Tre poesie inedite. La prima unisce suono e sogno nel soffio allitterativo della esse, ma dal sogno si stacca perché le parole non soffiano. Non sono, come il sogno, sospese. Le parole invece "si accalcano e urtano" e semmai "scorrono", dolenti come cose. Parole e insonnia: è il tremore dello scrivere, quando vita e scrittura si contendono lo spazio e le labbra, quando cercano la pronuncia. Però la voce è suono e, alla parola e al sonno, contende il primato. E tutte, suono parola e sonno, testardamente aprono mondi, soddisfano la vista. Che cosa la vista veda, oltre la superficie, oltre l'ovvietà del riconosciuto, è sempre qualcosa di andato, di irrimediabilmente andato. La vista del poeta vede l'archetipo. Vede il primo suono, la prima immagine, il primo soffio della nostra vita, il primo sonno e il primo sogno. Vede l'infanzia di ogni presenza, ed è questa il vero luogo della poesia, "l'infanzia che chiama e impaurisce"
"Fa
finta" dice la seconda poesia, portando nel fango quotidiano l'altezza
utopica di Image, di John Lennon. "Fa finta" ci conduce nel
pericolo dell'incontro con il mondo. Che non può essere altro, se non inverno e
miseria nera. Le parole scorrono dolenti, dice la prima poesia; ma anche
l'immaginazione – risponde la seconda poesia – il finto sogno ad occhi aperti
mostra un film senza gioia. Fa finta che il divenire basso del mondo sia danza.
Fa finta che Nietzsche e Shiva abbiano ragione. Gli opposti si toccano:
"stringiamoci / al melo, vaghiamo". Non è l'albero mutilato di
Ungaretti. E questo fa differenza. Cambia il punto di vista sulla storia.
"Ma non basta
essere qui". Qui stretti nella burrasca, tra suono, senso e visione. Qui
nel sonno e nel sogno. qui nel presente. Non basta eppure, sembra suggerirci
Bonacini, non c'è altra via: tutto è palude, che "convoglia le sue corse /
in tempi morti". E' la fine di ogni grande progetto: la stella diventa un
"treno fermo", lo sguardo si fa debolissimo. Rimane l'infanzia, è
vero, ma che soltanto il sogno e la poesia ripescano. Fuori dal prodigio, direbbe
montale... E dopo la divina indifferenza, direbbe Bonacini... Il male di vivere
ci ha sopraffatti. "Anche la luce è inammissibile" e dunque la
possibilità stessa del vedere salvifico, qui, in terra, fra i mortali che non
si voltano. Eppure Giorgio Bonacini, alla fine di questo trittico, un guizzo
nella speranza lo compie. E' come se facesse un passo indietro. O che
accettasse la propria esistenza e il principio che la tiene. "L'importante
è imparare a sperare" scrive Ernst Bloch. Ed è così, infatti, che tutto,
come per miracolo, si ricompone. Entro una cornice malmessa, precaria; entro
l'asprezza del naufragio. Di più non c'è alla fine del vecchio mondo. In
principio del nuovo, nel quale naufragio non è disperazione, ma l'andatura del
viandante che si sa mortale "attento al poco / che non fugga". Un
poco da approssimare, non da possedere. Con il quale compiere la pienezza del
naufragio, come un ulivo con cui cavalcare la deriva.
Sembra di scrivere il sonno
e distinguere il sonno dal sonno reale
I nomi si affollano
in suoni più simili a labbra
che a sogni –
si accalcano e urtano
e scorrono lacrime
in ciò che trattiene
o contiene il momento
in cui
forse
l’insonnia detesta
la febbre e il timore.
Chi pensa di vivere
e
scrive
divampa in un sonno
che sembra inventato
–
ma è solo per ridere
o affliggere
o dare calore a un risveglio
indicibile e
matto
a un potere inesausto
su un foglio abissale.
Allora tu esisti
in un luogo guardato
dal basso –
sbirciato
all’interno
di un rito sfrenato
di un crollo che
impegna
la vista e distrugge
il furore, e scombina
milioni di atomi
storce i pensieri e le dita.
