Vorrei partire da un paio di puntualissime frasi pronunciate da Luisa Pianzola circa un anno fa nel sito nomadi mondi: "Con la poesia ci si muove in profondità, come sommozzatori, per riemergere con cristalli leggeri e taglienti che parrebbero non conoscere che la superficie. Poesia è il centro, è cercare di tenersi legati a un centro."
Dunque: poesia è immergersi e tornare in superficie con un tesoro, come scrive Ungaretti nel porto sepolto; e: "Poesia è il centro" ossia ciò a cui nulla manca, è il senso in quanto tale, l'unità del sacro, da sempre invocata; ma anche: poesia "è cercare di tenersi legati a un centro". Poesia e poeta non sono dunque la medesima apertura. Per questo la poesia ci coglie impreparati, dis-locati nei pressi del senso, ma ancora antropologicamente incompiuti, lì vicino, ma fuori. Tutti. Nostro compito, ci dice la Pianzola, è intraprendere il viaggio verso il luogo del senso. Che è il nostro luogo, ciò che ci è più proprio. Il lettore è chiamato a rispecchiarsi in quel cerchio, per deformarsi infinitivamente, ad ogni nuova lettura; l'autore ha invece la responsabilità di dialogare con la radice che lo tiene nell'aperto del dire, che lo vuole lì, in ascolto. Una radice transpersonale, un legame che lo tiene in comune con gli altri, con ciascun altro. Dice Rimbaud: il poeta ha una responsabilità anche nei confronti degli animali, parla anche per loro. Il poeta infatti dice per ciascun altro, a nome di tutti, il nostro essere mortali parlanti, interpretanti, musicanti, come i suonatori di Brema, affamati e al centro d'ogni cosa che conta: il ritmo. Le cose, le persone, lo sfondo, vibrano nel cerchio della relazione messa in moto dalla scansione ritmica, dal suono. Così fa la Pianzola, costruendo il centro (per sé e per ciascuno di noi) a partire dal mattoncino sillabico desublimato, dall'attenzione puntuale per le zone d'ombra, dall'affetto verso gli autori prediletti, dalla trasformazione del ricordo in occasione sapienziale, alleggerita da un'ironia figlia dell'intelligenza e del pudore.
da La scena era questa, (LietoColle, 2006)
Ero un cane in fin di vita
Ero un cane in un cortile in fin di vita
ma poi venivano le rondini i guardiani
e il cane che ero non moriva
salvavo invece una legione di formiche
(è successo che io, cane che ero, dormivo
e col corpo pesante spiumato sollevato
in un punto proteggevo un nido sotto me
turrito, interrato per poco)
da allora il cane che sono non si muove
avanza al massimo qualche decimetro sulla
ghiaia. E mi han fatto salvatore, un moribondo
salvatore salvato. E ho terra tutt’attorno
e campi da guardare.
*
Vedi che aria dura porta via la gente
che aria secca e dura diventa fango
secco in un quarto d'ora
l'aria arriva sul viso aperto
pronto ad accoglierla benché non sia
vento marino,
anche un'aria secca di stanza chiusa
che ti taglia la bocca, ti ferma
come l'altro giorno, che aria dura
è arrivata.
*
Tutto diventa un feticcio, la biro
che sbava sul foglio, le mie dita che documentano
un fine pomeriggio di rituali, il pezzetto di carta
recuperato dal cestino. Mentre i ragazzi vivono
d'amore e di libere associazioni e comunemente
prendono piacere gli uni dagli altri, io sogno
di assembrare in me un codice
di maiuscole e trattini, si può?
