Francesco Tomada è un amico di Blanc. Assieme a Luigi Metropoli (altro amico d'eccellente fattura, e non solo intelletuale) abbiamo deciso di fargli una sopresa: io gli posto alcune poesie tratte dal suo nuovo libro (A ogni cosa il suo nome, Le Voci della Luna, 2008) e Luigi gli scrive una recensione. Ecco fatto!
In trincea con la vita
Un libro che sia tale rigetta ogni tentativo di riduzione. Quando si parla di poesia il lettore avveduto si aspetta che nella trama fonica del verso vi sia un riverbero di significazioni, uno sconfinamento in altri territori. Il verso dunque funge da cerniera tra uno stimolo estetico ed uno conoscitivo: è una linea di confine. La bellissima raccolta, fin dal titolo, di Francesco Tomada, A ogni cosa il suo nome, tematizza tale confine, la frontiera, rendendola geografica, memoriale, affettiva, storica: c'è umanità (tanta), una grande abilità nel raccordare il privato con la storia, la memoria col presente, gli oggetti (e i luoghi) con la parola, senza scorciatoie. Un oggetto si manifesta nella sua evidenza, come i resti del MIG nel museo di Karlovac, ma improvvisamente viene trascinato in una girandola di sensi, ricordi, prospettive, politiche e private, storiche e emotive. La concretezza che Tomada ha saputo donare alle cose (e agli affetti) non si spegne nella fredda denotazione, ma squarcia un mondo, indica una strada percorribile tra parole e referenti, si decanta in finissimo distillato di pensiero, lascia lì il lettore a interrogarsi; il poeta ci fa toccare con mano la più porosa grana della nostra e altrui esistenza quando ci conduce in dolenti e amare chiuse (un colpo di fioretto, a ben guardare), un assunto che d’improvviso scarta di lato, apre un varco in quella che sembra una conclusione quasi sentenziosa, e invece pone ulteriori domande, infligge più profonde ferite, ci ricorda che “tre diviso due fa zero” (nasce così la parola FRAGILE sui cartoni di una famiglia bosniaca che parte; i dieci centimetri che rappresentano una distanza siderale…). La sezione In suo nome, a metà strada tra un dialogo a distanza e un salmo responsoriale, investe con intensità travolgente – in un pathos che fa a meno della retorica –; più calata nella storia Io vivo qui, specie il vibrante e rabbioso prosimetro VII che ristabilisce equità, al di là di ogni artefatta ideologia, e restituisce quanto perduto (un nome, una vita) ad un pubblico ufficiale che decide di schierarsi dalla parte dei partigiani comunisti. La materia su cui si traccia questa frontiera è sottile, fragile e rende la terra di confine, che Tomada abita, la martoriata terra di tutti. Leggendo questo libro ci si ricorda che una visione, una lettura non tendono al bello, ma a qualcosa che è più simile ad ustioni sulla pelle e a un malessere dalle parti dello stomaco e che, dopo, qualcosa cambierà per sempre.
Un libro che sia tale rigetta ogni tentativo di riduzione. Quando si parla di poesia il lettore avveduto si aspetta che nella trama fonica del verso vi sia un riverbero di significazioni, uno sconfinamento in altri territori. Il verso dunque funge da cerniera tra uno stimolo estetico ed uno conoscitivo: è una linea di confine. La bellissima raccolta, fin dal titolo, di Francesco Tomada, A ogni cosa il suo nome, tematizza tale confine, la frontiera, rendendola geografica, memoriale, affettiva, storica: c'è umanità (tanta), una grande abilità nel raccordare il privato con la storia, la memoria col presente, gli oggetti (e i luoghi) con la parola, senza scorciatoie. Un oggetto si manifesta nella sua evidenza, come i resti del MIG nel museo di Karlovac, ma improvvisamente viene trascinato in una girandola di sensi, ricordi, prospettive, politiche e private, storiche e emotive. La concretezza che Tomada ha saputo donare alle cose (e agli affetti) non si spegne nella fredda denotazione, ma squarcia un mondo, indica una strada percorribile tra parole e referenti, si decanta in finissimo distillato di pensiero, lascia lì il lettore a interrogarsi; il poeta ci fa toccare con mano la più porosa grana della nostra e altrui esistenza quando ci conduce in dolenti e amare chiuse (un colpo di fioretto, a ben guardare), un assunto che d’improvviso scarta di lato, apre un varco in quella che sembra una conclusione quasi sentenziosa, e invece pone ulteriori domande, infligge più profonde ferite, ci ricorda che “tre diviso due fa zero” (nasce così la parola FRAGILE sui cartoni di una famiglia bosniaca che parte; i dieci centimetri che rappresentano una distanza siderale…). La sezione In suo nome, a metà strada tra un dialogo a distanza e un salmo responsoriale, investe con intensità travolgente – in un pathos che fa a meno della retorica –; più calata nella storia Io vivo qui, specie il vibrante e rabbioso prosimetro VII che ristabilisce equità, al di là di ogni artefatta ideologia, e restituisce quanto perduto (un nome, una vita) ad un pubblico ufficiale che decide di schierarsi dalla parte dei partigiani comunisti. La materia su cui si traccia questa frontiera è sottile, fragile e rende la terra di confine, che Tomada abita, la martoriata terra di tutti. Leggendo questo libro ci si ricorda che una visione, una lettura non tendono al bello, ma a qualcosa che è più simile ad ustioni sulla pelle e a un malessere dalle parti dello stomaco e che, dopo, qualcosa cambierà per sempre.
