sabato 23 febbraio 2008

Paolo Fichera


Innesti è un libro prezioso per varie ragioni. Edito nel 2007 da Quaderni di Cantarena, ossia da un gruppo di insegnanti attentissimi al fare poetico contemporaneo (Giovenale, Sannelli, Seclì, Diavoli e Daino, hanno trovato in essi ospitalità), viene prefatto da Francesco Marotta, nel suo stile incisorio e laterale, mai scontato; e contiene una postfazione di Luigi Metropoli, chiarissima nel mettere a profitto le illuminazioni di Marotta e nel sottolineare la natura del flusso nella poesia di Fichera. Il libro, inoltre, contiene alcune fotografie (riprodotte con la stampante) di Federico Federici, tratte da Libro dietro la neve. Infine, durissimi, ci sono i testi di Paolo Fichera, segni smagliati che si succedono nella serialità degli "&" e delle foto scorciate di Federici, brandelli di un mondo che non può essere colto che per frammenti. In linea, sotto questo aspetto, con lo sguardo di Robbe-Grillet. Fichera, tuttavia, non accarezza il tempo con le parole dello spazio, come faceva lo scrittore francese, bensì ne canta la ferita, riproducendola nella sintassi. Nulla tuttavia è scontato in questo procedere per scissioni e, appunto, innesti: l'albero della vita, pare dirci il poeta, pianta le radici in sangue e sperma, i rami indicano l'occaso, la chioma ha le sembianze del poeta, che "ha sete e digiuna". Di questo paesaggio si nutre la conoscenza, oggi. Parlare d'altro significa fingere o godere di un privilegio senza comunità.





&
la struttura è finitudine
vento specie di un luogo:
sai maestrale, libeccio, garbino;
barbaro e povero l'innesto
un flusso adagio, un frammento del
adagio e poi il mondo è barbaro
pure una costanza flessa
tracce molli il coraggio nel
innesto


&
la terra pulita, conchiglia di rame
mare, giovane dolore che
Dio nel mio abbraccio, musica
ogni quadro un germoglio, tu sei la
ecco la stanza del fuoco, ogni arpa
i bambini rincorrono una palla,
la ruota che ricompone le membra, le fa
ora un quadro, altro
un fuoco mite


&
II cerchio non è Tutto, la questua
un dondolare di frammenti, chiusa
struttura, serena specie, dicono razza se
divario si affossa e rumina la specie ancora
il rimar lento particelle non dare al
il corpo un lento mente una farsa se
dai al corpo uova e sperma ampia la
giardino di grembi, sommerse rovine
le vergini indorate di sperma
la resa


&
la sintassi è data: sentenza
profetizza ogni fine, mantello
del rancore diviso in vesti di gioia
poi morte; ogni organo si fa sintassi
a il passo degli uomini, voce per
comandi farsi ordini. Lucra la tua
ora sintassi è fine perché data
metavita, non poesia.


&
la cicatrice si ripiega all'interno
il tozzo è sempre pane, prega
per il padre la si evolve il paesaggio
si fa sogno, infanzia battuta: proce
ssione di peccato, una mercé il
turbine soave mentre
esplode l'uomo ne siamo fieri
divarica le gambe la donna la
un uomo viola l'infante ne fa sangue
soave l'anima bella qui dove tutto
è carta macina mandibole dolore
e schiavitù, instilla al timore la
pena annidando nidi e colombe
scale e perdizione perché nulla
nel coraggio si perde latra
il poeta: ha sete e digiuna
in corpi sono fiori
il padre muore nella poesia, amen


&
ho ereditato ciò che dai
l'ho nominato in nome pasto
poi posato intatto alla fiera,
smembra il germoglio miseria scossa
invocato perdono fate del cielo
strazio uragano in la fonte sia
oltraggio ora incido sempre ora chiedi
a il luogo del sacro è dato
il bianco s'incestua nel rosso, oro


Paolo Fichera è nato nel 1972 e vive a Sesto San Giovanni (MI). Dal 2003 dirige, insieme a Mauro Daltin, la rivista "PaginaZero-Letterature di frontiera". E' stato incluso in diverse antologie collettive, tra cui "Il presente delle poesia italiana", a cura di Carlo Dentali e Stefano Salvi. Nel 2005 ha pubblicato presso la casa editrice LietoColle la raccolta poetica "Lo speziale", finalista nel 2005 nella sezione inediti del Premio Montano e segnalata nella sezione editi del Premio Montano nel 2006. Le sue poesie sono apparse su numerose riviste, tra cui: "Poesia" , "il Domenicale", "Atelier". E' presente nei principali siti di letteratura, tra cui: Nabanassar, FuoriCasa Poesia, LiberInversi, Agli incroci dei venti, l'Ulisse n.1 e n.4, El Ghibli. Alcune poesie sono state tradotte in inglese, francese, spagnolo e arabo. Qui il suo blog.

