mercoledì 23 febbraio 2011

Marco Furia su Laura Accerboni


Attorno a ciò che non è stato (Edizioni del Leone, 2010), di Laura Accerboni, si offre al lettore quale articolata raccolta d'intensi versi capaci d'illuminare, talvolta in maniera inaspettata, enigmatici lineamenti esistenziali.
A pronunce dai connotati quasi sociologici ("Senza treni / ad aspettarmi, / mi dico/ che questa gente è solo riflesso / dell'orario stabilito") ne seguono altre davvero sorprendenti ("Compro un giornale / che il tempo passa / e leggo un esplodere / di cose nostre: / a pagina quattro / un pezzo / della mia cucina") ed altre ancora visionarie e spiazzanti ("Mi ritrovo ad essere / prospettiva di me" e "Tra poco / il mio nome / torna a casa da solo").
Siamo al cospetto dei molteplici e affascinanti aspetti di una versificazione che, non incline al gusto del frammento come tale, intende far emergere le multiformi sfaccettature di un'entità in sé non descritta, bensì chiamata in causa tramite vivide immagini.
Viene proposto un originale idioma allusivo ma ordinato, evocativo ma esatto, per nulla incerto: si susseguono parole chiare, comprensibili, secondo cadenze in grado di ricondurre i vari elementi ad un'organica coerenza, ad una specificità linguistica dotata di proprio respiro.
Risulta quanto mai consona, perciò, la fotografia (scattata dalla stessa autrice) riprodotta in copertina: uno strappo divide e, nel contempo, unisce due raffigurazioni del tutto differenti nello stile, a voler significare una continuità dell'intento espressivo, pur nella spiccata differenza delle forme e dei gesti.
Dico "gesti", perché il tratto mimico pare presente in maniera assidua in uno svolgersi poetico nel cui àmbito ci si riferisce all'umana esistenza per via di sobri, efficaci, scenari cui non fa difetto il senso di una misurata teatralità: Laura, insomma, della drammaturgia conserva l'atteggiamento, non le fattezze verbali.
Nessun pericolo di solipsismo incombe su un percorso linguistico che non tende a nascondere il suo oggetto, bensì mira renderlo palese, ben consapevole di come qualunque scelta espressiva possa incontrare fecondi sviluppi soltanto seguendo la via del confronto.
La poetessa non è mai ambigua e, ben lungi dall'essere propensa a celarsi dietro il velo di sterili forme, pone, con appassionata risolutezza, l'urgente questione dell'esserci: il lettore è chiamato a partecipare, è coinvolto.
Coinvolto, appunto, come sempre accade quando incontra la buona poesia.

Marco Furia



“Uomo tipo uno, destra”

corpo
che sono donna
e non si vede
corpo che si lima
contro il muro,
muro di uomini a destra.
Plastica di corpi
più vivi e lucidi
plastica di pose
e di carezze
-Mia cara la tua testa!-
Teste dentro
casse di metallo
teste dai pensieri di donna.
Donna.
Corpo, “uomo tipo uno, destra”.



**


Senza treni
ad aspettarmi,
mi dico
che questa gente
è solo riflesso
dell’orario stabilito.
Sarà perché non ho nulla
di cui lamentarmi,
nulla,
neanche di questo vuoto
che a fatica
si ingoia
e mi rigetta
intera e senza aspetto.



**


Sono finite
le gocce
e i calmanti,
finite le analisi del cranio
e la misura del ventre.
Dovevamo stare più attenti
coprire il volto
fino al mento
che fuori fa freddo
e coprire,
coprire tutta la stanza
e tenerci in movimento.



**


Se quest’angolo scuro
perdesse memoria di sé
se questo volto assediato
rinunciasse
al primo dei suoi nomi
se questo piano familiare
di difesa
trovasse in casa
l’ordine
dell’esplosione
allora avrei forse da dire:
“imputato si alzi”
e sarei già in piedi.



**


Io non so che faccio.
Mi alzo,
pulisco i polsi
dai segni
che hanno lasciato,
guardo la mia schiena
da dietro
e poi ascolto.
Ascolto tutti gli alibi
che posso comprare,
ascolto la voce
dei grandi impegni,
ascolto una morale
che mi lascia
e che lasciva
mi guarda la schiena.
Io non so che faccio.
Compro un giornale
che il tempo passa
e leggo un esplodere
di cose nostre:
a pagina quattro
un pezzo
della mia cucina,
all’ultima pagina
ci sono io
che aspetto
e che non tarderò
ancora a lungo.



