cogo è nato a Schio (Vicenza) nel 1963. Qui la sua bibliografia.

10 commenti:

  1. per l' autore mi è evidente che l' haiku sia una delle cifre cifra stilistica di riferimento più imperniante attorno alla quale si configurano episodicamente o meglio è un divenire creato quelle che Barthes autocitandosi chiama: anamnesi
    [cut]
    "In Barthes du Roland Barthes vi sono delle sorte di haiku che non sono affatto date in forma poetica e che ho chiamato "anamnesi": ricordi di infanzia e di giovinezza, dati in una due o tre frasi al massimo e che hanno questa caratteristica - almeno spero, è difficile realizzarla - di essere assolutamente senza eco. Che non si sono solidificati.
    [cut]

    da La grana della voce - Cap. venti parole-chiave per Roland Barthes.

    potrei anche essere in errore a fare questa comparazione ma lo rischio volentieri.

    personalmente mi sono molto piaciuti i primi due testi più brevi. quelli a seguire li ho percepiti meno un meno dato dal "sovraccarico" di imput nasrrativo una sorta di prosa nella poesia ma da essa slegata meno compenetrata.
    almeno questo in forma non molto sviluppata - e me ne scuso - il mio opinabilissimo sentire.
    un saluto a te Stefano, all' autore Roberto Cogo e ai tuoi ospiti.
    paola lovisolo

    ps: mi permetto di usare il mio account di blogspot anche per iniziarlo (non credo lo userò mai il blog)

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  2. grazie per il commento. io direi che è una poesia in cui il tasto lirico è volutamente tenuto sottotono. I riferimenti, forse, sono più alla letteratura inglese e americana.

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  3. ringrazio entrambi per le considerazioni - i due riferimenti, all'haiku e alla poesia anglo-americana, mi stanno benissimo, come stefano ben sa. sinceramente, cara paola, tendo a non distinguere molto tra prosa e poesia quando scrivo. certe esigenze, anche del momento,mi spingono ad andare a capo più frequentemente, oppure a sciogliere il verso in ritmi e suoni che lo allungano o lo conducono oltre. grazie comunque dell'intervento. roberto

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  4. (paola lovisolo) cara polvere30/11/11 15:13

    lo strumento della rete a volte ( mi) rende a volte no: e mettici il desiderio di spiegarmi l' idiosincrasia per il "linguaggio tecnico" - che comunque non so - a categorizzare o comunque a cercare di dire il sentire che ciò che leggo rimanda... viene fuori un quadro frustrante e credo incompleto per chi legge. ma la rete è questo e anche altro.

    con quanto scritto precedentemente intendevo dire che almeno alla mia lettura la natura della tua scrittura tende all' essenziale allo sfrondare in divenire di quanto potrebbe oscurare la tua originaria percezione che si concentra essenzialmente o ha come attrattore nel rimandarsi alla forma pura e distaccata dell' haiku accerchiata poi dalla somma delle tue esperienze di vissuto e poetiche. ciò che tu crei attorno lo sento come "aggiunto dopo" ma non ho detto che appositamente è un tuo lavoro a tavolino dove elabori coscientemente la "scissione". sicuro è una mia reazione soggettiva [ che nulla ha ne nulla vuole indagare o polemizzare sull' azione della tua personale ricerca poetica o del senso di essa ] quella di leggere due piani di scrittura sì complementari e permeati una dall' altro ma talvolta solo perifericamente irradiarsi a perdersi nel centro per costituire un' approssimativa unità emergente (comunque difficile o impossibile configgere in unità assoluta e disoggettivata dal lettore) come invece trovo sia più "compiuta" nei primi due testi che mi sono piaciuti davvero molto. mi scuso per la lungaggine e semiconfusione di esposizione. buon prosieguo di giornata.
    paola

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  5. grazie della puntualizzazione cara paola. apprezzo lo sforzo di rendere più chiaro il tuo iniziale approccio e la tua interessante riflessione. in ogni caso, questa è una selezione limitata di un libro articolato in 5 diverse sezioni, dedicate a luoghi, ambienti, situazioni e relazioni spesso anche lontane tra loro a cui ho cercato di dare una continuità legata solo all'idea del viaggio e dell'ambiente. per questo forse in alcune sue parti la scissione di cui scrivi si rende più evidente. tu stefano che hai il libro tra le mani cosa ne pensi? grazie ancora. roberto

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  6. a ma pare interessante l'ipotesi che tu, Roberto, abbia nell'haiku la forma elementare, il "quanto" su cui costruisci il tuo discorso. Prova ad approfondire la questione.

    Il libro, come ho scritto nella prefazione, è molto articolato. Il paesaggio diventa via di salvezza e ferita nello stesso tempo, anche sulla scorta di una posizione ecologica, ma non ecologista (senza isterismi, intendo)

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  7. Io, che non ho ancora letto tutto il libro ma ne conosco alcune poesie, dico solo una impressione forse superficiale: mi sembra che Roberto abbia rastremato in certi momenti la sua scrittura, rendendola non dico più asciutta ma più essenziale e leggibile senza perdere in profondità e richiami.
    E mando un caro saluto a Roberto e a te.

    Francesco t.

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  8. l'haiku per me rappresenta da sempre un'idea di poesia, un bagliore che mi attraversa per intero ogni volta che tento un nuovo avvicinamento al mondo delle parole, un attraversamento e un punto mai raggiunto a cui tendere...forse anche un richiamo e un invito. grazie a voi tutti. roberto

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  9. per quanto riguarda la mia "posizione ecologica", ti rispondo, caro stefano, con una poesia (inedita).

    pozze dell’indugio


    tornò a scrivere per disporre l’adesso
    quasi senza saperlo
    forse per starsene lontano dalle pretese —

    con l’airone cinerino in volo nel tortuoso
    lungo la valle a scrutare tra i rami
    la mappa di pozze dell’indugio

    lo sguardo dall’alto su un regno di buche —
    l’acqua raccoltasi senza clamore

    gli occhi incollati alla geopoesia delle cose
    il loro reticolo stretto a inseguire un profilo
    d’ali contro il cielo settembrino —

    questi i motivi del richiamo gli attimi
    di un risveglio in vista del sonno ulteriore

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  10. "geopoesia delle cose", appunto, del verde che non intrica i malleoli ma i pensieri.

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