Così la tua voce
che dorme in un soffio
è più attenta
e appuntita –
e può dire di un tuono
che impegna l’udito
soccorre la vista
e ricorda la neve
l’infanzia che prova
che chiama e impaurisce.
Il sogno dell’inverno è una finzione
rende l’acqua gelida e precisa
Fa finta una sera di spingerti
dentro, di immergerti
a fondo e sognare
nel sogno di un’altra
tempesta –
un’ immagine vera, ghiacciata
un odore di fango
e miseria incredibile, nera.
E riemergere poi lievemente
al disfarsi del mondo
una sera qualunque
–
un inverno in cui forse
volevi giocarci, passarci
la vita, provarci
e con l’acqua di quella
tempesta ballare e bagnarti.
Fa finta che tutto
sia fermo, inudibile, stanco
che il gelo non
luccichi
e il sogno non parli –
che nevichi
forte
e l’inverno sia un falco
un colore monotono, un albero
un morso, un pantano.
E in quel turbine tutto
sia danza feroce
acqua incoerente, malata
segnata da te in un torrente
che appare e scompare –
e tu, in forma chiusa
di muscoli a stento, fatica
di fulmine e torto, e vulcano.
Fa finta che qui nel
degrado
la schiuma sia lenta
sospesa,
disposta
a concedersi a tutto
per niente lontano –
capisci perché devo dirti
ti amo, stringiamoci
al melo, vaghiamo.
Ma non basta essere qui
dov’è possibile ascoltare il suo brusio
A volte il punto cardine
fissato da una stella
è un treno fermo –
la teoria che vedo solo in ciò
che scioglie e libera
e convoglia le sue corse
in tempi morti
esitazioni che trasformano
lo sguardo in un fulmineo
e debolissimo scrutare.
Il segno di un naufragio
si dirà, dove la sabbia
ci aderisce
inavvertita e ci confonde –
e nel brusio che assume
il tono di un silenzio
anche la luce è inammissibile
e inadatta, incattivita
in un oltraggio e resa inutile
tristissima, incruenta
Ma qualcuno arriverà
a considerare le distanze –
a ricreare un mormorio tanto
più libero e assoluto
da lasciarsi
dondolare, rafforzare
affievolire nel crescendo
del naufragio e aprire varchi
fenditure, prolungando la sua corsa
come un fulmine sa
fare.
E a volte non mi sembra
di resistere per sempre
parola senza lingua, ritmo
afasico, balbuzie
in cantilena senza fine –
a volte, nella notte
sconosciuta, attento al poco
che non fugga, mi concentro
studio il buio, guardo i gesti
di riflesso e vedo un buco.
(Aprile 2013)
Giorgio Bonacini è nato a Correggio (RE) nel 1955, dove vive e lavora.
Ha conseguito la laurea in estetica al DAMS di Bologna, con una tesi su Roland Barthes.
Negli anni Settanta-Ottanta ha fatto parte, con poesie visive, sonore, e performance artistiche, del gruppo "Simposio Differante".
Redattore della rivista 'Anterem' e ha pubblicato testi poetici e critici su varie riviste, tra cui: 'Parol', 'Poesia', 'Capoverso', 'Il Segnale', 'L'immaginazione'.
Presente sulle antologie:
Ante Rem, a cura di Flavio Ermini (con una premessa di Maria Corti), Verona, Anterem Edizioni, 1998;
Verso l'inizio, a cura di Andrea Cortellessa, Flavio Ermini, Gio Ferri (con una premessa di Edoardo Sanguineti), Verona, Anterem Edizioni, 2000;
Trent'anni di Novecento. Libri italiani di poesia e dintorni (1971-2000), a cura di Alberto Bertoni, Bologna, Book, 2005.
