Qualche giorno fa, su facebook, c'è stata un'interessante discussione sulla poesia performativa e sulla marginalizzazione della poesia italiana. L'occasione è stato l'incontro che si sta svolgendo a Rieti, tra oggi e domenica, dal titolo "Poesia 13", a cura dell'associazione ESCargot.
qui il link dell'evento.
A partire da "Poesia 13", sul sito di Vincenzo Ostuni, curatore dell'Antologia Poeti degli Anni Zero e uno dei teorici di "generazione Trenta - Quaranta" (qui il link del suo manifesto), si è sviluppato un serratissimo confronto tra quest'ultimo e Christian Sinicco, cofondatore degli "Ammutinati" di Trieste e poeta performativo.
Siccome non tutti gli ospiti di Blanc accedono a fb, mi sembra utile riportare il contenzioso.
Quando la
polemica prenda l'avvio non mi è chiaro; tuttavia, nella pagina fb di Ostuni, in data 8 maggio si estrapola quanto segue:
SINICCO Credo che
[Luigi Nacci] intendesse, Vincenzo [Ostuni] che c'è un gruppetto
autoreferenziale di critici e poeti che girano attorno a tq. [riferimento al
manifesto "generazione Trenta - Quaranta]
OSTUNI Caro Christian, ho capito che intendeva questo, ma è un giudizio
patentemente falso, e se esteso al mio lavoro sull'antologia è anche offensivo.
Gli ho chiesto di articolarne i motivi e si è rifiutato dicendo a un di presso
che avrei dovuto capirlo da solo. La poesia non è questione di grandi
coalizioni: la poesia, esteticamente parlando, o è contesa, guerra, o non ha
interesse, per me.
SINICCO Vincenzo,
ho capito, ma la guerra è un'altra cosa no? Quello che penso io è che ci sono
modi di affrontare dal punto di vista selettivo e motivare le inclusioni o
esclusioni sulla questione dell'oralità o della performance migliori della tua,
che è del tutto arbitraria
OSTUNI Migliori sì, arbitraria no. Scelta di metodo, direi; ci sono autori che
letti su pagina perdono interesse, non acquistano complessità ecc. È un assunto
non indimostrabile, quello della maggiore complessità e se vuoi della
superiorità della fruizione su carta o schermo ed è anche una forma di protesta
rispetto alla marginalizzazione dell'editoria cartacea. Ho sentito troppi
performer mediocri di testi mediocrissimi perché non sia un punto sensibile.
Visto che la discussione si era spenta, ho pensato di ravvivarla sulla mia pagina fb, rilanciando il post di Ostuni. La riporto qui sotto.
SINICCO Non ho
messo in discussione le tue scelte, Ostuni; nel tuo lavoro antologico ho visto
del buono, e in un altro post ho detto che l'antologia era utile per seguire il
percorso di alcuni poeti; ho solo esplicitato che la parte riguardante la
performance in introduzione non è utile a motivare il percorso degli autori
(anzi, crea una frattura inevitabile tra questi autori e il loro modo di porsi
sul lato comunicativo e altri autori) che citi, che hanno una formatività
avulsa da quel contesto, dato che la parola performace non ha lo stesso
valore della parola recita. Indistintamente, tu prendi tutta la mia
produzione, e dici che è retrograda, roba da internettari e da premietti. Al
contrario, io seziono la tua introduzione, scindo questa produzione critica dal
tuo essere poeta, suggerisco delle riflessioni. [...] Non mi sfugge la
problematicità di una generazione di trenta quarantenni che ha paura di non so
cosa e si rintana in circoli e seminari, incapace di rispondere alla
marginalizzazione della cultura poetica, e fa di tutto per imporsi col
marketing, sia come poeti che come critici; ed è una cosa che non riguarda solo
le pratiche che abbiamo potuto ammirare recentemente, ma è testimoniata da 14
anni di antologie, e anche di eventi, che vorrebbero imporre una visione a 360°
- e senza un metodo di indagine sul territorio, che oggi sarebbe possibile.