IV.
una caserma bombardata che puzza di urina
nel cortile ci sono cannoni e mezzi corazzati
quelli nemici semidistrutti
quelli croati nuovi e lucidi
come se la battaglia dovesse ricominciare domani
nel mezzo quello che resta di un Mig
i ragazzini lo guardano entusiasti
gli corrono attorno
ma io vorrei dirgli che la coda di un aereo abbattuto
non è come quella di una lucertola
che si stacca senza dolore
se la stringi tra le mani
sulla fusoliera c’è una stella rossa
vorrei dirgli che anche in volo
non ha mai brillato come quelle vere
dal suo cielo di lamiera
VIII. Anonimi si nasce
I tuoi occhi hanno il colore di terra bagnata
se io fossi contadino direi buona da coltivare
ma da contadino mi sentivo solamente
quel fare grossolano e inadeguato delle mani
quando ho messo in te il mio seme
il mio gesto voleva essere di amore
ma somigliava più a un atto primitivo
un urlo lanciato con il ventre
mentre tu trasformavi in un embrione
il mio sentirmi vivo
I. Io vivo qui pt. I
Una volta sono venuto qui a Redipuglia, tra tutti i nomi ne cercavo
uno per mio figlio che stava arrivando, cercavo un’idea. Poi ho
scelto altro, non volevo che avesse un’eredità così pesante, bastava
già il mio cognome. Eppure qui di nomi ce ne sono abbastanza,
trentamila nomi per intere generazioni di figli del nordest e
settantamila militi ignoti, anche per tutte le volte che si è fatto
l’amore e non ne è nato niente.
II. 1920
C’è questa foto del millenovecentoventi
dove si vede distrutta la casa che adesso abitiamo
una granata italiana l’aveva colpita
proprio la casa proprio la camera
dove poi abbiamo concepito i figli
ma di quei momenti nostri non ci sono immagini
e la vita quando esplode dentro non fa nessun rumore
e anche io ti ho posseduta così si dice
ma in realtà non ho posseduto niente
sei come questa terra dove per lasciare un segno
è inutile combattere bisogna appartenere
diventare umili e abitare con pazienza
come fa il colore su una rosa
XII. Io vivo qui pt. II
Ti voglio descrivere un orizzonte:
dal pendio del Podgora alla conca dove riposa la città
e poi su al labbro scuro del Sabotino
saranno tre chilometri in linea d’aria.
Adesso lo voglio misurare:
per riempire il cielo serve un pugno di rondini in volo;
novant’anni fa per prendere questa terra
morirono quattrocentomila soldati.
Gorizia ha quarantamila abitanti, per ciascuno di noi ci sono dieci morti.
Le rondini invece non bastano per tutti.
Per questo, quando ne arriva una, fa primavera.
