martedì 22 dicembre 2009

Erika Reginato




Campocroce (2000 – 2007) (trd. it. E. Rabuffetti, Editoriale sonetti, 2008), è un viaggio a ritroso nella terra degli antenati, ad opera di una donna nata e cresciuta in Venezuela, compiuto toccando la sponda della poesia ungarettiana, che le ha insegnato a prosciugare il verso e a bagnarsi nel fiume della vita, in quell'"urna d'acqua" che scioglie i legami con la civilizzazione per un più intimo colloquio con la propria essenza. Erika Reginato, traduttrice sopraffina, con questo libro – voluto da Alberto Cappi, proprio alla vigilia della sua dipartenza – consegna al lettore non soltanto la scintilla privata, che tiene vivo il suo legame con le quattro case di Campocroce e della pedemontana vicentina (terra nativa del padre, migrato infante a Caracas), ma ci insegna nel contempo che la ricomposizione dell'io necessita dell'abbandono all'invisibile, che respira nei luoghi d'origine, là dove ogni traccia parla dei nostri avi. Come scrive De Angelis nella prefazione, "unirsi agli antenati significa guarire. Significa ricomporre il proprio corpo in pezzi". Erika lo fa mescolando cristianesimo e paganesimo, sottomissione e vitalismo, fede negli angeli e convinzione che ogni frutto, ogni scorcio, in natura, custodisce il nome e la forza dei nostri cari. Intermediaria fra i vivi e i morti è zia Lena, matrona, che "tutte le notti [...] / si alza nell'oscurità / scuote la polvere dai suoi occhiali, / si lava le mani / e cammina verso le montagne", quelle montagne, in particolare il Grappa, che fu rifugio e martirio dei partigiani. Senza alcuna retorica e spesso sottotraccia, Campocroce mette in scena il loro sacrificio, parlando di solidarietà e lavoro, di preghiera e lotta per la libertà, disponendo la vita contadina, le voci e le speranze familiari come fossero pane sulla tovaglia, offrendoceli nella quiete del crepuscolo in risposta all'abbagliante violenza e al populismo chiassoso che accomuna la nostra Italia e, ancor più, il suo Venezuela.



Estate

..........Crespano del Grappa 26 luglio


Ricordami zia Lena
quanto ho amato
il giorno in cui mi pettinasti
e andammo a passeggiare in collina
con altri zii.

Dimmi la parola senza voce
con la gola secca,
la storia del mistero
dell'albero della casa
che non cadrà nei secoli.

Scrivi i miei errori
e racconta di loro.
Allora i morti,
i miei,
staranno in pace
quieti nei quadri.

Campocroce si nasconde
raccoglie il mio corpo,
disegna il suono grave,
la luce tra le foglie.



Martirio dei Santi Felicio e Fortunato


Fino che ora
ci sarà la vigilia?

Gli sconfìtti conversano
abbracciano la colpa,
il sapore del miele di castagno,
la luce che riposa in fondo alla basilica.

La nebbia raggrinza le dita,
cancella i mosaici,
l'invisibile che corre nel petto.

I martiri sopportano i terremoti
e la calma delle inondazioni.

Questa è la terra dei miei antenati,
quella degli uccelli che volano sul lago
e camminano sul filo dell'equilibrio.

Le formiche annunciano la pioggia,
guariscono il mio corpo con il grano
che semino e consegno ogni mattina.



Campocroce


un po' stanca,
arrivo alla chiesa di Campocroce
dove aspetto mio nonno.

Lui copre i morti,
accende candele bianche,
sorride.

Sulla cima del Monte Grappa
ascolto le campane suonare nella piazza.
Annunciano il tuo funerale
le preghiere del giovedì in latino.

Vicina alle tue tracce,
i piedi dormono come api,
giocano con Dio
nel cimitero dell'orizzonte.

Appoggiata al muro
osservo i rami che filtrano la luce,
l'aroma che congela la circolazione,
il silenzio delle gambe tremanti.

Le montagne del nord curano la mia testa.

Nell'abbozzo delle ombre,
le ossa,
ogni articolazione
sono coperte di legna
dal giorno della tua morte.

Delle rughe del tuo viso
mi restano la vita,
le minuscole parole
che hanno chiuso
con forza le tue mani.

La palpitazione ondeggia lievemente
tra le crepe.

La voce esiste
perché la porti nelle tasche,
i titoli del giornale
sono il tuo passatempo,
il ricordo delle trincee,
le passeggiate in montagna,
perché è il tuo autunno.

Dormi, ti supplico
e benedici il ricordo
tra i sentieri di Campocroce.

I tuoi insegnamenti si eleveranno.

Chiudi gli occhi e riposati.



Giorno di San Giuseppe


Padre
sono nel paese della tua infanzia,
nel freddo,
nella lingua della tua nebbia
con il vapore delle raffiche dei treni.

Cammino con le mani piene di rughe
vicino al fiume.

Ti sento
correre nelle stradine
tra fondamenti d'oro,
navigare sul ruscello,
allontanare la neve della cima.

Se solo mi potessi
accompagnare sul sofà,
toccare le spalle,
dare una lampada
per illuminare i raggi del ritorno.
Allora potrei chiudere i pugni,
e camminare più veloce
fino a entrare nella stazione.

Padre
dammi un po' del tuo grano
lasciami vedere i tuoi piedi.