Possiamo chiamare in causa il gruppo 63, ma la marginalizzazione rimarrà finché
non si inaugura un metodo diverso.[...] Di recente ho riletto l'intro di
Brevini alla Poesia in dialetto del novecento, ed è chiaro che qualcuno manca
(forse per questioni anagrafiche e di spazio), ma l'introduzione è un esercizio
di stile e di indagine tra le categorie... Ponderata l'estetica di riferimento
e l'epistemologia, lavorare su una grande mole di materiali da tutto il
territorio amplia le possibilità di rilevare fatti di critica, anche
profondamente diversi; e hai anche la possibilità di una comparazione della
critica tra passato e presente. Purtroppo osserviamo che la critica utilizza
altra critica, per questioni normative, e in generale manca l'epistemologia...
magari fosse soggettiva Davide. I filosofi per fortuna evolvono le teorie
estetiche... anche se a me piace roba vecchia, ma ancora buona, tipo Pareyson.[Sull'antologia
di Brevini, si veda l'ultimo commento
di IVAN CRICO]
OSTUNI alla
questione della performance ho dedicato semplici riflessioni, dicendo, in buona
sostanza: intendo contrastare l'eccesso di influenza che la performance della
poesia ha avuto in questi ultimi anni (per altro, questo è un altro dei sintomi
della progressiva marginalizzazione della poesia! parallelo, e conseguente,
alla crisi dell'editoria di poesia), mettendo sugli altari testi, e autori, che
sulla pagina non reggono, a mio parere. Quindi, ho proseguito, qualcuno sarà
sorpreso di non trovare in quest'antologia autori che hanno avuto successo come
performer. Viceversa, in alcuni di casi, ho continuato a scrivere, ad esempio
Ventroni, inserirò autori che sono stati, da altri critici, sottovalutati in
quanto, si presumeva, troppo legati all'aspetto performativo. Cosa diamine hai
da dire? Ho dato un assioma e ho proceduto secondo questo. Vuoi criticare
l'assioma? Ne hai diritto! Fallo in maniera intellegibile! Continui a creare un
accumulo di pseudoargomentazioni basate sull'ansia di prestazione, o non so che
cosa. Ti suggerisco io? Potrei suggerirti, ad esempio, che l'idea di
considerare la poesia come distinta dalla sua performance è errata perché
apodittica [...]. Io risponderei: non sto suggerendo di dare prevalenza
assoluta alla lettura della pagina scritta, ma credo proprio che all'analisi
dello scritto la ricezione sia generale sia critica della poesia di questi anni
non sia in molti casi neppure arrivata ecc.
SINICCO Ostuni,
non riesco a capire perché "contrastare l'eccesso di influenza". I
poeti performativi sono così pochi e non so dove vedi l'eccesso di influenza.
Capisco l'utilizzo del termine contrastare, che è legittimo, ma dove vedi
l'influenza della poesia performativa in Italia? Poi l'assunto che l'emergere
della poesia che sperimenta anche grazie alle tecniche performative sia
sintomatico della marginalizzazione è inspiegabile. Piuttosto il contrario: se
un'opera è re-impiegabile in una performance, ha qualità molteplici. Sul testo
sfondi una porta aperta, però non è detto sia l'unico supporto, anche se gli
esempi di opere di poesia su altri supporti sono poche in Italia, e molte di
queste hanno anche la parte testuale, che solo in alcuni casi non coincide
proprio con la resa performativa, mi riferisco a Frangione, ma anche al poema
disumano di Nacci, che è un'istallazione.
