giovedì 27 marzo 2008

Matteo Fantuzzi


Un libro molto atteso, Kobarid (Raffaelli 2008) di Matteo Fantuzzi. Se ne parla da parecchi anni in rete ed alcune poesie sono già conosciute. E' un amico, Matteo, per cui mi permetto di partire da una notazione critica, l'unica invero cui mi sento di metterlo in guardia: quando la parola si traveste, parla in vece di, se l'autore non mette in atto una distanza di sicurezza - che è di natura sostanzialmente affettiva - rischia di sprofondare nella polpa più penosa del personaggio raccontato. Ciò capita, per esempio, nella canzone melodica italiana. E capita anche in Kobarid, allorché lo Spoon River-Caporetto fantuzziano si popola di voci che impudicamente gettono sul piatto l'intero loro dramma, sino al patetico: "E a tua moglie? Che cosa vuoi dire / a tua moglie legata a una sedia a rotelle da anni / che di peso sorreggi e accompagni ogni giorno?" O si legga In televisione rivedo Pier Carlo, che ricorda il male di vivere gucciniano, del Guccini di Keaton, pervaso dal mito delle speranze vane e dei sogni eroici, frustrati dalla vita. Mi chiedo: salvare il "male di vivere" montaliano, evocando il poeta in sogno, è suficiente per uscire dall'impasse? Intensissime, invece, le poesie in cui l'occhio straniato di Matteo osserva il consorzio umano, mentre la sua parola dà voce all'inetto che è in noi. Un inetto innocente, che coglie le minime vibrazioni del senso e dell'animo, con un pathos che, appunto, evita le trappole del sentimentalismo. Il tutto eseguito con una voce in sordina, che canta l'incomunicabilità e la solitudine quali emblemi della miseria contemporanea.




*

Il portiere di riserva non esulta come gli altri
rimane fermo abbarbicato alla speranza
che quell’altro in calzamaglia se lo stracci un legamento
per entrare tra gli applausi, conquistare il proprio posto,
avere donne, case al lago, delle macchine potenti.

Avere gloria finalmente. Il portiere di riserva
se ne gira col cappotto anche di luglio per non prendere un malanno,
perché una volta era il suo turno, ma lui era a letto
con la febbre, ed entrato il ragazzetto degli under 18
strappò un 9 alla Gazzetta, e oggi gioca in Premier
nel Newcastle, ed ha fatto anche la Champions.

E due réclames per gli shampoo.



*

Devi diventare più aggressivo col lavoro
perché oramai va forte anche l’usato
e un poco ovunque spuntano degli outlet;
devi andare (avrai capito) nei luoghi del dolore,
in clinica oncologica ad esempio, e dire:

“Lei è incurabile per caso? E quanto tempo ha a disposizione,
un anno? E alla bara ha già pensato? Io le vendo da 20 anni,
importo il legno dalla Svezia, sono bravo, costo poco”.

O ancora meglio ti dovresti fare forza e suonare
porta a porta nel paese, e chiedere a chi t’apre
se per caso è a conoscenza di qualcuno che sia morto
o lì per farlo o se quello in primis (pure in ottima salute)
non volesse già decidere la cassa.

Perché tanto “quella” arriva e non fa sconti,
e per lo meno allora la tua bara sia economica e curata,
di buon gusto, fatta a mano, da un esperto del settore.




*

Devo prendere gli antipsicotici,
è quello che ha detto Nazzoli alla clinica.
I motivi già li conoscete:
ho reazioni scomposte ed attacchi di panico.
Alle volte mi pare qualcuno mi fissi
sull’autobus, è a quel punto che cerco
di sfondare il vetro scappando per strada.

Fingo d’essere un terrorista due volte ogni anno,
minaccio l’autista con il tagliaunghie,
gli dico di portarmi in Piazza dei Servi:
lui ormai mi ha presente (è lo stesso da anni)
in fretta mi lascia nel luogo richiesto,
chiede scusa alla gente sul mezzo

e riparte. Ridendo.



*

In televisione rivedo Pier Carlo,
cuoce una bernese di sgombro.
Quello che presenta domanda:
“anche i grandi poeti mangiavano il pesce sovente?”
Ed ecco che lui gli risponde. E sorride.

