lunedì 26 maggio 2008

Danni Antonello


Introducendo Sei poesie da la vie promise di G. Goffette (Lietocolle 2006), Danni Antonello scrive che «Il poeta è anzitutto una figura morale, nella sua magari totale immoralità, responsabile di ciò che dice al mondo, al quale partecipa e come suo custode e come il peggiore tra i suoi “enfants terribles”, sempre pronto a metterne in discussione le fondamenta». E' con questa chiave complessa che occorre leggere i versi del poeta padovano, anche quelli beatamente populisti - coevi, pare, del neorealismo di un Renzo Nanni o di certo ideologismo fortiniano - di Italia monologo di parola (2005), poemetto voluto dall'Istituto veneziano per la storia della resistenza e della società contemporanea. L'immoralità dell'enfant terrible arde altrove, nel privato impolitico, ma soggiace (e tace) alla voce tutta incarnata della sua pagina, al corpo-scrittura che Danni fa nascere dalle ceneri della Storia, per tenere aperta la strada d'un tempo originario, che biforca incessantemente. Lo si legge chiaramente in Storia moderna (Old World Books, 2007) laddove la voce ordina: «Sperditi, e spandi il polline raro sui resti/ fecondi del pasto dei lupi», riprendendo idealmente il testimone ungarettiano del Porto sepolto: disperdo i miei canti, ci dice il poeta-soldato, scrivendo «lettere piene d'amore» all'inizio del tramonto occidentale.
Le poesie di Antonello vengono a tramonto ormai compiuto, eppure non lo patiscono, scegliendo invece di arginarlo a partire dai valori che l'occidente stesso ha prodotto (l'antifascismo, la scoperta che l'identità è plurale), con un gesto emblematico che ne capovolga i meccanismi: gettare "i sassi del fiume/ fuori dal fiume", ossia agire (e pensare) superando stereotipi, convenzioni infondate, comodità piccolo borghesi.
Problematico rimane il senso di quel capovolgere, nella misura in cui non intende essere un mero capovolgimento del dato, bensì - come lascia intendere storia moderna - facendo tesoro della trasmutazione dei valori nietzscheana, una rigenerazione degli stessi a partire dall'assenza del fondamento, dalla libertà dell'esistenza dal Principio. Italia, con la sua posizione indiscutibile (anche se attenuata nei versi che qui propongo), rischia invece di essere un passo indietro, un invito a rimanere dentro il tramonto dell'occidente, alimentandone le radici violente.



da Storia moderna



Tieni alata la fronte
come quando gettavi i sassi del fiume
fuori dal fiume
ma dietro la mente
ostinata a salvare la nenia
dell'ape operaia
dai ratti da Sparta dalla rauca corrente,
davvero non credevi a niente
le ginocchia spezzate imploranti
che un flauto intonasse
due mezze certezze?



***

Esci, fatti foresta, sterpaglia e bosco di sotto,
battere ramo su fronda: fruscio - infine: foresta.
Sperditi, e spandi il polline raro sui resti
fecondi del pasto dei lupi, nema a temere:
non sarai guardato in gola,
da segreto a segreto potrai conservare
la grazia profonda di foglia, verde, che nasce –
come bianca, non incisa, un'aperta foresta
.................................................che nasce.



***

Lanterna, animula di luce, sull'Acropoli
accendi la terra e il deserto polveroso
che la copre; polvere, fa opaca la pietra
e nessuno l'inciso che porta, polvere:
anomia della terra tornata alla terra –
spoglia di luce sei specchio senza riflesso,
arco senza baleno nel cielo d'un cieco.



***

Sarà che l'alba vuole la solitudine
o l'ira del temporale si porta la salsedine
ma se bruciano le palpebre
sarà qualcosa che io almeno non so
e tu nemmeno che fingi da che parte
tira scirocco.




da Italia

[...]


La data fu fissata. Nel giorno venticinque
del mese d'aprile millenovecentoquarantacinque,
dopo cinque anni di guerra la gente del nord
doveva riunirsi alla libera primavera
d'Italia adolescente ma non più vergine.
Aprile il venticinque le città insorgano,
si imponga la resa, a bandiera pulita
venga accettata la storia, matrigna
inclemente d'un'insorta ammutolita,
moltitudine senza più voce per troppa gioia
impedita dalla stretta del sudario sulla faccia;
tacciono le campane a festa, nel giorno
ventinove per le strade ancora si cade,
pistola in pugno rabbia dentro al costato.
La ritirata è disperata fuga, follia castrata in vendetta:
santa Germania, Germania suicida,
con te hai suicidato Italia, immatura
ma non inconsapevole...

Feretri e camposanti, e crisantemi ancora,
verrà il momento di làbari e lapidi,
per ora si scavi a sotterrare, restano ancora
da seppellire steli e steli dai troppi petali caduti.


[...]