OSTUNI Sinicco, io
vedo proprio questo, un eccesso d'influenza. Credo che il punto sia
difficilmente contestabile: la poesia viene sempre più fruita, anche, in certi
casi, dai critici, in forma di lettura pubblica. Per quanto riguarda il testo:
intanto non parlo solo di testo, ma di pagina: la gran parte degli esperimenti
istallativi sono comunque fruibili su pagina. Tanto è vero che sono il primo a
parlare di "poesia fuori di sé", di importanza di altre forme d'arte
nell'attività di ciascuno degli scrittori. E' un aspetto di cui non potevo
rendere conto appieno in quell'antologia, ma che ho considerato probante. ALtro
è invece imputare all'eccesso di ascolto, a scapito della lettura, una
fruizione valutativamente errata, o distorta, dei testi. [...] Io penso che il
fatto che la poesia sia meno pubblicata da editori nazionali (fatto innegabile)
e sia dunque meno letta (fatto innegabile) faccia sì che sia sempre più fruita
dalla voce del poeta. Il che modifica la fruizione, e può modificare, non
sempre per il meglio, i giudizi di valore. Il fatto che alcuni ottimi poeti (Lo
Russo, nonostante proprie in queste ore mi stia prendendo a parolacce per
difendere il suo Nacci; o ancor più Frasca, che per me è con Magrelli il miglior
poeta italiano vivente) siano anche ottimi performer è proprio quello che io
affermo, inserendo un'ottima performer come Ventroni (ma anche altri degli
antologizzati non scherzano) come ottimi poeti. Ma dico che non basta essere
ottimi performer per essere ottimi poeti, il che è ben diverso; e dico che
nella ricezione generale la poesia di alcuni autori è stata sopravvalutata, nel
suo aspetto testuale, a causa della loro bontà di performer. A me sembra un
punto semplice e cristallino. Sul quale si può dissentire, certo, ma in maniera
più articolata, per favore. [...] La cosa che sappiamo per certo è che
Feltrinelli ha smesso di fare poesia; Garzanti e Guanda l'hanno ridotta
drasticamente; Mondadori pubblica quasi solo poeti over 70 (tranne
l'esperimento degli "specchietti"); Einaudi anche pubblica meno
italiani. Che altri dati ti servono? Non la chiami una marginalizzazione,
questa? Il consumo di poesia in rete è importante, ma non è probabilmente
diffuso come altri. Per quanto riguarda milanesi, romani ecc.: non ho fatto una
statistica, può darsi abbia ragione tu, ma questo sarebbe un altro problema
ancora, che non c'entra nulla con quello di cui stiamo discutendo.[...] La
fruizione di poesia si rifugia in spazi fuori dal mercato: ad esempio, questo,
quello della performance. La performance ha aspetti positivi (e l'ho detto tre
volte) ma non si può non considerare anche come un effetto della crisi
dell'editoria di poesia, della riduzione di spazi più tradizionali della
fruizione della poesia.
SINICCO La performance
la faceva anche Ungaretti. Per non parlare di Sanguineti? Lì ancora la poesia
veniva pubblicata o no?
OSTUNI la
performance certo che la faceva anche Ungaretti (Sanguineti meno, che era
impedito a leggere). Ma all'epoca la loro fortuna si basava sul testo scritto:
la performance era una fruizione secondaria. Oggi è il viceversa: i poeti
vengono fruiti per lo più oralmente. Io sono stato ascoltato da centinaia di
persone, credo anche tu, se non migliaia: quanti hanno comprato i miei libri?
Molti di meno. Questo comporta una modifica nelle modalità di fruizione e di
valutazione. Ho cercato di sostenere questo, non sono andato a fondo, ma non
era neppure la sede per farlo. Ho solo dato un'indicazione generale, che a me
sembra piuttosto saldamente argomentabile. O quantomeno, tutti gli argomenti
che tu le hai opposto cadono al primo soffio di logica.[...] Ho detto anche
qualcosa di più: che alcuni aspetti del testo, e alcuni dei fondamentali,
incontrano un'adeguata possibilità di analisi solo se fruiti con calma, nella
lettura su schermo o pagina. Anche questo mi sembra inevitabile. Aspetti
semantici, formali, persino visuoverbali, che stanno diventando sempre più
importanti nella poesia contemporanea... Niente contro la fruizione in
performance, ma bisogna accostarla ad altre forme di fruizione. Per me, alcuni
poeti, se letti su carta, perdono moltissimo.
SINICCO La
performance della poesia di Mariangela Gualtieri è il sintomo della
marginalizzazione della poesia? La performance della poesia di Rosaria Lo Russo è il sintomo della marginalizzazione della poesia? La performance della
poesia di Gabriele Frasca è il sintomo della marginalizzazione della poesia?
Finché era vivo, la performance della poesia di Sanguineti era il sintomo della
marginalizzazione della poesia? E così via via per autori come Lello Voce, dome Bulfaro... Oppure la
performance è studio formativo, tentativo, della/nella propria poesia,
indipendentemente dal supporto, che attraversa le condizioni storiche, sociali?
