martedì 16 febbraio 2010

Bonacini legge Francesca Monnetti



IL SUONO DEL SENSO

Non succede spesso di leggere, in un testo di poesia non volutamente metalinguistico (lì dove si dichiara esplicitamente la poetica o, più in astratto, la teoria dell’autore), una così chiara e netta affermazione di come la poesia - anche senza nominarla - si formi. Francesca Monnetti, infatti, nella comunanza poetica tra ciò che si sente tra la veglia e il sonno, scrive in In-solite movenze (Cierre Grafica, Verona 2009) che ciò accade “a labbra semichiuse / con o senza moti evidenti / di denti, lingua, saliva... / ...timidi appigli / ...sorpresi / tra rari bisbigli... / vocaboli alla deriva”.
Ma anche a livello superficiale è chiaro, fin dal titolo della raccolta, come l’esperienza linguistica (che è anche esperienza di un sentimento indubbiamente vitale) di queste poesie attivi una mobilità significante poli-direzionale. La scrittura spezza la significazione riannodando i vari sensi con accorgimenti semantici, non solo grammaticali, veramente essenziali e carichi di esperienza emozionale.
Il suoni di Francesca Monnetti sono musica scritta, “esili asole su riporti sdruciti /-orli minimali, rammendi marginali / risvolti con-divisi”. In pochi versi si dice tutto il lavoro e la fatica che la lingua deve affrontare (in termini di sottrazioni, riduzioni, soffi sempre più alitati) per produrre una parola che riesca a significare la varietà e la complessità del dire, traducendo il tutto in una propria particolare voce. Questa poesia, nella poetica che la sottende, è un vero e proprio laboratorio di oralità; un canto scritto che riceve ulteriori e più fondanti significati nella presenza attualizzata di una parola-suono. Ogni testo è sostenuto da rime, allitterazioni, consonanze, dissonanze, parole anagrammate, ritmi scanditi in una danza fonica che arriva in superficie da una profondità consapevole dei propri mezzi e dei propri corrugamenti interiori. Ma l’oralità del verso che si fa scrittura e che “s’imbroglia, sbroglia / tremulo s’appiglia / a lordo ciarpame / frammisto a sterpaglia” è però anche l’evidenza del gesto visivo di un segno (a volte divertissement per la vista e l’orecchio) sempre legato alla maturazione di un senso, e dunque indirizzato a un pensiero che indaga e raccoglie. E Francesca Monnetti è abilissima nel plasmare la parola/materia della poesia, per dar forma a una sostanza che dà la possibilità di scavare tra le pieghe della vita, trasfigurando l’esistenza materiale nella parola che imprime senso. Ecco, allora, che una multi-direzionalità di lettura si apre, anche con l’uso di felici espedienti: ad esempio nello spezzettamento di una parola di significato compiuto come “con-versi-amo”, possiamo interpretare i trattini sia come divisione sia come unione, in modo tale che una sola parola riesce a dar corpo a un mondo e a un modo di sentimenti. Altre volte, invece, è il contrasto visivo tra il significato di un verso e la sua forma scritta a creare una forte e ricca ambiguità: “ancora di sé espropriata / ... m i r i a p p r o p r i o”: dove si vede quanto e quale è il valore di disorientamento di questa voce poetica. Si indica un riprendere a sé (riappropriarsi) nell’atto di aprirsi (lo stacco fra le lettere) per dare o lasciare, perdendosi fino a un “di - segnato vuoto” che rimette in movimento il dicibile.
Chiude il libro una riflessione critica di Silvia Ferrari in cui si evidenzia, “tra virtuosismi verbali che invitano al canto”, la spinta al limite dei sensi che mantiene la profondità significante e in cui “la veste muta di parola in parola”.


(Giorgio Bonacini)



con-versi - amo


ligi
agili
neofunambuli
abilmente
celermente
alle prese
con invisibili/paravisibili
reticoli digitali
in possibili traiettorie
ascendenti/discendenti
orizzontali...
...diagonali...
veterani
inveterati acrobati
lucidamente
arcanamente
versati - consumati
su lacere cerniere viventi
in multiconnessioni cablate
strozzate
soffocate
spente
o...rinnovate
ravvivate
rafforzate...
...frementi...
...patenti...
con-versi-amo
riversandoci
su con-tratti
attraversamenti
apparentati
ritentiamo
attratti avanti
in disequilibrio
evitando
iperdeformanti
destrutturanti
contorsioni
deliranti
collassanti
avvitamenti...
...a tratti
...a momenti.




salvate apparenze


torno bimba
emulo il genio
capovolgo la pratica d’ufficio
da presentare
a ore

cedo a una scrittura
in direzione contraria
certo non retro fronte
fronte retro, come di consueto

da destra a sinistra la vedo andare
questo sì me lo concedo
non propriamente speculare la grafia
si deve in qualche modo accomodare
è da camuffare

sottosopra correttamente procedo
...iniziare dal basso, quindi
in alto, a gradi, mano
mano eseguo
verso davvero originale

tutto comunque deve risultare
perfettamente regolare
ripeto e mi ripeto

è un attacco di febbre a dettare
e ciò mi dà sollievo.





