Qualche mese fa, via e-mail, ho avuto una breve discussione con Lorenzo Carlucci intorno alla poesia di Valentino Ronchi. Ne riporto i passaggi più significativi, così che emergano entrambi i nostri punti di vista. Il mio, approfondendo la lettura, è in parte cambiato, tanto che ho deciso di ospitarlo su Blanc.
"Caro Lorenzo, ho letto alcune poesie in rete di Ronchi e apprezzato la tua presentazione in Absolute Poetry (qui). Per i miei gusti, Valentino Ronchi mette in luce una verità che sta nelle vene di tutti i giovani, ma che fatica ad entrare negli adulti attempati come me. Forse perché il quotidiano che racconta è, appunto, uno spaziotempo ancora ricco di meraviglia pascoliana, ma poco incisivo nell'aprirlo nella sua problematicità (tieni però presente che in rete ho trovato solo sue poesie vecchie). Il fatto che anche Alborghetti ne abbia parlato con entusiasmo, mi fa pensare che questo ultimo libro sia più complesso."
"Caro Stefano, ti ringrazio per il tuo messaggio e l'apprezzamento. Non credo a dire il vero che si tratti di meraviglia e tantomeno di meraviglia pascoliana (almeno nel senso in cui - credo - tu utilizzi questo termine). la meraviglia anzi, mi sembra del tutto assente dallo"stato di coscienza" che trovo espresso nei testi di Ronchi, perché la meraviglia è l'inizio della riflessione (anche filosofica) mentre la coscienza e il concetto del reale che trovo espresso in Ronchi (e forse in altri "giovani") sono piuttosto un esito della riflessione, uno sguardo che è semplice ma non facile (non amo molto la complessità, ho sempre trovato più difficile la semplicità) e che è carico - se vuoi - anche di teoria. Non so perché mi viene in mente prima Wittgenstein che Pascoli."
"Caro Stefano, ti ringrazio per il tuo messaggio e l'apprezzamento. Non credo a dire il vero che si tratti di meraviglia e tantomeno di meraviglia pascoliana (almeno nel senso in cui - credo - tu utilizzi questo termine). la meraviglia anzi, mi sembra del tutto assente dallo"stato di coscienza" che trovo espresso nei testi di Ronchi, perché la meraviglia è l'inizio della riflessione (anche filosofica) mentre la coscienza e il concetto del reale che trovo espresso in Ronchi (e forse in altri "giovani") sono piuttosto un esito della riflessione, uno sguardo che è semplice ma non facile (non amo molto la complessità, ho sempre trovato più difficile la semplicità) e che è carico - se vuoi - anche di teoria. Non so perché mi viene in mente prima Wittgenstein che Pascoli."
"Caro Lorenzo, forse la mia perplessità sta nel sentire l'aderenza alle cose, ai giochi che le comprendono, per spostare il leggero disagio in un "dietro il paesaggio" che non ha nome. E' come se Ronchi trasformasse il tragico in commedia. Ed io sono molto legato al tragico, con tutto il rispetto per la commedia."
"Caro Stefano, no veramente intendevo il Wittgenstein del Tractatus, della distinzione tra mostrare e dire, e del mistico. Per te il tragico che cos'è? per me è il mettere a oggetto la difficile relazione tra l'individuo, la sua conoscenza, e il suo destino. E questo lo sento in Ronchi, ma capisco che si possa non sentirlo, perché si sente più la "soluzione" di questi problemi o rapporti che non il loro dramma. Ma, io credo, si sentono perfettamente anche il problema, la difficoltà di questi rapporti e delle loro possibili, proposte e tentate soluzioni. Una tragedia senza coturni, senza meno."
"Caro Lorenzo, infatti, per me il tragico è quanto dici, con "storia" anziché "destino": tragico moderno, insomma, o dramma, se vuoi chiamarlo alla Benjamin. A me pare che il dramma di Ronchi derivi da un'esperienza piccolo borghese, povera, invero, di eventi disarmanti. Certo questo non è colpa di nessuno."
da Canzoni di bella vita (Lampi di stampa, 2006)
(Primavera in Ancona)
Mia madre è d’Osimo ma pare anconetana ormai,
tanti so’ gli anni che abita in Ancona. Certe mattine
senza liceo, vado con lei sino al mercato, guardo
se gli uomini la guardano. E la città al mattino
è piena di luce, il mare nell’aria. Una volta
le ho chiesto se Luciana le piaceva e lei m’ha detto
che ha un bel modo suo di ridere e levare i capelli
dalla fronte co’ la mano sinistra. E m’ha mimato
il gesto - Così fa, così -. Allora, per stare ancora
un po’ a parlare, al caffè fuori in piazza Stamira,
mi son fatto raccontare di quando mio padre
l’andava a prendere fino su a Osimo in bicicletta
per le colline, quando mio nonno gliel’aveva date
che aveva fatto tardi, del gatto della campagna
che quando ritornava a casa le veniva incontro
lungo la strada. Poi: - Vado al porto - avevo detto
e l’avevo lasciata mia madre a risalire pel Corso
coi sacchetti, mentre io ero sceso al grande spiazzo
di mare e binari, pontili e cemento, a guardare le navi
e la gente, chi arriva e quelli che s’imbarcano. E lì
a fare i conti delle mie fortune: degli occhi verdi
e che sono un ragazzo, e di Luciana, e che c’è
sempre per me ogni giorno qualcosa di nuovo.
*
Seduto ai portici dell’università, schiena
alla colonna, il sole nel chiostro. Passano
le ragazze, entrano ed escono dalle lezioni.
Non è certo la mia prima primavera questa,
comincio a conoscere i ritmi delle piogge,
i colori dei giardini. E altre cose, come vedere
che Marta mi cerca nel giorno, si fa trovare
ai caffè dove vado. Le primavere con lei
soli per la città, ero più ragazzo di quanto
lo sia adesso. Ci sono dei passaggi, dei tempi
anche a essere ragazzi. Poi salgo le mura e da lì
vedo Ferrara soleggiata e rossa. A una certa ora
Marta arriva, siede con me, poggio la testa
sulle sue gambe. Guardiamo assieme come
la casa di Fabio sia alta quanto quella
di mia nonna dove passavo i pomeriggi,
uguali in linea d’aria, come la casa di Alessia
sia a punta, quella di Cavretti vicina alle mura
dalla parte di Ravenna. - Marta, io pagherei
per nascere di nuovo - le dico. - Vuoi nascere
di nuovo, forse, perché non ti va come va? -
domanda. - No, il contrario. - Lo sapevo,
- dice allora lei - io so tutto quanto di te.
*
Alla casa di Ostiglia guardavo tutto quanto
e occhi come allora forse non li ho avuti più.
La ruggine del balcone, le formiche per ore.