***
(parla lei)
Sembrava bello che costruissero le case al posto dei campi
poter vivere in un posto dove prima si era solo lavorato
forse ho sbagliato perché era il tempo della tv in bianco e nero
e non ho mai guardato fino in fondo il colore dei tuoi occhi
ma in te ho creduto davvero mi sembravi la liberazione
dopo un’infanzia di mattoni e stracci e fratelli da crescere
forse ho sbagliato perché le ragazze di buona famiglia hanno fretta
e così tanta paura della solitudine da correrle incontro
forse perché lavoravi come meccanico di aerei
e ho pensato che sapevi aggiustare le cose
e se tornavano a volare i mostri da dieci tonnellate di metallo
allora avrei potuto farlo anch’io che un giorno ci avevo provato
saltando dal secondo piano del fienile con un ombrello per paracadute
e un poco di leggerezza dovevo averla già dentro di mio
se non mi ero fatta niente
(parla lei)
Abbiamo ristrutturato una casa per viverci
travi a vista e odore di malta e legno
un nido d’amore dicono ma io
non ho mai visto animali con un nido di cemento
a volte stiamo insieme come è scritto si deve fare
a volte tu esci e non so dove e con chi vai
quando avrò una figlia
per prima cosa le insegnerò che gli uomini
certe sere vengono troppo presto
ma in altre non arrivano mai
(parla lei)
Un giorno voglio crocefiggerti sul letto usando le mie braccia
riprendermi il piacere ed il dolore della prima volta
per ogni notte in cui sei stato indifferente sarò il giudice e la pena
tu sarai la terra dove scavo un solco passando e ripassando con i piedi
la traccia a semicerchio consumata dai cani alla catena
(parla il figlio)
Racconti spesso che dopo l’armistizio del ‘43
i tuoi ti mandarono a Paluzza
per paura dei tedeschi
abitavi da uno zio sacerdote
portavi il latte dal casaro alla mattina presto
poi giocavi tutto il giorno fra prati in discesa
e mulattiere perché le scuole erano chiuse
io passo spesso a Paluzza d’inverno
so che una volta vorresti venire anche tu
ma è meglio di no
piuttosto tieniti stretti i ricordi dell’unico anno
in cui sei stata davvero bambina
oggi le strade sono asfaltate le case quasi tutte nuove
nessuno fa fieno e sembra che l’erba cresca per niente
poi la segheria in fondo al paese l’hanno comprata
i Gartner da Wurmlach - forse non li temi come allora
.......................ma sono arrivati i tedeschi
[...]
(parla lei)
E so di non essere mai stata bella come volevi
ho il corpo minuto il bacino sporgente di ossa
spigolose come le figure nei disegni dei bambini
i seni troppo piccoli per allattare un neonato
dunque anche per soddisfare un uomo cresciuto
un corpo da serva più che da moglie
si sarebbe detto una volta
ma ci ho provato
ho provato anche a somigliare alle altre donne che incontravi
vestirmi come loro truccarmi come loro
fino ad accorgermi che quando facevi l’amore con me
era loro che sognavi
[...]
(parla lei)
Un giorno voglio crocefiggerti sul letto dove mi piegavo dalle doglie
per il secondo parto pensavo tu scherzassi quando ti chiedevo
di portarmi in ospedale perché stavo sempre peggio
e tu mi rispondevi “un attimo e finisce la partita”:
io aspettavo un figlio, tu che nei minuti di recupero
Altafini segnasse la rete del pareggio
[...]
V.
Se quello che stiamo vivendo è l’amore
cerchiamo che cosa c’è oltre
perché avevamo giurato due cose
la prima: saremo fedeli non per dovere
ma per volontà
seconda: accontentarsi
è come tradire
X. Tre diviso due
Ricordo che un giorno scherzavamo
se ci lasciassimo cosa sarebbe dei nostri tre figli
uno e mezzo a testa?
li taglieremmo a metà?
era un gioco stupido, ancora più stupido
adesso che sembra avverarsi
c’è una realtà dove tutti si perde
e tre diviso due fa zero
Francesco Tomada è nato nel 1966 e vive a Gorizia. La sua prima raccolta, “L’infanzia vista da qui” (Sottomondo), è stata edita nel dicembre 2005 e ristampata nel marzo2006; nel 2007 ha vinto Premio Nazionale “Beppe Manfredi” per la migliore opera prima. È vincitore e segnalato in diversi altri concorsi. I suoi testi sono stati pubblicati in Slovenia, Canada, Francia, Slovacchia, e tradotti anche in altre lingue. E' inserito nell'antologia "Dall'Adige all'Isonzo. Poeti a Nord-Est" (Fara 2008)
grazie a Stefano, non solo per l'ospitalità qui, ma anche per i consigli diretti e sinceri sulla scrittura e sulla pubblicazione di questo libro. mi sono serviti molto, come sai bene, la tua schiettezza fa in modo che ci si possa fidare di te.