da voce prorotta
controcanto



... madre artefice
di una me altra
non matrigna clonante
di un’altra me
incerta replicante
erratica... teatrante disamante

come da brivido inaudito
per ancestrale brutale
rito tribale di iniziatica
recisione del clitoride
da eccesso di grido represso
per atto pseudo-virile
di violazione feroce
perpetrato su inerte
violata, svuotata
seminferma di volontà
di ebbrezza vitale
ad ogni nuova vita
mi affaccio subita
rinasco decurtata in fieri
per paralisi di piaceri
non godibili
solo udibili
al più... intuibili

ed ogni volta. sfigurata
deprivata neo- madre
dalla fragile vulva dilacerata
ancora di sé espropriata
... m i  r i a p p r o p r i o

nell’insano senno
di un orrido dopo
per i postumi
di un ex voto
di - segnato
vuoto.





E... per il resto... che intendi fare?



Già mi prefiguro!
Occupato tutto il tempo
a svuotarmi delle cianfrusaglie
raccattate a casaccio
- peggio di una calamita ipertrofica
sempre meno incline all’attenzione
attrazione selettiva - a disfarmene
un po’ alla rinfusa
versandole e riversandole
su cumuli di fogli sfatti
sopra ripiani dismessi, poco adatti
magari divagando
diversificando
o farfugliando
non importa tanto come
ancora meno fino a quando

Solo questo
in fondo
conto di aver davvero fatto
- in tanto computando
fra tanto farneticando -
questo soltanto...
... rabbuiando.




non più bellezza


incontro solo passi di nebbia
sulla soglia stretta
fossi di asprezza
sulla via corrotta
corretta
tetra e secca
non la benché minima parvenza di salvezza

qua e là
inciampo
sputo
spargo
mangio fango
detriti di muta mollezza
ciottoli di storpia stoltezza
insipida - insapida saggezza

strappo
rattoppo
piango
ciuffi goffi e gonfi
di premoriente pienezza
cascate di irrequieta pochezza
in-gorghi di congrua tristezza

ovunque
vado elemosinando
centellinando
centesimi di autentico calore e purezza

non più colore
o stupito ardore
non pura ebbrezza
... niente
più
bellezza.




grappoli di nuvolette serali



contorta
distorta
solo la testa spunta
... a tratti

tutto il resto
immerso
in una coltre
rosso cupo denso
sangue deperito
pure, pare, circolante
in realtà gocciolante
quasi grondante
in un pigro giaciglio
bruno grigio rame
torvo fogliame
imputridito da anni
di autunno disperante

... a tratti
attinge un po’ di rosa
ora tenue-rilassante
ora acceso-abbagliante
dalla sua salubre calda
carne attraente
di giovane amante
mai esitante
teneramente avvolgente
confortante
discretamente presente...
... amante

un po’ di azzurro
limpido-brillante
dal cielo terso - multiverso
della sua compatta
anima paziente
raziocinante
teneramente avvolgente
confortante
discretamente presente...
...amante

e dalla copertina rossa
color sangue di piccione
del tuo romanzo di John Fante


per subitaneo incedere di ali
grappoli di nuvolette serali
spruzzano di incanti vitali
questo rettangolo di cielo
... violaceo
post fisico
ultracartaceo
metafisico

non più solo
rigidamente scostante
gelidamente astante
ma come te, ora
teneramente avvolgente
confortante
discretamente presente
... tremante
... sognato amante.





con e(s)senza
in dormiveglia



senza lenti da miope
sfumo i contorni
i dettagli... dimentico

senza argomenti, né accorgimenti
estraneo ad eloqui silenti
... bulimici travisamenti

a labbra semichiuse
con o senza moti evidenti
di denti, lingua, saliva...
... timidi appigli
... sorpresi
tra rari bisbigli...
... vocaboli alla deriva

coi tamponi alle orecchie
come soli espedienti
sordo ai clamori, ai lamenti
ai gorghi frequenti
di ondivaghi, reflui silenzi

... all’ascolto
... pacato
... d’un fiato
non sviato da echi
di verdetti apparenti

leggere atrofie
protratte letargie
sensi intermittenti

...confusi languori di sogni incipienti

e tremori

brevi
nudi
in-coscienti

brividi d’accenti.



Francesca Monnetti è nata a Firenze il 4 ottobre 1967. Vive nella provincia del capoluogo toscano
e lavora come insegnante di scuola primaria.
La raccolta In-solite movenze è giunta finalista all’edizione 2008 del Premio di Poesia Lorenzo Montano ed è la prima pubblicazione in volume dell’autrice.
Una sua poesia è inclusa nell’antologia Poeti Italiani nel mondo, Book Editore, Bologna, 2006.
Nel 2004 è giunta in finale al Premio Firenze - sezione poesia inedita.
Con un’altra composizione inedita ha ottenuto una segnalazione di merito al Premio Internazionale
di Poesia “S.Domenichino” - città di Massa 2006.

