domenica 4 gennaio 2009

Silvia Monti



Senso panico, ma non troppo, con D'Annunzio che dialoga con il pop, e Silvia Monti con Saffo, Caproni, Szymborska e Anna Maria Carpi, in una natura che è rifugio e legame con la tradizione: tutto questo si muove in così uguale (lampi di stampa, 2008), opera che raccoglie testi scritti tra il 1995 e il 2007, alcuni usciti in differente versione in Novantasette Km (Gruppo Fara, 2004), Più primavera che paranoia (LietoColle 2006) e nella rivista "Le Voci della Luna" (39/07). Dell'esteta aviatore, Silvia la ciclista toglie ogni preziosismo, per assumerne, senza mediazioni, il bisogno di fusione con le forze ctonie, pur con il rischio talvolta di cantare facile, cone in ".A": "amore, amore, perché sei bella/ e fuggì via? perché 'stanotte non sei mia?" che ricorda solo apparentemente Sanremo e, più profondamente, l'invocazione alla natura nella "Silvia" leopardiana, dove però il tragico smussa in elegiaco e l'universale in privato, in quell'amore non corrisposto, di cui, occorre dirlo, è ormai saturo – almeno nelle tonalità che vanno, appunto, dal tragico all'elegiaco - il canone occidentale. Caproniano è invece il dialogo vertiginoso con "dio", dialogo con l'assente, che obbliga il finito a credere in ciò che gli appartiene più essenzialmente: il pensiero. E come Caproni, Silvia, di "dio" attende la rivelazione, il Suo uscire allo scoperto, per redimere i mali del mondo, il suo cuore malato d'amore, ma anche che acquieti il suo animo frastornato dalla memoria e dall'interrogazione sul senso, pallidamente intravisto, dell'esistenza. Se posso dare un consiglio, direi a Silvia di non calcare troppo con il pedale del citazionismo leggero (la stessa idea di scrivere un libro come se fosse un disco, mi sembra già consumata dalla letteratura giovanilistica degli anni novanta), per approfondire il suo descrittivismo onirico, allusivo, intercalato con le improvvise e feconde incursioni nella cronaca.





lato A

fuori a caso a cercare la notte (la bici è scontata)
e non c'è odore da poter tralasciare,
a caso verso i prati lungo l'adda,
(purché non diventi un'abitudine).

sono così approssimativamente io
da sola, seduta a questo margine di ombre e lontananze.
oppure, la forza di un cerino, siamo in tanti:
un grillo (che taceva), l'ombra a sinistra
e quella lunga e stesa.
che ci accomuna tutti e quattro è l'ora tarda, è l'erba umida,
è una cadenza che il grillo spinge a forza, io
mastico nel fumo e dico
- sono/non sono/sono/non sono/sono... (et cetera) -.
purché non diventi un'abitudine.


tornando

mi rallenta la dinamo accesa
disegnando tra le ruote e l'asfalto un pallore omogeneo.
non mi sento né bene né male: pedalo
e la strada è la stessa (quando andavo alle medie
facevo casa/scuola senza mani, le mattine più fredde).

questa notte tagliente mi costringe nei guanti,
ai ricordi (lo volevo e non posso tornare e non posso
altrimenti restare).
poi, ancora, pedalo.



.A

sicuramente avrei
voluto dirti - amore,
amore, amore, perché sei bella
e fuggì via? perché 'stanotte non sei mia? -

perché questa è la verità che non si sa, questa
è letteratura:
bella da scrivere, meravigliosa da non vivere.





*

(- dio, dio, dio... una volta c'ero anch'io tra le tue pecore -)

non c'è ragione, dio, non c'è motivo
per cui tu non esista. infatti
tu ci sei, ma io?

e se non c'è, dio, non c'è
che tenga, se non esiste, dio,
se non risponde al nome che gli diamo?

se dio non c'è, non posso nominarlo, né fare a meno di tentarlo.


de ecclesia

con le ginocchia in gola, pedalando
con astio e accanimento
per togliermi di dosso il vostro odore,
fuggire, non è la soluzione che vorrei

con il pensiero chiuso in quelle stanze
con astio e accanimento, lo sento.
non posso cancellare ciò che ingombra,
non posso traslocare da me stessa
nemmeno se volessi e non lo voglio,
(rientrare nella norma)

con gli occhi bene aperti, benedetti
(non astio, accanimento)
per ritornare indietro nel passato

e mi riprendo e mi riporto a casa sana e salva.