RispondiEliminae a Luigi, la tua recensione come immagini mi fa molto piacere ed al tempo stesso mi imbarazza. ma il modo in cui, anche senza conoscermi, hai voluto occuparti della mia scrittura è una prova della tua disponibilità sincera che voglio sottolineare anche qui.
Francesco
Caro Francesco, io ti ho dato solo elementi di contorno; il resto (cioè tutto) l'hai fatto tu.
RispondiEliminaspero proprio che questo libro abbia la fortuna che si merita.
gugl
"A ogni cosa il suo nome" è un libro molto bello, l'ho letto una sera dall'inizio alla fine senza interruzioni, ed è stato forse il modo più giusto per sentire il respiro lungo, la tenuta (etica? estetica? io credo entrambe) che attraversa tutte le pagine. mi piacciono soprattutto: la misura con cui francesco tratta la descrizione del quotidiano, che secondo me è invece un tema sempre ad alto rischio di sbavature in poesia; la fluidità con cui si passa tra storia e presente, passato e realtà: mi pare che l'idea del confine non sia quindi solo geografica ma investa anche l'elemento temporale, un continuo entrare e uscire dal luogo; più di tutto la sezione "In suo nome", quel nudo "(parla lei)" e quell'altrettanto nudo "(parla il figlio)".
RispondiEliminaun caro saluto a francesco e a gugl.
erika
sono d'accordo.
RispondiEliminaverissimo anche l'unità affettiva del libro, che vorrebbe una lettura senza interruzioni, per accumuli meditativi e slanci d'entusiasmo, come in una passeggiata nel bosco compagnia di un amico.
ciao Erika.
gugl
ricordo che Francesco Tomada era stato ospite qui anche il 1 novembre del 2007 (per chi fosse interessato a leggere anche quel post)
RispondiEliminagugl
caro gugl, non so che fortuna si possa meritare un libro in tutta sincerità. essere un elemento di discussione, di condivisione, magari ricevere l'apprezzamento di chi ama la lettura e conservare la sua dignità: questo per me sarebbe già tanto. ti ringrazio degli auguri, doppiamente perchè so che sei sincero.
RispondiEliminagrazie anche a Erika, mi colpisce quando dici che "il quotidiano è ad alto rischio di sbavature in poesia". è vero, ma (per me, sottolineo) è anche il solo modo di trattare qualcosa su cui mi sento di avere da dire. è un rischio da correre, anche se la banalità e la faciloneria sono giusto dietro l'angolo.
speriamo che Nostra Signora degli Scriventi ci protegga ancora per un po'.
francesco
Qualcosa di integro.
RispondiEliminaCome corpo intero: di ferite e buchi urticanti - ma saldo, resiliente.
Come 'abbarbicato' a ciò che è accaduto, negli interstizi di un mestiere - soldato, contadino, fronteggiando cielo e rondini, grumi e solchi.
Come saldato ad una mappa, dove rinvenire proiezioni, progettare patti duraturi dentro la minuzia imprevedibile di un addio o di una granata.
Poesia risonante, per la quale direi che 'ogni cosa è illuminata'.
Erminia D.
non ricordo quanto tempo sia passato, da quando mi è capitato di leggere Francesco per la prima volta.
RispondiEliminaMa la sensazione si.
E' tra gli autori contemporanei che ho apprezzato di più. Direi che è terra la sua penna. La stessa terra che possiamo - avendone il coraggio - camminare, odorare, coltivare - ogni giorno.
E' una poesia che nasce dall'urgenza di dire dell'urgenza.
Come lo è la fame e la sete.
Arriva con lo stesso linguaggio su cui si abita la quotidianità - stesse pareti ... ed ogni verso che circoscrive perfettamente un "dolore" - chirurgicamente.
Questo libro me lo voglio leggere. Assolutamente.
Grazie Francesco di questa grazia
e grazie Stefano di divulgare :)
ed un carissimo saluto a tutti
grazie a tutti per il commento.
RispondiEliminaA Francecso: fortuna potrebbe essere vincere un premio di 1000 euro e/o ricevere una recensione da qualche barone su una rivista che fa curriculum :-)
gugl
sulla prima che dici, Gugl. c'è poco da fare.
RispondiEliminaPer la seconda cis tiamo lavorando...!!
