Di questa autrice romana, nata nel 1922, Alfio Petrini scrive «Tra le opere che hanno maggiormente caratterizzato il lavoro della Bentivoglio segnalo la serie - di variegata potenza espressività - incentrata su due lettere dell'alfabeto: la O e la E. La O come lettera dell'alternativa. Come segno del tutto vuoto/tutto pieno, della regressione e della potenzialità. Come uovo archetipico, al quale hanno fatto riferimento, prima di lei, grandi artisti come Beato Angelico e Piero della Francesca. L'uovo come "mio segno costante -- dice l'autrice - emblema della vita, simbolo cosmico della perpetuità e dell'origine". L'uovo come simbolo e come oggetto del quotidiano. Come emblema filosofico e come commestibile che porta con sé il profumo delle faccende domestiche. Come significato alto e basso allo stesso tempo, inscindibili. L'uovo è una sorta di linea d'ombra. E' una soglia. Da una parte ci pone al riparo dagli "eccessi di anima" (Barilli), e dall'altra ci protegge dagli eccessi di materialismo dilagante. [...] Se la lettera O esprime un'alternativa, la E significa congiunzione, giuntura, legame, raccordo, movimento, combinazione che mette insieme cielo e terra. Ma è anche segno di contrasto, contrario, opposizione, diversità, congiunzione irrisolta, accoppiamento fallito, e quindi errore, stasi, appiattimento, naufragio dell'esperienza. [...] L'artista torna ai primordi e si fa chimico più che alchimista. Combina, duplica, trasforma e restituisce "alla verbalità l'antica forza propulsiva dell'ideogramma", restando ben salda sul crinale che mette insieme dato cognitivo e dato sensibile. Da questo punto di vista le lettere O ed E sono i segni di un procedimento che porta con sé la metafora della creazione artistica. Se la O riconduce ad unità di stile e di poetica valori opposti e contrari, la E ne salvaguarda la irriducibilità, rendendoli palpitanti come scintille di luce nel buio».
Interessante la dichiarazione di poetica della Bentivoglio (1985): «Uso la parola come immagine dal 1966. E mai più di una parola per volta. Ma oggi uso quasi esclusivamente la pietra. Sono considerata, erroneamente, uno scultore, sia pure atipico; in realtà il mio lavoro si svolge, oggi come ieri, in un ambito totalmente «poetico»: tra linguaggio e immagine, tra linguaggio e materia, tra linguaggio e oggetto, tra linguaggio e ambiente. Ho dilatato l'uso della parola all'uso del simbolo: scelgo simboli universali, prelinguistici; matrici dei significanti, o, meglio ancora, matrici dei significati plurimi, dei significati aperti. Non scolpisco, non uso la materia prima; la scelgo, e trovo la forma in ciò che già esiste. Uso così la materia seconda, come ha sempre fatto il poeta (anche la parola è materia seconda, materia già formata). Salto il primo stadio, che lascio all'industria, o all'artigiano, l'antico depositario dell'esperienza materica; connoto la forma e la materia prescelte con segni-interventi, o con assemblaggi. Del corredo linguistico a cui attingevo nel passato mi è rimasta solo qualche forma: la forma del libro (sempre in pietra, e ormai privo di parole, ma ogni volta diversamente, intensamente semantizzato) e la forma di alcune lettere alfabetiche: la H, la O, la C, la E. Usandole spezzandole, riunificandole, mi scontro con archetipi: la mia H (segno muto, di separazione, di alienazione che gradualmente si trasforma in E (segno e forma di «congiunzione», di rapporto) dà luogo a una sequenza che è una dichiarazione di poetica e, se letta verticalmente, è una frase composta di ideogrammi cinesi. Che significa, all'incirca: distruggere per costruire. E dunque, la stessa cosa. Lo stesso ambito di significati, raggiunti attraverso forme insieme alfabetiche e prealfabetiche, capaci di congiungere tempi e spazi immensamente lontani».
Interessante la dichiarazione di poetica della Bentivoglio (1985): «Uso la parola come immagine dal 1966. E mai più di una parola per volta. Ma oggi uso quasi esclusivamente la pietra. Sono considerata, erroneamente, uno scultore, sia pure atipico; in realtà il mio lavoro si svolge, oggi come ieri, in un ambito totalmente «poetico»: tra linguaggio e immagine, tra linguaggio e materia, tra linguaggio e oggetto, tra linguaggio e ambiente. Ho dilatato l'uso della parola all'uso del simbolo: scelgo simboli universali, prelinguistici; matrici dei significanti, o, meglio ancora, matrici dei significati plurimi, dei significati aperti. Non scolpisco, non uso la materia prima; la scelgo, e trovo la forma in ciò che già esiste. Uso così la materia seconda, come ha sempre fatto il poeta (anche la parola è materia seconda, materia già formata). Salto il primo stadio, che lascio all'industria, o all'artigiano, l'antico depositario dell'esperienza materica; connoto la forma e la materia prescelte con segni-interventi, o con assemblaggi. Del corredo linguistico a cui attingevo nel passato mi è rimasta solo qualche forma: la forma del libro (sempre in pietra, e ormai privo di parole, ma ogni volta diversamente, intensamente semantizzato) e la forma di alcune lettere alfabetiche: la H, la O, la C, la E. Usandole spezzandole, riunificandole, mi scontro con archetipi: la mia H (segno muto, di separazione, di alienazione che gradualmente si trasforma in E (segno e forma di «congiunzione», di rapporto) dà luogo a una sequenza che è una dichiarazione di poetica e, se letta verticalmente, è una frase composta di ideogrammi cinesi. Che significa, all'incirca: distruggere per costruire. E dunque, la stessa cosa. Lo stesso ambito di significati, raggiunti attraverso forme insieme alfabetiche e prealfabetiche, capaci di congiungere tempi e spazi immensamente lontani».
Rinvio anche la lettura del suo decalogo su Tellusfolio
visto che nessuno commenta, lascio un invito:
RispondiEliminachi fosse nei paraggi di Macerata, domani sera, presento "La distanza immedicata", alla Galleria Antichi forni - Piaggia della Torre. Commenterà Giampaolo Vincenzi (che ringrazio sin d'ora)
lo spazio sinottico della pagina si trasforma in luogo aperto della natura, in sguardo totalizzante e immediato delle icone (forse meglio che 'simboli'); sullo sfondo una presenza di poesia concreta (forse di lettrismo), certamente interessante il valore che l'autrice dà alle varie lettere.
RispondiEliminapoeta visiva (e viva) che non conoscevo. grazie
un abbraccio
alessandro ghignoli
grazie Alessndro del commento e del passaggio in questo blog.
RispondiEliminaun caro saluto
gugl
sono passata anch'io, la poesia visiva non la capisco, mi spiace. ma un saluto lo lascio. antonella
RispondiEliminabene per il saluto. per la poesia visiva, però, devi approfondire la cosa. Qui è un fatto di testa. altrove di cuore (o fegato eccetera)
RispondiEliminagugl
le opere della Bentivoglio mi sembrano molto originali, ma mi chiedo se qualcuno sarebbe poi disposto a comprarle...
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