Pier Carlo a vent’anni se lo contendevano tutti,
era la grande promessa, il nuovo Leopardi.
Montale perfino voleva cenasse con lui
ogni volta possibile, lo chiamasse “nonno”:
lo amava come fosse un figlio.

Ma un giorno una tv privata gli chiese
di partecipare a un dibattito:
e lui era bello, spigliato, ci sapeva fare,
“è perfetto” dicevano
“sa proprio bucare lo schermo”.

Di comparsate Pier Carlo ne ha fatte 240 a quest’oggi:
scalato montagne, visitato malghe, accudito delfini,
camminato sui carboni ardenti, inviato ai mondiali di rutti.
Esce un suo libro ogni anno, ma li scrive Sandro, ragazzo di Sondrio
pagato profumatamente per tacere, lavorare. basta.

A volte Pier Carlo mi chiama
la notte, mi dice che ancora una volta
Montale gli è apparso nei sogni
ai piedi del letto
e lo ha preso a schiaffi.
Risponde mia moglie,
gli dice che sono a Milano,
o Varese per qualche convegno,
che è solo un fattore nervoso, di prendere
un bel latte caldo e rimettersi a nanna.



*

Tutti quei campi – quei fiori –
bianchissimi. Quei campi,
quei fiori, tu che stai
dormendo. Bianchissimi.



*

Dovrai pensare a tenere un riporto,
oppure tagliarli i capelli.
E a chi dirlo, se piangere in pubblico
o in forma privata, nel bagno magari.

Dovrai chiederti se vuoi lasciare il lavoro
o darti la forza con quello. Quante ore
potranno fiaccarti, se i clienti se ne accorgeranno.

E a tua moglie? Che cosa vuoi dire
a tua moglie legata a una sedia a rotelle da anni
che di peso sorreggi e accompagni ogni giorno?




*

Ogni anno almeno un giorno
lo passo a Cesenatico d’inverno
per vedere la battigia vuota
le assi per coprire i bagni

i pezzi di lamiera arrugginiti
le farmacie con la saracinesca
in basso, le vetrine senza manichini.

È questa la mia stanza
quando manchi, sei al lavoro
o esci coi tuoi amici, sei lontana,
non m’è possibile vederti.




Ode al Lexotan®

Forse li avremmo avuti per più tempo
i Dino Campana o gli altri con quei farmaci:
io ad esempio, previdente, per entrar già ora
nella gloria ho iniziato con 10 gocce al giorno
prima di coricarmi; e ho intenzione
di protrarre tutto questo fino a quando
non saranno conclamati i tempi di dosaggio cronico
o non sarò riuscito più a trovare
un medico ben disposto nel prescrivermene.

Vedi, pure il mio testo in questo modo si modifica,
ora è più lento, non fa male. Non mi assale nel protrarsi
della notte. Ora questo testo non mi sbrana.



[Porta portese]

24enne poeta. Davvero dotato,
1.80, bel fisico asciutto,
capelli neri, piacente, nuovissimo:
concedesi a case editrici purché facoltose
scopo pubblicazione e sollazzo
reciproco. No narrativa oppure pagamento.
No perditempo. Telefonare ore pasti al 376.415…


Matteo Fantuzzi (1979) è nato e risiede a Castel San Pietro Terme in provincia di Bologna. È redattore della rivista "Atelier", collabora con la rivista "Le Voci della Luna", con l’Annuario di Poesia edito da Castelvecchi e tiene una rubrica settimanale sulla Poesia Contemporanea ogni lunedì sul quotidiano "La voce di Romagna". Suoi testi sono apparsi su molte riviste tra cui "Nuovi Argomenti", "Yale Italian Poetry", "Specchio", "Gradiva" e "Atelier", ricevendo numerosi riconoscimenti sia in Italia che all’Estero, in tutto una quindicina di Paesi tra l’Europa, le Americhe e l’Asia. Ha creato il sito UniversoPoesia e curato La linea del Sillaro (Campanotto, 2006) sulla Poesia dell’Emilia Romagna.