*
allora era vero, quel sorriso
per davvero regalavi a labbra e occhi
uniti in uno spicchio di bontà nel salutare
e con quanta solerzia e voglia d'incontrare
umani hai scritto e riscritto a penna e carta
il rifiuto e l'abbraccio insieme, l'esattezza
delle forme, il crollo acuto verso il basso la corte
aperta, che bellezza un altro come me
ho pensato, uno che corre piano... (il libro
si chiudeva frettoloso, non sempre quando godi
tendi alla fusione o meglio ti allontani per poi tornare
ma non ora, chiudevo per riaprire la scommessa
amando di botto e completamente e subito)
Un buon inizio
Primavera ancora risuona giù
nella strada dove case nuove tutt'attorno
salutano la gonnerella che non sai ancora
togliere, bisogna imparare a pescare qui e là
dalla gran riserva della vita difficile
così le stalagmiti del mattino-sera vengon su dritte dritte...
santa cupezza è uno strale sicuro, unica possibilità
d'ormeggiare in qualunque momento e differire
il progetto d'organizzar trasumanar (se ti calassero
giù sotto il livello delle autostrade
non sentiresti per nulla l'armeggiare e vedi
in che gattabuia andrebbe a finire la storia
che non sai non sai che fare di te
non riesci ad amare eccetera)
*
Tu sei l'asino grigio, che chiamo uomo-fratello
e dentro ho la pietà, come i poveri del mondo
che mostrasti al reporter del tuo sguardo
con quel carico di bombe e strade che non conosci,
peggio del sentiero polveroso il tuo mestiere
e un carico d'affanno senza storia
corpo carretto dilaniante e pietre polverose,
che muori sette volte in petto alle macerie
ora che passerà e non per fatica la sera fatta buia
zoccoli disseccati, uomini che dilaniasti
mite nel podere di Hassam e un funerale deragliato
asino e ossa e molti dei suoi figli, ciuco fratello
e mai più carico di Hassam, per la nostra Guernica
*
Quante volte ci siamo chiesti
che significa - essere poeti. Questo
significa - avere tutte e dieci
le bisacce vuote, non avere che questo
(dieci bisacce vuote) al culmine degli anni
(venti o cinquanta fa lo stesso)
Non far altro che cercare di
riempire le bisacce e sentire in testa
come un colabrodo che non te lo permette
Vagliare in continuazione la scoperta
rimuginare sull'eterna assemblea
di delitti e storie piccoline
Luisa Pianzola (Tortona 1960), laureata in storia dell’arte contemporanea, giornalista pubblicista. Dopo i saggi di architettura Alberto Sartoris, da Torino all’Europa (Alberto Greco Editore, Milano 1990) e Prima del Progetto, disegni della formazione di Alberto Sartoris (Sapiens, Milano 1993), ha pubblicato le raccolte di poesia Sul Caramba (Sapiens, Milano 1992), Corpo di G. (LietoColle, Faloppio 2003, prefazione di Maurizio Cucchi), La scena era questa (LietoColle, Faloppio 2006, prefazione di Gianni Turchetta). Cocuratrice dell’edizione 2006 de Il Segreto delle Fragole (LietoColle), sue poesie sono apparse in riviste, antologie e siti di poesia online. È coautrice, con Alberto Mori, del video di suoni, parole e immagini Bíos.