Libri di poesia pubblicati:
Non distruggete l'immondizia, Correggio, Edizioni Gabiot, 1976;
Teneri acerbi, con una nota critica di Giuliano Gramigna, Verona, Anterem Edizioni, 1988 (Premio Lorenzo Montano, 2a edizione);
L'edificio deserto, con una nota critica di Niva Lorenzini, Bologna, Edizioni di Parol, 1990;
Sotto la luna (con Giovanni Infelìse), Bologna, Book Editore, 1991;
Il limite, con una nota critica di Lucio Vetri, Bologna, Book Editore, 1993;
Falle farfalle (con disegni di Alberta Pellacani), Verona, Anterem Edizioni, 1998;
Quattro metafore ingenue, Lecce, Manni Editore, 2005;
Sequenze di vento, Le Voci della luna, 2011
Ha conseguito la laurea in estetica al DAMS di Bologna, con una tesi su Roland Barthes.
Negli anni Settanta-Ottanta ha fatto parte, con poesie visive, sonore, e performance artistiche, del gruppo "Simposio Differante".
Redattore della rivista 'Anterem' e ha pubblicato testi poetici e critici su varie riviste, tra cui: 'Parol', 'Poesia', 'Capoverso', 'Il Segnale', 'L'immaginazione'.
Presente sulle antologie:
Ante Rem, a cura di Flavio Ermini (con una premessa di Maria Corti), Verona, Anterem Edizioni, 1998;
Verso l'inizio, a cura di Andrea Cortellessa, Flavio Ermini, Gio Ferri (con una premessa di Edoardo Sanguineti), Verona, Anterem Edizioni, 2000;
Trent'anni di Novecento. Libri italiani di poesia e dintorni (1971-2000), a cura di Alberto Bertoni, Bologna, Book, 2005.
Libri di poesia pubblicati:
Non distruggete l'immondizia, Correggio, Edizioni Gabiot, 1976;
Teneri acerbi, con una nota critica di Giuliano Gramigna, Verona, Anterem Edizioni, 1988 (Premio Lorenzo Montano, 2a edizione);
L'edificio deserto, con una nota critica di Niva Lorenzini, Bologna, Edizioni di Parol, 1990;
Sotto la luna (con Giovanni Infelìse), Bologna, Book Editore, 1991;
Il limite, con una nota critica di Lucio Vetri, Bologna, Book Editore, 1993;
Falle farfalle (con disegni di Alberta Pellacani), Verona, Anterem Edizioni, 1998;
Quattro metafore ingenue, Lecce, Manni Editore, 2005;
Sequenze di vento, Le Voci della luna, 2011
Bellissime Giorgio. Denudano il dato oggettivo e nello stesso tempo lo sollevano da terra, portandolo all’altezza del cuore e degli occhi. Un’ adesione reale ( non un fare finta) alla parola e alla sua penetrante lucidità, al mondo e alla vita. Grazie Giorgio. E un caro saluto a te e a Stefano.
RispondiEliminaSilvia (Comoglio)
Leggero il modo per pensieri che non lo sono per niente..
RispondiEliminapreferisco l'ultima, dove il suono non cerca le rime, anche se hanno una bella naturalezza..
ho solo qualche dubbio sulla quantità di agettivi, se posso permettermi dal mio nulla..
grazie per queste bellissime poesie così rivelatrici del mondo senza veli che sanno essere paradossalmente lievi e dolorose, spietate e foriere di una qualche nuova vita come lo stretto passaggio di una possibilità inaspettata e vera.
RispondiEliminaPer Stefano - che ringrazio tanto per avere accolto le mie poesie e aver portato a galla alcuni nodi centrali
RispondiEliminacome la trasfigurazione dell'infanzia che "il fanciullino" contemporaneo, un po' rotto e un po' storto
cerca di stringere e soffiare in poesia, dove possiamo sentirci vivere, non in verità o in realtà, ma nel vero e reale di una scrittura e di una voce che prova costantemente a ricostruire il senso.
Per Silvia - che trova adesione reale tra parola e mondo,che è ciò che più preme a chiunque in atto di poesia.
Per Amara - che trova leggerezza di pensiero e suono,
tanto difficili da liberare in scrittura, e dubbi di un troppo, dove dovrebbe regnare il poco e una limpida povertà della lingua.
Per Fabia - che trova una rivelazione lieve e dolorosa
nei versi che sono vita che cerca se stessa nominando
contrasti e oscurità.
Per tutti un grazie
Ciao. Giorgio
bellissimo quel: ma allora tu esisti!
