mercoledì 21 ottobre 2009

Victoria Surliuga


Rilancio una scoperta di Viadellebelledonne, la poetessa e studiosa Victoria Surliuga, il cui ultimo libro, Forbici, uscì nel 2006 per LietoColle. Non avendo a disposizione il libro nella sua interezza, bensì le poche poesie rintracciabili nel suo sito texano, rilevo quanto segue:


l'antisublime che diventa racconto familiare dispiegato per foto esemplari, scene sforbiciate a rallentare il tempo che scema, a fissare il quotidiano che sprofonda nel buio;

il dialogo con la caducità, pensata quale sorella della morte, che con le sue lame rende la terra instabile, obliqua, procurando vertigine a chi la vorrebbe dimora;

La scelta di immagini domestiche (ma non addomesticate), care alla tradizione americana ma anche a differenti linee nazionali (mi si scusi l'approssimazione nell'avvicinare poetiche differenti sotto altri aspetti): penso alla linea lombarda (per es. Erba, Neri, Raboni, Rossi) a quella marchigiana (es. D'Elia, Gezzi, Piersanti, Mancinelli, Babino, Nota, Seri) e alla scuola romana (da Bellezza a Zeichen, ai poeti di "Prato pagano" e "Braci");

l'ironia verso la donna vanitosa, laddove ella alimenti la propria vetrina, imbellettandosi quasi fosse una regina. La prima lirica mette a fuoco tutto questo, citando nemmeno troppo velatamente "Onde dorate", un sonetto di Giovan Battista Marino. Se là, la fanciulla fa tremare di desiderio il voayeur mentre la osserva pettinare i suoi capelli-onde dorate con un pettine-vascello d'avorio, qui Victoria ci mostra una donna impacciata, in conflitto con la propria immagine: una donna moderna per nulla vanitosa e senza pubblico, costretta a modellare la propria immagine per sopravvivere alla civiltà dell'apparire.

Qui il suo sito (dove fra l'altro trovate la corretta impaginazione della poesia "mio padre guidava")



icone


rovescia l'acqua nella borsa
pesta il manico inciampa
non vede la lampada le cade in testa
preso il sonnifero livido senza dolore
finestra lasciata aperta di notte a – 6
bronchite e cervicale il giorno dopo
se arriva viva a fine giornata

occhi pesti esce da un match
di box lei contro lei
in velocità dà pennellate
di verde oro rosso effetto barocco
nel suo beauty case un pettinino
cioccolato di petronio
alambicchi pietre filosofali
onde a buchi d'emmental nei capelli
affonda le mani, non vengono più via




**


la valle cadeva a picco nel buio
mentre si valutava il tempo
in eccesso per sentire il silenzio
tranciare netto le tempie
si poteva rantolare paura
tra affannosi respiri
oppure cercare una cabina telefonica
poi risalire in macchina
a spaccare i vetri dei vicini di casa



mio padre guidava

mia madre sbucciava le mele
io guardavo dal finestrino
immaginando

lungo una lettera C dalle punte aguzzate a sinistra
dei due estremi interrotti mancava la memoria
a vent'anni la prima svolta a trent'anni la seconda
il resto si sfumava negli occhi non vedenti

mio padre ci insegnava il croato sulla spiaggia
vuk era lento gli piaceva l'orologio meccanico
erika aveva il gommone però a vuk cadeva il costume
nel tirarlo su con noi mentre suzanne nuotava
il y a une meduse così le aveva toccato la gamba
pestavo formiche nell'erba dove c'era una cicala secca

spingevo da sempre l'anima sui gomiti
come facevo con la valigia piena di libri



le porte dell'ascensore liberty

l'ascensore saliva in diagonale
roteavano a lato i piani
porte vecchie contrapposte
torino trasuda sempre morte

ero un'ospite seduta sul davanzale
non si chiudevano del tutto
in via valfré 17 gennaio 2004
ho sudato un po' nel cappotto
il terreno poteva sparire
con i piedi a penzoloni
mia madre si è buttata
per anni dalla finestra
ma i fili della biancheria
sono stati il suo telone



da bambina camminavo

sulle ali degli aerei
a volte infilavo un braccio
nel tritacarne sull'ala destra
impassibile mio padre
mi tirava per la bretella
e chiudeva il finestrino
gli aerei sfondano le case
per prendere quota
attraversano gli attici
mentre al primo piano
la portinaia taglia
una fetta di torta
i passeggeri abbassano
i finestrini in un colpo
per una boccata d'aria
passando sulla mongolia