Dunque: poesia è immergersi e tornare in superficie con un tesoro, come scrive Ungaretti nel porto sepolto; e: "Poesia è il centro" ossia ciò a cui nulla manca, è il senso in quanto tale, l'unità del sacro, da sempre invocata; ma anche: poesia "è cercare di tenersi legati a un centro". Poesia e poeta non sono dunque la medesima apertura. Per questo la poesia ci coglie impreparati, dis-locati nei pressi del senso, ma ancora antropologicamente incompiuti, lì vicino, ma fuori. Tutti. Nostro compito, ci dice la Pianzola, è intraprendere il viaggio verso il luogo del senso. Che è il nostro luogo, ciò che ci è più proprio. Il lettore è chiamato a rispecchiarsi in quel cerchio, per deformarsi infinitivamente, ad ogni nuova lettura; l'autore ha invece la responsabilità di dialogare con la radice che lo tiene nell'aperto del dire, che lo vuole lì, in ascolto. Una radice transpersonale, un legame che lo tiene in comune con gli altri, con ciascun altro. Dice Rimbaud: il poeta ha una responsabilità anche nei confronti degli animali, parla anche per loro. Il poeta infatti dice per ciascun altro, a nome di tutti, il nostro essere mortali parlanti, interpretanti, musicanti, come i suonatori di Brema, affamati e al centro d'ogni cosa che conta: il ritmo. Le cose, le persone, lo sfondo, vibrano nel cerchio della relazione messa in moto dalla scansione ritmica, dal suono. Così fa la Pianzola, costruendo il centro (per sé e per ciascuno di noi) a partire dal mattoncino sillabico desublimato, dall'attenzione puntuale per le zone d'ombra, dall'affetto verso gli autori prediletti, dalla trasformazione del ricordo in occasione sapienziale, alleggerita da un'ironia figlia dell'intelligenza e del pudore.
da La scena era questa, (LietoColle, 2006)
Ero un cane in fin di vita
Ero un cane in un cortile in fin di vita
ma poi venivano le rondini i guardiani
e il cane che ero non moriva
salvavo invece una legione di formiche
(è successo che io, cane che ero, dormivo
e col corpo pesante spiumato sollevato
in un punto proteggevo un nido sotto me
turrito, interrato per poco)
da allora il cane che sono non si muove
avanza al massimo qualche decimetro sulla
ghiaia. E mi han fatto salvatore, un moribondo
salvatore salvato. E ho terra tutt’attorno
e campi da guardare.
*
Vedi che aria dura porta via la gente
che aria secca e dura diventa fango
secco in un quarto d'ora
l'aria arriva sul viso aperto
pronto ad accoglierla benché non sia
vento marino,
anche un'aria secca di stanza chiusa
che ti taglia la bocca, ti ferma
come l'altro giorno, che aria dura
è arrivata.
*
Tutto diventa un feticcio, la biro
che sbava sul foglio, le mie dita che documentano
un fine pomeriggio di rituali, il pezzetto di carta
recuperato dal cestino. Mentre i ragazzi vivono
d'amore e di libere associazioni e comunemente
prendono piacere gli uni dagli altri, io sogno
di assembrare in me un codice
di maiuscole e trattini, si può?
*
allora era vero, quel sorriso
per davvero regalavi a labbra e occhi
uniti in uno spicchio di bontà nel salutare
e con quanta solerzia e voglia d'incontrare
umani hai scritto e riscritto a penna e carta
il rifiuto e l'abbraccio insieme, l'esattezza
delle forme, il crollo acuto verso il basso la corte
aperta, che bellezza un altro come me
ho pensato, uno che corre piano... (il libro
si chiudeva frettoloso, non sempre quando godi
tendi alla fusione o meglio ti allontani per poi tornare
ma non ora, chiudevo per riaprire la scommessa
amando di botto e completamente e subito)
Un buon inizio
Primavera ancora risuona giù
nella strada dove case nuove tutt'attorno
salutano la gonnerella che non sai ancora
togliere, bisogna imparare a pescare qui e là
dalla gran riserva della vita difficile
così le stalagmiti del mattino-sera vengon su dritte dritte...