Leggi la catena di nomi sulla colonna,
leggi del sacrificio e non riconosci nemmeno
un volto dei tanti anonimi capri espiatori.
Leggi l'oblio e non riconosci l'infamia omicida
che ordinò la mattanza.
Chi e per chi saprà tradurre gelo e dimenticanza,
chi leggerà dietro quei nomi
le smorfie sbiadite del male?
Non basteranno i monumenti,
né la memoria fragile che dimentica,
quando le madri anch'esse non saranno più
chi custodirà le lettere mai giunte degli ammazzati?
Forse un giardino, dove piantare i semi trovati vivi
nelle loro sdrucite tasche, un giardino da innaffiare
giorno per giorno col latte dolce delle spose lacrime,
posati i fucili, recitati i lamenti, piantati quei semi.



***

Io sono Primo Visentin, e sono molti,
nome di battaglia Masaccio, e sono molti,
comandante della brigata Martiri del Grappa,
morto il 29 aprile 1945 nella finale insurrezione,
medaglia d'oro per la resistenza, come molti
compagni di lotta ucciso in combattimento,
figlio di contadini conosco la fame,
maestro di ribelli e di bambini la poesia, e so,
che la fame uccide
e la poesia deve insegnare
come uccidere la fame.


Danni Antonello è nato nel 1978 e vive a Galiera Veneta. Poeta, traduttore, sceneggiatore, è incluso nell’antologia “Oltre il tempo” curata da Gian Ruggero Manzoni.
Qui un cortometraggio sulla resistenza italiana, che lo vede coinvolto.

11 commenti:

  1. consiglio di vedere il cortometraggio. alla fine, Danni legge la poesia sul partigiano Masaccio (da lui interpretato): nei versi conclusivi, sostituisce la parola "poesia" con la condizione "libertà". Non so se invece è accaduto l'inverso.
    Lo chiedo all'autore, quando passa di qua.


    gugl

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  2. Se la parola determina il corpo, la forma... nella libertà dell'essere, anche l'inverso è poesia.
    Un abbraccio a Danni che già conosce la stima che a lui porto.
    Il fiume, il vuoto, il pieno, la fuga ... il silenzio scandito dal tempo nella natura, per la natura che la poesia abbia merito.
    Un saluto Stefano, sottolineando la valenza che hanno sempre i tuoi post.

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  3. Mi è sempre piaciuta la sua scrittura, fin da quando ho letto i suoi primi testi in rete. Una scrittura sostenuta da una ricerca incessante, da un pensare poetico che si muove lungo i margini, vi si insinua, vi si insedia, restringe e allarga a dismisura l'orizzonte, e senza mai allentare la tensione dello sguardo che lo sorregge, riaffiora alla chiarezza del dettato e della voce offrendo a piene mani quell'ethos di cui traboccano tutti i suoi versi: ospitali, e già oltre, oltre la lettera e il senso che offrono, in un vagare che non si acquieta.

    Veramente notevole.

    fm

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  4. Un saluto carissimo per te, Gugl, ma caro caro.
    Qua dentro dovrò ritornare con moleskine e testa buona per prendere appunti.
    A' bientot.
    renata
    :)

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  5. Ciao Renata, qui (fuori) sei libera di muoverti come vuoi.

    Grazie Francesco per il contributo critico.

    gugl

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  6. un dubbio, in:
    "Sperditi, e spandi il polline raro sui resti / fecondi del pasto dei lupi, nema a temere:" quel "nema" che è? non riesco a decifrare, né a risalire oltre il probabile refuso (o la sicura mia ignoranza)

    a parte questo, e associandomi ai commenti di Stefano e di Francesco Marotta, mi colpisce che un autore così giovane si appassioni a questi temi, che cioè celebri un rapporto etico fra storia e poesia - lo so che è indebito correlare strettamente un testo ai dati biografici del suo autore, sono il primo a contestare approcci tipo "un poeta lo si giudica dalla sua vita", però questa volta il dato contiene un segnale importante, che travalica il nesso autore-opera, se non altro perché non mi sembra affatto isolato questo interesse che Danni Antonello esprime verso la dimensione del "rammemorare"

    mi piacerebbe davvero saperne di più, da Danni ma anche da altri (penso al lavoro di Daniele Santoro, di recente osservato su LiberInVersi, ma anche a tanti altri letti addietro in rete), su come viene vissuta questa dimensione, direi questa tensione "epica": moda passeggera? necessità interiore? urgenza del momento storico che viviamo?