OSTUNI non la
performance in sé, ma il fatto che alcuni poeti siano fruiti quasi solo in
performance, è - questo ho detto - sintomo della marginalizzazione della
poesia. A me pare non faccia una piega... Continui a insistere con Gualtieri,
Lo Russo, Frasca, Voce, Bulfaro... come se io stessi dicendo che chi è un bravo
performer non può essere un bravo poeta. NON STO DICENDO QUESTO. E' chiaro? Ho
detto una cosa diversa: che non bisogna lasciarsi ingannare da un bravo
performer deducendo ipso facto che è un bravo poeta. Che bisogna tornare alla
lettura dei testi. Che esiste un dovere critico di giudicare la poesia su più
livelli, di cui quello performativo può non essere il principale, ma solo una
fra i vari. Chiaro? Certo che esiste un problema metodologico e storico della
poesia performativa e dell'oralità, della poesia sonora ecc.; ma esiste anche
un problema delle qualità strutturali di un testo che possono e debbono
valutarsi sulla pagina (o sullo schermo). Io solo questo ho scritto; e questo,
secondo me, si regge abbastanza.[...] Sinora, il rinato aspetto performativo
della poesia, fra tutti gli effetti che può aver avuto, non ha avuto quello di
un rilancio della poesia pubblicata dagli editori nazionali, con l'eccezione
probabilmente della Gualtieri. Perché? Un'ipotesi è che il fenomeno promuova
un'idea di poesia come forma d'arte che va appunto fruita in modo separato
dalla carta, e dunque non promuova una domanda di lettura di poesia su carta (o
schermo). 3. La mia analisi si indirizza a testi che non appartengono, per così
dire intrinsecamente, a tradizioni, vecchie o nuove, che escludono una
fruizione separata come possibile e raccomandabile. Le poesie di Voce, Frasca,
Gualtieri ecc. non sono poesie sonore, sono molto legate alla dimensione
semantica, e anche la loro dimensione sonora (in Gualtieri per altro piuttosto
scarsa; più accentuata ad es. in Bulfaro ecc.) può per altro essere
"eseguita", almeno in parte, dal lettore solitario, mi sembra. E'
chiaro che se provassimo ad esercitare strumenti testuali "puri" a
poesie che non solo siano nate per la performance ma escludano una fruizione su
pagina, commetteremmo un'ingenuità. Non direi che fra i poeti che ho preso in
esame ci siano casi del genere.[...]
potrebbe darsi che
la lettura su schermo riceva impulso nuovo dagli ascolti; ma finora non sono
certo che stia accadendo in maniera ingente, e soprattutto sta accadendo a
scapito della possibilità di fruire concretamente ed efficacemente di progetti
complessi, ampi, strutturati: anche la poesia su web, come quella ascoltata dal
vivo, privilegia di forza sondaggi, carotaggi per pochi testi, alle complessità
di un libro.
IVAN CRICO Sulla
defenestrazione della poesia impegnata dalle collane delle grandi case
editrici. La cosa mi è stata spiegata così, nel 2009, da un pezzo grosso (e
uomo di grande cultura) che lavorava per la Garzanti. Secondo lui, e gli credo
perché fin poco prima di andare in pensione, era lui con l'editore a decidere
alla fine se mandare in stampa un autore o no, tutto sarebbe imputabile
all'influenza nefasta dell'approccio manageriale nella selezione e promozione
dei testi proposto negli ultimi anni dalla Mondadori. Una casa editrice che
vende e che viene vista, anche dai nemici, alla fine come un modello
imprenditoriale che funziona. Per questo motivo, mi diceva, oggi a determinare
le scelte editoriali sono dei manager (al posto di grandi critici) a cui,
spesso, del valore letterario di un testo poco o nulla importa. Se poi alcune
case editrici grosse continuano a tenere qualche collana di poesia è perché non
si può non avere un po' di poesia in catalogo; ma, in realtà, a nessuno gliene
importa niente, perché si tratta di un prodotto che non vende, con cui, se va
bene, si va in pareggio. Questo cosa comporta, mi ripeteva? Che di solito la
persona a cui si affida quel settore propone i suoi amici e, in mezzo, ogni
tanto gli amici dell'editore o di chi lavora nella casa editrice, facendo
finire all'interno di collane un tempo serissime autori che, a volte, nemmeno i
critici più attenti avevano mai sentito nominare. Cose non impossibili ma
piuttosto rare, un tempo. Parole di uno che lavorava nel commerciale ma
formatosi collaborando con i grandi della letteratura italiana del Novecento.
