Omaggio
a Mahmud Darwish
Il 13 marzo scorso dodici città in tutta Italia
hanno omaggiato l’icona della poesia contemporanea palestinese, Mahmud Darwish,
nel giorno del suo compleanno.
La proposta, lanciata dall’Associazione Arabismo di
Roma e raccolta da molti, aveva lo scopo di sottolineare una grave mancanza
editoriale: le sue traduzioni italiane sono ormai fuori commercio.
Venezia era tra le città che hanno partecipato
all’iniziativa e ha offerto un reading poetico memorabile grazie alla
partecipazione degli studenti del Master MIM (Master
di Mediazione Inter Mediterranea) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e alla
collaborazione della Biblioteca Querini Stampalia. Mettere in sinergia due
diverse istituzioni, l’università e la Biblioteca Querini, ci è sembrato un
modo positivo per raggiungere più direttamente la cittadinanza e far sì che la
poesia dell’autore circolasse in uno spazio culturale allargato e di tutti.
Nella splendida cornice
della rassegna queriniana in omaggio a Mario Stefani, otto studenti si sono
alternati sul palco e hanno letto i testi di Darwish in otto lingue: arabo,
ebraico, persiano, turco, inglese, francese, spagnolo e italiano. Altri loro
colleghi hanno allestito un video per presentare l’autore, una bibliografia
ragionata multilingue messa a disposizione degli intervenuti e una scenografia
con immagini e traduzioni italiane delle poesie. È stato un grande lavoro di
concerto, non sempre facile, che ha raggiunto gli obiettivi prefissati:
coinvolgere e incuriosire non solo il pubblico ma anche gli studenti. Abbiamo
tutti imparato com’è possibile fare mediazione culturale attraverso la
letteratura e la poesia.
Da coordinatrice
veneziana, ho partecipato all’allestimento del reading in ogni sua parte (costruzione
del percorso poetico, selezione dei testi, cura delle traduzioni italiane,
lettura di un inedito, introduzione al recital, organizzazione tecnica).
La cosa di cui sono stata più orgogliosa è stato l’entusiasmo e la
soddisfazione degli studenti alla fine dell’evento.
Mi auguro che, in
Italia, come è stato fatto in Spagna, Francia, negli Stati Uniti e nel Regno
Unito, si torni presto a tradurre la poesia di Darwish, dando ai lettori
l’opportunità di conoscerlo e gustarlo in italiano e all’autore la voce poetica
che merita nel nostro panorama editoriale.
Per condividere con voi
parte di questa festa di parole ed emozioni, Stefano Guglielmin ha accettato di
ospitare alcune mie traduzioni inedite e parte dell’introduzione poetica letta
durante il reading del 13 marzo. A lui e al suo instancabile lavoro di passeur,
il mio sincero grazie.
***
Il criterio
che ci è sembrato più efficace a restituire una breve panoramica della
produzione poetica di Mahmud Darwish è stato quello cronologico, poiché ci
permette di spaziare nell’immaginario retorico del poeta dai poemi giovanili
della resistenza a quelli d’amore, dai testi intimi e autobiografici della
maturità alle riflessioni faccia a faccia con la morte. Grazie a questo
criterio, si è venuta delineando una geografia poetica che corrisponde alle
fasi che scandiscono il percorso umano ed estetico dell’autore, spesso
intenzionalmente in contrasto e rottura l’una con l’altra. Sicuramente non
potremo qui approfondire l’evoluzione stilistica e retorica dell’intera sua
opera poetica, che diviene sempre più complessa nello stretto legame tra poesia
e pensiero, tra parola e ritmo. Cercheremo solo di farvela intuire. Darwish ha
attraversato più di cinquant’anni di storia del Medio Oriente e li ha
interpretati e condensati nella sua poesia (dalla Questione Palestinese, alla
guerra civile libanese, dalle vicende dell’OLP, agli accordi di Oslo e al dopo
Oslo). Ha però deciso di rifugiarsi nella sua lingua, la lingua araba, per non