*

del vortichìo della mia vita mi suggerisce il vento.
e non si può trovare scuse, farlo tacere.
resto in balia, mi arrendo,

cedo, rimango qui, sotto la copertina a quadri
e guardo fuori
guardo le foglie, i rami che si lasciano tentare dalle raffiche incalzanti
ondeggiano ed oscillano felici, nuotano esperti come non so mai fare io.
(non oggi, almeno.)


*

di un albero
conosco il tronco le foglie i rami la stagione
a volte anche il nome.

albero e silvia
radici che succhiano forte, dal fondo, nel buio
e poi rami, formiche, poi foglie ed uccelli

nel tronco si perdono tutte le angosce
le insane paure si stendono al sole tra i rami
nel cielo che si può vedere ci sono i miei sogni
i miei antenati i miei desideri
(se cade una noce son veri)

albero e silvia
vertigine e pace
(d'annunzio, ti piace).


*

il bosco adesso è scuro solitario quasi assente.
è foglie e fiato e lontananza, è svagata salita.
e se solo non avessi un odore,
un odore cattivo da essere umano,
i cervi resterebbero, verrebbero a trovare i miei pensieri.
solitari, esili, quieti.
il bosco scivoloso tra le foglie,
per via degli stivali, quelli verdi
di gomma, impermeabili.
il bosco mentre scelgo i rami secchi per la stufa.
il bosco dei miei avi.
il bosco scura macchia
nera e misteriosa in fondo al prato.
il bosco e lo spavento.
(da bambina avevo utili paure, ora comprendo
il raziocinio mi conforta, ma non sono mai serena fino in fondo.)

il bosco, a due passi da me.
(e d'annunzio non c'è)



nata il 21 giugno 1971, cresciuta a morbegno (so)/ vive a monza / insegna. auto-prodotto, fotocopiato e distribuito le sue prime raccolte/ "novantasette Km", 2004 (quaderni del gruppo fara, bg -premio nazionale poesia giovane)/ "più primavera che paranoia", 2006 (lietocolle edizioni, co – premio nazionale “opera prima”). "così uguale" 2008 (lampi di stampa edizioni - collana festival). sue poesie in antologie / su riviste / on-line. progetta / partecipa ad interventi nel campo della street art / dei reading poetici / anche con musicisti. nel comitato di redazione del blog di divulg(azione) poetica e critica essenziale “LiberInVersi" / cura la rubrica mensile "one shot" su tellusfolio. Qui il suo sito.

31 commenti:

  1. forse anche Blanc dovrebbe scrivere dell'aggressione israeliana a Gaza. Ma ci sono già ottimi blog che lo fanno. Non sapre idire meglio.
    Io linko questo sito, per chi vuole firmare
    http://www.historiamagistra.it/

    mi scuso con Silvia per questa nota nel suo spazio, ma sono sicuro che capirà.

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  2. innanzitutto grazie, stefano (e capisco, sì).

    leggo la tua nota e mi ritrovo a conoscere qualcosa in più di te. e a pensare. e non è poco, no?
    per esempio.
    "sicuramente avrei/voluto dirti - amore,/amore, amore, perché sei bella /e fuggì via? perché 'stanotte non sei mia? -" sono versi davvero sanremesi. dietro, però, cè il tentativo di sollevare una questione, per me, niente affatto leggera, in un modo diretto e semplice. la questione cioè dell'amore tra due donne che (ahimè, ancora oggi, in italia) tanto sanremese non è... non a caso questo testo si trova in una sezione ("tre donne intorno al cor") dove mi sono persino appropriata scherzosamente di un verso di dante...
    (la tua osservazione, che so attenta e precisa, mi fa pensare che l'esperimento forse non è riuscito... bene. nel senso che è un riscontro importante.)

    e poi.
    non mi preoccupa l'idea di correre il rischio di giovanilismo, quanto semmai quella che il mio libro possa dare l'impressione di essere troppo "frammentario" nel suo continuo suddividersi in brevi sezioni. tu che ne pensi?

    quanto all'oniricità, stefano, mi è davvero venuta meno negli anni in cui son scesa a vivere "in fondo alla bassa italia" (come diceva la pro-zia di un amica, parlando della brianza). il "trittico d'annunziano" è la fotografia del mio ritorno in valle, per l'estate...

    e, se posso, una domanda: e di "quel giorno" (una delle tante sezioni del mio libro) che ne pensi?

    s.

