martedì 17 ottobre 2006

Angelo Maria Ripellino


Poeta da tutti celebrato, ma sempre fuori dalle crestomazie, Angelo Maria Ripellino (1923 - 1978) scrisse di sé: "Vorrei che la mia poesia risonasse come un violino, comunque esso si chiami: violon, violìn, viool, hegedù, Geige, housle, skrzypce, skripka. Anche se storto, se guercio, e perciò chagalliano. Ma non dite di aver udito dalle mie labbra: «Ich bin ein russischer Jude». Perché, sebbene io sia imbrattato delle fuliggini del Mitteleuropa, nutrito di mille umori stranieri e come arrivato sin qui con un carrozzone dipinto di cal­derai, tuttavia nella barocca e ferale Sicilia nativa affondano le mie ra­dici. Penso talvolta che questo sradicamento sia la sorgente di tutti i miei mali, della mia vita in bilico.

[...] Creatura a disagio, spaesata, il poeta intona nel folto dello sfacelo i tempi di una sua «sinfonietta», recita i numeri di una guitteria, stralu­nato, bramoso di cantilene e di Kitsch, e così appassionato di metafisi­ca, da sembrar filisteo, come un archivista di Hoffmann. E per affiora­re dalla baraonda della banalità, dal grigiore dell'iterazione, non esita a travestirsi, assumendo nomi diversi, a cercare rifugio negli anacroni­smi, indossando maschere ormai inusitate di incantatore e pierrot, sus­siegose marsine e bombette." (1975)


la vecchietta


Avrebbe voluto che il figlio
diventasse un agente di assicurazioni
o un referendario.
Ma egli è partito senza dir niente
e chissà dove si trova, a Salisburgo o a Pamplona
a Bamberga o nella città di Polonia.
Vive sola la vecchietta dalle guance-meluzze,
dalla pelle di seta con ricami di rughe.
Le sarebbe piaciuto tenerselo accanto,
ma i figli fuggono, e il destino è destino.
Il marito, impiegato alle Poste, si è spento
molti anni addietro. Nella tana in cui vive
la vecchietta conserva i suoi sparati di celluloide
le sue bombette ed intere flottiglie
di colletti duri del tempo di Vienna.
Deliziosa vecchina un po' storta. Le pende
la sghemba e lunga sottana di mussola.
L'unica consolazione è una fulva
gatta viziata di nome Rosa Valetti.
Il suo scantinato: che orrendo disordine:
mucchietti di resti di cibi, ciocche di capelli,
biglietti ferroviari, cavatappi arruginiti
flaconi, barattoli, scarpe, forcine, cappelli.

Da quando Mirek è partito, resta poco in casa.
Non fa più quei dolci che prima preparava
come una liturgia secondo le ricette
nascoste in un cassetto come gioielli di famiglia.
Va da una vecchietta all'altra: tutte bigotte
e con loro in chiesa ad ascoltare padre Giona,
che emerge dal fondo del pulpito come da una balena.
Va a piedi, sebbene malferma, nei giardinetti
a osservare le piccole anatre goffe
che pattinano nel laghetto gelato.
Sono grigie le sue giornate col pensiero
al figlio lontano. Spera di sopravvivere
sino al suo ritorno. L'hanno invitata alle nozze...

...
Allevare un figlio, tremare per la sua crescita,
dargli tutta l'anima, e poi, ecco quel figlio
parte, non da più notizie, lui che era appeso
come un frutto ai rami del cuore.
Dove sarà in questo momento? Chissà se ricorda
la sua vecchia casa. Tornata dalle nozze
la vecchia accarezza Rosa Valetti, che le fa le fusa.
Nel dormiveglia le appare un corteo
di fidanzate vestite di bianco,
che viene da lei nella neve per chiedere in sposo
il suo Mirek. Bianco crespato, bianco vaporoso,
gorghi di bianco, spume bianche avanzano
nel blu della notte, come in un circo lunare!
Maestose le passano dinanzi alla finestra
lavandaie metafisiche, con un inchino d'altri tempi.
Ed una più lenta lascia cadere una scarpina.

Ogni mattina aspetta al davanzale la mano
del postino.
Di dietro l'angolo appare nel suo verde brughiera
con alto cilindro e la borsa rigonfia.
Ha il naso arrossato e la mano piena di lettere.
Una busta per me? si chiede la vecchina.
Una busta con occhi di francobolli esotici
con merletti di francobolli, una busta tutta mia.
Ma sempre svolta il postino verso la strada vicina
e la grande mano sparisce, lasciandola triste.
Interminabili giornate. Va a guardare i treni,
i lunghi pennacchi di fumo.

Si nutre poco la vecchina e del resto
è ben magra la sua pensione. In mezzo
ai dischi e ai libri del suo Mirek, incagliata
come una nave tra lastre di ghiaccio.

Le giunge notizia che Mirek lavora
in un circo oltre la Vistola. E poi che è impiegato
come manovratore alla stazione di Kufstein,
dove hanno una lontana parente,
Frau Chwalla, impiegata al Reisebüro.
Passano gli anni: è sempre più sola.
Nella vuotacasa pesa la tristezza.
Ora darà via tutti gli oggetti, per ritirarsi
in un ospizio per i vecchi
1977

11 commenti:

  1. Bravo Stefano: uno dei poeti che più sono convinto mi guidi nonostante il poco che ne ho letto. Scoperto sull'antologia di Enrico Testa, Oltre la lirica.

    RispondiElimina
  2. e non vogliamo dire nulla del ripellino traduttore e profondo conoscitore della poesia russa ?

    mf.