Una ragazzina, di un fiore viola, mi faceva
mangiare il pistillo, era dolce. E il disegno
che facevano le piastrelle del soggiorno
a gruppi di quattro. I miei che assieme
ridevano, uno di quel che l’altro diceva.
Il prato dietro la casa, le sere che pensavo
io non voglio diventare grande. Ora e qui
m’incontro con Cavretti, occhialuto ragazzo
puntuale agli appuntamenti, che infatti già
mi aspetta al muretto in parte al Castello.
Ha portato per me una copia de L’assistente
di Walser che, dice, è un libro di un realismo
tutto suo. Nelle pagine ogni cosa avviene
come avviene, col suo tempo, coi suoi modi.
*
Fati, attore, questo inverno ho scritto per lui.
Ora con queste belle serate viene talvolta
a Ferrara con l’auto da Rovigo per bere
con me sotto i portici di piazza Ariostea.
Legge recitando, cambiamo qualche battuta.
Gli piace la gioventù, mi dice se una ragazza
mi guarda. Poi racconta di Ferrara, della cena
con Bassani, che lo aveva vinto a scacchi
e di una certa Carolina Lang che lo portava
in motoretta per Bologna in mezzo ai viali
e lui le si aggrappava dietro alla schiena.
Di quando aveva abitato a Milano, al quinto
piano su una piazza tagliata da un piccolo tram,
piazza Ferravilla. - Che è un attore - precisa
- un commediografo -. E quando poi crede
si sia fatto tardi, prende i fogli li raggruppa
li mette fra i suoi libri. Lascia sul tavolo
i soldi del conto, risale sulla macchina
e col clacson saluta me e tutta la piazza.
*
Bella l’aria di queste sere sentirla
dalla finestra aperta sulla via. Fuori
fra le strade, fra la gente, non cerco
i caffè pieni, preferisco i tabac,
la piccola vetrina è solo per me
resto quanto mi pare, gambe distese
seguire il passaggio nella luce.
Questa mattina alla libreria Vrin
ho conosciuto Marie-Anne, lunghetta
biondina, labbra socchiuse. Una sera
di queste verrà per il quartiere e
le racconterò di Milano e mi dirà
del paese di mare dove bambina
andava ogni anno alle vacanze
con la madre e la madre di sua madre
e altre cose come il nome del gatto
della sorella che vive sposata a Tolosa.
Aspetteremo così, parlando, l’ora
di salire da me, di aprire il portone,
fare le due rampe delle scale fredde
tenendoci piuttosto stretti alla vita.
*
Ho fatto un sogno. È scesa e mi ha parlato e
mi ha fatto salire la signora che avevo creduto
di vedere alla finestra della casa di Jankélévitch.
Ho aspettato al tavolo e lui è arrivato dal corridoio
si è seduto mi ha spiegato certe cose, come
le intendeva lui e come avevo scritto io,
e il gatto ci camminava fra i piedi partecipando
alla discussione. Una calma parlarci assieme
ragionare. Ma poi era mattina dalla finestra dal letto,
primo dicembre nebbioso, sole sopra la nebbia.
Ho fatto le due caffettiere mi son vestito
sono uscito. Occorre rassegnarsi, muoiono tutti
persino i filosofi che parlano come poeti.
(Religione per l’estate)
Flaminia legge Guyau, L’abbozzo di una morale
senza obblighi né sanzioni. Una verde lucertola
di bronzo sul mobile e la luce dalla persiana mezza
aperta. Giugno di sole giugno di inizio estate.
- C’è una vita prima della morte - dice e si tiene
le caviglie Flaminia nuda sul letto. - Non è ateismo,
il contrario. Proprio il contrario -. E ancora:
- Guardami - dice e cambia posizione
per mostrarsi meglio poggia le mani al letto,
i seni in avanti, le gambe distese, la sua figura
è lunga quasi incalcolabile - e guardati: hai
dei capelli bellissimi, abbiamo tutto il tempo
per noi - dice e si sdraia vicina. Così sarà di certo
semplice questa sera vestiti di poco, da estate,
entrare piano e dire una preghiera, sedersi
sul fondo della chiesa, umida dal lato del mare,
nel centro esatto della piazza del piccolo paese.
*
Capita ogni tanto, tra una vendita e l’altra, che siedo
a piazzale Rio de Janeiro a leggere l’Unità guardare
la gente. Mi passo nelle mani i libri che ho con me,
quasi li volessi tenere piuttosto che venderli a certi
librai e ai loro facoltosi clienti ignoranti. Ma presto
ritorna la calma del cielo del giorno dell’anno
in cui vivo, e resto ad aspettare Chiara che esce
dalla scuola del quartiere, seguita dai suoi bambini
che si tirano le cartelle e si chiamano. È nel suo
tempo migliore penso, vedendola arrivare. Le gambe
e il sorriso, quel che ha vissuto, la sua età, è nel suo
tempo migliore. E ride con me quando rido, e diventa
pensosa camminando, se ho qualcosa nella testa.
Valentino Ronchi. nato a Milano nel 1976, ci vive collaborando con case editrici e commerciando in libri rari del Novecento ( http://www.fiestalibri.it/ ). Dirige la collana di poesia Festival per l’editore Lampi di Stampa.
Ha pubblicato Canzoni di bella vita (Lampi di stampa 2006, “Premio Baghetta”, finalista al “Premio Sandro Penna” e “Camaiore Opera Prima”) e, con Cristina Canzi, Genealogia di Totalità e Infinito. Note per una lettura del testo più famoso di Emmanuel Lévinas (Progetto giovani ricercatori, Fondi Murst).
Con la poesia inedita nel 2003 ha vinto il premio “Aldo Spallicci”, nel 2004 il “Montale”, il “Castelfiorentino” nel 2005 e il “Cà Domnicu” nel 2006. Con la narrativa inedita ha vinto l’“Arturo Loria” 2004 (AA.VV La scuola di Loria, Monte Università di Parma Editore).
Mia madre è d’Osimo ma pare anconetana ormai,
tanti so’ gli anni che abita in Ancona. Certe mattine
senza liceo, vado con lei sino al mercato, guardo
se gli uomini la guardano. E la città al mattino
è piena di luce, il mare nell’aria. Una volta
le ho chiesto se Luciana le piaceva e lei m’ha detto
che ha un bel modo suo di ridere e levare i capelli
dalla fronte co’ la mano sinistra. E m’ha mimato
il gesto - Così fa, così -. Allora, per stare ancora
un po’ a parlare, al caffè fuori in piazza Stamira,
mi son fatto raccontare di quando mio padre
l’andava a prendere fino su a Osimo in bicicletta
per le colline, quando mio nonno gliel’aveva date
che aveva fatto tardi, del gatto della campagna
che quando ritornava a casa le veniva incontro
lungo la strada. Poi: - Vado al porto - avevo detto
e l’avevo lasciata mia madre a risalire pel Corso
coi sacchetti, mentre io ero sceso al grande spiazzo
di mare e binari, pontili e cemento, a guardare le navi
e la gente, chi arriva e quelli che s’imbarcano. E lì
a fare i conti delle mie fortune: degli occhi verdi
e che sono un ragazzo, e di Luciana, e che c’è
sempre per me ogni giorno qualcosa di nuovo.