28 commenti:

  1. Una sintassi spezzata, parole talvolta sospese, singhiozzate. Un fraseggio dal respiro breve, ma lirico nella sua "composta" essenzialità. Ecco come sento questi testi tutti tesi alla ricerca interiore di un'estensione dello spazio fuori e dentro di sè.
    Un caro saluto
    Maria Pina Ciancio

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  2. leggevo tempo fa da Francesco Marotta alcuni suoi testi che mi avevano impressionato positivamente, e qui risento e riprovo quel 'dire', l'uso di una lingua nella sua essenza, il fraseggio, l'andamento ritmico che apre al sentire.
    mi pare una poesia tra le più coinvolgenti quella di Paolo Fichera. complimenti. la seguirò con più attenzione.

    un abbraccio

    alessandro ghignoli

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  3. "il bianco s'incentua nel rosso" mi piace davvero.
    e poi... è come se fossimo barbaro e povero innesto, senza scampo dalla nostra origine, dala nostra natura di sangue e sperma, perchè sono tracce molli il coraggio, perchè abbiamo soltanto il calore di qualche fuoco mite che non scalda abbastanza, in questa ricerca, forse, di tornare da dove siamo venuti, da quel sangue, da quello sperma, da dov'è la nostra radice, fino a che non resterà altro che la scomposizione della nostra sintassi, che è già in questi versi nel respiro che si spezza, nel concetto che si scompone.
    forse sbaglio, ma questo è quanto sento e non è vago, ma forte e chiaro. nitida la nostra impotenza d'innesti su qualche cosa di più grande, che si sente, ma non si afferra.

    mi piace davvero. senza ombra di dubbio.

    Patty!

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  4. bene. Senti come tiene il verso, l'energia che passa attraverso la sua struttura? e poi c'è lo scarto improvviso, il conto dei dadi che non torna.

    gugl

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  5. Patty sta sviluppando delle eccellenti capacità di "lettura risonante", in grado di esplorare lo scarto e di misurarne la profondità dell'eco, la distanza che, separandolo dalla norma, definisce, insieme, una modalità di ascolto e un "territorio" altro che di quell'ascolto vive.

    Complimenti.

    Un saluto a tutti.

    fm

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  6. fm, grazie per il complimento, chi sei? mi piacerebbe saperlo!

    gugly... sì, lo sento. forte e chiaro, come ho detto. magari prima o poi ce la faccio pure io... se non faccio un esaurimento nervoso prima, dato che vorrei leggere e scrivere e invece mi tocca studiare fisica!

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  7. la fisica è la base della aeronautica; e tu vuoi volare, vero? :-)

    grazie Francesco, ma la ragazza non sta nelle scarpe: non darle troppo spago :-)

    gugl

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  8. antipatico come sempre! :P

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  9. Gugl tocca il punto della "comunità", il privilegio senza comunità. A cui corrisponderà forse un impegno "con" la comunità. Ma la comunità per un poeta - non solo per lui - è un luogo linguistico; può anche essere una fratellanza informale, un tessuto di scambi intellettuali tramite una lingua negoziata di ragioni condivise, ma solo secondariamente. Dapprima è un materiale di recupero, una scoria esausta, di solito qualcosa che nessuno vuole o usa, perchè non c'era - non si vedeva - prima di essere trovata. Temo che la lingua dei poeti, anche dei più coerenti con la conoscenza attualmente plausibile - benché questo "plausibile" sia già un fatto politico - non possa dirsi comunitaria. E forse non debba nemmeno - altro fatto politico. In questo senso il privilegio se c'è si sconta, e l'impegno pure. Parlare la lingua è l'unico modo di farla. Non è che ci sia prima da qualche pate una comunità in ascolto della "fantasia di avvicinamento" più adatta a lei; non è pacifica la relazione fra il dire poetico e la comunità. Intercorre una sassaiola, la poesia provoca perchè disdice, e poi di nuovo dice; è questo il rischio ed è l'offerta, né è chiaro se nell'essere accolta oppure proprio nell'essere respinta la poesia alluda alla comunità più propriamente, quando i suoi modi, il suo barbarismo, la sua orfanezza, affermano che la comunità si delinea se il poeta parla alla sua mancanza, alla sua sordità

    paolo

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  10. Ciao Stefano, che bello che pubblichi Paolo. Dico sul serio. E quasi mi verrebbe da scrivere "Bravura a parte". Poco, così poco spesso, si trovano voci che vengono da qualcuno, che non siano un rimasuglio di altre.Paolo è uno di quelli....per dirla alla Rilke che piace a me "Vicino è il dentro", e questo è.
    Una bella persona rende la poesia leggibile. Scarti ed illuminazioni a parte.

