sabato 1 ottobre 2011

Fabia Ghenzovich


Sulla scia degli ottimi titoli licenziati negli ultimi tempi da Kolibris, di Chiara de Luca, voglio segnalare Il cielo aperto del corpo di Fabia Ghenzovich. Del suo libro precedente, opera prima, rilevavo vocazione e qualche ingenuità, del tutto superata ora, attraverso l'attenzione forte per il dettato versale, che non cede alla facile retorica, ma, restando stretto al tema, si fa corpo aperto all'interpretazione del mistero della carne, al tempo stesso «accesa» e «tenera polpa». Ghenzovich parla anzitutto di corpi quali creature del mondo, vive «come / tutto quello che muove amore / e non muore», pur avendo un destino caduco. Perché la vita non si esaurisce nel semplice presenza, ma semina, feconda, lascia di sé tocco e memoria, si tramanda nelle bocche, nelle gambe e nelle idee degli altri. Perché la vita è anche pensiero, forma rarefatta del corpo. Eppure, la poetessa veneziana non può sottrarsi alla propria natura. E dunque l'immagine è spesso femmina – «albume», «uovo», «muda sorgiva», «pancia», «faglia che si apre preme / ora nasce partorisce / è nuova terra» – ma senza esibizioni narcisistiche, di superficie, scegliendo invece, del grembo, il suo essere lido misterioso delle metamorfosi da cui nasce la poesia «musica del corpo», che «per l'urlo si impenna» verso il cielo aperto.






.............................nascere è cadere nel corpo
.............................Marina Cvetaeva



Confine è del corpo la pelle
estesa di me densa carne accesa
da costellazioni di vita e pancia
esposta alla distanza
ma dentro radice
tenera polpa magma sostanza
epitelio – a strati – pellicola scorza
e il mondo l’attraversa.



*


Ecco ora parla il corpo
parla con voce di carne e foglia
voce di riva e casa
dove s’accampa l’intero
del corpo più scuote l’involucro
il vuoto a perdere che sono – il pieno
che scava mondo
carne e foglia riva e casa.




*


Movendo l’aria
dal fondale del corpo
dalle mani emerse poi
una luna femminile
una luna liquida.




*


Se moltiplichi cieli
e non ti neghi ma apri
parlando di quel poco
come questo gesto o il passo
l’erba sotto e il passero
che becchetta un respiro
più ampio d’ogni chiglia aguzza
del pensiero – più vivo adesso come
tutto quello che muove amore
e non muore.




*


Nel corpo
nel ventre
nell’albume del mio uovo
nuovo nato da me
muda sorgiva.




*


Se fosse necessità soltanto
un corpo inerte in uno schema d’ossa
se fosse possibilità invece perché peso
apparente concausa d’un niente
non dato non scontato non
assente nato finalmente
per resa la più quieta: vita
l’esatto denso e fluido del mio corpo.




*


Sosta con la bellezza
sussurra l’angelo seduto sul muro
tra i fiori di gelsomino
e mi tocca con leggera scossa
così cede la mente e il corpo
arreso anche lui inaspettatamente
si apre alla presenza.




*


Che ci vuole a capirlo
prima d’ogni divisione
senza porre alcuna condizione
prima ancora del bene e del male
io e l’altro mi è uguale.




*


Dopotutto sembra quasi uno scherzo
di natura che gioca col senso comune
di ogni cosa che appare però diverso
in una luce nuova come non pensavi
alla casa ai figli e agli amici di ogni giorno
la pietra con l’acqua ti attraversa
e ti sorprende questo squarcio di cielo
tutto è come era ma più vicino
l’intero mondo si certo più vicino.




*


Tracimando dal fondale
come cosa fatta nostra
scolpita nella pietra dove fa eco
il canto e io metafora soltanto
io humus anche e flusso
d’essere stupefatta nello schianto
faglia che s’apre preme
ora nasce partorisce
è nuova terra.