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  3. cara Silvia, rispondo sinteticamente.
    - se noti, oltre che sanremese, ho scritto "Silvia leopardiana" (con tutta la questione del rispechiamento, che non ho affrontato). Di certo, l'occhiolino al verso facile lo fai; dal mio punto di vista, occorre verificare se oggi questo abbia senso proporlo oppure no (ma il dibattito è aperto).

    - la questione "gay" (come ogni altra questione legata alla scelta della via stretta): saffo è grande perché si lamenta dell'amore non corrisposto o perché trasforma questa condizione in dialogo con l'identità e con la natira? talvolta le tue liriche raccontano solo un amore non corrisposto (tema assai interessante, ma di superficie)

    - il libro, in effetti, è frammentario, nel senso che apre stanze dentro le quali il lettore vorrebbe trovare maggiori presenze, maggiore tridimensionalità. La stessa sezione "quel giorno" lascia un sapore vago di morte, perdono, rabbia, rispetto, che meriterebbe un libro a parte. Inserito in un capitolo che, fra l'altro porta come sottotitolo "concept album", trasmette solo in parte l'universo complesso che custodisce.

    un abbraccio!

    gugl

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  4. silvia scrive eliminando ingombri, riducendo al necessario. Ed è già una gran cosa. E ama il rischio (di scivolare, a volte, nel pop? Di scrivere facile?) Ma è un rischio calcolato, mi sembra. E comunque, scappa lontano dal poetese (pedalando veloce), e anche questo è un buon segno. Cari auguri di buoni mesi 2009 (oramai, è meglio non allargarsi troppo.Si naviga a vista, altro non si può fare...) ;-) luisa p.

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  5. hai ragione: scappa dal poetese, e fa benissimo. Ma nel canone, il poetese non c'è mai stato.

    avvicinare la lingua d'uso è bene; l'importante è mantenerla viva, non adagiarsi su di essa. Non che silvia si adagi; tuttavia non sempre la fa zampillare, brulicare, la salva insommadall'appiattimento cui è soggetta nella società di massa.

    ciao Luisa e grazie per il tuo intervento.

    gugl

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  6. @ stefano (d'istinto, sul resto ci rimugino un po'). sono convinta di sapere fino a che punto si spinge la mia tensione al verso facile...e di non essere ancora arrivata dove voorrei, cioè farla più facile ancora...

    @ luisa: grazie (quel "pedalando veloce" mi piace assai).

    s.

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  7. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  8. (ho tolto una parte del commento precedente e lo ripubblico.)

    ho idea che un po' si possa, con le parole, ma non tutto. ogni parola che utilizzo mi costringe a riflettere sui rimandi e le combinazioni possibili (di suono, di significato) che si possono generare, ben sapendo che non riuscirò mai a trovarne uno e basta. perciò, a volte, scrivere mi sembra più una resa: mi sono impegnata al massimo ma...
    certe parole, poi, sono così usate e usurate che è difficilissimo utilizzarle. eppure non riesco a farne a meno...

    ho la tendenza a sottrarre, piuttosto che aggiungere, quando scrivo. e questo libro, nelle mie intenzioni, avrebbe dovuto contenere molti meno testi... forse è perchè tendo verso l'essenziale. o, meglio, per ciò che considero l'essenziale...

    s.