*
Seduto ai portici dell’università, schiena
alla colonna, il sole nel chiostro. Passano
le ragazze, entrano ed escono dalle lezioni.
Non è certo la mia prima primavera questa,
comincio a conoscere i ritmi delle piogge,
i colori dei giardini. E altre cose, come vedere
che Marta mi cerca nel giorno, si fa trovare
ai caffè dove vado. Le primavere con lei
soli per la città, ero più ragazzo di quanto
lo sia adesso. Ci sono dei passaggi, dei tempi
anche a essere ragazzi. Poi salgo le mura e da lì
vedo Ferrara soleggiata e rossa. A una certa ora
Marta arriva, siede con me, poggio la testa
sulle sue gambe. Guardiamo assieme come
la casa di Fabio sia alta quanto quella
di mia nonna dove passavo i pomeriggi,
uguali in linea d’aria, come la casa di Alessia
sia a punta, quella di Cavretti vicina alle mura
dalla parte di Ravenna. - Marta, io pagherei
per nascere di nuovo - le dico. - Vuoi nascere
di nuovo, forse, perché non ti va come va? -
domanda. - No, il contrario. - Lo sapevo,
- dice allora lei - io so tutto quanto di te.
*
Alla casa di Ostiglia guardavo tutto quanto
e occhi come allora forse non li ho avuti più.
La ruggine del balcone, le formiche per ore.
Una ragazzina, di un fiore viola, mi faceva
mangiare il pistillo, era dolce. E il disegno
che facevano le piastrelle del soggiorno
a gruppi di quattro. I miei che assieme
ridevano, uno di quel che l’altro diceva.
Il prato dietro la casa, le sere che pensavo
io non voglio diventare grande. Ora e qui
m’incontro con Cavretti, occhialuto ragazzo
puntuale agli appuntamenti, che infatti già
mi aspetta al muretto in parte al Castello.
Ha portato per me una copia de L’assistente
di Walser che, dice, è un libro di un realismo
tutto suo. Nelle pagine ogni cosa avviene
come avviene, col suo tempo, coi suoi modi.
*
Fati, attore, questo inverno ho scritto per lui.
Ora con queste belle serate viene talvolta
a Ferrara con l’auto da Rovigo per bere
con me sotto i portici di piazza Ariostea.
Legge recitando, cambiamo qualche battuta.
Gli piace la gioventù, mi dice se una ragazza
mi guarda. Poi racconta di Ferrara, della cena
con Bassani, che lo aveva vinto a scacchi
e di una certa Carolina Lang che lo portava
in motoretta per Bologna in mezzo ai viali
e lui le si aggrappava dietro alla schiena.
Di quando aveva abitato a Milano, al quinto
piano su una piazza tagliata da un piccolo tram,
piazza Ferravilla. - Che è un attore - precisa
- un commediografo -. E quando poi crede
si sia fatto tardi, prende i fogli li raggruppa
li mette fra i suoi libri. Lascia sul tavolo
i soldi del conto, risale sulla macchina
e col clacson saluta me e tutta la piazza.
*
Bella l’aria di queste sere sentirla
dalla finestra aperta sulla via. Fuori
fra le strade, fra la gente, non cerco
i caffè pieni, preferisco i tabac,
la piccola vetrina è solo per me
resto quanto mi pare, gambe distese
seguire il passaggio nella luce.
Questa mattina alla libreria Vrin
ho conosciuto Marie-Anne, lunghetta
biondina, labbra socchiuse. Una sera
di queste verrà per il quartiere e
le racconterò di Milano e mi dirà
del paese di mare dove bambina
andava ogni anno alle vacanze
con la madre e la madre di sua madre
e altre cose come il nome del gatto
della sorella che vive sposata a Tolosa.
Aspetteremo così, parlando, l’ora
di salire da me, di aprire il portone,
fare le due rampe delle scale fredde
tenendoci piuttosto stretti alla vita.
*
Ho fatto un sogno. È scesa e mi ha parlato e
mi ha fatto salire la signora che avevo creduto
di vedere alla finestra della casa di Jankélévitch.
Ho aspettato al tavolo e lui è arrivato dal corridoio
si è seduto mi ha spiegato certe cose, come
le intendeva lui e come avevo scritto io,
e il gatto ci camminava fra i piedi partecipando
alla discussione. Una calma parlarci assieme
ragionare. Ma poi era mattina dalla finestra dal letto,
primo dicembre nebbioso, sole sopra la nebbia.
Ho fatto le due caffettiere mi son vestito
sono uscito. Occorre rassegnarsi, muoiono tutti
persino i filosofi che parlano come poeti.
(Religione per l’estate)
Flaminia legge Guyau, L’abbozzo di una morale
senza obblighi né sanzioni. Una verde lucertola
di bronzo sul mobile e la luce dalla persiana mezza
aperta. Giugno di sole giugno di inizio estate.
- C’è una vita prima della morte - dice e si tiene
le caviglie Flaminia nuda sul letto. - Non è ateismo,
il contrario. Proprio il contrario -. E ancora:
- Guardami - dice e cambia posizione
per mostrarsi meglio poggia le mani al letto,
i seni in avanti, le gambe distese, la sua figura
è lunga quasi incalcolabile - e guardati: hai
dei capelli bellissimi, abbiamo tutto il tempo
per noi - dice e si sdraia vicina. Così sarà di certo
semplice questa sera vestiti di poco, da estate,
entrare piano e dire una preghiera, sedersi
sul fondo della chiesa, umida dal lato del mare,
nel centro esatto della piazza del piccolo paese.
*
Capita ogni tanto, tra una vendita e l’altra, che siedo
a piazzale Rio de Janeiro a leggere l’Unità guardare
la gente. Mi passo nelle mani i libri che ho con me,
quasi li volessi tenere piuttosto che venderli a certi
librai e ai loro facoltosi clienti ignoranti. Ma presto
ritorna la calma del cielo del giorno dell’anno
in cui vivo, e resto ad aspettare Chiara che esce
dalla scuola del quartiere, seguita dai suoi bambini
che si tirano le cartelle e si chiamano. È nel suo
tempo migliore penso, vedendola arrivare. Le gambe
e il sorriso, quel che ha vissuto, la sua età, è nel suo
tempo migliore. E ride con me quando rido, e diventa
pensosa camminando, se ho qualcosa nella testa.
Valentino Ronchi. nato a Milano nel 1976, ci vive collaborando con case editrici e commerciando in libri rari del Novecento ( http://www.fiestalibri.it/ ). Dirige la collana di poesia Festival per l’editore Lampi di Stampa.