37 commenti:

  1. Non si può non rimanere colpiti dalla proposta poetica di Matteo Fantuzzi. Vi si alternano personaggi improbabili e vicende stranianti, mentre sappiamo che lo sguardo sta registrando invece, meticolosamene, la realtà intera, il quotidiano e l'onirico. Condivido la messa in guardia di Gugliemin sulla 'voce che si traveste' ed anche, in contraltare, la notazione positiva sulla 'voce in sordina' che si sente in molte poesie.
    Devo dire, stando ai testi antologizzati da Kobarid finora letti, che Matteo Fantuzzi conferma una personalità originale e una cifra poetica ormai definita, matura e accattivante, dove il lettore sa che può trovare l'ironia sottile che smussa la tristezza e il dolore più grade detto con arguzia.
    Un caro saluto a Matteo e Stefano
    Antonio Fiori

    RispondiElimina
  2. riporto quanto riferisce Matteo, in un'intervista rilasciata a "Imola Oggi", a proposito di questo suo libro: “E’ il riassunto di 10 anni di lavoro e riconoscimenti in Italia e in Europa, tra cui da ultimo il Premio Internazionale Féile Filiochta che mi vedrà tra i vincitori questa primavera in Irlanda nella sezione dedicata all’Italia. Questo libro parla della condizione delle nuove generazioni, e non è un caso quindi il titolo “Kobarid”, ovvero il nome slavo della città di Caporetto (oggi in territorio sloveno), luogo di una delle maggiori disfatte della storia italiana, avvenuta durante la prima guerra mondiale, una disfatta nella quale l’esercito era composto quasi solo da giovani e giovanissimi connazionali illusi dai propri generali di potere vincere con facilità i propri avversari e invece protagonisti di un vero e proprio massacro. Nel linguaggio comune è rimasta l’idea “di una Caporetto” ad identificare qualcosa di disastroso, così come disastrose sono le vicende narrate (conosciute o meno) che riguardano i giovani d’oggi, microstorie che nel loro insieme raccontano tutto il disagio, la frustrazione, la disperazione, l’alienazione e la mancanza drammatica di futuro che impregna l’Italia".

    un caro saluto e un grazie ad Antonio.

    gugl

    RispondiElimina
  3. "ode al lexotan".
    bella, netta, pulita, emozionante. (per me)
    s.

    RispondiElimina
  4. mi è concesso dire...CHE FIGATA? anche se non mi è concesso, ora mai l'ho detto!

    è di una profondità sconcertante! c'è una tale empatia... e questi quadri, chiari, nitidi... nitido il loro essere irrisolvibili. la tragedia, il dolore del quotidiano, e quel poco, quanto basta, di geniale ironia in questo sfacelo senza via d'uscita se non forse lei, forse lei che dorme tra
    "Tutti quei campi – quei fiori –
    bianchissimi. Quei campi,
    quei fiori, tu che stai
    dormendo. Bianchissimi." ...forse è quanto resta, semplicemente, senza andare a cercare troppo lontano... quell'effimera carezza del bello, del buono...semplice. quanto ci resta dopo il Lexotan, dopo tutte le occasioni perdute, dopo chi ha riso della nostra follia e della nostra paura, dopo i falsi intellettuali, dopo la mancanza, il vuoto che lascia l'amore, dopo aver pianto chiusi in bagno... dopo tutto quanto...l'effimera bellezza prima della nostra bara fatta a mano da un esperto del settore...

    infiniti complimenti, per quanto vale, infinite volte grazie per questi testi, a matteo per averli scritti, a stefano per averli postati. grazie.

    Patty!

    RispondiElimina
  5. aspettiamo Matteo in giro a leggere le sue poesie, cosa che fa benissimo, nel senso che gli stanno cucite addosso, perfette.

    gugl

    RispondiElimina
  6. io ringrazio e ringrazio stefano che fa bene a parlare di quel "rischio" che ho ben presente e che ho cercato nel tempo di limitare perchè in effetti so che per parlare di certe cose si rischia di varcare quella linea...

    quel testo l'ho lasciato proprio perchè la realtà è spesso quella di quella poesia, non quella di kobarid, con l'ironia e tutto il resto. e quindi mi sembrava giusto riportarla comunque.

    "pier carlo" (poesia che ha quasi 10 anni) soffre di pecche giovanili che prometto non ci saranno più prossimamente :D
    ma voleva anche parlare del sistema, volevo fare irona sulla poesia da dentro la poesia, per assurdo quella storia che pare così fuori dagli schemi in realtà è vera. quella per assurdo è una storia vera. (chiaramente italiana...)