santa cupezza è uno strale sicuro, unica possibilità
d'ormeggiare in qualunque momento e differire
il progetto d'organizzar trasumanar (se ti calassero
giù sotto il livello delle autostrade
non sentiresti per nulla l'armeggiare e vedi
in che gattabuia andrebbe a finire la storia
che non sai non sai che fare di te
non riesci ad amare eccetera)
*
Tu sei l'asino grigio, che chiamo uomo-fratello
e dentro ho la pietà, come i poveri del mondo
che mostrasti al reporter del tuo sguardo
con quel carico di bombe e strade che non conosci,
peggio del sentiero polveroso il tuo mestiere
e un carico d'affanno senza storia
corpo carretto dilaniante e pietre polverose,
che muori sette volte in petto alle macerie
ora che passerà e non per fatica la sera fatta buia
zoccoli disseccati, uomini che dilaniasti
mite nel podere di Hassam e un funerale deragliato
asino e ossa e molti dei suoi figli, ciuco fratello
e mai più carico di Hassam, per la nostra Guernica
*
Quante volte ci siamo chiesti
che significa - essere poeti. Questo
significa - avere tutte e dieci
le bisacce vuote, non avere che questo
(dieci bisacce vuote) al culmine degli anni
(venti o cinquanta fa lo stesso)
Non far altro che cercare di
riempire le bisacce e sentire in testa
come un colabrodo che non te lo permette
Vagliare in continuazione la scoperta
rimuginare sull'eterna assemblea
di delitti e storie piccoline
Luisa Pianzola (Tortona 1960), laureata in storia dell’arte contemporanea, giornalista pubblicista. Dopo i saggi di architettura Alberto Sartoris, da Torino all’Europa (Alberto Greco Editore, Milano 1990) e Prima del Progetto, disegni della formazione di Alberto Sartoris (Sapiens, Milano 1993), ha pubblicato le raccolte di poesia Sul Caramba (Sapiens, Milano 1992), Corpo di G. (LietoColle, Faloppio 2003, prefazione di Maurizio Cucchi), La scena era questa (LietoColle, Faloppio 2006, prefazione di Gianni Turchetta). Cocuratrice dell’edizione 2006 de Il Segreto delle Fragole (LietoColle), sue poesie sono apparse in riviste, antologie e siti di poesia online. È coautrice, con Alberto Mori, del video di suoni, parole e immagini Bíos.
Caro Stefano, grazie per le tue parole frontali, toccanti (nel senso, proprio, che toccano lì dove c'è da toccare). Le poesie che hai scelto (l'aria secca e l'asino, ad esempio) sono tra quelle meno lette, da me, nei reading e maggiormente legate a eventi reali della mia vita (e forse è per questo che non riesco a "leggerle" in maniera distaccata, e nemmeno a valutarle). Il tesoro di cui parli (e di cui parla Ungaretti) è effettivamente quel dono a cui la poesia e il poeta aspirano, anche nelle forme scritturali più sperimentali, lucide, a-liriche, impoetiche. Ad esempio, io sto lavorando a un quinto libro (il quarto uscirà per La vita felice tra un po') nel quale cerco di allontanarmi il più possiible da un concetto di poesia tradizionale, fatta di "picchi", di exploit, dove si ricorda un verso, una parola, e lavoro per creare un mood, un clima, un insieme che colpisca nella sua globalità, nel suo essere (o non essere) totale. Ma poi mi accorgo che, anche lì, limo, taglio, levigo, mi faccio prendere dal "demone delle varianti"... e forse allora solo in questo momento sento davvero di fare poesia. Un abbraccio e buon lavoro, luisa pianzola.
RispondiEliminami trovo molto d'accordo con la nota critica di Stefano, in un modo o nell'altro i problemi del senso (e del non senso) e della responsabilità del dire sono e restano cruciali per molta della migliore poesia contemporanea, italiana e non, a cui si annoverano senz'altro questi bellissimi testi di luisa,
RispondiEliminagrazie per il piacere della lettura,
un caro saluto,
alessandro broggi
cara Luisa, da quanto dici sul tuo ultimo libro, si capisce che stai cercando di uscire dalla sensibilità moderna inaugurata dal romanticismo. E' una operazione necessaria, che, mi pare, Alessandro sta facendo da qualche tempo. Nelle tue parole c'è però dell'altro, che non riguarda soltanto la necessità di dare forma al libro, bensì ha a che fare con la relazione esperienza-memoria, percezione-memoria, in una prospettiva assai sperimentale.