Parole brutali ma in cui, credo, c'è del vero, molto, purtroppo.
SINICCO Ostuni,
anch'io come Ivan Crico, penso che il
problema nelle grandi case editrici sia di critica e management. Il dato
dimostra inequivocabilmente che i numeri delle pubblicazioni di poesia/teatro
(anche se la categoria in questione poesia e teatro non ci spiega esattamente
la portata delle sole pubblicazioni di poesia contemporanea; i classici sono
infatti in un'altra categoria) sono passate da 1400 circa a 2400 circa in 5
anni. I poeti che di solito usano performare (che è diverso da leggere, e forse
anche la parola spettacolarizzazione non è esattamente sovrapponibile alla
parola performance) in Italia sono pochi, se consideriamo la mole di
pubblicazioni. I festival che ospitavano performance di poesia: "Absolute
Poetry" è fallito qualche anno fa (tre/quattro anni fa) e "Poesia
Presente" quest'anno, con pochissimi fondi ha prodotto pochi
interessantissimi lavori, proprio grazie a Dome Bulfaro. Questi festival
non ospitavano solo performance, ma anche letture, dibattiti, presentazioni di
libri, cioè un universo di eventi funzionale all'ambiente della poesia, con
scelte trasversali, cercando di favorire il confronto anche tra espressioni
diverse. Le letture in Italia, immagino siano in crescita o lo siano state, per
via del fatto che c'è stata anche una sovrapproduzione rispetto il periodo
precedente, e il dato potrebbe essere chiarito anche dalla comparsa
dell'editoria on demand, che ha abbassato i costi. Il fatto è che le
letture, che sono cose normali (il poeta da molti secoli usa la voce), possono
non avere a che fare con le performance, anzi di solito non hanno a che vedere.
Di conseguenza gli eccessi di performance che vedi tu, sono una cosa campata in
aria, come la questione di una performance di poesia, sintomatica della
marginalizzazione della poesia stessa. La parola lettura, nella tua
spiegazione, non ho capito se unifichi l'universo delle espressioni vocali, ma
ammettiamo che sia così... Con tanta sovrabbondanza di pubblicazioni (e non sto
nemmeno pensando a ciò che accade in internet, e la sovrabbondanza di poeti che
si affidano solo al web), ci sarebbe anche una sovrabbondanza di letture. Di
conseguenza ho cercato in modo chiaro di spiegarti che le espressioni che usi
sono frutto delle tue convinzioni particolari, ma non hanno a che vedere con il
mondo dei dati, anche a una loro primissima "lettura". Quello che
voglio dirti è che sì ti puoi affidare a una credenza, a una convinzione, per
una questione critica, ma se il dato è facilmente falsificabile come ho cercato
ripetutamente di spiegarti, avresti potuto almeno verificarlo.[...] Trovo
difficoltoso, oggi, il tuo tentativo di dar vita a un progetto che gira attorno
ad alcuni poeti, cercando di neutralizzare con asserzioni non approfondite, ciò
che sta fuori la tua critica, e in questo caso proprio perché le qualità dei
testi dei poeti che hanno sensibilità performative sono alte.
OSTUNI Per quanto riguarda gli esclusi, ne ho menzionato pur uno, che è
Ghezzi. Non vedo perché bisogni menzionare gli esclusi: lo scopo di
un'antologia non è escludere, è
scegliere e parlare degli inclusi. Io non sono sicuro che ci sia tanta altra
poesia meravigliosa, in Italia. Continuo a pensare che i migliori siano inclusi
o almeno citati. In questi due anni non ho ancora scoperto null'altro, oltre a
quel manipolo di bravissimi poeti, che meritasse d'essere incluso.