restare ingabbiato nell’etichetta di “poeta palestinese”, e ha eletto la poesia
a sua patria. È l’universalità che ci piace e vogliamo sottolineare stasera. Le
sue poesie hanno parlato tutte le lingue del mondo e continuano a parlare alle
nuove generazioni di poeti e lettori, non solo arabi. Con la sua opera, Darwish
ha aperto un orizzonte poetico nuovo, trasformando la sua poesia da
affermazione di identità in eterna presenza nelle parole. Come ha detto Yasir
Suleiman (Cambridge University) “where politics fails,
literature succeds”. […]
La raccolta
del 1995, Perché hai
lasciato il cavallo alla sua solitudine? (trad. di L. Ladikoff, S. Marco dei Giustiniani, 2001), segna un punto di svolta nello stile
dell’autore: da qui inizia l’identificazione totale con la lingua e la poesia
araba (“Io sono la mia lingua”
dice Darwish in un’intervista), che si caricano dei riferimenti intertestuali e
delle allusioni alla tradizione araba classica, ai mistici persiani, alla
mitologia del Medio Oriente oltre che a quella greca. Forse, il poeta greco
Yiannis Ritsos nel definire l’amico palestinese un poeta “lirico-epico”, si
riferiva a questa fase, in quanto il nostro autore fonde l’epica classica con
il lirismo della poesia moderna, e addirittura si definisce un “poeta Troiano”,
ossia un poeta che racconta la sconfitta, gli sconfitti/il suo popolo, in
contrapposizione a chi da millenni ha raccontato i vincitori, ma che attraverso
la poesia della perdita trova la via per trascendere la sconfitta. […]
A conclusione
di questo viaggio sonoro, ci sarà un estratto da “Il giocatore d’azzardo” (Lā‘ib
al-nard) dalla raccolta Lā
’urīdu li-haḏihi al-qaṣīda an tantahī (Non
voglio che questa poesia finisca), poesia
postuma pubblicata nel 2009. Una summa biografica che potremmo definire una “poetografia”,
per riprendere una definizione del poeta iracheno Sinan Antoon, ossia una
biografia in forma di poesia. L’ho tradotta per questa occasione e la
ascolterete in anteprima nazionale, visto che è ancora inedita. La metafora che
veicola ossia che la vita è un gioco d’azzardo, ci pare una degna conclusione di
questo percorso nelle parole e nella vita di Darwish, e rappresenta
l’abolizione della differenza tra poesia e vita raggiunta dall’autore.
Carta
d’identità
Haifa, 1964
tit. orig. Biṭāqat
huwīya
dalla raccolta Awrāq al-zaytūn (Foglie d’ulivo)
Scrivi!
Sono
arabo
carta
d’identità numero cinquantamila
ho
otto figli
e
il nono nascerà dopo l’estate.
Ti
fa rabbia?
Scrivi!
Sono
arabo
lavoro
con i miei compagni di miseria
in
una cava
ho
otto figli,
per
loro, dalla pietra
cavo
pane
abiti
e quaderni.
Non
vengo a mendicare alla tua porta
e
non mi abbasso
davanti
alla soglia di casa tua.
Ti
fa rabbia?
Scrivi!
Sono
arabo
sono
un nome senza titoli
sono
paziente in un paese
pervaso
da fremiti di rabbia
le
mie radici
sono
ben salde da prima che nascesse il tempo
da
prima che avessero inizio i secoli
da
prima del cipresso e degli ulivi
da
prima che germogliasse l’erba.
Mio
padre è della famiglia dell’aratro
non
discende da signori,
mio
nonno era un contadino
senza
stirpe né lignaggio!
Mi
ha insegnato l’arroganza del sole
prima
di insegnarmi a leggere libri.
La
mia casa è un capanno
di
legni e canne.
Soddisfatto
della mia posizione?
Ho
un nome senza titoli!
Scrivi!
Sono
arabo
capelli: neri
occhi: marroni
segni
distintivi:
una
kefiya in testa
e
il palmo rugoso come pietra
che
raschia quel che tocca.
Indirizzo:
un
lontano villaggio dimenticato,
dalle
strade senza nome
in
cui tutti gli uomini lavorano nei campi o alla cava.
Ti
fa rabbia?
Scrivi!
Sono
arabo
defraudato
delle vigne dei miei avi
e
della terra che coltivavo
insieme
ai miei figli.
A
noi e a tutti i nostri posteri
non
hai lasciato
che
queste pietre.
Le
prenderà forse il vostro governo, come dicono?