*


Quale confine
se ormai è già esaurito il gioco
coccio vuoto verso cosa
mi palesa il vizio il dire
dei nomi attori in ribalta
meglio rischiare almeno
semplicemente rischiare
d’esserci in questo cielo aperto

del corpo




*


Parole nel mio giardino
abitano radici scavano il sasso
lanciato per cerchi sull’acqua.
Come pollone dal tronco / dal taglio
se poesia nasce dal sangue
nasce per il canto
per la musica del corpo
resiste
o per l’urlo s’impenna
più in alto.




*


Cosa tocca la mano che tiene la penna
e la lascia cadere?
Cosa tocca nel vuoto
prolungarsi l’orecchio dal fondo
verso quali vertigini di suono?




*


Cercava la parola
la parola cercava la cosa
un corpo a corpo senza
mai potersi toccare per intero
sul palco aperto del vero.
Un continuo dileguarsi
e di nuovo a pelo d’acqua affiorare
dal fondale un nome
la sua impronta – una voce
ponte tra me e te e confine
– lasciala passare falla entrare – dentro.



*


Nuovo nella luce un sentire
d’infanzia sepolta nel corpo
una nascita possibile

un mare dentro.




*


Pace è un foglio bianco
è la sostanza di una pausa
un breve principio d’incarnazione
della parola
il fuoco liquido pacato e denso
nel corpo
la forma nata da me
lo spazio aperto
l’Io inverso



Fabia Ghenzovich è nata a Venezia dove vive, dividendosi tra il lavoro e la passione per la poesia. Ha partecipato a numerose antologie nazionali: ed. Lietocolle, Montedit, Anterem antologia del premio Lorenzo Montano,ed Il Filo: Territori. Ha partecipato alla prima biennale di poesia Officina della percezione Anterem ed. nel 2004 e nell’0ttobre del 2005 al Festival Veronapoesia, sempre per Anterem.

È interessata alla poesia e alle sue possibili contaminazioni e interazioni tra i linguaggi dell’arte e in particolare con quello musicale, come nel caso di Metropoli, performance che vede la poesia musicata in rap, presentato nel 2004 al Legrenzi live a Mestre (Ve), a Milano per la giornata mondiale della poesia, 21 marzo 2005, musicato dal compositore Berardo Mariani all’interno del progetto Poiein di Milanocosa e a Venezia eseguito con Matteo Casini, (chitarrista e cantante del gruppo rock/blues Rumori di fondo) giugno 2005 galleria Artlife, per Fragments evento poetico continuato.

16 commenti:

  1. Il mio motto preferito è il detto egizio "uno è l'uovo, uno il mondo, uno l'uomo" che tu Fabia racchiudi nell'Io-universo, tu allo stesso tempo uovo e terra-madre "tenera polpa magma sostanza/epitelio – a strati – pellicola scorza" che parla " con voce di carne e foglia/voce di riva e casa". La tua poesia quindi diventa canto del tuo schiuderti nell'Infinito sentire di essere una goccia di divinità in una visione cosmico-panteista. Allora io, panteista, mi inchino a te e alla tua poesia!
    Giancarlo Serafino

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  2. Fabia Ghenzovich1/10/11 23:07

    tra noi un amore non a prima vista(non ci siamo mai visti) ,ma un amore panteista....:-)
    Fabia

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  3. "L'Io inverso".
    Er resplan la flors enversa.
    Belle poesie.
    Ianus Pravo

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  4. Sì,
    poesie molto belle -
    un'intimità di grande respiro -


    grazie a Blanc
    e a Fabia Ghenzovich!

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  5. Sono poesie di grande compattezza e sobrietà formale; sembrano coniugare (il riferimento al panteismo mi sembra azzeccato!) uno "scavo" nei principi (femminili, della creazione) a una sorta di autoritratto astorico, tra biologia e mito; purtroppo, essendo piuttosto lontano dalla mia sensibilità (che forse cerca tracce della contingenza o agganci anche al vissuto storico e personale) fatico a entrarvi e a parteciparle come senz'altro meriterebbero.

