foto di Carlo Acerboni
Intanto
il tempo (La Vita Felice, 2012) di Mia Lecomte si apre con
una bambina che scrive poesie, accesa emotivamente nel più candido e dolente
dei balconi, la scrittura, e dimentica del grigio paesaggio intorno: è un
“miracolo piccino picciò”, che diventa destino, ma anche compito, progetto, che
si prefigge di raccontare le ombre attraverso la luce delle cose, il
disequilibrio salutare, parlando della trasformazione delle pietre in nuvole e
delle nuvole in pietre. L’esergo del poeta portoghese Casimiro de Brito
annuncia la strada: Prendo in mano una pietra / e penso: una nuvola / un poco
meno effimera”. L’effimero, in questo libro, non è l’inessenziale, ma il
contrario: è la verità cangiante degli esseri, il loro stare insieme prima di
ogni comprensione, è la relazione io-mondo messa in piedi dalla fenomenologia
husserliana, la quale, in Partiturina,
diventa poesia, in cinque sequenze esemplari: “Le cose come ci circondano esitano / a volte così poco che possederle /
significa sottrarsi” dice la prima, aprendo uno spazio senza soggetti, dove “
le cose” e “noi” si coappartengono, espropriandosi reciprocamente e così
mostrando la vera natura dell’abitare autenticamente il mondo. Quando l’io prevale,
in verità prevarica. E Mia Lecomte ce lo dice in uno stile dove il sintagma
pesa come piombo, obbligandoci a una sosta di riflessione, per incontrarlo
nella sua verità a volte ontologica, a volte socio-affettiva o psicologica. La
sommatoria dei tasselli, che spesso e volutamente non torna, come il calcolo dei dadi di montaliana memoria,
ci restituisce la violenza maschile e la tenerezza della donna, ma anche
l’assenza di “azzurro” che pervade la terra e la sessualità, consumata in una
stanza buia – ci racconta una breve lirica – odora di morte.
“La vita è un aggregato
di materia organizzata” scrive Lecomte in Inventario;
la sua pesantezza ci tiene in piedi, per terra. Vivere, infatti, qui, non ha
grandi pretese, non vuole il volo, il salto mortale, bensì il passo quieto e
pieno di pietas verso le cose, che ci
guardano e ci accompagnano e, talvolta, ci consolano. La casa, in questo senso,
è decisiva perché dovrebbe delimitare lo spazio del viaggio, tenendoci al
sicuro, consentire alla vita di rimanere nuvola e pietra, senza ferirsi. E
invece, come in molta poesia femminile contemporanea, la casa diventa selva,
dove la ragione si perde e “comincia il dolore”: il tema è drammatico e Mia Lecomte
lo affronta con originalità stilistica, ora usando la paratassi e l’appunto da
taccuino (casa di bambola) ora adottando
la voce della favola (“queste poche ferite a stanare / la bestia tra le piante
il cappuccio strappato”, Cappuccetto
rosso), ora aprendo all’autobiografico, come in Musical chairs, dove l’uno (il padre) e l’altro (il marito / il
compagno) si “competono”, ossia gareggiano tra di loro, per avere l’esclusiva
su di lei, ma anche le “competano”, per
cui le spettano chiedono cure. E tuttavia, come ci dice il gioco a cui il
titolo fa riferimento, le sedie non sono mai abbastanza e qualcuno resterà in
piedi, game over. A diffondere la
musica, qui, sono i legami parentali, dai quali non si può prescindere perché
la solitudine è una condizione ancora più penosa, come ci ricorda Funamboli: “quaggiù quel / che è solo
viene meno / vive appena sopra il filo sospeso / ma atterrato barcolla”.
Intanto
il tempo contiene una prefazione di Gabriela Fantato e una Nota ai testi di Elio Grasso, due
autorevoli e attenti lettori che scommettono giustamente su questa opera,
scritta da un’autrice e traduttrice impegnata tra l’altro nella letteratura
della migrazione e nelle tematiche del confine. Anche questo libro si muove
lungo la linea che congiunge e disgiunge, nel contempo, maschile e femminile,
esseri umani e cose, razionalità e irrazionalità, con risultati senz’altro riusciti.