Ha pubblicato Canzoni di bella vita (Lampi di stampa 2006, “Premio Baghetta”, finalista al “Premio Sandro Penna” e “Camaiore Opera Prima”) e, con Cristina Canzi, Genealogia di Totalità e Infinito. Note per una lettura del testo più famoso di Emmanuel Lévinas (Progetto giovani ricercatori, Fondi Murst).
Con la poesia inedita nel 2003 ha vinto il premio “Aldo Spallicci”, nel 2004 il “Montale”, il “Castelfiorentino” nel 2005 e il “Cà Domnicu” nel 2006. Con la narrativa inedita ha vinto l’“Arturo Loria” 2004 (AA.VV La scuola di Loria, Monte Università di Parma Editore).
Una volta scrissi a Lorenzo che apprezzavo Valentino Ronchi ma ora mi accorgo che avevo sbagliato persona.
RispondiEliminaQui vedo le prove concrete del perché la mia poesia fatica a uscire dal buio dove io stesso forse la ricaccio.
Poesia giovanile, diaristica, praticamente prosa tagliata in versi,un neocrepuscolarismo povero di contenuti, spessore e originalità che in Italia va per la naggiore basta leggere l'almanacco Mondadori per acorgersene e molte altre antologie. In genere si giustifica il tutto con la difficoltà della semplicità, il dovere della leggibilità, filosofia del quotidiano, ritorno alle origini della parola ecc. Per me è solo banalità, diarismo e sentimentalismo ombrelicale. Ovviamente lo so che sto dicendo una marea di fregnacce e che se questa poesia riceve così tante attenzioni evidentemente sono io quello che sbaglia e che non capisce come stanno veramente le cose. per come la vedo io poesie così se ne possono scrivere a migliaia ma ripeto sono io che con il mio mezzo secolo sono fermo all'ottocento.
pepe
Gabriele, però non puoi gettare il sasso e nascondere la mano.
RispondiEliminadove sta il limite di questa poesia, secondo te?
gugl
secondo me pepe non ha poi tutti i torti, io la definirei una poesia di "mercato" dettata dal fatto che arriva facile ad un pubblico facile,e quindi vende facile.
RispondiEliminaun po' quello che succede poi nel cinema e volendo nella narrativa... diciamo che
i grandi numeri non hanno il coraggio della complessità,il mondo si vorrebbe sempre rappresentato in modo semplice e indolore, al massimo raffinato
a me piace, sono disegni a matita, a carboncino, sono pastelli, pepe la tua è una poesia diversa, le tue sono sculture ad intarsi e ghirigori, di metallo sciolto, stalattiti e stalagmiti, e mi piace anche la tua.
RispondiEliminaantonella
Ho apprezzato molto le prime tre poesie. Nelle altre trovo invece, anche io, un dominio del prosastico che le calamita sui confini dei territori della poesia. Non per questo ridurrò l'attenzione per il giovane poeta Valentino Ronchi (che, tra l'altro, fa mestieri 'letterari' che gli invidio). Anche in narrativa poi si discute di confini e zone grigie (come per certa saggistica, ormai candidata alla critica e ai premi alla stregua dei romanzi)...
RispondiEliminaAntonio Fiori
gabriele pepe scrive: "per come la vedo io poesie così se ne possono scrivere a migliaia". non per fare lo sbruffone (e perché la mia su ronchi l'ho già detta a suo tempo), mi piacerebbe leggere, che so, una poesia scritta da pepe in stile ronchi, tra le migliaia di cui si dice capace.
RispondiEliminaa parte questo, mi piacerebbe sapere quali dei nomi presenti nell'almanacco mondadori pepe trova vicini a ronchi. per capirci. nell'ultimo almanacco mondadori, per fare un esempio, mazzoni parla del libro di laura pugno come di uno dei migliori e più originali libri di poesia etc. etc. ma quello non è un libro neocrepuscolare, no?
allora?
ciao,
lorenzo
è una poesia di gesti, consuetudini, in cui mai il disincanto sembra sbiadire i colori delle cose.
RispondiEliminain questo la sento lontana dal mio sentire. Riconosco, altresì, la difficoltà di dire le cosecon quegli occhi pascoliani che dice Stefano nella premessa.
Mi meraviglia, questo tanto.
Mi meraviglia perchè un sentire così fermo sulla vita, delle cose, mi lascia una bella sensazione addosso. Ed in questo il mio più sentito grazie all'autore.
E per me, è poesia, diaristica, si. ma poesia.
E non prosa tagliata in versi.
Resta cmq, lontana dalle mie corde emotive, tese molto di più verso l'amaro e disincanto gusto di tutto quello che ci circonda.
p.s. per la serie "ogni tanto ritornano" ... vi abbraccio tutti.
l'uso improprio che ho fatto delle virgole sul mio commento di sopra, è la conseguenza di questa finistra da abbassare di continuo, per evitare il licenziamento in tronco. :-)
RispondiEliminami opare che il confronto dia i suoi frutti. i confini tra porsa e poesia sono superati, nel novecento tutto (pensiamo a Boine).
RispondiEliminail sentire di Ronchi si avvicina a quello die prosatori degli anni cinquanta? (magari a Bassani?)
la struttura prosodica di Ronchi è apparentemente facile: basta verificare la sapiente organizzazione degli accenti e il controllo sul tono emotivo.
questa poesia trasmette un contenuto emozionale.
gugl
Non nascondo la mano ribadisco i concetti per me non si tratta di zone grige o di confine tra prosa e poesia questa per me è prosa tagliata in versi. Niente di male per carità e ripeto se in Italia questo tipo di poesia va per la maggiore un motivo ci sarà. Io non lo capisco ma il limite è tutto mio. E' lo stesso minimalismo che leggo in Lamarque, Damiani, Cucchi tanto per fare dei nomi. Non che non mi piaccia la poesia realista ma qui non trovo intensità, né ricerca. Comunque ognuno vede le cose a modo suo. Io non sono un critico, per fortuna, e quindi giudico da semplice lettore.
RispondiEliminaLorenzo non voglio sminuire Ronchi se hai letto qualcosa del mio libro avrai visto che sono lontanno anni luce da questo tipo di scrittura ecco perché ribadisco ancora una volta che non lancio il sasso e nascondo la mano ma esprimo un giudizio del tutto personale.
pepe
caro pepe, si può essere lontani anni luce dalla scrittura di un altro e ciò non ostante amarlo alla follia.