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  6. grazie comunque Davide.
    La contingenza qui è legata al corpo,inteso come esperienza presente del vivente in noi che non è strettamente femminile,anche se ci sono certamente e ovviamente riferimenti femminili
    Fabia

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  7. sono tornata più volte su queste poesie, le sto leggendo e rileggendo... sono molto belle.
    complimenti a Fabia Ghenzovich e grazie a Stefano.

    un caro saluto
    Stefania

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  8. Il viaggio di Fabia è un viaggio esperienziale alla ricerca di una consapevolezza che passa attraverso la conoscenza del corpo. 31 stazioni segnano le tappe di un processo che attraverso un sottile gioco di corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo ci ri-vela quanto spirituale sia la materia e quanto materiale sia lo spirito. Brava Fabia!! !Bellissima la recensione di Stefano Guglielmin.

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  9. "il vizio il dire".. stupendo anche come titolo. Le poesie qui trascritte sono stupende, Fabia! E sicuramente voglio comprare questo libro!! Tienimene una copia!! Tanti complimenti
    Silvia Favaretto

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  10. grazie a tutti e grazie a Stefano Guglielmin che in questo spazio mi ha ospitata

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  11. grazie a te e agli ospiti, garbati e attenti.

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  12. Conosco ed amo le poesie di Fabia e sono felice che siano qui, grazie dunque a Stefano. tenevo solo a sottolineare che, al di là della squisita compostezza formale, dell'evidente equilibrio strutturale, queste liriche non mi sembrano affatto "pacificatrici". Trovo, proprio nella riconduzione al corpo della nostra più profonda essenza umana, l'epressione di una "tragicità" - nei modo del dettato specifico di Fabia - del dolore del cammino umano, di cui il corpo è testimone evidente e indubitabile. I graffi, le ferite, la "battaglia" quotidiana si addensano tutte nella raccolta, magari come "prima" o " dopo". Ma versi come "Ogni perdita è un buco nella carne/col bisogno di catturare/per colmare ciò che è perduto" sono di una "semplicità" e verità disarmante. L'essenzialità e l'asciuttezza di queste liriche sono il punto di arrivo - sempre aperto - di un percorso umano che sottende travagli e lacerazioni che sprofondano nel corpo e lo segnano per sempre. Personalissima e intensa, quindi, la voce di fabia che va a scavare nel profondo, dalle cellule alle rughe. E non c'è quiete. "Pace è un foglio bianco", scrive. Verissimo. Ma su quel foglio bisogna scrivere (anche poesia) e non rimane bianco. Bellissime, fabia e complimenti! francesco sassetto

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  13. sì infatti, sono d'accordo: Ghenzovich "si fa corpo aperto all'interpretazione del mistero della carne, al tempo stesso «accesa» e «tenera polpa»".

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  14. E dopo una recensione così non rimane altro da fare che acquistare il libro...

    giulia

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  15. Ho già avuto modo di ringraziare Francesco col quale ho avuto scambi in più occasioni,ma desidero se pur tardivamente, riconsiderare le sue intuizioni che condivido perchè il corpo è sì possibilità aperta a nuove conoscenze che rimandano a quel mistero della carne di cui parla Stefano e alla nostra più intima essenza, ma è anche luogo del travaglio umano i cui segni visibili e invisibili sono inscritti nella carne e nella memoria della carne. C’è quindi l’aspetto tragico riconoscibile,ma senza il compiacimento della caduta in esso ,se mai con la caparbia capacità di rimettere in gioco le carte e le carte sono in questo caso le parole che dicendo scavano nel vissuto per trovare altri segni, altre verità ,altra lingua che ci parla se la sappiamo ascoltare.

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