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  9. il laboratorio del poeta è un campo (metaforico) di battaglia.

    la parola viene o non viene, il verso c'è o non c'è, lo senti o non lo senti. poi c'è una tradizione a conferarlo o a negarlo, ma prima di tutto si tratta della scelta del poeta. E' una lotta con il talento, che deraglia, e la norma, che ingabbia.

    gugl

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  10. eh, sì. una lotta (metaforica) complicata e divertente...

    sento il peso e il fascino della tradizione, della norma. e continuo a cercare l'anarchia.
    e a chiedermi se veramente ci sia talento, nella mia ricerca. e spesso mi dico che smetterò di scrivere, prima o poi.
    non di amare la poesia.

    per ora, ho in progetto un'edizione bis di "così uguale". da quando è in giro ho potuto osservarla da lontano. e vederne i limiti, quanto i pregi...
    (è per questo che si pubblica?)

    ahimè, la befana non ha portato improvvise certezze... :)

    nevica, qui in brianza.
    bene bene.
    s.

    ps
    (in de ecclesia il IV verso è fuggire, non ruggire. una svista suggestiva...)

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  11. cara Silvia, io credo che pubblicare sia una grossa responsabilità. I premi e i riconoscimenti che hai ricevuto ti danno senz'altro ragione.

    In rete, si leggono troppi complimenti e poche critiche fondate. Il senso di "Blanc" credo sia discutere rispettosamente intorno al fare poetico di qualcuno che, per il solo fatto che in "Blanc" ci sta, per me è di valore. Naturale che ci si scontri; ciò fa bene alla poesia.

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  12. stefano, è proprio quello che penso del tuo blog (e che lo rende un po' un unicum). è un luogo dove non ci si nasconde dietro reticenze. e trovo molto costruttivo il tuo modo di fare. questo per non essere fraintesi.

    quanto ai premi, ai riconoscimenti, non li considero una garanzia. quasi il contrario... prima partecipavo per ostinazione e sfida. ora ho quasi perso la voglia...

    le tue osservazioni (e quelli di altri) mi hanno permesso di risolvere alcuni dubbi, più che altro strutturali, riguardo al mio libro. che è un buon libro, ma non ancora del tutto...
    è per questo che cerco il confronto.

    s.

    RispondiElimina
  13. grazie Silvia per questa tua franchezza.

    Spero che altri interverranno sul libro (se ce l'hanno) o sulle poesie scelte, che sono quelle che preferisco, naturalmente.

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  14. la questione dell'impiego del verso "facile", secondo me è da considerarsi in modo positivo,
    se attraverso esso si riesce a dire cose importanti.
    Lo vedo come l'uso della quotidianità o la semplicità. Certo non deve essere abusato, ma mi sembra che Silvia, come lei stessa dice, sta ancora cercando di affinare e di trovare un giusto equilibrio tra tutte le cose del suo scrivere.
    Mi piace inoltre la "leggerezza" di
    alcuni versi.
    vincenzo

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  15. difficile dire che cosa sia importante, in poesia. E soprattuitto capire chi è il soggetto che dice. chi comanda: la lingua o l'io che vuole comandarla?

    gugl

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  16. ciao Silvia! (buon anno, tra l'altro)

    fatico, dato il vischio amicale, a reagire qui con la compostezza critica dei tuoi interlocutori, Stefano in primis - e tra l'altro, per "colpa" di una tua carissima amica che me l'ha sottratto, non ho ancora avuto modo (confiteor!)di meditare con calma il tuo libro che ho in mano da mesi

    però una domanda mi scappa lo stesso: non trovi che nel cosmo pop musicale, che funge da interfaccia per tante tue costruzioni poetiche, rimangano più interessanti i "pensieri divergenti" di chi fa davvero ricerca canzonettistica contro un pur evidente "mal di festival", piuttosto che quelli di chi ne lastrica più o meno ruffianamente l'attraente seduzione (non faccio nomi di autori e interpreti, per non sollevare vespai intuili in questa sede)?

    Mario

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  17. Se scrivo qualche cosa, e ci tengo a sottolinearlo per prima cosa, è perchè questa proposta di Silvia mi piace, e mi riconosco sia nel linguaggio che nell'idea di sottrazione. Così come apprezzo lo spirito di Silvia, questo non è luogo di complimenti gratuiti, ma di discussione e - anche, si spera - di complimenti.

    trovo alcuni passaggi davvero ben riusciti, essenziali.

    questa notte tagliente mi costringe nei guanti,
    ai ricordi (lo volevo e non posso tornare e non posso
    altrimenti restare).

    uno fra gli altri.