6 commenti:

  1. Sono l'autrice dei versi. Scrivo per ringraziare pubblicamente Giorgio Bonacini per aver preso in considerazione la mia scrittura cogliendone appieno lo spirito. E ringrazio di cuore Stefano Guglielmin per l'opportunità concessami.

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  2. Cara Francesca, mi spiace che non ci siano stati commenti, ma la rete è imprevedibile.

    un caro saluto

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  3. margherita ealla20/2/10 15:24

    mi sono chiesta perché tanti participi presente (dunque suoni in ante,ente...), soprattutto nelle ultime due del post,
    forse per rappresentare quel sempre rinascere /essere "decurtato in fieri" del presente e nello stesso tempo il suo essere ansimante nel ritmo, nella sua scansione.
    Anche il verso breve restituisce la percezione di una frammentazione. oltretutto accentuata dal ritmo, né bastano qua e lè le pinze del verbo a contenere il flusso nominale.

    In un certo qual modo (scusa la contorsione :)
    nella poesia "salvate apparenze" (che è la mia preferita, secondo me molto riuscita)
    leggo proprio una dichiarazione di poetica in tale senso (e proprio del movimento dei versi):

    "sottosopra correttamente procedo
    ...iniziare dal basso, quindi
    in alto, a gradi, mano
    mano eseguo
    verso davvero originale

    tutto comunque deve risultare
    perfettamente regolare
    ripeto e mi ripeto

    è un attacco di febbre a dettare
    e ciò mi dà sollievo.
    "

    Ultimo, riguardo la poesia "non più bellezza", ecco lì mi spicca l'uso di nomi a rappresentare concetti, parole in astrazione (tutte quelle in "ezza")
    ecco sì a rappresentare bellezza che proprio ahime (ci) sfugge: "minima parvenza di salvezza"
    dunque.

    ciao!

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  4. Cara Margherita,
    riflettendo su quanto hai scritto credo che tu abbia colto nel segno riguardo all'uso del participio presente in alcune poesie della raccolta : ad esempio in "con-versi-amo" questo esprime in parte la condizione di equilibrio precario di noi funambuli sulla corda dell'onnivoro presente, mai vissuto come stasi, quiete, pace o riposo, ma come perpetua tensione, anelito, transito, inciampo e ripartenza; da qui la "sincope" e la "nevrosi" insita nella brevità dei versi. Quanto a "non più bellezza", le parole in "ezza" farebbero rima tanto con "amarezza" quanto con "freddezza"; l'astrazione (che fa rima con "alienazione") nasce da un sentimento di disconnessione con il presente, di cui sopra.

    grazie per la tua attenzione.
    ciao.

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  5. "Salvate apparenze". Vi si trova a mio avviso la complessa, irrisolvibile, dinamica - da cui scaturisce la scrittura poetica, ma anche il riuscire a stare al mondo - tra il controllo formale e la perdita di se stessi. Dunque, come dice giustamente Giorgio Bonacini, una chiara e netta affermazione di come la poesia si formi, ma anche esperienza di un sentimento indubbiamente vitale e trasfigurazione dell'esistenza materiale ("capovolgo la pratica d'ufficio/ da presentare/ a ore", "cedo a una scrittura/ in direzione contraria", "sottosopra correttamente procedo/...iniziare dal basso, quindi/ in alto, a gradi, mano/a mano eseguo", "è un attacco di febbre a dettare/ e ciò mi dà sollievo").

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  6. Scusandomi per il ritardo (ma, per citare una canzone di I.Fossati, "ho avuto il mio bel da fare a non morire") rispondo ad "Anonimo", lettore sensibile e accorto - data la correzione del refuso che appare nel suo commento "...mano/a mano eseguo"- e, quindi, presumo anche conoscitore di altre poesie della raccolta.
    L'evidenziare la presenza di un'affermazione della genesi della poesia, che nei testi qui scelti, come in altri, riconosco esserci - non vorrei relegasse in secondo piano l'urgenza primaria che invece avverto quando scrivo di ricercare una "comprensione prossimale o altra" di esperienze che ritengo essere comuni a chi quotidianamente si sforza di restare un po' se stesso tra le mille evenienze e pressioni che vengono dal mondo. Anche l'uso di "virtuosismi verbali", presenti in alcuni testi, lungi dal voler essere un mero esercizio di stile (che detesto e di cui non sarei proprio capace) rientrano in questo mio modesto viaggio nel dipanarsi di un possibile senso e, anche tra le contraddizioni, ne intendono trattenenere la traccia.

    grazie di cuore a te, caro anonimo lettore che hai contribuito a illuminare le mie parole.

    Colgo l'occasione per ringraziare e salutare anche Silvia Ferrari, acuta e benevola autrice del commento critico alla mia opera prima.

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