    Mario Bertasa

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  7. non ho sentito Danni, ma credo che "nema" significa "nessuno" in serbo-croato.

    aspetto conferma dall'autore.

    ciao Mario
    (ho letto il tuo intervento su Liberinversi: ottimo)

    gugl

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  8. Caro Stefano, riesco a vedere soltanto ora la scelta che hai fatto tra i pochi testi che avevi a disposizione. Fuori da ogni retorica sono persuaso che aldilà delle poesie il commento che le introduce renda giustizia del lavoro che fai per rendere la comprensione un momento dell'intervenire, in cui theoria e praxis non siano disgiunte ma partecipino della medesima volontà di trasformazione del reale. Questo per ringraziare e per giustificare in parte un certo mio fare poietico come aderenza alla storia e al presente quale evento nella storia. Ci tengo comunque a precisare che ITALIA è un monologo per voce legato a una precisa occasione (Il 60esimo anniversario nel giorno 25 di aprile), scritto per essere recitato e accompagnato da una chitarra. è stato portato in scena una decina di volte, nel tentativo di rendere partecipata una festa di popolo che sempre di più rischia la vuota commemorazione di un passato che non riesce più a farsi presente (soprattutto ora che i partigiani sono quasi tutti morti). Ricordo che anche il bravo Aglieco era rimasto colpito da una tale ansia per l'eroismo resistenziale(pur con delle riserve nei confronti dell'ideologia, come anche tu d'altronde Stefano fai intendere). Posso dire che ho cercato di fuggire la retorica e l'ideologia proprio per dare una per quanto possibile equilibrata idea della resistenza, che a mio avviso non ha bisogno di essere corteggiata per dimostrarsi gloriosa;nello stesso momento non volevo però rischiare un certo atteggiamento fin troppo diffuso che fa dei fascisti repubblichini delle vittime. Il boia non è meno colpevole di chi lo arma,e avere coscienza del proprio fare è già un'aderire alla scelta come momento fondante dell'essere liberi, e quindi sfuggire alla logica del "ho dovuto farlo", il ritornello del boia...
    ITALIA, e il documentario PARTIGIANI sono stati e sono importanti per la mia formazione, tuttavia sono consapevole dell'entusiasmo (necessariamente ingenuo, cioè genuino)con cui sono nati, non lo rinnego, mi appartiene, così come mi appartiene la tendenza al soliloquio, per come si specchia nella poesia de LA SPINA DORSALE:il controcanto viscerale del singolo che è costretto, comunque, e nonostante il mondo, a morire da solo. è una lunga colonna vertebrale, così si chiamava la mia prima plaquette a vent'anni, così si chiamerà questo primo vero libro di poesie che ho concluso e che cercherò di dare alle stampe nei prossimi tempi. Anche lì è una persona di fronte alla storia quella che cerca di trovare una voce, tuttavia la consapevolezza della solitudine dell'essere impedisce la presa nel "comune", e lascia spazio soltanto alla cura (Sorge)del vivendo, durante, e comunque.

    Danni Antonello

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  9. Sono ovviamente di parte, in questo caso, ma non potevo non dire qualcosa, perchè mi fa piacere e penso di conoscere bene il lavoro di Danni. Sulla "retorica" ci sarebbe molto da dire: per esempio che non dobbiamo mai dimenticare il suo valore etimologico, cioè dobbiamo vederne anche il lato positivo di costruzione del discorso e argomentazione. Ogni retorica, e quindi ogni discorso/linguaggio/opera deve tenere al suo interno il bene e il male: con la stessa retorica si scrivono poesie e proclami di morte, e il poeta lo sa o, almeno, lo dovrebbe sapere, esserne pienamente consapevole. Preferisco anch'io il lato meno politico di Danni, anche perchè, paradossalmente, mi pare quello davvero politico nel senso forte del termine: la solitudine di cui parla è luogo politico e comunitario per eccellenza, solo da quella consapevolezza c'è il riscatto dell'ideologia, solo in quell'incastro si richiara per intero la totalità di un lavoro. La spina dorsale è anche, oltre che il luogo quasi biologico di una consistenza singolare, un tentativo di mettere insieme le vertebre, ossia di fare comunità, nell'intensità di schegge appuntite che non si richiudono mai in una totalità, e che sono attraversate e irrorate da un respiro e da un sangue, da una carne che le divide, le rende sole e comuni. Sentire che il nostro corpo è formato/sformato da questi coltelli nella carne, da queste ferite aperte dall'interno è forse una delle modalità più preziose del fare poesia, anche con il corpo, alla faccia dei tanti falsi reading e performance che non sono altro che stampelle per tenere in piedi una poesia che, quasi sempre, non è più poesia ma intrattenimento, spettacolarizzazione, rappresentazione e non praxis...

    andrea ponso

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  10. Cari Danni e Andrea, grazie per le precisazioni e gli approfondimenti.

    La questione partigiana è ancora viva, per cui sarebbe politicamente pericoloso metterne in dubbio il valore civile, di contro all'inciviltà del regime fascista. Spostare l'asse del bene tutto da una parte significa però mitizzare l'evento: cosa necessaria nel 1945, meno adesso che abbiamo letto numerosi documenti sulla resistenza e, già da qualche anno, apprezzato i romanzi di Fenoglio.

    sulla retorica mi riferivo alla costruzione del discorso atta a persuadere, contrapponendola implicitamente alla dialettica.

    un caro saluto
    gugl

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  11. Scrittura interessante, ed esteticomplessa, si, pare una sorta di tutt'uno con la struttura di significato (che è "parliamo di cose serie" non tanto data ed evento).

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