    RispondiElimina
  3. Molto descrittiva questa poesia, geografica, narrativa, di povere cose e sentimenti semplici, di solitudine (quella sempre!)
    Non so perchè mi fa pensare all'ottocento più che al secolo appena trascorso.

    RispondiElimina
  4. hai (quasi) ragione ali, a me fa pensare a gozzano.

    RispondiElimina
  5. a proposito di Ripellino slavista e traduttore dal russo, riporto un frammento di un "ricordo" scritto da Giacinto Spagnoletti (lo trovate nel n.1, anno 1 de "L'Ozio", maggio agosto 1986):

    Angelo Maria Ripellino, una delle figure insostituibili del panorama letterario del secondo cinquantennio del secolo, si spense a Roma il 21 aprile 1978, a soli cinquantaquattro anni. Qualche mese prima di morire aveva pubblicato da Guanda l'ultimo suo libro di poesie, "Autunnale Barocco", qualche giorno dopo la fine Einaudi fece recapitare ad Ela, la scrittrice e traduttrice ceca che era stata la sposa e la compagna della sua vita, l'ultimo straordinario volume di critica: "Saggi informa di ballate", recante come sottotitolo, «Divagazioni su temi di letteratura russa, ceca e polacca». In due brevi paginette anonime il lettore veniva informato che l'autore in questo volume aveva raccolto i saggi «che in anni recenti erano stati al centro della sua attività critica». E ne allineava i nomi: da Cechov a Rozanov, da Chlébnikov a Pasternàk, da Schulz ai cechi Halas e Kolàr. «Sullo sfondo, omnipresente punto di riferimento, la grande figura di Majakovskij e le ardile sperimentazioni dei cubo-futuristi».
    Naturalmente, passando le settimane e i mesi, e togliendo dai suoi cassetti quanto di prezioso ancora contenevano, dovevano emergere altre poesie, nuovi saggi che presto vedranno la luce, a cura di solerti slavisti: un ricco corredo, quello dei versi e quello delle prose, che si aggiungerà ad una produzione tra le più profonde e incantevoli del nostro tempo. In un'occasione recentissima, uno dei maggiori studiosi boemi della nostra poesia mi diceva che a Praga e altrove circolano clandestinamente dattiloscritti e fotocopie del capolavoro di Ripellino, "Praga magica", che le autorità di quel governo non hanno mai permesso fosse pubblicato."

    RispondiElimina
  6. no, il gusto, se permettete, è novecentista. e.

    RispondiElimina
  7. beh, ci mancherebbe altro :-)

    RispondiElimina
  8. OT: su "Poesia&Blog" (link a fianco, nella pagina d'apertura) è uscita la presentazione dei blog di Cepollaro e Fabbri. Fateci una visitina.

    RispondiElimina
  9. LA PASTORALE BAROCCA DI RIPELLINO
    di V.S.Gaudio

    In "Lo splendido violino verde" di Angelo Maria Ripellino(ma, in genere, in tutta lapoesia di Ripellino), la "forma soggettiva" come immediatezza individuale articola l'eterogoneo della propria sfera affettiva; per adattarsi agli schemi, che bbiamo tratto da Suvin, tale tipo di poesia(caratterizzata da un riversamento tropico chetestimonia della degradazione dei limitativi in cui Kant troverebe l'indfinito de predicato negativo e dalla consistenza lessicale vicina a indici di passione radicati da figure retoriche come litote, eitazione, insinuazione, iperbato, etc.) dovrebbe essere inserito tra i parametri "pluridimensionale", "straniato", come punte storiche dovute al tno affettivo dello scrittore che fanno in modo che il terzo parametro sia una sorta di "cognitivo personale". In Pratica, la poesia di Ripellino è molto vicna alla "pastorale", beninteso un "pastorale" barocca, con tutto il sentimentalismo di convenzione che si trascina dietro, ma anche una "pastorale" che ha perso la sa isla di puntualizzazione statica del tempo.
    (da:V.S.Gaudio,Viaggio straordinario, in compagnia di Gustave Guillaume, Alfred N.Whitehead, Gérard Genette, Erwin Straus, Darko Suvin e altri, nel "Laberinto d'amore" di Giorgio Barberi Squarotti, con "Lo splendido violino verde" di Angelo Maria Ripellino, "Cronorama", anno XIII n.40-41, Ragusa luglio-dicembre 1985:pp.36-45)

    RispondiElimina
  10. Mi piace tanto, è pieno di umanità, di un dolore infinito per questa figura di anziana madre che segna anche la fine di un'epoca e simboleggia tutta una storia tipicamente meridionale che fa sanguinare l'Italia. Opportuno il riferimento a Gozzano, quindi ad una linea "narrativa", anche se lì c'èra la conservazione del ritmo; e infatti, ciò che colpisce, qui, è che, a parte assonanze-consonanze, l'andamento è prosastico. Non ho contato la misura dei vv, ma anche se fossero eventualmente endecasillabi, il risultato è quello di una prosa poetica, nell'ambito della poesia narrativa ha raggiunto esiti diversi la Tarozzi, che conserva il metro e la prosodia. Non saprei a cosa inclino di più, forse alla seconda. Senza nulla togliere a Pavese, Giudici, Bertolucci, e al presente autore, ovviamente.

    Fiorella

    RispondiElimina
  11. Comunque sia, è un buon poeta, anche se triste, come tutti i poeti
    bravi la tristezza sovente li accompagna.

    RispondiElimina