RispondiEliminaSono curioso di leggere qualcosa.
un caro saluto anche ad Alessandro.
La concezione "plastica" di Luisa resta indubbiamente collegata al racconto figurale, mantiene diretti riferimenti alla ‘persona’, ma si avverte una ricerca di stringata sintesi formale, con momenti di espressività particolarmente intensi affidata ora ai connotati anatomici, ora alla materia, ai segni, ai movimenti di essa secondo un sensibilità informale, o a particolari ridotti all’essenzialità emblematica, all’astrazione simbolica, in cui prevale il gesto nello spazio, come per accrescere le valenze e i significati che stanno dietro le apparenze, per accentuare i contrappunti che rendono più discorsive e colloquiali le "masse figurali" nel loro proporsi come elementi di attivazione dello spazio esterno (ambiente, luoghi di relazione e di ‘misura’) e di quello interno (esperienza, memoria, sentimento, intelligenza).
RispondiEliminaDue righe a caldo (magari un poco ingessate...), sperando di non avere male interpretato....
Fabiano
P.S. & O.T.
Stefano, GRAZIE per la lettura su VDBD !!!!
Poesia complessa quella di Luisa Pianzola, che unisce una grande capacità di decentrarsi da sé (cosa purtroppo non molto frequente in poesia!) all'amore per una narrazione pacata, eppure tagliente, che spesso si fa quasi apologo, senza dimenticare mai la pietas. C'è bisogno di una scrittura cosi, che vada al fondo delle cose distraendo il lettore con intelligenza sottile; parlando d'altro, soprattutto d'altro rispetto al solito intimismo stanco che non dice ormai più nulla a nessuno. Alessandra Paganardi
RispondiEliminadue ottime analisi. Grazie!
RispondiEliminagugl
Grazie a tutti per le belle parole. Stefano, riguardo all'uscire dalla sensibilità romantica, e alla ricerca che sto facendo nel mio ultimo libro (un lavoro successivo a quello finito da un pezzo e in uscita tra un anno circa), vorrei ricordarti che, tra questa cosa in preparazione e i testi da te qui pubblicati,c'è appunto il libro in uscita, da cui sono state tratte delle selezioni pubblicate qui e là (antologia Liberi in versi, La Clessidra, siti online), nel quale già mi sintonizzo su una lunghezza d'onda sensibilmente diversa (taglio narrativo, verso lungo ecc). Cioè, voglio dire: lungi da me il rinnegare questi testi pubblicati sul tuo blog, ma fanno parte (nella "forma", e qui ci sarebbe da fare un discorso interminabile su forma e contenuto) di una mia fase di percorso leggermente superata. (Che poi, mi vien da ridere: perché uno si arrabatta a cambiare, a cercare, a esprimersi in ritmi, tempi, modi diversi, e invece poi, in fondo, scrive sempre le stesse cose, anzi la stessa cosa. E forse, a ben guardare, nello stesso modo). luisa pianzola
RispondiEliminasì, fai bene a precisarlo. e, come dici tu, non c'è mai un vero superamento di una forma, bensì il suo avvicinamento per tentativi. Ogni passo in avanti è uno scarto di lato e una più ardita prospettiva sulla verità che ci in-forma.
RispondiEliminagugl
Un blocco da cui scaturiscono vertigini, il diamante?
RispondiEliminaAgglomerato di carbonio, ben allineato e coerente, e lo sfolgoramento dopo il lavoro.
Direi così, toccata e "ragionata" da molte sfaccettature di Luisa, eh si, Luisa, un nome che mi importa.
senza nulla togliere a questi testi, quelli nuovi (che son riuscita a leggere) mi piacciono di più...
RispondiEliminasono in attesa del libro!
ciao luisa!
s.