Dunque,
scrivi
in
testa alla prima pagina:
non
odio la gente
e
non aggredisco nessuno
però,
se avessi fame,
mangerei
la carne del mio usurpatore.
Attento,
sta attento
alla
mia fame
e
alla mia rabbia!
Vengo
da laggiù
Parigi,
1986
tit. orig. Anā
min hunāk
dalla raccolta Ward
aqall (Meno rose)
Vengo da laggiù. E ho dei
ricordi. Sono nato come nascono tutti. Ho una madre.
E una casa con molte finestre. Ho
fratelli, amici e una prigione con una gelida feritoia.
Ho un'onda ghermita dai gabbiani.
Ho una vista tutta per me. Ho un prato smisurato.
Ho una luna ai confini delle
parole, semi per gli uccelli e un ulivo immortale.
Sono passato sulla terra prima
che le spade passassero su di un corpo e lo rendessero pasto.
Vengo da laggiù. Rendo il cielo a
sua madre quando è lui a piangerla,
e piango affinché una nuvola di
ritorno mi riconosca.
Ho imparato tutte le parole degne
del tribunale del sangue per poter infrangere la regola.
Ho imparato tutte le parole, poi
le ho smontate per ricomporne una sola:
Patria.
Il
giocatore d’azzardo
tit. orig. Lā‘ib
al-nard
dalla raccolta
Lā ’urīdu li-haḏihi al-qaṣīda an tantahī
(Non voglio che
questa poesia finisca, 2009)
Chi
sono io per dirvi
quel
che vi dico?
[…]
Io
sono un giocatore d’azzardo,
a
volte vinco, a volte perdo,
sono
come voi
o
poco meno.
Sono
nato di fianco al pozzo
e
a tre alberi solitari come monache,
sono
nato senza fanfare né levatrice.
Mi
hanno dato questo nome per caso,
ho
fatto parte di una famiglia
per
caso,
ereditandone
fattezze, caratteri
e
malattie
[…]
Non
è affatto dipeso da me quel che ero,
è
stato un caso che fossi
maschio
[…]
Non
è dipesa da me la mia vita
[…]
Avrei
potuto non essere rondine
se
il vento l’avesse voluto,
e
il vento è la fortuna del viaggiatore.
Sono
andato a nord, ho percorso il mondo da est a ovest,
quanto
al sud, era lontano e riottoso,
perché
il sud è il mio paese.
Così
sono diventato una metafora di rondini per librarmi sopra i miei resti,
in
primavera e in autunno,
ho
battezzato le mie piume nelle nuvole del lago
e
ho prolungato il mio saluto
sul
Nazzareno che ha vinto la morte
poiché,
in Lui, c’è il soffio di Dio
e
Dio è la fortuna dei profeti.
Per
mia fortuna sono il vicino della divinità,
per
mia sfortuna è la croce
la
scala eterna verso il nostro futuro.
Chi
sono io per dirvi
quel
che vi dico?
Chi
sono io?
L’ispirazione,
fortuna dei solitari,
avrebbe
potuto non allearsi con me.
Il
poema è un lancio di dadi
su
uno scampolo di tenebra,
luccica
a tratti
e
le parole cadono
come
piume sulla sabbia.
Non
dipende da me il poema
se
non quando ubbidisco al suo ritmo […]
Non
dipende da me il poema se non
quando
l’ispirazione s’interrompe
e
l’ispirazione è la fortuna del talento che si mette all’opera. […]
Così
nascono le parole. Alleno il cuore
all’amore
affinché contenga le rose e le spine.
Mistiche,
le mie parole. Carnali, le mie voglie.
Non
sarei quel che sono ora
se
quei due – l’io e l’io femminile -
non si fossero incontrati.
O
amore, cosa sei? Quanti tu sei
e
non sei? [...]
Tu
sei la fortuna degli infelici.
Per
mia sfortuna sono scampato più volte
alla
morte con l’amore
e,
per mia fortuna, continuo a essere fragile
per
farne ancora esperienza.
[…]
Solo il giorno
dopo, ho scoperto che mentre noi onoravamo Mahmud Darwish, in Arabia Saudita –
alla Fiera del libro di Riyad – le sue opere venivano censurate con l’accusa di
blasfemia.