    Su altri sono d'accordo con Stefano, si può scavare di più forse, dare più peso alle parole che in una lingua così essenziale devono avere ciascuna il proprio significato e nessuna impressione di scontato, neppure nella scelta degli aggettivi.

    ci tengo però a sottolineare che non sono un critico come st, e le mie sono impressioni, o spunti di riflessione, su testi che in ogni caso apprezzo e amo molto. altrimenti non mi sarei permesso.

    ciao

    francesco t.

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  18. mario, please, mi traduci la domanda? per noi "gente semplice, che ci piace sanremo..." :P)

    francesco, davvero capisco lo spirito del tuo commento. è quello che mi auguro e che cerco. grazie.
    (tempo fa chiesi a stefano la tua mail per proporti uno scambio mio libro/tuo libro. è da un po' che ti inseguo in rete...)

    nel complesso (e forse rispondo a mario) direi che sono alla ricerca di un linguaggio lineare e piano che abbia anche il coraggio di ri-appropriarsi della banalità (sapendolo) senza però essere scontato, ammiccante. e lasciando un po' di spazio all'allusione, al rimando. con l'orecchio teso al ritmo e al suono. cercando di arrivare all'essenziale...
    s.

    RispondiElimina
  19. Caro Francesco, come sia, in questo blog sono sempre graditi i complimenti, specie quando non vengono dalle tasche, bensì dalla testa e dal cuore.
    Grazie dunque per il tuo. Grazie anche a Mario, che pone la domanda a Silvia, per cui lascio a lei la patata bollente.

    Cara Silvia, ti ho dato l'email di Francesco, vero?
    "riappropriarsi della banalità" intendi 'della semplicità'?

    gugl

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  20. acc! mi mette sicuramente più in difficoltà la tua domanda, stefano.
    provo a spiegarmi. no, banale non è ciò che è semplice. nella semplicità c'è grazia e armonia, nella banalità no... la semplicità è una scelta, la banalità capita perchè non si è in grado di fare/dire diversamente.
    per me riappropriarsi del banale significa proprio scegliere quelle parole o espressioni che sono abusate, retoriche, prive di originalita e "riciclarle".
    non so se ho reso l'idea, ma grazie della domanda!

    e partendo dallo spunto di vincenzo, vorrei aggiungere che la leggerezza del verso è un aspetto importante, nella mia poesia. per bilanciare il contenuto, che spesso non lo è.

    ho riletto la domanda, mario. provo con questa risposta: ci sono i samuele bersani e i biagio antonacci. che ci possiamo fare?
    (come vedi i nomi io li faccio... :)
    s.

    RispondiElimina
  21. metterei appunto l'accento su queste ultime parole di Silvia:

    "no, banale non è ciò che è semplice. nella semplicità c'è grazia e armonia, nella banalità no... la semplicità è una scelta, la banalità capita perchè non si è in grado di fare/dire diversamente."

    Perché interrogarsi sulle modalità comunicative, anziché evidenziare i messaggi?
    Silvia -a mio avviso- non annoia e riesce a tener viva l’attenzione senza costringere l’intelligenza ad ingaggiare una furibonda lotta con il concetto, senza obbligare il lettore a decifrare chissà quali funamboliche metafore.
    E' linguaggio e senso assieme, diritto e senza alterazioni.

    La chiarezza comunicativaè una qualità essenziale dell’atto creativo. Ma semplicità non significa banalità o superficialità,al contrario: è la capacità di sintetizzare la complessità del mondo in un opera d’arte.
    Banale è ciò che non risponde ad alcuna esigenza specifica e quindi che non interessa. Semplice è invece qualcosa di facile comprensione, ma anche di utile, in grado cioè di soddisfare una necessità sentita, dell'autore in primis.

    fabiano alborghetti

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  22. Caro Fabiano, dici che Silvia è semplice ma non banale, mentre lei dice di voler essere banale e non semplice. la cosa mi sembra complessa :-)

    sul "banale": se avete letto la mia introduzione critica alla poesia di Alessandro Broggi nell'antologia di liberinversi, capite che cosa intendo io per operazione letteraria che prevede il banale quale scelta poetica necessaria. altre vie non mi convincono. Di fatto, anch'io credo che i versi di Silvia non siano banali.