RispondiEliminase tu, che scrivi con forma esibita in endecasillabi curati "fai pippa" davanti a guglielmin che dice: "basta verificare la sapiente organizzazione degli accenti", mentre tu dici che nel lavoro di ronchi non c'è tecnica, mi sembra che, se non hai proprio ritratto la mano, non l'hai nemmeno tirata tutta fuori. insomma: guglielmin questa "sapiente organizzazione degli accenti" se l'è sognata? o tu hai mancato di vederla? calculemus!!
lorenzo
p.s. damiani, lamarque, cucchi: tra nomi, tre poetiche. come si misura il "minimalismo"? la poesia tua, per esempio, apparentemente massimalista nella forma, non è forse minimalista nei contenuti?
Buongiorno a tutti!
RispondiEliminaDivertente questo mini-dibattito…
Faccio due precisazioni, se possono servire.
Canzoni di bella vita è composto da quattro parti (sei nella futura edizione…) fra loro autonome, scritte da un io ogni volta diverso, da una persona-personaggio differente. Per questo, in un certo senso, non posso essere del tutto diaristico: i diari (se di diari si vuol parlare) non sono i miei….
Non mi ritrovo nel discorso generazionale di Pepe. Sono infatti arrivato alla poesia senza conoscere la mia generazione. Venivo da studi filosofici, dalla scrittura cinematografica e dal recuperare vecchi libri per rivenderli, piuttosto. Soltanto ora sto guardando con attenzione a quel che fanno i miei coetanei.
Ciao ciao e grazie a tutti e a Stefano per lo spazio e le scelte
Valentino
caro Lorenzo come al solito ci si arrabbia con gli altri quando esprimono posizioni non gradite.
RispondiEliminaNon rispondo a quello che dici sulla mia scrittura semplicemente perché rispetto le tue opinioni e se tu la vedi così per me va bene visto che è sempre il lettore che giudica. Potrei girarti la stessa domanda su gugl per il mio libro che l'ha recensito a fare se è così minimalista e di stampo onanista? Per favore non scadiamo sempre nelle solite fanciullesche irritazioni.
Cercherò di spiegare dopo altre cose.
pepe
invito tutti a mantenere l'attenzione ai versi di Ronchi. In fondo, questo spazio non vuole tracciare griglie di valore, bensì cogliere l'occasione di riflettere con competenza attorno al fare poesia.
RispondiEliminaChe questa fare sia plurale, ormai, mi pare siamo tutti d'accordo.
Che un poeta difenda la propria posizione, mi pare necessario: ciò ne evidenzia la consapevolezza. L'importante è rispettare la persona.
che negli ultimi anni, l'editoria maggiore abbia privilegiato i consigli di alcuni potentati, anche questo è abbastanza visibile.
Tuttavia, la poesia di Ronchi non mi pare abbia padrini, infatti non è presente in alcuna antologia (se non erro). Evidentemente, questo suo "cantabile" gli pulsa nelle vene per natura e gli deriva da certe letture anziché da altre. Non c'è insomma, alcuna premeditazione o colpevolezza.
Il problema di fondo, per tutti i poeti, credo sia sempre il solito: come giustificare la propria poetica, come essere sicuri di aver scelto bene? La mia risposta è: non si può essere sicuri, bisogna sempre ripartire da capo e dall'infondato che ci costituisce. Ognuno renderà conto al tempo, se questo azzardo ha avuto un "senso".
caro pepe nessuno ha detto che la tua poesia è onanista. sei tu che sei partito con un lamento sulla tua poesia, mentre si parlava delle poesie di qualcun altro. e dunque hai chiamato tu il paragone. e nessuno si è arrabbiato. e nessuno ha detto che una recensione positiva di stefano è una "garanzia di qualità". tutto ciò sarebbe assurdo. ti ho chiesto solo di essere più preciso (minimalismo: cos'è? tecnica: c'è o non c'è?). quando hai tempo. anyway, la mia l'ho detta a suo tempo e per ora non saprei aggiungere altro.
RispondiEliminasaluti,
lorenzo
prima di tutto, un dubbio: se anche chiamassimo prosa la poesia di valentino, ciò nuocerebbe al suo valore?
RispondiEliminae se anche non ci fosse alcun segno rintracciabile e codificabile di "tecnica poetica", ciò renderebbe questi testi meno belli?
(scusate, i dubbi sono due...)
a me le poesie di valentino non solo piacciono, ma CONVINCONO.
(solo un'opinione tutta mia, questa, sia chiaro).
esiste un confine netto tra banalità e semplicità. e valentino sa essere di una semplicità disarmante e mai banale.
(caro pepe, queste non sono certo poesia che vanno di moda, credimi... per quanto io non trovi nulla di male nell'essere "alla moda", se la propria ricerca artistica non è fatta a questo scopo...)
s.
Certo poi una cosa è leggere (e giudicare) alcune poesie, un'altra il libro intero!
RispondiEliminaCerco di spiegarmi che forse come al solito ho fatto confusione. Non parlavo di padrini, né di spinte ricevute dall'alto. Per come la vedo io la poesia di Ronchi fa parte di un certo modo di concepire la scrittura di diversi autori nati negli anni '70. Questo non vuol dire che Ronchi si sia ispirato a autori suoi coetanei o faccia parte di particolari correnti. Evidentemente ciò avviene, almeno per me, per uno spontaneo comune sentire generazionale dovuto al periodo storico. Dopo il crollo delle ideologie tutti abbiamo assistito a un forte ritorno al privato, quello che un tempo si sarebbe chiamato riflusso, del tutto comprensibile viste le note vicende di quegli anni specie in Italia e non solo. Il mio dubbio è semplice: oggi questo tipo di scrittura, chiamiamola neocrepuscolare tanto per capirci, ha ancora un senso? Non c'è n'è già troppa in giro?
RispondiEliminaSilvia non avevo dubbi che a te questa poesia convince ma guarda caso anche tu sei nata negli anni '70.
Attenzione sia ben chiaro che non sto dando classifiche di merito. Oggi la poesia è plurale per forza di cose per questo metto sempre l'accento sul "per me". Per me questa è più prosa che poesia, per me manca in intensità, per me ecc.
Spero che mi sia riuscito a spiegare meglio.
pepe
la nostra generazione ha sentito con più forza il peso (o la libertà) dello schieramento politico e dell'ideologia. La generazione dell'"opera comune" sicuramente di meno. Credo che su questo tu abbia ragione Gabriele.