Nella
convinzione che la vera poesia sia un patrimonio universale che va celebrato e
non censurato, riporto qui una delle poesie incriminate:
Dio
mio perché mi hai abbandonata?
tit. orig. Ilahī
limāḏā taḫallayta ‘annī ?
dalla raccolta Ward
aqall (Meno rose, 1986)
Dio mio, Dio mio
perché mi hai abbandonata? Perché hai sposato Maria?
Perché hai
promesso la mia unica vigna ai soldati, perché? Io sono la vedova.
Sono figlia di
questo silenzio, sono figlia del tuo verbo trascurato.
Perché mi hai
abbandonata, Dio mio? Perché hai sposato Maria, Dio mio?
Come parola sei
disceso in me, e hai tratto due popoli da una spiga.
Mi hai sposato a
un’idea e io ti ho ubbidito. Ho ubbidito ciecamente alla tua previdente
saggezza.
Mi hai
ripudiato? O sei venuto a guarire un altro, il mio nemico, dalla ghigliottina?
Una come me ha
il diritto di chiedere Dio in sposo? O di domandargli:
Dio mio, Dio mio
perché mi hai abbandonata?
Perché mi hai
sposato, Dio mio? Perché hai sposato Maria?
Mahmud Darwish (1942 – 2008)
Unanimemente considerato tra i più grandi poeti contemporanei.
Tra le sue raccolte di poesia pubblicate in italiano si
ricordano: Come fiori di mandorlo, o più lontano (trad. di C. Haidar, Epoché, 2010); Il letto della straniera (trad. di C. Haidar, Epoché, 2009); Murale (trad. di F. al-Delmi, Epoché,
2005); Perche hai lasciato il cavallo
alla sua solitudine? (trad. di L. Ladikoff Guasto, San Marco dei
Giustiniani, 2001); Meno rose (trad.
di G. Scarcia e F. Rambaldi, Cafoscarina, 1997). Interessante la raccolta di
interviste Oltre l’ultimo cielo: la
Palestina come metafora (trad. di G. Amaducci, E. Bartuli, M. Nadotti;
Epoché, 2007).
Tre sue opere in prosa a sfondo autobiografico (Diario
d’ordinaria tristezza, 1973, Memoria per l’oblio, 1987 e In
presenza d’assenza, 2006), saranno pubblicate a breve nella collana Comete
di Feltrinelli a cura di E. Bartuli con trad. di R. Ciucani.
Ramona Ciucani
Lavora come traduttrice letteraria
dall’arabo. Tra le sue traduzioni
poetiche: “Il viatico dell’esule” [cinque poesie di S. Antoon] in ITALIAN
POETRY REVIEW, VII, 2012, (SEF), pp. 197-211; alcune poesie di ‘Ali Ja‘far ‘Allaq e Sinan Antoon pubblicate nel blog
poetico Blanc de ta nuque. Ha tradotto i romanzi: Rapsodia irachena
di S. Antoon (Feltrinelli, 2010), Dunyazad di M. Telmissany (Ev
Editrice, 2010) e Il gioco dell'oblio di M. Barrada (Mesogea, 2009).
Un grazie sincero a Ramona per queste traduzioni, per la sua passione nel far conoscere poeti di lingua araba e per le parole spese per Blanc e il suo compilatore
RispondiEliminami unisco a Stefano in questo elogio al poeta e alla conoscenza della parola.
RispondiEliminaqueste traduzioni, l'ultima in particolare, fanno capire quanto la parola arriva ad essere potente, perchè capace di penetrare la conoscenza e
diffonderla con grande coraggio.
- la vera poesia è un patrimonio universale -
anche per questo deve essere libera!
Non c'è niente da fare, la poesia forte, corposa, quella che ti avviluppa senza scampo d replica, si riconosce persino nelle traduzioni (complimenti alla traduttrice, non sarà stato facile rendere suoni e segni).
RispondiEliminaPoeta davvero grande.
Saluti a Stefano
Giuseppe (giesse)
grazie a Ramona anche e non solo perchè ha scelto di censurare la censura, l'emancipazione è nella scrittura prima e nella lettura poi, grazie per aver dato anche a me che non sono arabofona la possibilità di leggere
RispondiEliminaGrazie a tutti per i commenti!
RispondiEliminaun elogio sincero al poeta e alla sua traduttrice-poeta.
RispondiEliminae qui amo ripetere che la poesia è un idioma universale, l'esperanto dell'anima.
cb