    gugl

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  23. Tutta la natura nel bosco, come la terra chiusa tra le due zolle, qui il bosco chiuso tra noce e cervo, il bosco che per me equivale al mare, se di archetipo abbiamo bisogno, e penso di sì, almeno io, come di odori e colore che mi posizionino in un contesto reale, il bosco estromette la figura umana, i rami sono felici sotto la sferza del vento, i pensieri no, mai ‘sereni sino in fondo’; poi gli oggetti compaiono imprevisti, quei guanti in cui ci si riavvolge, o gli stivali verdi, e straniscono, perché sotto la scorza, la verzura, l’inquieto pulsa con evidenza, è ciò cui essere grati, covato dalle ‘paure utili’ dell’infanzia (bellissima questa espressione), è ciò che sfida il nome – minuscolo – di dio...

    Un saluto a Stefano e a Silvia Monti.

    erminia d.

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  24. un maestro di composizione musicale, Vittorio Fellegara, anni fa mi spiegò, pianoforte alla mano, che se nel più complesso e inaccessibile brano dodecafonico scrivo all'improvviso un BANALE accordo di DO maggiore l'orecchio mi fa fare un salto alto così, e non per colpa del sistema dodecafonico, ma perché un BANALE DO ha avuto un impiego divergente dalla medesima banalità cui le nostre abitudini d'ascolto lo relegano

    Terry Riley, quando scrisse nel 1964 "In C" ("trad. it. "In DO"), brano in cui un suono DO viene ripetuto per circa un'ora di volta in volta associato a differenti aggregati sonori) diede una versione strepitosa di quest'idea - e ne nacque in musica il cosiddetto minimalismo, poetica dove temi quali il riciclo del banale, la sottrazione, l'immediatezza comunicativa vanno a braccetto

    forse Stefano voleva dire (lo dico con "parole mie"...) che il limite non è nel come la tua poetica, Silvia, si concretizza nei singoli versi, o in certi splendidi approdi cui conduce i singoli testi, ma nel senso complessivo dell'operazione compositiva che si chiama libro. O sbaglio? Insomma, mi sembra di poter arguire che una direzione di ricerca poetica prossima potrebbe essere quella di ragionare attorno ai dispositivi che permettano di conciliare gli assunti del "per forza di levare" e del "ready made" con i risvolti comunicativi di un libro che invece, per sua natura quando si grava di poesia, preme verso la complessità, verso un'architettura formale più simile a quella di una cattedrale che non a quella di un bilocale con ampio terrazzo e box

    (da qui in poi però taccio, visto che sono in difetto di lettura)

    comunque è un'osservazione che estenderei, ragionatamente, a tanti libri di poeti di quella che potrei definire "Linea linearistica" della poesia dell'ultimo Novecento

    Mario
    (grazie per la citazione del "divergente" Bersani!)

    RispondiElimina
  25. Caro Mario, a sostegno di quanto dici, cito direttamente Calvino (Corriere della Sera, 12/2/1978):"La locuzione oscena serve come una nota musicale per creare un determinato effetto nella partitura del discorso parlato o scritto [...] bisogna soltanto preoccuparsi che la parola non perda la sua forza, cioè sia usata al momento giusto" (sostituisci "banalità" a "parolaccia")

    buona giornata!

    gugl

    RispondiElimina
  26. cara Erminia, ottimo il rilievo sull'archetipo del bosco e sull'effetto straniante degli oggetti domestici.

    un abbraccio!
    gugl

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  27. innanzitutto NO, non vorrei mai essere banale, anzi!!!
    ci sono cose/fatti/espressioni che sono banali in sè, o in relazione al contesto? provo a fare un esempio: so di aver SCELTO deliberatamente e consapevolmente di usare un'espressione assai banale come
    "- amore,
    amore, amore, perché sei bella
    e fuggi via? perché 'stanotte non sei mia? -" per creare il contrasto con la realtà, quella di un amore che non ha il problema di non essere corrisposto ma quello di non poter essere vissuto, raccontato nella sua quotidiana (anche) banalità.
    spero di essermi spiegata.

    @mario: ma tu entri più volentieri in una cattedrale o in un bilocale con box?