CRICO Ho letto in questi giorni un infuocato dibattito,
ospitato qui su FB da un bravissimo critico come Stefano Guglielmin, tra due
giovani poeti e critici. Discutere va benissimo, figuriamoci, specialmente se
si tratta di persone preparate come queste e che amano con tanta passione la
poesia, ma tutta questa smania di catalogare, antologizzare nuovi autori,
quando gli autori spesso sono ancora giovanissimi ed hanno pubblicato poco
o in contesti poco strutturati (diciamo così..), arrabbiarsi perché non c'è
Tizio o Caio o perché si parla troppo di Tizio o Caio, non riesco - perdonatemi
- proprio a capirla. Io ho avuto l'onore di pubblicare, poco più che ventenne,
su riviste storiche, riviste con comitati di redazione che oggi sono un puro
miraggio, dopo una lunga e attenta discussione (e a volte revisione) dei miei
testi. Un percorso legato anche ad incontri fortunati, non lo nego, ed anche ad
una certa benevolenza (troppa, a volte) nei confronti di testi che io oggi
giudico con severità, che non ripubblicherei. Ma, si sa, ai giovani si perdona
ciò che ai più vecchi nessuno perdonerebbe mai. Bene, tra i venti ed i
trent'anni, gli anni in cui mi sono dedicato con maggior impegno alla scrittura
poetica, ho conosciuto e frequentato (anche stringendo dei rapporti di fraterna
amicizia) alcuni fra i più importanti critici e letterati italiani. Tra cui
Franco Brevini, citato da uno dei due interlocutori, ad esempio. Con cui
abbiamo discusso, chiacchierato, passato assieme molte ore in questi decenni.
Nonostante questo, del mio lavoro, nelle principali antologie di Brevini, fino
a quella monumentale, per la Mondadori, del 1999, non c'è alcuna traccia.
All'epoca avevo già pubblicato numerosi testi, su riviste e in volume, testi
recensiti tra l'altro dalle più importanti riviste di poesia italiane, a
partire da "Poesia". Non le mie cose migliori, i testi più maturi,
però. Ovviamente, conoscendolo e non trovando citato niente di mio, come tutti
credo, ci sono rimasto un po' male, sul principio. Ma poi, da subito, ho
apprezzato molto l'onestà intellettuale di questo grande critico che, pur
facendo i suoi sbagli come tutti, ha sempre aspettato di trovarsi di fronte a
prove davvero convincenti, capaci di sfidare le mode, l'erosione spietata del
tempo. La nostra reciproca stima e conoscenza personale, che dura ancor oggi,
non lo influenzò minimamente, e questo me lo rende ancor più degno di
ammirazione e caro. Ripeto: in quei lavori vi sono autori non eccelsi a cui fu
forse dato un eccessivo risalto, che evidentemente egli sentiva più vicini, dal
punto di vista anagrafico ed emotivo, non avendo forse del tutto compreso quel
che di nuovo e sincero (senza voler esagerare) si celava, ancorché ancora in
fase germinale, nel lavoro mio e di altri miei conterranei, come Villalta o
Cappello, ad esempio. Altre persone che conosceva bene, tra l'altro. Sì, a
tutti farebbe piacere essere riconosciuti subito, essere amati e citati a spron
battuto. Ma nella poesia il valore di un autore lo si capisce con il passare
degli anni, non c'è niente da fare. Potrei citare decine di nomi che negli anni
Ottanta erano additati come dei geni e di cui, oggi, nessuno si ricorda più.
Perché non scrivono più, non compaiono più sulla scena, il loro versificare era
troppo legato ai gusti del tempo e, con quel tempo, è andato a fondo. Quando mi
incontro con Cappello, ogni volta ci ripetiamo che Kavafis ha pubblicato,
sconosciuto ai più, poco più di un centinaio di poesie in tutta la sua vita.