    Buon lavoro a te, a Paolo (ma quella nozia bella è continuata?) e alla Patty che -vedo - non ha letto scarpette rosse per come se la "balla" in giro! Capra ;)

    tiziana cera rosco

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  11. ho letto e riletto, ma non solo le poesie qui presentate, anche e soprattutto, molto, molto interessante, l'intervento di Paolo Fichera sulla questione della comunità... Costringe a riflettere, perlomeno sviluppando due punti:
    A) la presenza di un lettore puntiforme, e mai collettivo / comunitario, nel concepimento mentale di un testo poetico è dunque da pensarsi come assioma indiscutibile dell’atto creativo / progetto compositivo che venga a definirsi “poetico”, prima ancora che sia riconosciuto come tale (o rigettato) da una comunità di lettori?
    B) l’istituzione di un’equipollenza fra poeta e vate, cui attribuire la capacità di vaticinare, di vedere oltre il presente (quindi anche oltre la comunità) (vate scomodo, non consolatorio), non è quindi solo un tòpos di alcune poetiche, ma è intrinseco all’agire nella comunità di un soggetto che essa indica come “poeta”?

    (mi viene in mente una conversazione, qualche mese fa, con Umberto Fiori e altri sulla poesia di Paolo Bertolani e sul suo complesso rapporto con la comunità geo-linguistica in cui viveva, tra Lerici e Serra in terra spezzina, dove poeta tradizionalmente era sinonimo di allocco, matto, sfigato…)

    Mario Bertasa

    P.S. alla simpaticissima Patty: Heinz Klaus Metzger diceva della musica di John Cage, a partire dallo studio della relazione fra la sua poetica dell’indeterminacy e la fisica delle particelle subatomiche: “realizza una temporanea inversione nel processo di entropizzazione dell’universo, che in fondo dovrebbe essere lo scopo dell’arte”. Ora, siccome a me sembra che queste poesie di Paolo Fichera, di cui ti sei così intrigata, inseguano uno scopo analogo, potresti davvero mettere alla prova le tue competenze poetiche nel prossimo problema di fisica. Fatti furba: studiati il Dialogo sopra i massimi sistemi di Galileo Galilei, che era un finissimo scrittore.

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  12. Maria Pina, sì la sintassi è spezzata. Tutta la scrittura degli Innesti risale a più di un anno fa. Si lega alla malattia di mio padre e poi alla sua morte avvenuta pochi mesi fa. E così il seme per dare frutti, nuovi, deve spezzarsi. E così ciò che fuoriesce è ciò che rientra. Patty, i tuoi occhi leggono e intervengono: il verso che riporti lo modifichi “il bianco s’incentua” al posto di “s’incestua”. Non è un errore il tuo, è quello che vorrei. Come faccio io quando innesto le poesie di altri: prendere e portare quello che io sono in quello che è la poesia altrui, e spezzarla, innestarla dando inizio a una ramificazione di voci, non di nomi. In ciò può risiedere in parte l’impegno “con” la comunità di Paolo ripreso da Mario (quell’intervento non è però mio). Sì Tiziana, la “bella notizia” nascerà a maggio, si chiamerà Arturo: l’innesto pre-scritto avrà respiro nella vita.

    Grazie a Francesco, Alessandro, Stefano

    Paolo F.

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  13. Gentile Mario Bertasa,
    mi fa piacere che l’intervento sulla comunità l’abbia interessata, è però mio, Paolo (Donini) … riguardo al lettore puntiforme, questo mi pare che sia l’ “a chi” del poeta, il suo versante inverso, come il doppio corpo del fante nella carte da gioco: clessidra che porta la composizione nell’ascolto. La poesia incontra solo persone, quando sono giovani, mai gruppi. Ne presuppopne la forma verbale, il "tu". Parla a "ciascuno" perchè parlare a "tutti" è sostanzialmnente un atto violento. E questo ci riporta al vate.. o il poeta ha voce di Cassandra o è oggetto d’arredo di qualche potere, di qualche enclave che parla a se stessa e si plaude. Ci sono sempre stati "onesti" poeti che fanno questo a giovamento della comunità ma non sono i migliori e di solito finiscono con l'implodere nel kitsch degli onori. Forse il problema è che destino della pronuncia e destino del pronunciante sono differenti, il poeta con la sua fionda tira un sasso nei vetri, li manda in pezzi e scappa col rischio reale di essere preso, ma intanto la poesia "è" il sasso, reperto di un atto riprovevole perchè infrange, ieri il canone, oggi la disattenzione - credibilmente dopo aver rotto qualcosa il proiettile finirà tra le altre suppellettili del salotto, magari accanto a una tela miliardaria di passate avanguardie,nel frattempo però sarà trascorso.. un secolo? Senza che sia più possibile rattoppare quel vetro culturale da cui è entrata finalmente
    l’aria della sera.
    paolo (donini)