Fabiano
ciao Fabiano. anche sulla prima, però, sarebbe da pensarci.
RispondiEliminagugl
eh eh. il premio da mille euro non sarebbe male, lo ammetto!
RispondiEliminaper la recensione di un barone non so che dire, sai che sono molto diffidente verso gli ambienti della letteratura ufficiale.
il fatto che Fabiano sia passato di qui mi dà l'oocasione di ringraziare in pubblico le persone che, oltre a te st, hanno di fatto reso possibile questo libro, e cioè Fabiano stesso, fm e Fabrizio Bianchi.
Erminia, "ogni cosa è illuminata" è un libro che mi piace molto, sentirlo accostato alla mia scrittura è confortante.
Francesca, un carissimo saluto anche a te, e grazie del tuo apprezzamento, anche se passo sul tuo blog meno spesso di quanto mi servirebbe.
francesco t.
tutto passa, passano i mille euro (visti i tempi ti passano dalle con una velocità impressionante senza lasciare traccia) passa la recensione del barone che in quanto barone fa rima con trombone, e gli squilli di tromba se sono quelli terreni chiamano i bersaglieri che passano velocemente, la fortuna per un libro è non passare mai, restare nei secoli come dante. chi resterà? non so dire. io sono rimasta a montale. i poeti prima devono morire poi mi piacciono, morendo il poeta il verso si spoglia delle meschinità dell'uomo che li ha scritti. così essere soddisfatti (così come dice Francesco) d'"essere un elemento di discussione, di condivisione, magari ricevere l'apprezzamento di chi ama la lettura e conservare la sua dignità" è un'ottima cosa. un salutone a tutti e scusate il commento scemotto :-) antonella
RispondiEliminagrazie per l'incoraggiamento, antonella!!!
RispondiEliminadante aveva trenta lettori, ma aveva anche altro da fare: la commedìa, per esempio e sopravvivere ai baroni di quei tempi.
comunque hai ragione: la poesia non dà pane e nemmeno consolazione :-)
gugl
Caro Stefano, ma noi siamo contenti comunque di leggere e interrogare i versi.
RispondiEliminaPane e consolazione non lo dà nemmeno fare l'operaio metalmeccanico oggi, quindi lo scintillio dei versi è meglio che niente.
Cara Antonella, spero che non ci sia da augurarsi la morte di tutti i poeti oggi :)
Per quanto sia difficile separare i versi dalle persone (e forse non è nemmeno sempre utile farlo), la lettura resta una risorsa.
E poi Montale era pettegolo, a quanto pare ;)
un caro saluto a voi
voc
consolazione, a me la danno un bel cabaret di pasticcini e poche altre cose leggere e vaganti :-)
RispondiEliminagugl
cara Antonella,
RispondiEliminadi certo non si scrive (almeno io, ma penso nessuno qui) nè per la notorietà, nè per una recensione. nè per un premio. chiaro che se poi arriva qualcosa ben venga, ma non è quello lo scopo.
non so se morendo il verso si spogli delle meschinità dell'uomo che l'ha scritto. sarebbe bello riuscire a farlo da vivi, o almeno provarci, avvicinarsi un poco, sforzarsi proprio perchè si è vivi. non so se sia un commento intelligente o il pensiero di un adolescente troppo cresciuto.
per la consolazione materiale credo invece che non ci si debba rivolgere alla poesia, anche a me consolano beni molto più terreni. ma quello che Voc chiama "lo scintillio dei versi" si avvicina forse ad una forma di conforto.
francesco t.
Un saluto e un abbraccio a Francesco, Stefano, Luigi, Erika, Antonella, Fabiano, Francesca, Erminia (spero di non aver dimenticato nessuno :)
RispondiEliminasiete grandi (come poeti e come persone) buoni passi al vostro cammino!