Diploma
La bambina che
scrive poesie
si accende tra
gli ultimi banchi
con tutto
l’inchiostro
la gomma
sbriciolata un elastico
scivolato dal
biondo la bambina
sai scrivo
poesie ci dice
e colora gli
occhiali sul naso
gonfia il nome
con le piume arrossate
libera le
grammatiche, un miracolo
piccino picciò,
libera il dolore
in bell’ordine
nell’astuccio di raso
poi si piega ad
allacciare il passaggio
quattro stringhe
da un intero destino
e così quando
rialza la testa
la bambina che
scriveva poesie
è già un’altra
si dimentica oramai
di affinare il
suo lapis sorride
e spegnendosi
non dice più oltre
non si accorge
Casa
di bambola
Sezione della
casa.
Frontale. Mezza
in ombra.
Il terzo piano è
soffitta.
Rotola una
palla, costante, e la polvere è viola.
Il secondo piano
si flette.
Tutti i passi
dei figli, a migliaia. Dei gatti.
Si flette.
Al primo piano
comincia il dolore.
Lei è tutta sul
letto, decomposta.
Lui la aspetta
nella vasca da bagno.
Al piano terra è
cominciato da giorni.
Lei ora è in
cucina. Ha già pianto e si affretta.
Lui l’ha seguita
con le sue lenti tabacco.
Fuori un
groviglio di spade. Il prato col box.
C’era il nome.
La sezione non
mostra le scale.
Si passa da
dietro, tra i piani.
I figli lo sanno
tutti in fila.
In salotto lei
ha perso l’età.
Lui la ragione.
Scricchiola un
osso qualunque, un molare.
La polvere si è
fatta celeste e riflette.
Non si aspettano strade
Darkroom
Significa che la
stanza è nera
e i corpi ci
stanno da morti
stretti fra loro
in genitale malinconia
buoni a
succedersi in un presepe impagliato
o una scacchiera
senza misericordia
significa che
l’odore nel buio
è quello
dell’origine privata del verbo
quello che la
carne sa dare
quando è così sola
Funamboli
Quando
ritorneranno bipedi
dovranno
ripensare alle formule
per convergere
su tracciati reciproci
appaiati
speculari a se stessi
valutarsi in due
ipotesi analoghe
due di tutto,
occhi e mani
con il resto,
se quaggiù quel
che è solo viene
meno
vive appena
sopra il filo sospeso
ma atterrato
barcolla
è già perso in
un nuovo equilibrio
si confessa
Musical
chairs
Sono attualmente
due
gli uomini che
mi competono
se l’uno è
passibile di morte l’altro
mi sputa
nell’angolo tra due pagine
ruga dopo ruga
dopo ruga
non ricorda
l’uno ma lo pettinavo
ero una voce in
ascolto traducevo
mi appartiene
l’altro come la pulce
al cane
sbagliato cerca affanno va
sputando sul
resto che basta di me
corpo a corpo
che l’uno ha
lasciato
sperduto indeciso per
l’altro che ha
bisogno di offendere
persino con lo sguardo gentile
La
sirenetta
La mia prima
sorella ha un giardino che
affiora rotondo
di spighe lavanda ranuncoli
si siede la sera
a osservarlo appassire
torna allo
scoglio il mattino e fiorisce
la seconda
sorella contorna il giardino
a triangolo con
siepi di petali amati e
non amati e
corolle che non cercano luce
o steli durevoli
a tentare radici
la sorella che è
terza in una scatola
ripone il
giardino di forma quadrata come
fosse una torta
da tagliare in porzioni
lungo le aiuole
tracciate con cura
nel mio giardino
c’è la statua di un principe
tra male erbe
liquami cartacce lui
me lo chiede con
lo sguardo distante non
sei che coda vuoi imparare a restare
Bella
Ti comunico
brevemente
che ho deciso di
lasciarti morire in
quel tuo
giardino lontano due parole
per dirti che
arriverò solo quando
non lo potrai
più sapere certa
che non mi avrai
odiato tanto da
volermi
aspettare per sempre
ti scrivo per
informarti
che vorrò
riprendermi il miele
e il ginger e il
muesli croccante
la vestaglia le
babouche
libri carte
computer i cd brasiliani
mentre tu andrai
spegnendoti
in quel tuo
giardino deserto
tra playback di
cicale e
una fila di
formiche a ritroso
ti vedrò amore
caro
solo quando non
sarai più
la valigia
appoggiata nell’erba
scorrerò
attentamente la salma
a ricordare
altri corpi nel tuo
l’artiglio di
questo le fauci di quello
e un qualunque
dolore peloso
di mostro che è stato per tutti
tra una lacrima
e una nenia a starnuto
una manciata di
terra e un inchino
me ne andrò con
in spalla un bastone
la valigia
sospesa da un lato viandante
con un tot
adeguato di passi
come qualcosa
che nessuno più aspetta
e può finalmente arrivare
Mia
Lecomte è nata nel 1966 e attualmente vive a Roma. Poeta,
autrice per l’infanzia e di teatro, tra le sue pubblicazioni più recenti si
ricordano: le raccolte poetiche Autobiografie
non vissute (Manni, 2004) , Terra di
risulta (La Vita Felice, 2009) e Intanto
il tempo (La Vita Felice, 2012) ; e i libri per bambini Come un pesce nel
diluvio (Sinnos, 2008) e L’Altracittà (Sinnos, 2010).