    RispondiElimina
  7. (ero matteo)

    RispondiElimina
  8. Saluto intanto Matteo, una presenza familiare e confortante della rete. Sul linguaggio: mentre esiste un rischio, nel senso di cui parlava Stefano (sono d’accordo), esiste anche una necessità dettata dalla materia stessa con cui si confronta Matteo, la necessità di narrare questa Caporetto scendendo su un piano più referenziale/denotativo, parlato, quotidiano. Matteo non si pone (non può porsi) più di tanto paletti formali perché in questa tragedia non c’è posto per essi. La lingua diventa “informativa” di fatti, veri o inventati (e a volte un po’ picareschi), diventa antimetaforica, depotenzia il piano estetico e se a volte recupera un dato culturale o una eco poetica (v. ad esempio il sorprendente anti-Saba di “il portiere di riserva non esulta”) lo fa per dire “vedete, non c’è più spazio nemmeno per la gioia del gesto semplice”. E tuttavia, come ha notato qualcuno, raggiunge la profondità del dramma, anche con accenti ironici e con sprazzi lirici puri come quel “tutti quei campi” che citava Patty. Direi un’operazione coraggiosa...
    un carissimo saluto a tutti

    RispondiElimina
  9. Fa bene Matteo a parlare del suo back ground e del percorso fatto: è tra le figure più interessate al mondo poetico che io abbia incontrate in rete (il suo Universo poesia rimane una delle prime e più interessanti realtà di divulgazione poetica critica interattiva, e continua in questo senso).

    Nel suo Kobarid una poesia "fredda", ponderata e "scientifica", dove il fuoco nasce dal concetto (il contenuto urgente trattato) e da una sorta di quid chimico, in cui più elementi inerti messi nelle condizioni adatte interagiscono ed arrivano a costruire materia nuova.
    "Vedi, pure il mio testo in questo modo si modifica,/
    ora è più lento, non fa male. Non mi assale nel protrarsi/
    della notte. Ora questo testo non mi sbrana."

    RispondiElimina
  10. la questione ella "rappresentazione" e del "mimetismo" è cruciale nella lingua poetica. Ci si muovesulle uova. direi. ci vuoel il passo felpato e il martello, qualche volta. Matteo lo sa benissimo. E anche gli altri ospiti, naturalmente.

    gugl

    RispondiElimina
  11. A me il libro piace molto, pur condividendo in pieno quanto sta emergendo dai vari interventi (compresa la "salutare" nota critica di Stefano: e Matteo, da persona intelligente qual è, l'ha subito raccolta e fatta sua come tale). Mi piace il tentativo di condurre la scrittura su un sentiero che possa immettere alla piena consapevolezza dei propri mezzi espressivi, e la ricerca incessante, mai fine a se stessa, di quanto di più personale e proprio quella traccia verbale sia i grado di contenere/evidenziare.

    Inutile dilungarsi senza ripetere quanto, opportunamente, è già stato detto e motivato.

    Mi preme, invece, una riflessione affatto diversa (ma sicuramente complementare).

    Credo che questo libro apra le sue pagine, tra le altre cose, su una dimensione etica applicata al "fare" poetico che non va taciuta: quella di far decantare l'opera e di leggerla, per saggiarne la tenuta, nel rispetto del tempo che su di essa trascorre e si deposita, senza l'ansia (assurda) di dover pubblicare a tutti i costi e subito.

    E ancora: quella di affidare per anni all'occhio critico del lettore il frutto della propria ricerca, per ricavare dalla possibile/auspicata "reazione" uno spunto, un taglio visuale capace di spingere a spostarsi verso i "margini", senza mai tradire la popria ispirazione e le modalità di realizzazione del proprio dettato.

    E ultima, ma non ultima, la volontà (che è fedeltà al proprio percorso, anche interiore) di lasciare, in sede di pubblicazione, anche quelle tracce più "ingenue" che altri avrebbe sicuramente sostituito con produzioni più mature.

    Tutto ciò mi fa apprezzare il poeta, e il libro, ancora di più. Ed è foriero, a mio avviso, di sviluppi ulteriori sul piano della qualità complessiva della sua proposta poetica. Basta aver letto solo qualcuno degli inediti, a tale proposito, per essere facile profeta.