    @fabiano: dici "Perché interrogarsi sulle modalità comunicative, anziché evidenziare i messaggi?" e questo un po' mi stupisce. io credo che la "modalità comunicativa" in poesia sia al centro. non se ne può assolutamente prescindere. opero una scelta linguistica e stilistica e sonora per arrivare al al contenuto..."lavoro" con le parole, in quanto (forse) poeta...
    poi, però, aggiungi "Silvia -a mio avviso- non annoia e riesce a tener viva l’attenzione senza costringere l’intelligenza ad ingaggiare una furibonda lotta con il concetto, senza obbligare il lettore a decifrare chissà quali funamboliche metafore." e in questo mi ci ritrovo. nel senso che odio e aborro gli intellettualismi fini a se stessi, la cripticità che non è arte ma un modo per credersi artisti.

    @erminia: sì bosco come mare o viceversa. ci ho pensato spesso. ma del mare ho paura...

    @stefano: bella la citazione di calvino. condivido. anche riguardo alla parolaccia.

    sollevo poi un'altra questione che mi sta a cuore: mi sembra che la scelta che hai operato, stefano, dei miei testi abbia tagliato fuori un aspetto importante della mia poetica (e uso questa parolona ma mi suona da una che si crede chissachi...), l'ironia...
    s.

    RispondiElimina
  28. ho fatto una scelta di testi e,su quello, ho scritto il cappello. Certo se avessi scritto una recensione vera e propria, l'ironia l'avrei indicata, la quale, mi pare, s'intreccia con la scelta citazionista o "leggera", laddove non diventa sarcasmo (ma non invettiva) d'amore.

    il mare ti fa paura perché è archetipo della morte dalla quale non si ritorna, mentre il bosco si attraversa, si rinasce.

    gugl
    gugl

    RispondiElimina
  29. se entro più volentieri in una cattedrale o in un bilocale con box...

    dipende da cosa cerco, faccio, scelgo, incespico (ob-vius!)

    certo non credo entrerei a Chartres per farmi un caffè o schiacciare un pisolino - a Chartres c'ero andato per una miriade di motivi, tra i quali anche il famoso blu delle sue vetrate, che non credo si possa trovare tanto facilmente fra milioni di bilocali

    però se un giorno un bilocale si trasformasse per colpa di una mareggiata in un'immensa cattedrale, allora il più riscaldato caffè o il più schiacciato pisolino o il più masticato amore... (to be continued)

    (lo dico solo perché, restando nella metafora, il tuo libro di primo acchito non mi era parso un semplice bilocale con cantina e giardinetto prospiciente, ma una dis-aggregazione geo-psichica in cui si agitano forze riaggregative possenti, a sesto acuto, ma senza quei gotici (e non è del gotico l'immediatezza…) contrafforti che li slancino uno addosso all'altro più in alto di un "a tutto sesto" bello tondeggiante

    ma forse alla radice sta proprio un limite del ri-aggregare…

    testi dal 1995 al 2007, con ridda di riaccostamenti, espunzioni (sembrano le vicende editoriali delle varie raccolte di racconti del buon Calvino), con varianti (migliorative, quelle che conosco) – e visto che sei stata testimone critica di un mio abortito tentativo di aggregare in un disegno possibilmente organico cose nate e composte in tempi e luoghi i più diversi, forse il mio fallimento potrebbe darti qualche stimolo in più a prendere “così uguale” come un capitolo che andava comunque chiuso, e che chiude egregiamente, per iniziare a studiare l’ordine di nuove fondamenta – e non pilastrini, ma basamenti

    puoi sempre rispondermi con la caustica ironia del pigro Belacqua all’amico fiorentino che nel Purgatorio lo rimproverava di lasciar trascorrere troppo tempo in inerte attesa dello scatto per salire: “Or và tu su, che se’ valente!”

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  30. sì, mario. "così uguale" lo considero proprio un punto di partenza. e ne hai davvero colto la struttura...
    (procedere per sottrazione costringe a scegliere, ma è molto utile- e sai a cosa mi riferisco...).

    ne approfitto per ringraziare stefano e quelli che sono intervenuti. davvero un dibattito costruttivo, per me.
    kisss
    s.

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  31. un caro saluto anche da parte mia a tutti gli ospiti intervenuti.
    Ottima discussione davvero.

    gugl

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