RispondiEliminaChe cosa sia necessario scrivere oggi rimane invece questione sempre aperta, sempre indecidibile, se non per via individuale e senza protezioni.
gugl
Mi permetto di postare un commento di Massimo Sannelli alle poesie di Ronchi e ai commenti che qui abbiamo espresso. Credo che ciò aiuti il dibattito, ma non c'era da dubitarne vista la levatura di Massimo. Il testo è preso da "La poesia e lo Sprito", dalla sua "scuola di peosia"
RispondiEliminahttp://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2008/01/08/pro-e-contro-le-briciole-scuola-di-poesia-5-di-massimo-sannelli/
"Ronchi sta nelle “piccole cose” - con il vantaggio del distacco, come dice: vengo dalla filosofia, dal cinema, faccio il libraio, ecc. E Valentino scrive così, ad esempio:
Così sarà di certo
semplice questa sera vestiti di poco, da estate,
entrare piano e dire una preghiera, sedersi
sul fondo della chiesa, umida dal lato del mare,
nel centro esatto della piazza del piccolo paese.
che in realtà non è così giovanile o così incontrollato (c’è anche un endecasillabo nascosto: “entrare piano e dire una preghiera”; e Guglielmin lo sa meglio di tutti: “sapiente organizzazione degli accenti”); in un certo senso è *anche* “prosa tagliata in versi”, come la definisce Gabriele Pepe (ed è un mio modo di dire); ma non è scrittura *estranea* alla letterarietà, capìta bene o capìta male (ma non è questo il problema, ora). insomma: è poesia (molto) prosastica, ma non BARBARA e non INCOLTA. il problema è che coincide esattamente con il suo autore; che dunque assomiglia al suo testo - e allora dov’è il problema? [abbiamo parlato a lungo, e con forza, qui - di corpi somiglianti e testi in maschera - e viceversa]. forse il problema è doppio: gli accenti ci sono, ma manca una *forma* riconoscibile (gli accenti sono quasi dispersi, nel magma; e mancano le *apparenze* come le parentesi e i tagli di Sanguineti - per esempio; dunque non è immediatamente identificabile: ha il corpo di un uomo comune, che si disperde nella folla - è un esempio grezzo); e questa vita assomiglia a molte vite.
Giampiero Marano parlava di regime della visibilità e di poesia-problema. quello che (mi) colpisce - sempre, di fronte alla poesia semplice-visibile (per modo di dire) (e non diciamo “poesia di mercato”, ché il problema NON è il mercato) - è la distanza. da un lato, sembra che le avanguardie [non dico Villa, ma Porta e Rosselli, ad esempio] non siano penetrate, in nessun modo; dall’altro, che la vita complicatissima ipertecnologica ipercinetica che stiamo facendo *tutti* - tutto tranne che una vita ‘naturale’ - sia all’esterno, *non detta*. e se [PROVOCAZIONE] la poesia ’semplice’ o ‘pop’ non fosse ‘naturalistica’ come crede di essere? questo “parlare come si mangia” - espressione spaventosa, ma chiara - è *già* un’altra accademia o un’Arcadia (e non un diario, come sembrerebbe)? [ora: non mi riferisco a Valentino, che è un uomo giusto - ma alle condizioni reali di una cultura più vasta, che sono da sempre più urgenti…]
di fronte alla poesia della visibilità - il mio orecchio [folle, e anche isterico, e lo so bene] sente che si parla di *storia* e non di forme. e l’orecchio sente poco la forma; cioè sente qualcosa di non risolto da *questo* punto di vista - non trova i suoni, non distingue bene… così, delirando e improvvisando - come prima risposta, sul momento."
la poesia di valentino ronchi mi piace molto - così, istintivamente.
RispondiEliminami arriva immediata un'emozione che non codifico se non con la capacità della parola di denudare l'emozione stessa nel suo più semplice gesto e di saperla mostrare con la spontaneità di chi non cerca l'eccezionale - piuttoso sottolinea, attraverso il quotidiano, un movimento che si apre così del suo più puro sentire.
Non sono assolutamente sicura che sia poi così facile scrivere poesia - o prosa-poetica - come questa...
iole
Infatti non ho mai voluto sminuire il lavoro di Valentino forse ho sbagliato partendo da lui, che forse è già un passo avanti, per parlare di una certa poesia che io sento in questo momento inflazionata e troppo messa in evidenza rispetto ad altre. Il vero problema non è se meglio questo o quello ma dare almeno pari dignità a cose diverse che esprimono qualità e invece quasi mai accade e ribadisco ancora una volta che non parlo affatto della mia poesia.
RispondiEliminaComunque il dubbio di fondo espresso su questo tipo di scrittura per me rimane.
pepe
non so trattenermi e lo devo proprio dire: a me questa storia dei poeti nati negli anni '70 fa solo sorridere. è RIDUTTIVA, esasperatamente riduttiva. credo che che fingerò di essere nata prima (o dopo)...
RispondiEliminariduttiva e inutile, come tutte le categorizzazioni/etichette, del resto.
s.
Vero Silvia generalizzare è sempre sbagliato ma insomma qui si scrive di corsa e non è possibile approfondire più di tanto. ma che in Italia ci sia stata e c'è ancora una certa forte attenzione su tanti poeti nati in questi anni è un dato di fatto non l'ho inventato.
RispondiEliminapepe
un'attenzione che è riuscito ad avere il gruppo di "Atelier" supportato da Cucchi e Santagostini. Mi sembra cosa che va riconosciuta, malgrado un certo entusiasmo eccessivamente palingenetico!
RispondiEliminagugl
che questa di Ronchi sia poesia e non prosa lo dice un indizio certo: l'autore in cima al verso va a capo, e questo basta, oggi, perchè no? ci aiuta così il poeta a udire quella sua canzone o canzonetta lieta che va ritmata e liscia incredibilmente senza urti fino in fondo e ci lascia deliziati, con il solo stupore: di dove attinge mai tanta grazia in questo nostro tempo? e qua e là il sentore come di qualche delicata posa: del resto a chi mai (o da quanto)è accaduto che una signorina dal corpo "incalcolabile" abbia sporto i seni dal letto metafisicheggiando perfino e con certa quale proprietà? dopo una simile elargizione (di cui l'autore ci vela doverosamente il seguito come il preambolo) è giocoforza recarsi al duomo ad appicciare un cero, per ringraziamento
RispondiEliminapaolo
un saluto particolare a Silvia Monti, con la quale sto facendo (assieme agli altri redattori di liberinversi) un libro molto discusso. Anche gli redattori sono nati negli anni Settanta, ma vedo che riesco lo stesso a ragionare :-)
RispondiEliminagugl
direi, paolo, che dici cose sacrosante :-)
RispondiEliminagugl
IL CERO NO! PROPONGO UN SOLENNE BRINDISI...
RispondiElimina@gugl: noi del '70 si ragiona solo nel confronto con quelli più maturi... :)
Questa è poesia perché Ronchi vuol scrivere poesia. Anche se non andasse a capo sarebbe poesia, se lui volesse scrivere poesia. Molto meno poesia è quella di chi non ha poesia ma semplicemente mutua la stessa forma di chi ha scritto poesia, pensando che sia la stessa cosa. L'ho già scritto in una vecchia discussione su Valentino: "Lo so che sembra paradossale ma il discorso, per me, è inverso: non è poesia perché si va a capo (o non si va a capo, come per esempio fa Massari, per fare un esempio incontestabile) ma si va a capo perché è poesia."