    Un saluto a tutti.

    fm

    RispondiElimina
  12. concordo Francesco.

    Mai incontrata un'opera prima che sia passata così intensamente per le forche caudine della critica.

    io le ingenuità le avrei tolte, ma sono questioni che si radicano nell'inconscio, probabilmente.

    gugl

    RispondiElimina
  13. Leggerò il libro (anche se molte le conosco già, lette in giro per la rete).

    La struttura per me è troppo importante per poter dare un giudizio solo su quelle lette.

    Intanto un augurio a Matteo.

    RispondiElimina
  14. Interessante il discorso sulla struttura. Dove comincia e dove finisce la struttura di un testo?

    So che Matteo è il primo a dire che non bastan sette, otto testi a rappresentare un'opera. Ammettendo che l'"opera" sia la singola raccolta presentata e non il lavoro di una cosiddetta vita.

    Ma vado da un illustre ed interessantissimo filologo, Isella morto da poco, e mi sento dire che c'è una sorta di atomo, nello stile e nel tessuto (dei significati?) che farebbe si che un testo possa rendersi riconoscibile nel suo singolo proporsi, qui detto "la poesia", quando e se un autore abbia ovviamente trovato la materia di dire.

    Questo non significa che il libro non debba essere acquistato, al piacere mai mettere limite...

    RispondiElimina
  15. concordo anch'io con Francesco, che acutamente sposta il punto di osservazione sull'aspetto etico del lavoro di Matteo, non solo in riferimento al contenuto ma anche per questa prolungata esposizione, affatto originale, dell'autore e del suo lavoro in divenire...
    saluti
    G.

    RispondiElimina
  16. esiste il libro, che è un sistema aperto, ed esiste la poesia singola: entrambi contribuiscono ad avvicinare quello che Heidegger chiama "il luogo del poema", cui l'atomo cui riferisci, Silvia, è l'elemento filologico.
    Esistono poi l'autore e l'elemento contestuale che s'innnervano e sedimentano nel luogo del poema. Insomma, Blanc si limita a lasciare tracce di tutto questo ed invita sempre ad approfondire, anzitutto acquistando il libro, i libri, dell'autore.

    gugl

    RispondiElimina
  17. un caro saluto a Silvia e Giacomo, che sottolinea l'etica autoriale che non sempre accompagna l'etica testuale. Nel caso di Matteo, esse coincidono.

    gugl

    RispondiElimina
  18. navigo in rete
    sono un lavapiatti di professione
    questo commento non centra una ceppa, con i testi di matteo
    che però sto leggendo :)
    bello il commento di patty
    suona come una poesia...

    "forse è quanto resta semplicemente, senza andare a cercare troppo. quell'effimera carezza del bello, del buono.semplice, quanto ci resta dopo il lexotan, dopo tutte le occasioni perdute, dopo chi ha riso della nostra follia e della nostra paura. dopo i falsi intellettuali, dopo la mancanza. il vuoto che lascia l'amore, dopo aver pianto chiusi in bagno. dopo tutto quanto.l'effimera bellezza prima della nostra bara."

    zyad

    adoro la poesia

    RispondiElimina
  19. Patty quando prendeva sette cone me si chiudeva davvero in bagno a piangere. voglio dire, e hai ragione, zyad: la poesia non mente mai.

    gugl

    RispondiElimina
  20. zyad (e patti) non sono convinto che questi vostri commenti non siano invece aderenti a questo libro. fate bene a rilevare che questa nonostante sia un'opera prima sia molto "guardata", ma oltre a quel piano che mi riempe di gioia per tutti i generosi commenti di cui vi ringrazio di cuore, dicevo oltre a questo c'è comunque l'altro piano, il parlare a chiunque voglia ascoltare quello che sta qui. è chi come zyad adora la poesia, che ce ne sono. e noi non dobbiamo mai dimenticare di parlare a chi vuole sentire la poesia, ovunque sia, ovunque si trovi.

    e farlo dicendo cose che possano essere di tutti, non una poesia privatissima che si esaurisce col proprio ombelico, ma una poesia che possa creare dialogo, possa arrichire, prima di tutto noi stessi come succede qui ora per me.

    matteo.