Queste cose ce le dicevamo quando ancora Pierluigi non lo conosceva quasi
nessuno. Io ho seguito nel frattempo anche altre strade ma siamo rimasti fedeli
a questo principio, alla fine: pubblicare soltanto quando siamo convinti di ciò
che abbiamo fatto, lasciando passare anni tra un libro e l'altro, se serve. Più
di lui, la cui vita da sempre è appesa ad un filo, nessuno forse conosce bene
la vanità dei riconoscimenti, dell'essere presenti ad ogni costo, e, insieme,
il sentirsi a posto per aver cercato, in un verso, di dare il meglio di quanto
noi, con i nostri limiti, nella nostra vita, possiamo offrire a noi stessi e
agli altri.
nel mio piccolo pensiero, concordo con Ostuni qui:
RispondiElimina'intendo contrastare l'eccesso di influenza che la performance della poesia ha avuto in questi ultimi anni (per altro, questo è un altro dei sintomi della progressiva marginalizzazione della poesia! parallelo, e conseguente, alla crisi dell'editoria di poesia), mettendo sugli altari testi, e autori, che sulla pagina non reggono, a mio parere.'
Perché per me la poesia è fondamentalmente da leggere. Può far parte magari di performance di cui è un tassello (mi è capitato di vederne di molto appaganti), ma l'oralità accanita.. no grazie, preferisco leggere.
e poi non posso che abbracciare in pieno queste parole di Crico:'(...)il sentirsi a posto per aver cercato, in un verso, di dare il meglio di quanto noi, con i nostri limiti, nella nostra vita, possiamo offrire a noi stessi e agli altri.'
ché restare alla storia è davvero di pochi, ma quello che dice lo si può fare a prescindere.. per quella che è la nostra storia breve.
molto lucido questo commento, gentile Amara.
EliminaIo credo che la poesia si dia in molti modi. non per forza la scrittura viene prima. A meno che non si ami Derrida o privilegiare l'occhio anziché l'orecchio.
su Derrida, purtroppo, non so.. probabilmente il mio rapporto con la parola, anche quella d'altri, è troppo intimo e preferisco 'ascoltarla' così come io la leggo..
RispondiEliminao forse è la mia scarsa cultura o non viverla a sufficienza negli ambienti giusti..
ma, ad ogni modo, si parlava di eccessi e sono questi che non gradisco,
tutto, in modo e misura congrua, può dare molto..
e con questo non intendo porre limiti alla poesia
credo sia importante la consapevolezza, se vuoi scrivere. Gli ambienti sono relativi. l'oralità ha a che fare con la bocca, la scrittura con la mano, l'oralità è una forma della continuità, la scrittura della discontinuità.
EliminaTi consiglio di leggere il bellissimo saggio di Ida Travi "l'aspetto orale della poesia" Moretti & Vitali 2007.
grazie..
RispondiEliminaprendo nota del saggio...:-)
RispondiElimina"... esiste un dovere critico di giudicare la poesia su più livelli, di cui quello performativo può non essere il principale, ma solo una fra i vari"
RispondiEliminacb
mi sembra un'affermazione di principio su cui è difficile transigere, in effetti!
EliminaLa poesia è nata quando si battevano i piedi per terra per dare un ritmo e prima della scrittura: credo che sia ragionevole ritenere importante anche la sua componente orale/recitativa.
RispondiEliminaUn autore che, oltre a scrivere, sa anche recitare i suoi versi ha, secondo me, un merito che va pesato nel formulare un giudizio.
se il testo nasce "scritto" non va pesato con il metro della performatività dell'autore. Se nasce "orale" invece sì. Es: non sappiamo se Dante fosse bravo a rendere con la voce la sua Commedìa, ma non per questo abbiamo dei dubbi sul valore di quell'opera.
EliminaLa Commedia di Dante è un'opera certamente di alto valore, ma credo che, recitata, ottenga un surplus. Del resto Boccaccio fu incaricato di leggerla pubblicamente e tutti i giorni nella chiesa di S. Stefano di Badia, persino dietro compenso.
EliminaCerto, poiché la Commedia è scritta con un metro piuttosto costante (endecasillabi, pur non tutti della stessa natura), la sua recitazione è agevolata rispetto a una poesia scritta in versi liberi.
Però, almeno questo è il mio pensiero, ci sono poesie in versi liberi perfettamente recitabili (mi viene in mente subito "La pioggia nel pineto) e credo che queste poesie abbiano un valore aggiunto rispetto a quelle refrattarie a tale approccio.