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  14. mi fa piacere che ci siano tutti questi interventi di grande spessore: l'autore lo merita.

    auguri anche per la lieta novella di maggio,

    gugl

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  15. scusami Paolo, ma, in questo caso è stato un puro e semplice errore di battitura! avevo letto giusto, ma altre volte mi è capitato di compiere quel processo di cui parli. è strano quando accade, ti chiedi sempre... "ma perchè così e non come era scritto...eppure ero sicuro", ma sono d'accordo con te, è bello e giusto che accada!
    ...comunque sia, complimenti! ho tutta l'intenzione di leggere dell'altro di tuo!

    Tiziana! ma ciao! ...e invece l'ho letta la storia delle scarpette rosse! :P
    è una storia davvero triste e ambigua... ma non mi riguarda... le mie scarpette rosse hanno la LORO storia, ed è tutta roba MIA, e IO non permetterei a niente e a nessuno di privarmi delle MIE SCARPETTE ROSSE!

    ...quando io personalmente e io soltanto, di mia spontanea volontà, deciderò di sfilarle...andranno a chi me le ha regalate.......
    non voglio una storia presa in prestito, ho già tutta la mia da scrivere.

    in guanto alla fisica e a galileo... non mi alletta troppo l'idea... ci penserò!

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  16. patty forever! patty for president!

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  17. Scrive davvero bene!
    Ciao gugl, un abbraccio, Rita.

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  18. .....for president? beh...dopotutto non mi è mai dispiaciuta la carriera politica... potrei farci un pensierino! ;)

    buona serata, gente!

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  19. ciao Rita. Rita de roma? ogni tanto passo anch'io per il tuo blog.

    gugl

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  20. Eh già, la Rita de Roma, un po' egocentrica ultimamente, sì sono io...ogni tanto ci sono qui da te come vedi.
    Un bacio *
    Rita

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  21. mi sto ripigliando dopo lo scambio di persona… sono rimasto con la mandibola paralizzata per un giorno intero…
    però, mi dico, il commento di un Paolo sul tema della comunità innervato da Stefano parlando dell’altro Paolo… ahi, ho i neuroni che stanno andando in corto, urge un intervento galileiano!

    dunque... per me comunità non è una dimensione permanente di appartenenza/residenza, come lo è invece in molte altre accezioni antropologiche, peraltro fondate, ma piuttosto un temporaneo spazio di convergenza elaborativa (ho un debito verso il concetto di “T.A.Z.-Temporary Autonomous Zone” di Hakim Bey, alias Peter Lamborn Wilson), convergenza appunto che non mi ha favorito nel distinguere due Paolo fra loro (invece distintissimi per voce e sensibilità, pur interessanti entrambi, dico dopo aver letto anche Donini su un recente post qui in blanc de ta nuque), ma che in questo spazio temporaneamente autonomo mi ha fatto provare in prima persona una forte emozione di convergenza elaborativa

    sì, insomma, avendo bandito un certo uso del “noi” (occhio ai “president”…), come mi ha insegnato un carissimo amico che per primo mi fece leggere T.A.Z. di Bey, ritorno rassegnato in “me”, non senza però un forte senso di gratitudine per un pensiero “comune” attraversato in un frattale di scambio che mi ha riorganizzato

    Mario

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  22. Grazie Mario per l'autoironia con cui sei intervenuto: rarissima da trovare nei blog. Ciò fa di te un preziosissimo collaboratore di Blanc.