    ps. silvia in questi gorni inizio le prime presentazioni, e sto dicendo che a volte quando mi chiedono l'ode al lexotan e sempre quella mi sento come reitano che va a cantare "italia, di terra bella uguale non ce n'è" in tutte le pizzerie del centro europa :D

    RispondiElimina
  21. caro Matteo, il problema è che ode al Lexotan è un grandissimo testo.

    come altri tuoi che ho letto, del resto, e che sento in qualche modo familiari se non altro per vicinanza geografica (abito a Gorizia).
    Condivido tutto quello che scrive Stefano su di te, nel bene e nelle attenzioni.
    continua a scrivere, a scavare.

    francesco tomada

    RispondiElimina
  22. sono testi particolari e che lasciano il segno per quella calma del dire su un filo di drammatica ironia

    saluti a matteo, il mio primo "estimatore" d'alto livello ;)

    saluti a stefano

    RispondiElimina
  23. io chiederei il portiere di riserva, che quando la lessi la prima volta mi colpì tanto e mi fece tanta pena, povero portiere di riserva. ciao antonella

    RispondiElimina
  24. ciao Anto e Ali, finalmente vicine :-)

    gugl

    RispondiElimina
  25. Grandi poesie. Cercherò il libro.
    Grazie della lettura.
    alfonso petrosino

    RispondiElimina
  26. ciao Alfonso, benvenuto su Blanc.

    gugl

    RispondiElimina
  27. in teoria lo puoi ordinare in qualsiasi libreria. se no mi mandi 1 mail che ti ci faccio anche la dedica.

    matteofantuzzi@yahoo.it

    ps. stefano grazie davvero per tutto

    RispondiElimina
  28. Ho amato questo autore appena ne ho letto i testi, qui su Blanc. Lo trovo tragico in senso greco: nonostante il cupo pessimismo e la mancanza di luce - se non a sprazzi - alla fine c'è una catarsi. Essa risiede nel valore poetico molto alto, a prescindere dalla forma - che comunque è controllatissima, fitta di echi e rimandi, e presuppone una solida formazione culturale - nella rielaborazione dal brutto - reale al bello - poetico. Come ha fatto, io mi chiedo, a trasformare una Caporetto senza speranza in qualcosa che si gusta a leggere? E non condivido Stefano, mi perdonerà, sul rischio patetismo: qui non ce n'è, anzi c'è forza, tanta. E dignità.

    Fiorella

    RispondiElimina
  29. classico esempio di ''poesia'' italiana contemporanea: un bel parlare di niente, un discorso vuoto, robe trite e ritrite, come se restare attaccati al concreto dell'esistenza sia una furbata. se andiamo avanti così, tra poco anche una lista della spesa passerà per poesia.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. mi sembra una posizione senza fondamento a meno che lei non la fondi, appunto, con ragionamenti convincenti. Ad ogni modo la lista della spesa è già poesia, con i tempi che corrono.

      Elimina
  30. senza bellezza, la poesia è inutile. qui siamo davanti a una prosa con tanti accapo, ma nulla di buono, nulla di poetico. manca tutto, tecnica, metrica, ritmo, un oggetto degno di essere ''cantato''. è minimalismo, qualunquismo, e niente altro. aprite gli occhi

    RispondiElimina
    Risposte
    1. tanta poesia contemporanea già nel canone è impoetica nel senso che lei dice. Poi, per quanto mi sforzi di aprire gli occhi, io suo nome non lo vedo: miopia mia o codardia sua?

      Elimina
  31. non solo è impoetica, semplicemente non è poesia. saprà anche lei come vanno le cose, come agiscono molte case editrici che pubblicherebbero anche un libro scritto da un cane o un gatto, pur di far soldi. non se se sia il caso di fantuzzi, ma questo malcostume ci ha riempito di robaccia. vuole il mio nome? glielo metto per intero, perché non ho nulla da rimproverarmi di ciò che ho scritto finora: Gabriele Marchetti, autore di ''Urla nell'acqua'', OTMA, 2013. Se lo cerchi, se le va, e se lo legga. capirà cosa intendo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. signor Marchetti, la sua poesia in rete non la trovo. mi mostri come razzola e poi posiamo parlarne

      Elimina
  32. in rete non c'è nulla. è solo in volume

    RispondiElimina
  33. se avrà la cortesia di indicarmi un indirizzo mail, volentieri le girerò i miei testi

    RispondiElimina