Non voglio però dare l'idea che, nel valutare una poesia, io ponga in primo piano la recitazione: credo semplicemente che sia un aspetto dell'opera che merita il giusto riconoscimento.
le parole sono (anche) suono, ritmo, immagine. Ognuno di questi aspetti conta. sotto questo profilo hai ragione. La questione potrebbe essere, d'altro canto: il valore aggiunto qualità-voce-recitante va attribuito all'orecchio del fruitore o all'intrinseco del testo? io sono per la prima possibilità. E poi, più profondamente: sono convinto che qualsiasi qualità-voce-recitante sia sempre un'interpretazione del suono originario del testo, che ne porti insomma in seno la traccia ma mai l'originale. Originale già da sempre perduto nelle trame della parola, essa stessa traccia di una pienezza sonora che la vorrebbe solo musica, solo vibrazione.. il problema è complesso.
EliminaConcordo sulla complessità della questione ed è vero che l'orecchio del fruitore non va dimenticato.
EliminaForse, quando la poesia era spesso recitata e/o accompagnata dalla musica, il pubblico poteva avere strumenti più adeguati per dare un apprezzamento abbastanza limpido alla recitazione, strumenti che credo derivino dall'abitudine dell'orecchio: quanti, oggi, saprebbero recitare fedelmente una lirica, facendo sentire le cesure, dando l'enfasi al momento giusto, cogliere una dialefe piuttosto che una sinalefe ecc. ?
E quanti saprebbero accorgersi se il recitante sbaglia o meno?
Secondo me meno persone di una volta, per una questione di "educazione dell'orecchio," se posso usare questa espressione.
Secondo me sarebbe bello riuscire a recuperare questa dimensione, senza per questo voler togliere nulla al piacere della lettura.
sì, sono d'accordo sula fatto che, nella lettura, raramente si sentono rispettate le regole metriche. Ciò sarebbe importante soprattutto se leggiamo il verso chiuso, dove il rispetto di quelle regole è fondante. Con il verso libero l'emistichio, per esempio, si perde. E allora conta di più l'interpretazione, che sostituisce del tutto la regola. Anche con il verso chiuso l'interpretazione conta, ma ha meno spazio di libertà.
EliminaL'educazione dell'orecchio è una pecca della scuola italiana. E ciò implica, tra l'altro, una ignoranza in campo musicale e quindi, indirettamente, nella consapevolezza che l'armonia non è un'opinione, bensì deriva da precisi intervalli di suono. E così per il ritmo, che l'orecchio disallenato coglie soltanto quando è scandito a marcetta
che il testo sia recitabile è una cosa.. che sappia farlo l'autore stesso un'altra..
RispondiEliminanon credo che un bravo autore debba essere per forza un bravo attore..
Quasi tutti i testi sono dicibili. Il "recitabile" è un modo particolare del dicibile, a propria volta articolabile in differenti registri. Io preferisco che io poeta dica il suo testo piuttosto che l'attore reciti il testo di un altro, per la ragione espresse sopra.
RispondiEliminasono molto d'accordo su quanto hai espresso sopra, l'importanza della musicalità, dell'ascolto, e del rispetto della propria metrica quando il verso è chiuso...
RispondiEliminaperò capita (come a me ieri) che una mia poesia letta da un'altra persona, sia giunta più chiara proprio in forza di un modo diverso di scandire le pause...e poi mi è stato detto che certe poesie sono più adatte a una lettura silenziosa...è tutto molto soggettivo in campo poetico, io tendo a dare una certa cadenza ai testi che forse non dovrei dare ma del resto mi è impossibile mantenere un timbro amorfo.
al di la di come leggere è importante credo, la sicurezza nella propria voce, io sto acquisendola ora, piano piano...con l'aiuto di persone squisite quali Gianmario Lucini, Fiammetta Giugni, e Ivan Fedeli.
credo che ogni poesia abbia un massimo di dicibilità orale, che va ricercata comunque. La sicurezza nella voce si deve accompagnare a una poetica della pronuncia. ultimamente, alcuni poeti tendono a neutralizzare l'elemento emotivo della voce, affinché emerga con maggiore chiarezza la materia con cui è fatta la parola (vedi Calandrone)
RispondiEliminaho sentito la Calandrone tempo fa, e non posso che inchinarmi al suo ascolto...da brivido.
RispondiEliminaaveva il timbro emotivamente neutro?
Eliminase ti ho risposto da brivido, non credo...
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