***


Campocroce è una natura morta che riprende dalla calma il suono del freddo.
È il terreno dell'incontro e del dialogo tra il paesaggio e il corpo.
Abbraccia il silenzio dei caduti e protegge gli indifesi nei suoi sentieri.
Sulle colline nasconde i battiti dei generosi e assorda i nemici.
Fino a dove crescono gli alberi? A che ora incomincia a svanire il sole?
È una montagna color terra di Siena e le case di pietra hanno la legna
accatastata sotto i camini fumanti, dove mio nonno avvertiva il vapore
dei miracoli e ascoltava il rintocco delle campane.
Alla fine del giorno, quando ci riuniamo tutti quanti nel caffè di piazza San Marco
e guardiamo la cima, la brezza diffonde le ore della veglia.
Campocroce è immenso perché la salita inizia all'alba in casa di zia Lena.




Erika Reginato Muñoz (Caracas, 1977). Poeta, saggista e traduttrice si è laureata in lettere presso la Universidad Central del Venezuela. Ha pubblicato il libro di poesia "Dia de San José", II giorno di San Giuseppe (Eclepsidra, Venezuela 1999), il saggio "Cuatro estaciones para Ungaretti", Quattro stagioni per Ungaretti (Eclepsidra, Venezuela 2004). Ha tradotto in spagnolo le poesie dei poeti Milo De Angelis (Monte Avila Editores, Venezuela 2007), Davide Rondoni e diversi poeti italiani contemporanei. Ha partecipato varie volte a recitals nazionali e internazionali.

Su You Tube un video che la vede in compagnia di Milo De Angelis nelle strade di Caracas.

14 commenti:

  1. conosco il libro di erika nella splendida traduzione di emi, stefano contribuisce a far conoscere questa poetessa straordinaria, "ovviamente" (per come vanno le cose)sconosciuta in Italia.
    lo stesso discorso vale anche per emi rabuffetti.
    bravo stefano.

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  2. grazie Elio. Erika in questi giorni è in italia e sicuramente leggerà il tuo commento.

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  3. margherita ealla23/12/09 16:27

    ho letto attentamente l'ottima presentazione, così, oltre a non andare a spacciare per chissà quali osservazioni, quelle che sono ridondanze o tautologie :),
    posso seguire questo sguardo come disteso in quell'urna d'acqua
    (e lo avverto in particolare in "campocroce", nei versi "Appoggiata al muro/osservo i rami" -qui orientato in piedi, cioè che nei "fiumi" è disteso)
    insomma posso seguire questo sguardo e farmi prendere dalle sue iridescenze sensoriali,
    seguendo le "tracce" che esso stesso distingue,
    in particolare le "consonanze" di immagine fra le ali dorate delle api, fra i grani d'oro (, fra le luci di straforo della chiesa o della basilica, ancora fra le "fondamenta d'oro" o il colore del "miele di castagno" e infine con quella "luce tra le foglie".

    immagini di "grano" (seminato o colto, in un ciclo di passaggio fra generazioni)
    come chicchi di un rosario mnemonico
    di un rosario ricco,
    (pollicino che ritorna a casa seguendo sassolini d'oro)

    così che questa poesia mi arriva non tanto come poesia di immagini, quanto come una poesia di ascolto
    (le campane, l'annuncio, il ronzio, l'insegnamento....).

    (questo, ecco perché ora taccio :))

    ciao.

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  4. non tacere, se hai da dire cose così.

    Poesia d'ascolto del mondo e del riverbero che esso produce nel cuore. mondo contadino, lei che vive a caracas, metropoli dove si spara ogni giorno fra clan e il rumore è assordante.

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  5. CaroStefano, ho letto il commento di Elio, anche quello di Margherita, queste poesie che sono state scritte con la "vera voce" degli antenati che vogliono essere ricordati...grazie per questa pag.
    erika

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  6. é incredibile ma ancora non capisco molte cose del linguaggio internet,piú dificile che il linguaggio della poesia...caro Stefano come ti lo ho detto, sto facendo altre traduzioni di poeti del 900 ma mi mancano alcune poesie in italiano, alcuni libri che non si trovano in giro...anch'io ho il mio fiume, si chiama El Encanto, é nel piccolo paese di mia nonna venezolana, mia nonna e' nera e sempre andiamo al fiume...

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  7. Quando sento la voce dei miei antenati mi sveglio...a volte ascolto questa voce che mi viene da una persona magicamente conosciuta e mi dice quella che é la vera realtá...e la vera realtá non si fa sentire sempre...solo nei miei sentieri di Campocroce...grazie a voi!

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  8. Stefano De Minico15/12/11 21:26

    Non sono un grande conoscitore della poesia. Posso dire di essere affezionato ad essa per il fatto di avere scritto un libro di poesie intitolato "L'ultima zattera". Questo blog per me è sconosciuto e vorrei partecipare con dei contributi personali consivisibili o no. Grazie per l'attenzione,
    Stefano

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  9. ho sentito le poese di Erika Reginato, e come si ho rivissuto tutto quello che non avevo mai vissuto...un viaggio nel tempo fermo!
    Riccardo

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  10. Tengo la suerte de tener este libro en español y es una belleza. Te felicito poeta. Un abrazo y que sigas cosechando versos :)

    Gabriela Rosas

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  11. ho trovato una chiavetta contenente documenti di Erika Reginato Munoz a Thiene in via Kennedy. rispondere al post per ulteriore contatto

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    1. domani vedo di postare qui la mail di Erika, così può contattarla direttamente. Appena l'ha copiata, me lo dica, che la cancello. grazie!

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    2. oppure, se lei è su facebook, la contatti lì.

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