Cara Silvia, eh lo so, questi sono testi diciamo un po' "classici", ma del resto non mi è dispiaciuto che Stefano li abbia "riesumati" (e d'altra parte fanno parte di una pubblicazione del 2006, anche se alcune cose risalgono agli anni '90....) In ogni caso, sai com'è, anche per i poeti vale il detto: ogni scarrafone è bello a mamma soja... ;-) luisa p.
RispondiEliminaAl lettore: posto un paio di testi di Luisa, scritti nel 2007 e usciti nell'antologia di Liberinversi "Leggere variazioni di rotta" (Le Voci della Luna, 2008):
RispondiElimina"Si vive meglio nel fallimento oscuro, nella caritatevole assenza di illusioni che mette quel sentore sapido tra i denti e la lingua. Da questa posizione, guardando in su, il cielo è un fondo incatramato che ripara, schiaccia verso il basso insacca nell’ombra. E lì il respiro insiste, la catena massacrante scivola leggera sulle scapole che non sembra vero. Non conviene salire di grado, non pare bello disseppellire il capo con un colpo astuto della nuca.
*
Questo so, eravamo massa informe uniformemente amalgamata e gentile prima che ci facessero a pezzetti e tu fossi tu e le parole i gesti le figure tremolanti soverchiassero la gioia. Soppesare divenne l’esercizio, valutare il tempo come risorsa schifosamente progressiva. Cose che passano restano, per esempio la grammatica e il buio che ne deriva".
le differenze ci sono, ma anche qualche somiglianza, per esempio il piglio assertivo dei versi-frase.
Grazie stefano per questa proposta.
RispondiEliminaCara Luisa, cercherò le tue nuove poesie nel web per vedere se noto differenze con queste. Certo è che
che anche il poeta come la meteria si possa trasformare, ma io credo
che l'essenza dello scrivere rimanga: cambiano i modi, ma i messaggi rimangono i medesimi. Bello il concetto del riportare in superfice e al tempo stesso essere al centro. Farlo senza exploit, senza picchi, è la cosa difficile.
Creare stupore con cose semplici, magari creanado nuovi percorsi o nuovi ordini, per dire, svelare o meglio ancora, secondo me, per indurre suggerendo. Per questo, amo particolarmente poesie come queste lette.
vincenzo
Suggerire (e magari anche depistare), farsi stupire dalla scrittura (l'autore stesso, dico) che, misteriosamente, è costruita da, ma costruisce essa stessa il pensiero. Ingredienti per me basilari, caro Vincenzo, in poesia.
RispondiEliminaBeh, quando ci sono scambi come questi, mi riconcilio con i blog e credo che, grazie alla rete, qualcosa sia davvero cambiato, nella fruizione di un testo o nella condivisione di un'idea. Cioé: da una parte, la facilità e automaticità del pubblicare qualunque cosa in rete corre il rischio (per me molto presente) di banalizzare e depotenziare un'opera, rendendola più superficiale e indistinta dal magma mediatico che scorre a fiumi da tv e pc. Dall'altra, la rete offre l'incomparabile possibilità di incontrarsi, a cervelli e spiriti, come mai prima era stato possibile, in modo ineffabile ma tuttavia pregnante. Basta volerlo, basta non subire, cercare di resistere e rimanere il più possibile vigili e coscienti. luisa p.
Caro Vincenzo, grazie per questo tuo commento. io credo che il concetto di "messaggio" sia assai problematico in generale, e ancor più nello specifico della comunicazione poetica. Che cosa comunica infatti la poesia? forse sarebbe megli odire che "la poesia mette in comunione", e "si comunica, si gioca interamente nel singolo testo". Non dunque "messaggio" nella bottiglia-poesia, ma, forse, l'aprirsi della singolarità che siamo nello scarto imprendibile della parola che si versa qui, adesso; come dice Luisa: poesia è pensiero nel suo farsi, nel suo darsi all'attenzione di un pubblico attento, come qui su Blanc, per fortuna.
RispondiEliminagugl