Alex
Alessandro, un caro saluto a te e grazie per quello che dici. Sicuramente qualcuno non sarà d'accordo, ma lo perdoniamo :-)))
RispondiEliminagugl
bene, mi pare di capire che siamo tutti d'accordo nell'affermare che la poesia non dà pane e le recensioni dei baroni non danno consolazione, che un bel tabbarè di pasticcini invece dà consolazione, che siamo tutti delle brave persone (wow!) :-)) (grazie !) e che montale era un gran bugiardo, infine... che è meglio essere vivi che morti! a parte gli scherzi, dicevo proprio questo, che non bisogna aspettarsi nulla in termini di soddisfazioni materiali o di altro tipo dalla poesia e che la poesia è già la ricompensa. a "a ogni cosa il suo nome", e a Francesco auguro il meglio, ogni fortuna, ogni successo. e così a tutti voi. senza dimenticare l'operaio metalmeccanico senza pane e neppure soddisfazione. buona serata antonella
RispondiEliminaper chi fosse interessato, stasera alle 22,30, su radiotre rai, ci sarà una trasmissione condotta da M.G. Calandrone, L.Riviello e Carlo Bordini, sulla poesia di Paola Febbraro, con letture delle sue poesie e commenti.
RispondiEliminagugl
la scrittura di Francesco ricorda un po' il primo Pagliarani: tutta la sfida neoealista...
RispondiEliminasi può dire benissimo secondo me che "a ogni cosa il suo nome" è una continuazione del viaggio che Francesco ha iniziato con il felicissimo libro d'esordio "l'infanzia vista da qui".
avrò modo, Francesco, come avevo promesso, di lasciarti in pvt le mie impressioni, che comunque, sappilo, sono senz'altro positive.
un caro saluto a te, a tutti.
red
Solo un passaggio per confermare anche qui la mia stima a Francesco, alla sua poesia pulita, sincera.
RispondiEliminaUn saluto a Gugl e tutti
ciao :)
iole
"Ricorda", però il clima culturale era differente. soprattutto Tomada non deve sganciarsi dall'ermetismo imperante (o sì?). vero che il percorso di Francecso è segnato sin dal suo primo libro.
RispondiEliminaciao Iole,ciao Red.
gugl
Un caro saluto a Iole ed Alessandro, che sono passati di qui. Grazie.
RispondiEliminacaro Red, premetto che non sono un buon critico per gli altri, dunque figurarsi per me stesso. come molti che sono stati studenti il primo amore adolescenziale nella poesia per me è stato Ungaretti, lì è la partenza più o meno consapevole, anche se a guardarla da oggi è una partenza lontana. dell'ermetismo in senso stretto ho sempre apprezzato piuttosto poco, ma per certi aspetti, è vero, riconosco un'origine comune (lo dico senza volermi confrontare con altri molto più grandi di me).
questo secondo libro mi sembra che rispetto al primo sia più compatto, non voglio dire migliore o peggiore per carità, ma è uscito quando mi sembrava di avere fatto un passetto in più, avanti, indietro, di lato non so, ma comunque altrove. c'è meno stupore, e spero un po' più di consapevolezza.
un caro saluto a te e st, come sempre. caro st, è vero che ami la montagna? per me l'arrivo della neve è sempre un bel momento...
francesco t.
sì, ci vado a camminare con mia moglie ogni volta che posso. domenica andremo a fare fondo.
RispondiEliminaanche per te è qualcosa di più che un luogo freddo e inospitale? :-)
gugl
per me lo sci di fondo è una pratica ai limiti della trascendenza, per quanto non è che sia molto bravo (è il problema di chi inizia in età adulta...). infatti invidio molto la vicinanza di casa tua all'altopiano, dove riesco a venire, se va bene, una o due volte all'anno.
RispondiEliminabuona domenica, allora.