RispondiEliminaP.S. Ancora con quest'incubo dei poeti nati negli anni Settanta?!? La ricostruzione storica centrata su Cucchi & Santagostini è molto riduttiva del vero ruolo avuto da Atelier, comunque non c'è molto ancora da preoccuparsi... Dieci anni fa c'erano quelli degli anni Sessanta e tra molto poco avrete a che fare soprattutto con quelli nati negli Ottanta. :-)
Ci sono ragazzi promettenti fra i nati negli anni novanta. Due o tre sono nomi dal futuro certo. Ma per molti di loro l'impegno richiesto dalle scuole medie è un grosso ostacolo. E il passaggio al liceo può essere traumatico.
RispondiEliminaDirei che è un problema proprio della loro generazione.
Gatto da forno
se non c'è il talento, ogni a capo è acqua fresca: lo penso anch'io Martino.
RispondiEliminail Gatto scherza, ma fra qualche mese pubblicherò un poeta nato negli anni novanta che merita senz'altro l'attenzione anche dei più navigati. (intanto aspetto che diventi maggiorenne, onde evitare questioni di qualsiasi genere)
gugl
cosa vedono i miei occhi??? ;)))
RispondiEliminacmq...anni settanta o no... questa prosa poetica di valentino mi piace davvero. l'ho letta in maniera sciolta, provando un forte piacere nel leggerla.
sono riuscita a figurarmi perfette e nitide quelle scene che descrive. così azzurrine... quei ritagli di quotidiano, infondo, pieni di voglia di esserci, di presenza!
Ha ragione Patty, viene voglia di esserci, insieme a Fati e Cavretti, a Flaminia.
RispondiEliminaA leggere queste poesie viene voglia di vivere, più che di scrivere.
R.
Questo r. mi dice qualcosa... E comunque ci prende.
RispondiEliminaVedo che Valentino uscirà anche su Nazioneindiana... Perchè non mi avvisi mai??? Perchè? E io che ti sostengo da anni, nell'ombra...
Gatto da forno (nell'ombra)
Non si contesta il fatto che questa non sia poesia
RispondiEliminasi è piuttosto perplessi sull'effetto che
genera in noi.
Comunque
gli ultimi interventi,
quello di Patty e di R.
metteno in chiaro tutto;
scene azzurrine, ritagli di quotidiano, voglia di esserci,
Lo stesso effetto della musica leggera.
PIero Casella
Note di cronaca.
RispondiEliminaValentino Ronchi ha vinto, in data 29 marzo 2007, il prestigioso Premio Baghetta, davanti a Roberto Amato, Patrizia Cavalli, Valerio Magrelli, Claudio Damiani, Giuliana Rigamonti.
Il 15 febbraio inaugurerà la nuova edizione del Premio con una lettura al Castello B. Colleoni di Solza (BG).
Note di lettura.
RispondiEliminaÈ una questione di qualità.
In modo forse un po' troppo semplificante, mi verrebbe da dire che il nucleo palpitante del libro di Ronchi sia proprio quella "nostalgia del presente" di cui ben parla Lorenzo Carlucci. Le Canzoni di bella vita di Valentino Ronchi stanno insediate nel reale, nel quotidiano, come molti di voi seguitano a ripetere (parlando di neocrepuscolarismo). Ma prendono parte in quella sede, a mio modo di leggere, obliquamente. Tengono al di là dagli occhi l’ipertrofia della vita delle sue (Milano in primis) e delle nostre città. Come dice giustamente M. Sannelli *sembra che […] la vita complicatissima ipertecnologica ipercinetica che stiamo facendo “tutti” - tutto tranne che una vita ‘naturale’ - sia all’esterno, “non detta”.
La poesia di Valentino non è “pop” (che brutta classificazione), è invero notevolmente ricercata e “vissuta”. Con questo non voglio dire che si tratti di un diario, del resto le 4 sezioni, i 4 io differenti (che diventeranno a quanto leggo 6) lo smentiscono chiaramente. Voglio dire invece che è letteratura vera, vibrante, in qualche modo elitaria. Lo sguardo che Valentino applica al reale non è certo riconoscibile e partecipabile “ecumenicamente”. È esatta la notazione di Lorenzo Carlucci, il riferimento a Wittgenstein. Sembra che l’io del filo poetico-narrativo delle Canzoni non abbia né il bisogno né la pretesa (dunque ha la modestia) di offrire soluzioni o visioni del mondo che va a selezionare, tagliare. Basta il suo descrivere, il suo indicare volta per volta le manifestazioni della soglia del mistico. Io credo che sia più efficace, e faticoso e premiante, questo lavoro rispetto ai vari tentativi – talvolta patetici – di raffigurare l’incredibile.
Infine ribadisco il punto da cui ero partito, una nota che non è stata qui problematizzata, e che è un punto forte (con ascendenze pasoliniane, mi sono poi accorto) della poetica di Valentino. Quella "nostalgia del presente" della quale i seguenti passi parlano chiaro:
[…] Ma
intanto Chiara nel letto aspetta quel che le spetta
di vita. Al bambino lei insegnerà a parlare e scrivere
con la matita, farle la punta. E ci passerà i pomeriggi
lunghissimi loro due soli nella bella città. - Leva
il lenzuolo fatti vedere - e lei lo leva. Le lunghe gambe
potessi, fermerei la mia vita in questo momento.
- Certe volte sento di avere una malinconia delle cose
che mi prende prima ancora che finiscano, prima ancora
che siano lontane - dice Dario, seduti alla fontana, caffè
in mano, portato fino a lì dal chiosco, con attenzione.
Valentino Ronchi manifesta acume nel far vedere, anzi, direi quasi, a far sentire (in senso "meta-olfattivo" se si può osare una cosa del genere) questa "nostalgia del presente". Lo fa come se fosse palese quanto il verde dei campi, la stracciatella dei cieli. Come se riuscisse - innalzando ciò all’ovvietà del quotidiano - a far trasudare cose, persone e luoghi, di quella nostalgia. Egli rende la visione della "relazione" (che sia tra persona e luogo, tra persona e persona, o anche solamente nella disposizione fisica ma pure mnestica dei luoghi) attraverso questo sudore fragrante, e colto dall’io in flagrante; un io che conseguentemente restituisce al lettore la "relazione" attraverso vie traverse e nascoste, ma pur sempre accessibili in grazia delle sue squisite segnaletiche naturali.
La nostalgia risplende nei suoi versi come vera e propria "sofferenza del ritorno", del ritorno a quella alcova che il luogo del presente (una per una le città delle Canzoni) cova nel suo darsi, qui ed ora. Alcova che è un inedito "sempre stato". Alcova che da una parte gioca a vestire una memoria senza precedenti, dall’altra subito si proietta nel tempo già esaurito: il tempo di una porta che si chiude lasciando dietro di sé il profumo della stagione conclusa. Come se si vivesse già la ripetizione dell’evento, ma nel momento della sua prima volta. In definitiva come fosse una "nostalgia anticipatoria", la consapevolezza di un momento che è il momento eternizzabile, che è la scelta matura, senza dubbi, e che senza dubbi saremmo pronti a rivivere.