RispondiEliminaun brusio che accarezza l'intuizione, la trasforma, la ricrea, a bassa voce e con riguardo.
mi piace lo sguardo che va oltre, non si ferma alle prime "rappresaglie" sfida il vuoto
e non teme la rivincita.
i contrasti sono sempre il punto forte di ogni personalità, quando si incontrano.
Ti ringrazio Carla, per aver colto il senso del "brusio"
RispondiEliminadella lingua, nel senso in cui ne parla Roland Barthes:
un lavorio continuo che non fa rumore, ma avvolge e sfiora e accarezza anche quando è duro e contraddice.
La poesia dovrebbe anche essere questo. E se la mia un po' ci riesce vuol dire che lascia un segno.
Ciao. Giorgio
Non conosco personalmente Giorgio Bonacini, però abbiamo avuto occasione di scriverci qualche volta. Ripeto quello che gli scrissi una volta riferendomi all'esperienza voluttuosa che le vertiginose aggettivazioni delle sue poesie danno leggendole ad alta voce; la sua è una scrittura fatta di nessi alogici e di gangli nervosi di pura sensibilità, sorretta da un flusso verbale di tipo psicoanalitico e dove il poeta sembra levarsi un peso da dentro. C'è anche una grande capacità iconica nelle sue poesie, la stessa che troviamo in Spatola o in Bergamini.
RispondiEliminaAntonio Curcetti
Caro Antonio, la stima e l'attenta lettura da parte tua delle mie poesie, mi onora. E sentirmi paragonato a un
RispondiEliminamaestro di "poesia totale" come Adriano Spatola e a un amico mai dimenticato come Giacomo è qualcosa che mi emoziona tanto. Ti ringrazio. Ciao. Giorgio
Ciao Stefano,
RispondiEliminaoggi mi dai l'occasione per salutare Giorgio.
La tua introduzione alle sue tre poesie
è -come sempre, del resto- molto interessante.
La condizione di chi scrive poesia è sempre
su una soglia. Si affida a una voce che viene e
va sempre verso un'origine. Vorrebbe indicarla.
La fa quasi
immaginare o ricordare. E' scrivere il 'desiderio'.
Mi viene ora in mente quella canzoncina di
Biancaneve nel film di W.Disney che inizia
con "I sogni son desideri...". Probabilmente
Biancaneve aveva già conosciuto Freud. La parola
poetica arriva dalle zone di 'bianca-neve', anela
un riscatto, vede "un buco" che non si sa, però,
se sarà una via di uscita, un'ulterione inabissamento,
o un semplice.. nulla.
Giorgio ci porta lì, come hai notato, Stefano, proprio
per non illuderci come fa il sogno. La parola è
sempre innanzitutto 'materia', dice della materia,
non può che pesare come materia anche quando
sembra librarsi un po'. Ma, qualche volta, anche un
'far finta' può essere necessario, se serve a far spazio,
a fare un po' di pulizia.
Un caro saluto a te e a Giorgio,
armando bertollo
Ringrazio tutti gli ospiti per il contributo amicale e/o critico offerto.
RispondiEliminaCaro Armando, dici una cosa molto vera, ma credo poco considerata, quando si parla di poesia: "la parola è materia". Sì, la parola è l'atto concreto con cui il pensiero si dà vita, e la parola poetica imprime dentro questa materia il suo andamento originario de-comunicativo ma fortemente aderente al mondo che vuole construire. Se c'è utopia, credo che questa risieda primariamente nella voce pensante della poesia, senza illusioni, ma con coerenza immaginativa.
RispondiEliminaCiao. Grazie per le tue parole. Giorgio
continuo a provare molta ammirazione per i versi di Bonacini ogni volta che lo leggo: un autentico poeta dalla profondità raffinata o dalla raffinatezza profonda... Innanzitutto ringrazio Stefano che mi dà e già mi ha dato l'occasione di apprezzarlo qui nel suo blog.
RispondiEliminalucetta F.
Grazie Lucetta. Questo autunno scriverò anche del tuo ultimo libro.
RispondiEliminaun abbraccio!