fr
Caro Francesco, anche se magari non posto nulla (c’è sempre chi scrive cose molto più intelligenti e profonde di quello che potrei fare io), seguo sempre con grande interesse tutto ciò che ti riguarda; rispetto a quanto ho letto, devo però dire almeno due cose: il tuo scrivere mi è piaciuto da subito tantissimo, e lo dimostra la velocità e la scorrevolezza con cui abbiamo prodotto il libro. La 'cosa' libro: la vera e lunga fatica è ovviamente scriverlo, farne una cosa intellettualmente compiuta. Ma lì è la tua bravura.. Anche umana, e l’averti conosciuto poi di persona, a cose fatte, mi ha solo confermato, con gioia, l’intuizione emotiva del primo approccio di lettura. Tu sei quello che scrivi. Il secondo punto che mi preme evidenziare riguarda proprio la tua scrittura: reale quant’altre mai. Diretta e senza nessun’altra bellezza aggiunta che quella –poeticissima- del vero vissuto sulla pelle, inciso e tatuato con un magro dolore nel tempo. Senza enfasi, scarno. Ogni testo una storia, che ti prende e non ti lascia smettere. Non è un libro che si legge a tappe: ne vuoi sempre di più, fino alla fine. E ti lascia tremendamente più ricco. Per fortuna [un devoto grazie a Nostra Signora degli Scriventi] l’ermetismo non ti ha preso molto.. E lì sorrido invece per l’ermetismo involontario del Prof. Guglielmin: Tomada non ha bisogno di sganciarsi (proprio il contrario di un deve iussivo), come dovette fare Pagliarani, dall’ermetismo imperante. Fenomenale quell’ o sì? finale, tra parentesi, vero in cauda venenum che la dice lunga sullo stato attuale della poesia, secondo uno dei personaggi/poeti/critici più intelligenti che conosco. Da ultimo: coraggio! Anche sulla prima che dici, Fabiano [e grazie per il tuo prezioso impegno sulla seconda], ci stiamo proprio lavorando. I carmina qualche confortevole pasticcino di Acqui lo danno, e a volte anche qualche premio da mille o più euro. Se può servire da stimolo, io qualche rata di mutuo me la sono pagata coi premi di poesia (che culo! solo culo, ovviamente..). E mi piacerebbe proprio che chi vale sul serio ne venga in minima parte ripagato. Da ultimo, quello che invece ripaga me, davvero con grande abbondanza e generosità, è la rete che si va formando ed estendendo attorno alle Voci, in affetto e amicizia: Stefano, Fabio, Fabiano, Iole, Elio, Antonella (peccato la distanza che toglie il molto dell’incontrarsi di persona), Luigi, i due Franceschi. E’ un piacere e un grande privilegio avervi incontrato e lavorare con voi. Grazie!
RispondiEliminaFabrizio
Caro Fabrizio, editori come te ce ne sono pochi in giro. E non lo dico per compensare le campane gloriose che hai fatto suonare in mio onore nel commento precedente. Se la famiglia Voci si sta arricchendo è perché il pescatore Fabrizio sa gettare le reti come un San Piero: con umiltà.
RispondiEliminagugl
caro Fabrizio, ti ringrazio delle tue parole, so che normalmente non passi sui post e dunque ne sono più che contento (ma so che segui molto bene i tuoi progetti, ne hai già dato grande prova). sai bene che ciò che mi ha fatto decidere per le voci, oltre alla tua persona, è la "famiglia" di cui si entra a fare parte, che è un gruppo di persone in cui realmente non vedo invidie o competizioni, ma l'idea di un percorso comune ed in qualche modo condiviso. credo che in questo molto del merito sia tuo, e l'impressione di fiducia sai che è ricambiata anche verso di te.
RispondiEliminariguardo al tuo parere sul libro taccio, però tenendomi dentro un piccolo/grande orgoglio, lo ammetto.
non vorrei più parlare di riconoscimenti, già antonella ha fatto notare alcune cose su cui io sono d'accordo in pieno. io sono abituato a non farmi troppe domande, quando un libro mi permette di conoscere persone fuori dalla norma, di coltivarle per quello che so, questo è il mio riconoscimento. il resto può fare piacere o aiutare, ma umanamente è davvero secondario.
a presto, un salutone a te, a tutti quelli che hai citato. grazie ancora di tutto.
francesco t.
ho ripreso il post su vdbd, meritava, mi scuso se non ho avvertito prima (con francesco mi sono già scusata) m'è venuto dopo che poteva sembrare scorretto il ripiglio del post. ciao antonella
RispondiElimina“L’infanzia vista da qui” (Sottomondo)
RispondiEliminaè ancora reperibile?
.toninovaan
cara Antonella, diffondere la bellezza non può essere che un bene.
RispondiEliminaciao!
gugl
Ho avuto modo di leggere il primo libro di Francesco "L'Infanzia vista da qui" e presto leggerò anche il secondo. Francesco è un poeta che sa risvegliare luoghi, dar vita ad immagini e suscitare forti emozioni nel lettore, come se egli (il lettore) stesso stesse vivendo nei medesimi luoghi e le medesime situazioni che vengono descritte nelle sue poesie. Primo (e meritatissimo) premio assoluto nel Concorso "Beppe Manfredi" per l'Opera Prima in provincia di Cuneo, auguro al poeta altri meritati premi col suo nuovo libro.
RispondiEliminaPoeta del sentimento, del quotidiano e capace di risvegliare realtà passate, facendole sue e di chi legge.
A Francesco tutta la mia stima.
Ada Firino