Andrea
mi pare che Andrea sia convincente. Nostalgia è comunque parola (e sentimento) dei crepuscolari (a cui loro accostavano "ironia").
RispondiEliminad'altro canto, Sanguineti -apparentemente l'opposto di Gozzano - è l'ultimo dei crepuscolari. Voglio dire: non ci si libera da una tradizione, ma ci si rimette ad essa, la si attraversa e la si porta inevitabilmente come terra concimata il cui il frutto è la poesia di oggi.
gugl
prosa / poesia
RispondiEliminaforse per qualcuno la prosa è arrivare in fondo alla pagina, mentre la poesia è 'tornare' (verso) un po' prima. faccia lui!
dovrebbe intreressarci anche un ulteriore aspetto: il ritmo.
è il ritmo che organizza il senso nel discorso. il ritmo in un discorso può avere più senso che il senso delle parole /Meschonnic/.
chiedo: nelle poesie di Ronchi c'è ritmo?
un abbraccio
alessandro ghignoli
più che ritmo, a sprazzi, la sento una bella musicalità!
RispondiEliminaalmeno... a parer mio!
c'è ritmo? (ci sono "endecasillabi nascosti" [osservato da Sannelli] c'è una "sapiente organizzazione degli accenti" [osservato da Guglielmin])
RispondiEliminac'è *un* ritmo? no. è poesia moderna.
--
la nostalgia non è solo dei crepuscolari. si può partire dal romanticismo e abbracciare tutto il decadentismo, da capo a fondo. non è una connotazione sufficiente. allora ci si potrebbe chiedere: ronchi si libera dal decadentismo (inteso generalissimamente)? va oltre? forse no. ma allora la critica potrebbe partire, per esempio da qui: non ci dà ronchi, con le sue "tautologie estetiche", con il suo "mostrare", un bell'esempio di ciò che Mandel'stam chiamava "buddhismo occidentale" e criticava violentemente come illusoria religione del nulla, da Flaubert in poi? forse da qui si potrebbe iniziare una critica che tocca Ronchi e va oltre Ronchi (?).
ciao,
lorenzo carlucci
sappiamo che il ritmo tradizionale è ogni scansione regolare di accenti, ma il jazz ci insegna che la regolarità è noia. anche il discorso in prosa ha ritmo, indipendentemente dal fatto che sia "poetico" (il discorso).
RispondiEliminavoglio dire, ogni frase possiede un ritmo, ma non necessariamente un senso compiuto. E: non ogni poesia è tale solo perché ha ritmo e senso compiuto... ma non chiediamo ad un blog di risolvere la questione "che cos'è la poesia" oppure soltanto "che cos'è la poesia italiana contemporanea".
ciao Alessandro, grazie per il tuo passaggio. E ciao Patty, fiorellino di mamma tua :-)
Lorenzo, abbiamo postato contemporaneamente.
RispondiEliminasulla nostalgia, direi: è la costruzione platonico-cristiana del tempo lineare a istituirla, nella misura in cui ci lascia nella miseria del tempo perduto, che Proust, probabilmente, non ha mia trovato davvero.
sul buddhismo occidentale, dopo Mandel'stam, ci hanno detto qualcosa i poeti beat. In italia, non mi pare che la questionesia stata particolarmente recepita. Magari hai ragione: Valentino traduce l'impermanenza con l'apparente leggerezza di un fiore di loto.
gugly (...), non è il buddhismo "peace and love" contro il quale mandel'stam si scaglia, ma il buddhismo "wittgensteiniano" se vuoi, la riduzione della filosofia a un koan (da risolvere con l'azione, con l'abbbandono della filosofia), il nirvana della coscienza - felice (o che si vuole tale) - dei limiti dell'intelletto e della sensibilità umani.
RispondiEliminalorenzo
è molto bello signor Gugl questo blog!
RispondiEliminaMetro riconoscibile, ma non è poesia (anche se il blog è bello veramente...).
Vostro Gatto da forno
mah, il buddismo beat non è solo peace and love. comunque, non paragonavo la poesia di Valentino a quella del beat; facevo soltanto un esempio di possibile pratica buddhista nella versione occidentale.
RispondiEliminagrazie Gatto.
gugl
io mi sto un po'perdendo... riguardo alla noia della regolarità, concordo in pieno!...anche se il jazz...non mi piace!
RispondiEliminacome mi ha chiamata????????!!!!!!!! :-)
detestabile!
si accennava poco sopra ad "ascendenze pasoliniane" e anche a una poesia della realtà; ma questa di Ronchi pare piuttosto frutto di una selezione in punta di penna dello sguardo e del sentire, mentre la realtà è proprio il quid che fa breccia anche nei propositi del testo e lo invade, qualche volta in gioia, spesso amaramente, terribilmente. In Pasolini è così ma lo era anche in Penna, croce e delizia; la spensieratezza nostalgica senza sussulti, senza crampi, benché gradevolissima, mette piuttosto che al reale alla sua composta oleografia
RispondiEliminapaolo
con questo passo, Paolo, si torna a Saba e, appunto, a Pascoli (cvd)
RispondiEliminagugl
sì, caro Stefano, è così, ma in Pascoli o almeno in Myricae c'è un intercapedidine fra la parola e la forma minuta della natura che è già dubitativa, rabbrividente, tanto che, diciamo, uno storno che traversi un lembo di cielo pascoliano lo si potrebbe rivedere, bruciacciato dal sole e fradicio dalle tempeste, risvolare su un greto di Montale; mentre una piccoola cosa di pessimo gusto non potrebbe compiere questo tragitto se non lungo la piega di un sorriso, debitamente motteggiata, quanto a Saba c'è pur quella "gioventù che sbanda a povere mete" a ricucire in un puntino il secolo; verissimo quindi quello che dicevi sull'Arcadia, che si rispolveri la siringa del pastore e si zufoli sull'orlo dell'abisso può andare, ma questo non riguarda la realtà, nel senso che non la guarda proprio
RispondiEliminapaolo
ringrazio tutti gli intervenuti in questa interessante discussione. E ringrazio Valentino Ronchi per averla, in qualche modo, favorita.
RispondiEliminaanche io vi ringrazio,
RispondiEliminami sono divertito molto!
Valentino
Gentile Sign.Guglielmin
RispondiEliminanon ero niente affatto convinto
dei miei interventi provocatori
cercavo soltanto di maturare ulteriormente
la lettura di RONCHI,
e tutti quelli che lo hanno difeso mi sono stati di grande aiuto!
grazie
Piero Casella
grazie a lei per l'intenzione e per l'uso seminale della provocazione.
RispondiEliminagugl