**


Sono nubi scure
a fermarsi
davanti al volto
così mi preparo
a piovere
e batto
batto sul tavolo
di casa
e tutto intorno.



**


Da questo volto
non si vede
neanche un nome
e non è il vuoto
che segna l'appello
alle assenze,
la sembianza
che copre e confonde
i presenti.
Da questo volto
non si vede neanche
chi sarebbe dovuto essere,
o solo per sbaglio,
chi non sarebbe potuto restare.




Laura Accerboni è nata il 7/5/1985 a Genova, si è diplomata nel 2003 presso il Liceo Ginnasio Statale Andrea D’Oria di Genova. E’ iscritta a Lettere Moderne all’Università di Genova.

Sue poesie sono state pubblicate su diverse riviste tra le quali Italian Poetry Rewiew, Poesia Crocetti Editore, sullo Specchio della Stampa. Per le Edizioni del Leone ha pubblicato il libro di poesie “Attorno a ciò che non è stato”. Ha conseguito diversi premi letterari tra i quali: Lerici Pea giovani 1996; Premio Letterario Internazionale Maestrale San Marco 1999, 1° premio sezione giovani; Premio Letterario Nazionale il Molinello 2000, 1° premio per le scuole superiori; Premio Internazionale di Poesia Città di Monza 2000, 1° premio sezione giovani; Città di Castello Artea Premio Nazionale 2002/2003, 1° premio poesia sezione scuole; Concorso Letterario Internazionale “Città di Ancona” 2004, 1° premio Sezione studenti; Concorso Gemine Muse 2005 Cremona 1° classificata sezione poesia; Concorso CercaTalenti 2006 Genova, 1° classificata sezione poesia; Concorso Nazionale organizzato dalla Provincia di Pisa“Giovani TalentiCercasi” 2009 1°premio Sezione Poesia. Dal 2006 collabora alla manifestazione “Percorsi Poetici” inserita nell’ambito del Festival Internazionale di Poesia di Genova. "Attorno a ciò che non è stato" è la sua opera prima.

7 commenti:

  1. Ho molto apprezzato le poesie dell'autrice che non conoscevo, grazie e complimenti!

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  2. mi fa piacere che, malgrado la spigolosità dei versi, qalcosa di tenero e forte sia passato.

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  3. margherita ealla27/2/11 11:22

    D'altra parte il “non” è più di uno spigolo
    (sto allacciandomi alla osservazione di gugl su “la spigolosità dei versi”),
    scartando (nel senso di cambiare la direzione a) il detto o descritto al quale è accostato,
    appunto, qui, a partire dal titolo, “attorno a ciò che non è stato”, e poi già in ogni incipit di poesia qui presentata (compresa ogni negazione implicita):
    “corpo/che sono donna/e non si vede”
    “Senza treni / ad aspettarmi”
    “Sono finite / le gocce /e i calmanti”
    “Se quest’angolo scuro /perdesse memoria di sé”
    “Io non so che faccio”
    “sono nubi scure”
    fino a giungere a
    “Da questo volto/non si vede /neanche un nome”
    che racchiude (tutta la poesia) una “San Martino del Carso”
    (noto soprattutto la forma a richiamare)
    esistenziale : “non si vede neanche /chi sarebbe dovuto essere”.
    In queste poesie ciò che non è o non è stato o avrebbe dovuto essere costituisce un nucleo compresso ma di propulsione che però non può deflagrare,
    percepito attraverso l'angolo prospettico della negazione
    (o quello stacco-scarto della immagine in copertina)
    e che di volta in volta è “vuoto/che a fatica/si ingoia”, il volto che “bisogna stare più attenti / a coprire”), ecc....

    Piaciuta molto questa visuale
    Ciao!

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  4. ottime osspervazioni. Spero che l'autrice posoa intervenire.

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  5. "la sembianza
    che copre e confonde
    i presenti"

    "plastica di pose
    e di carezze"

    Versi che si frammentano nel delineare temi esistenziali.
    Un augurio per il futuro a questa giovane poetessa.

    Un saluto a gugl
    Margherita Rimi

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  6. Grazie di cuore per le attente letture e per l'ospitalità!
    Un caro saluto a tutti
    Laura

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  7. davvero la scoperta di questo blog è estremamente gradita. Sarà la data propizia che me l'ha fatto incontrare?
    Tornerò sistematicamente ad arricchirmi.
    Grazie e un saluto

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