    Chi volesse continuare la riflessione sulla "comunità" è benvenuto. Questo post rimane attivo.

    gugl

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  23. La comunità temporanea/convergente di cui parla Mario mi appare nomade e rizomatica, nel senso che al rizoma ha dato Derrida.
    Il precario radicarsi un discorso minimo e intenso, per il tempo necessario a una disseminazione che punteggia un nuovo spostamento: è qui che possiamo passare per un istante al "noi" e scambiarci qualcosa come in effetti è accaduto adesso. Mi convince il fatto che la poesia resti alla macchia, che induca il discorso per sprazzi e discontinuità, è l'unico modo di evitare lacci di senso comune o maglie definitorie o sclerosi di conventicole.
    C'è poi un testo di Magrelli dove l'insieme dei poeti è un sacchetto di pietre focaie che cozzando tra loro danno scintille; questo si addice all'innesto di Fichera, di cui ho apprezzato il richiamo alla comunità delle voci, va detto che l'innesto è pratica postmoderna che attinge a tradizioni vicine e lontane. In sostanza innestare, in termini puri da regia, è Dada, come citare è antico, penso fra i tanti alle Confessioni di Agostino continuamente venate di citazioni sacre. O a romanzi recentissimi di uno tra i maggiori russi contemporanei, Michail Shishkin, che in “Capelvenere” e nel precedente “La presa di Izmail” ottimamente tradotti e pubblicati in Italia da Voland, pratica una tessitura formidabile di citazioni coniugate alla prosa originale in un discorso-melange che non è più l’innesto ma l’unicum ibridato che ne scaturisce.
    Se poi ci spostiamo nell’arte visiva un esempio fra tutti può essere una pittura a fresco di Rauschenberg fatta di accostamenti tolti all’antico e all’immediato fin dall’uso dell’affresco in chiave pop. Voglio dire che da un lato la comunità come innesto converge nel dibattito o meglio in micro dibattiti come questo, che ci consente l’attenta ospitalità di Gugl, dall’altro è un fatto di stile, infine è sempre stata presente in termini sub testuali ovvero proprio in quel ricircolo di “rimasugli” che Tiziana Cera Rosco mi pare consideri una sudditanza, quando può essere, e di fatto è, anche nei poeti maggiori, un contrabbando e una continuità fra esiliati: profughi della parola si scambiano e si rubano di tutto. Quando il passarsi le parole o i segni si interrompe bisogna interrogarsi. Di nuovo nell’arte visiva: ci sono artisti giovanissimi che sembrano d’un’originalità assoluta ma se conversi con loro ti accorgi che non sanno quasi nulla dei maestri e la loro novità è una sorta di art brut di marca tecnologica, frutto ambiguo di una carenza multialfabeta che più nessuno gli rivela. Così un poeta privo di rimasugli – ma è chiaro che Fichera non lo è proprio né a me pare lo sia la Cera Rosco - lascia un dubbio: è uno che ha bruciato/metabolizzato tutto o semplicemente scrive "a digiuno"?

    paolo (donini)

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  24. dici bene, Paolo: molti dei poeti che posto su Blanc partecipano della cultura rizomatica e questo è, in effetti, una cifra del postmoderno.

    ci sono poi altri polialfabetizzati che usano ciò che la moda-morte impone loro. Però questo spazio lo frequentano poco.

    gugl

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  25. BEllissima discussione qui, peccato essere giunto tardi.

    Conoscendo Paolo Fichera, e cercando di dare una continuità (non una risposta, ché è troppo) a quanto scrive Paolo Donini (e Mario Bertasa), direi che Paolo F sta digiunando (ancora di più in alcuni scritti successivi agli innesti) dopo aver divorato tutto.

    Il senso della comunità "nell'era democratica" (mi verrebbe da dire citando un urlo di Giovanni Lindo Ferretti), nell'era dei poeti che non possono/non devono comporre quella comunità - quella costituita come già data - è un problema disperatamente politico (e di conseguenza linguistico).
    Il recupero di una comunità o micro-comunità (visto che Donini parla di fantasie d'avvicinamento, io per restare su Zanzotto parlerei sempre di communio, specie in poesia) passa necessariamente per una discontinuità. Il lavoro di Paolo Fichera con gli innesti mi pare vada a concretizzarsi come un "furto" di materiale poetico (e la decontestualizzazione del materiale è una rottura con un ordine costituito) che diventa "spolia" e dunque di riuso. Il ricircolo è pertanto nel segno della discontinuità: l'innesto è sì la rivitalizzazione di una pianta, ma lo è per dare nuovi e diversi furti, è un atto violento. La comunità, se è data, oggi, lo è sempre nel segno di una mancanza, di una violenza subita, di una mutilazione.

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  26. Grazie Luigi per questo tuo innesto graditissimo.

    gugl

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  27. al quartultimo rigo è "frutti" non "furti".

    scusate...

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