giovedì 24 gennaio 2008

Vincenzo Anania

Se nel precedente libro (Noi, Zone editrice, Roma 2003) emergeva una presenza segnata dalla lacerazione e dalla nostalgia, pur essendo lieta del proprio "tempo scandito da campane / fra le risse dei passeri per le briciole del ... pane” (Verde) e pur amando “quel che vola / come amo il mio corpo che non vola / tutti gli altri nelle acque e in terra. / E anche questa luna che illumina il muro” (Cena in terrazza), Biblioteca (Zone 2007), che raccoglie il meglio scritto tra il 1990 e il 2006, tende a sfumare "in leggerezza / l'agonia" (Eutanasia) o a cantare, con una disincantata punta ironica, la ricerca di Dio in ogni cosa, come in quel "cefalo, / occhio spalancato e fermo / come nel triangolo divino", che sembra, agli occhi ingenui della nipote, un "Dio annegato" (La pesca). Non mancano, tuttavia, specie verso la fine della raccolta, momenti di ripiegamento interiore e la ricerca della fede, invocata come dall'orlo di un abisso.
Ripercorrendo quindici anni di scrittura, alla quale Vincenzo Anania è giunto non più giovanissimo, rimane forte l'impressione che il tempo maggiormente cantato sia quello custodito dalla morte, alla quale egli si prepara attraverso la poesia. Giustamente Tiziano Salari, nella nota al precedente libro, la riconosceva quale “centro di sicurezza e di abbandono esistenziale” che gli permette di “smarrirsi all’infinito… nel paradiso primordiale dei rumori della risacca, dei sospiri amorosi”. Sotto il profilo filologico, Biblioteca riorganizza (e talora riscrive) i testi delle raccolte precedenti, senza tuttavia dare corpo ad una biografia ideale, sul modello del Canzoniere petrarchesco, preferendo disporre il materiale per temi (la famiglia, l'amore, il mondo, la morte, dando sempre rilievo all'infanzia, che, sembra dirci l'autore, muove l'anima alla bellezza).
Le poesie che preferisco sono quelle che cantano gli affetti familiari perché meglio si sente in loro la freschezza d'ispirazione.


*

Questo innanzitutto: cos'è
importante? l'altezza della fronte?
l'invenzione del fuoco, del vapore,
la mano sul mio cuore quando mento?
O il viaggio dal letto alla cucina
le tue piccole crudeltà primarie
o il dito che imperioso fora l'aria,
la trancia, la ficca nelle gole?

Questo è da chiarire, figlia,
prima che t'insegni la Storia.



*

Le rasature scandiscono il mio tempo:
idi, equinozi, calende,
ceneri e fasti, il santo quotidiano -
tutti ugualmente celebra, identico
il rituale, la cerimonia della barba.
E mentre scorrono strumento e mano
schegge di storia rievoco sul mento:
la selce, la freccia d'ossidiana, aratro
ed erpice, chiodi sacrileghi nelle carni
di Dio, la spada infallibile dell'ingiustizia,
e lama dopo lama le catene di montaggio,
ovunque la falce dell'assidua Mietitrice.
Il mio viso è il mondo: disboscato appassisce.



*

Questo l'assoluto che venero:
l'ordine rigoroso del precario,
la sua normalità e incanto.



Biblioteca

Posando il libro ho pensato
a quanto in te c'è da leggere.
Quel trillo, per esempio, con la punta
in su, che s'impenna nel tuo riso:
da che grillo o volatile ancestrale?
E la perla di sudore, stamattina
sul crinale fra le alte sopracciglia,
di certo ha un nesso con quelle sui fondali,
con la goccia restia sull'orlo di una nube.
E quante ere, che emersioni, magmi
fino alle conche trasparenti e oscure
dei tuoi occhi latini e preveggenti?

Anche le radici potrei leggere:
di madre in figlia da defunta a sposa
su dal ventre oceanico di Lucy,
su per le strade di ossidiana e rame
dell'ambra e del petrolio, in grotte,
castelli, grattacieli: un cerchio
dopo l'altro dell'albero immane
fino al bel ramo che sei.

Hai il dono raro di parlare
per metafore, ossìmoro incarnato

conciliatrice di opposti,
tu che pretendi passioni caste
e dici amore per morte per infinito vita
e dissertando del Vuoto che invade l'universo
dell'incolmabile solitudine fra i mondi,
ti avvolgi a un dito il filo che ci lega.



*

Scavano, potano
le tue carezze.
"Fa bene" dici.
Ma il giardinaggio
è scienza cortese,
esageri:
la pianta si ritira
alle radici.