Membro onorario dell’Associazione francese “Confluences poétiques”, le sue poesie sono state pubblicate all’estero e in Italia in riviste e raccolte antologiche tra cui Confluences poétiques («Mercure de France», 2007-2008, nn. 2-3) e Italian poets in translation (John Cabot - Univ. of Delaware 2008). Nel 2012, a Toronto, presso Guernica Editions, è uscita la sua silloge antologica bilingue For the Maintenance of Landscape.
È ideatrice e membro della “Compagnia delle poete”, un gruppo teatrale composto da poetesse straniere e italo straniere, che mette in scena spettacoli incentrati sulla contaminazione poetica di lingue, culture e linguaggi artistici diversi (http://www.compagniadellapoete.com/).
Traduttrice dal francese, svolge attività critica ed editoriale nell’ambito della comparatistica e in particolare della letteratura della migrazione: è curatrice delle antologie Ai confini dei verso. Poesia della migrazione in italiano (Le Lettere, 2006), Sempre ai confini del verso. Dispatri poetici in italiano (Éditions Chemins de tr@verse, 2011) e con Luigi Bonaffini A New Map: The Poetry of Migrant Writers in Italy (Legas, 2011), e tiene numerose conferenze sull’argomento in Italia e all’estero.
È redattrice del semestrale di poesia comparata «Semicerchio» e di alcune riviste letterarie online, fra cui il trimestrale di letteratura della migrazione «El Ghibli». Collabora all’edizione italiana de «Le Monde Diplomatique».
Membro onorario dell’Associazione francese “Confluences poétiques”, le sue poesie sono state pubblicate all’estero e in Italia in riviste e raccolte antologiche tra cui Confluences poétiques («Mercure de France», 2007-2008, nn. 2-3) e Italian poets in translation (John Cabot - Univ. of Delaware 2008). Nel 2012, a Toronto, presso Guernica Editions, è uscita la sua silloge antologica bilingue For the Maintenance of Landscape.
È ideatrice e membro della “Compagnia delle poete”, un gruppo teatrale composto da poetesse straniere e italo straniere, che mette in scena spettacoli incentrati sulla contaminazione poetica di lingue, culture e linguaggi artistici diversi (http://www.compagniadellapoete.com/).
Traduttrice dal francese, svolge attività critica ed editoriale nell’ambito della comparatistica e in particolare della letteratura della migrazione: è curatrice delle antologie Ai confini dei verso. Poesia della migrazione in italiano (Le Lettere, 2006), Sempre ai confini del verso. Dispatri poetici in italiano (Éditions Chemins de tr@verse, 2011) e con Luigi Bonaffini A New Map: The Poetry of Migrant Writers in Italy (Legas, 2011), e tiene numerose conferenze sull’argomento in Italia e all’estero.
È redattrice del semestrale di poesia comparata «Semicerchio» e di alcune riviste letterarie online, fra cui il trimestrale di letteratura della migrazione «El Ghibli». Collabora all’edizione italiana de «Le Monde Diplomatique».
oh.. mi piacciono tanto questi versi, per quello che dicono e per come lo fanno.. mi sembrano decisi, originali,asciutti e ricchi..
RispondiEliminaentrano e sanno dove andare a sedersi..
oh, mi sa che hai ragione :-)
EliminaPoesia che apprezzo moltissimo, e dunque prossimo libro che comprerò, a giorni.
RispondiEliminaGrazie.
Francesco t.