i padri aprivano le mani

sulle trecce scompigliate
delle figlie iscritte al college
che si appoggiavano al vetro
con le forcine spezzate
e il gelo percorreva
i capelli impolverati
le orecchie incapsulate
dita intirizzite sulle tempie
si paralizzavano i neuroni



la neve cadeva sulla collina

in un rumore da trapanare
l'anima esorcizzata a tutto
mentre noi un po' imbalsamati
fissavamo la microsuperficie
spalmata di latte scremato e corn flakes
davanti ai mozziconi ghiacciati

e pensare che dieci anni dopo
sarebbero stati gli anni migliori
della poca vita di lamentele
proprio quando si alitava il ghiaccio
nell'aria percorsa dall'ululato di lupi
in corsa sulla collina di neve sporca



se la costa del texas si aprisse sul lago maggiore

potrei uscire di casa e sedermi sulle panchine
vedere uno spazio chiuso e una scheggia di cielo
non i diecimila chilometri tra i continenti
posso sfogliarle per anni seduta a scrivere
sempre dirò le cose sbagliate a mia madre al telefono




Nata a Londra nel 1972 e cresciuta a Torino, Victoria Surliuga si trasferisce negli Stati Uniti nel 1991. E' Assistant Professor di Italianistica alla Texas Tech University, a Lubbock, nel Texas. È autrice di tre volumi di poesie, Risposte del silenzio (Farnesiana 1994), Allergia alla notte (Campanotto 2000), Forbici (LietoColle 2006) e della plaquette dal titolo Abbandono (Edizioni PulicinoElefante 2003). Si occupa di poesia italiana contemporanea e ha dedicato particolare attenzione all'opera di Giampiero Neri. Le sue pubblicazioni più recenti includono una monografia su Neri, Uno sguardo sulla realtà. L’opera poetica di Giampiero Neri (Edizioni Joker 2005) e la cura del volume di prose La serie dei fatti. Quindici prose di Giampiero Neri (LietoColle 2004). Ha anche scritto sul lavoro poetico di Franco Loi e Giancarlo Majorino, e si è occupata del rapporto tra pittura e poesia in Giambattista Marino. I suoi lavori critici si trovano su Annali d’Italianistica, clanDestino, La Clessidra, Gradiva, Humanitas, L’immaginazione, Metamorphoses, Nuova prosa, Quaderni d’Italianistica, la Rivista di studi italiani, Steve, Yale Italian Poetry e sulla rivista telematica Sinestesie.

7 commenti:

  1. Cara e amata Victoria!più americana o più italiana?Poco ci importa se la qualità della sua poesia,la firma ne escono intatte::la finitezza infinita, il domestico accanto all'eterno, con quella fine e femminile ironia che dà il giusto taglio, ma anche la morbidezza, la dolce pensosa annotazione nel "qui ed ora" ..entrambe le tradizioni ben assimilate e lasciate, come un paesaggio, di sfondo, solide e leggere, interiorizzate nella lingua, quanto basta a spiccare il proprio volto, scissors, appunto!
    Brava Victoria!
    Maria Pia Quintavalla

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  2. in effetti, l'ironia, qui, è molto femminile.

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  3. marghe ealla22/10/09 21:29

    "immagini domestiche (ma non addomesticate)"
    questa è proprio una (con)notazione bellissima, oltre che, a mio avviso, decisamente appropriata.

    Se devo dire qualcosa di mio, e non prendere a prestito quello altrui :):
    la chiusa di "icone" mi pare emblematica, al di là delle azioni che testimoniano la caduta negli inferi quotidiani (altro che donna angelicata :)) "rovescia", "pesta", "inciampa", "non vede", "le cade" e allo stesso tempo di una ripresa, ma solo in belletto, se non addirittura orpello, cmq maschera,
    dicevo al di là delle azioni e dei lemmi (diversi termini inglesi diventati patrimonio comune a darci donne in globalizzazione)
    mi colpiscono moltissimo quelle mani in affondo fra i capelli (gesto quasi di sconforto e non certo di forza) del verso finale, "che non vengono più via".
    Ecco l'umano.

    Mi sono attardata su "icone", ma in verità le mie due preferite, e non solo per via dei titoli che trovo bellissimi (complimenti!), sono:
    "da bambina camminavo"
    e
    " i padri aprivano le mani"

    ciao!

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  4. ciao cara terrestre :-)

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  5. in partenza per santa fe, vi ringrazio dei commenti! ciao :) victoria surliuga

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  6. molto intiresno, grazie

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