*

A giudicare dalla mia tendenza
a incassare la testa fra le spalle
e dall'esitazione con cui affronto
le strisce pedonali, sono anziano.
Sui banchetti dell'antiquariato
ormai da tempo è facile trovare
il compasso delle mie elementari
le illustrate che spedivo dal mare.

Ora ho il computer il fax il cellulare
in memoria dei miei viaggi arditi
navigo instancabile di sito in sito.
Però a quel mare vorrei tornare
ai suoi orizzonti chiari e illimitati,
ma non c'è vela che non porti all'Ade
e sono anziano e intravedo il Niente –
datemi un salvagente, una fede.



*

Da qualche tempo ho un sogno
ricorrente: infitto nella sabbia
urlo di rabbia e di paura.
Tutt'intorno è un giardino grande
con frutti lucidi, ogni specie di fiore.
E senza ombra il timido bastardo
che ragazzo mordendomi le mani
vidi impiccare finirlo con i sassi
passa al guinzaglio di mia madre morta
così allegra con i suoi pennelli.

..............................Al risveglio
ho nostalgia di Dio. E sono inquieto,
un poco ovunque vo fiutando il sacro:
nei tarocchi, nei semi,
negli astri,
nei resti del mio pasto.


Vincenzo Ananìa, di padre siciliano e madre pugliese, vive e lavora a Roma, dove ha svolto la professione di magistrato. Appassionato cultore dell’arte poetica, ha organizzato diverse rassegne nazionali di poeti presso case editrici e riviste di poesia. È direttore ed editore del quadrimestrale di poesia internazionale "Pagine". In collaborazione con un gruppo di reclusi nelle carceri di Rebibbia, ha anche promosso tre concorsi di poesia scritta da detenuti (la terza con estensione a tutte le carceri d’Europa) e ha curato la pubblicazione – con il patrocinio della Provincia di Roma – di tre volumi contenenti le poesie premiate. Suoi testi poetici sono comparsi su antologie e riviste come Arsenale, Nuovi Argomenti, L’ozio, L’immaginazione, Galleria, Gradiva, Tempo Presente. Ha pubblicato: Nell’arco (Crocetti Editore, 1992 “Premio Alfonso Gatto”); Le ali di Darwin (Loggia de’ Lanzi, 1999 che raccoglie componimenti del quinquennio 1993-1998); Noi (Zone, 2003 con postfazione di T. Salari); Biblioteca (Zone 2007)

8 commenti:

  1. Incantano queste poesie.
    Coniugano freschezza e saggezza, condite di ironia e indulgenza, cosa rara.
    Poesie narrative che lasciano intravedere scenari che danno profondità al pensiero.

    Donatella

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  2. quando si hanno i numeri, ha i suoi vantaggi scrivere poesie ad una certa età. :-)

    gugl

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  3. Mi piace in questi testi vedere emergere in modo lieve la forza e la profondità di una riflessione attenta, saggia e acuta.

    Silvia

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  4. Conosco la rivista, ne sono stata abbonata per un certo periodo di tempo.
    Il tuo blog è molto interessante, soprattutto per la presenza di nuovi autori dei quali non conoscevo l'esistenza.
    Verrò spesso a...curiosare!

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  5. grazie per essere qui ai nuovi ospiti.

    "Pagine" è un'ottima rivista, sia per la qualità degli interventi critici e sia perché apre al panorama poetico internazionale, cosa necessaria per scrivere poesia oggi.

    gugl

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  6. Saluto qui volentieri Vincenzo Anania, che armato di eccezionale pazienza e di un profondo amore per la poesia, mi ha fraternamente consigliato e incoraggiato nelle letture e nella scrittura. Utile - e ogni volta attesissima - la sua rivista'Pagine'. Ma non dimenticherò di sottolineare l'autenticità e l'armonia delle sue poesie, che denunciano fedelmente il loro scrittore.
    Saluti e complimenti
    Antonio Fiori

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  7. La poesia di Vincenzo mi è piaciuta fin dal suo primo libro. Apprezzo il rigore speciale delle sue composizioni, e quello che più mi affascina è l'agonismo o antagonismo che ha nei confronti della morte. Questo allenamento a vincerla fa sì che egli non cada in trappole crepuscolari, ma addirittura privi lei della sua attività mortale. Come dire, non c'è paura più o meno velata o dolore, entrambi si stanno combattendo. Questo atteggiamento era già presente all'inizio del suo percorso poetico.

    Cristna Annino

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  8. Conobbi tuo figlio, in una Roma assolata: era luglio e lui era di una bellezza assoluta. Mi parlo' delle tue poesie, e degli errori: mi sembrava avesse capito troppo. Le tue poesie sono belle, come lui mi diceva.

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