Vorrei
limitarmi a chiarire in che cosa ha consistito, e continua a consistere, la mia
personale nozione di libro.
Sono
convinto che una raccolta, laddove non si tratti di un'opera prima, costituisca
innanzitutto un mezzo di segnalazione [...] corrisponda
all'esito di uno smarrimento. Il suo senso profondo risiede infatti nella
distanza dalla precedente, anzi, nell'averla definitivamente persa di vista. Il
nuovo testo è la testimonianza di un avvenuto disorientamento. [...] Il suo
valore sta nel non essere assimilabile a quello antecedente. Alieno, estraneo,
è un orfano dell'opera che lo ha preceduto, orfano dell'autore come si è fino a
quel momento configurato. Un libro nuovo deve inventarsi il proprio autore,
deve far sì che questi diventi capace di averlo scritto - dopo averlo scritto.
Un libro nuovo [...] non rappresenta la prosecuzione di una pratica, bensì, la
sua sospensione, o l'apertura di un'altra. È un atto di sradicamento, una
ammissione di incompatibilità, la richiesta inoltrata dal navigante circa la
possibilità di conoscere la propria posizione. Inoltrata a chi? All'autore
passato, vale a dire al sé scaduto.
Valerio Magrelli, Poesie (1980-1992) e altre poesie, Einaudi, 1996.
è talmente vera e profonda come riflessione che andrebbe copiata e tenuta sempre a portata di mano, accanto al proprio quaderno di appunti, per evitare la tentazione di ripetersi, di restare al sicuro.
RispondiEliminaInteressante. Condivido l'accento sul necessario superamento che ogni opera deve rappresentare nei confronti della precedente. Mi chiedo però se Magrelli calchi un po' troppo la mano, perché gli elementi di continuità ricorrono in ciascun poeta, a meno di cambiamenti radicali (quelli che fanno parlare di un primo e di un secondo Quasimodo, tanto per dire). Insomma: sì al cambiamento, ma a patto che non rinneghi (a meno di motivi profondi) la fedeltà alla propria voce e al proprio sguardo. Sono troppo idealista? succede lo stesso nella pittura: preferisco De Chirico a Picasso, l'arte della variazione e dell'allargamento continuo delle proprie premesse a quella della rottura eclatante. Ma in effetti, non credo che Magrelli si riferisca a rotture eclatanti, però l'idea che l'autore deve un po' reinventarsi la condivido.
RispondiElimina@ Lillo e Davide: un libro dovrebbe arrivare alla fine di un percorso. il fatto è che poi non sai mai quando il percorso l'hai concluso. In ogni caso, una filo rosso passa di libro in libro, ma anche il filo cambia. Perché non esiste il filo prima del libro. Ma senza il filo, il libro non nasce. (non so se sono stato chiaro :-)
RispondiEliminaE' chiarissimo, Stefano.In qualche modo infatti ci si muove restando se stessi, pur senza ripetersi.Un percorso di scrittura io però lo sento come un continuo viaggio, dove ogni libro è un tratto che attraversa territori inaspettati,di sicuro non artificiosi(sebbene frutto di inesausta ricerca,ma insieme sempre di un "dono")E dove ogni segmento di cammino non ha "quasi" nulla di simile a quello precedente. Ma sottolineo quel quasi, che è quel tuo filo, Stefano, quella traccia ineliminabile di interazione tra una stessa sostanza cerebrale creatrice -unica- di chi scrive, pure con la sua mutevolezza, e lo sterminato flusso-influsso dei movi/menti esterni sull'immaginario. Altrimenti ci sarebbe uno sdoppiamento ogni volta, o addirittura un annullamento, il che è impossibile.
RispondiEliminaTraccia o filo che sia,infatti, resta in ogni scrittura quel quid, stile o impronta o dna,che rende sempre riconoscibile l'autore in ogni suo libro.
Il passo, i passi che hai riportato corrispondono anche al mio concetto di "raccolta poetica", soprattutto quando Magrelli scrive che il libro corrisponde all'esito dello smarrimento, al mezzo di segnalazione a posteriori di un percorso fatto dall'autore (che è sempre lo stesso, è il filo).
RispondiEliminaUna pagina che ricordo bene e che per me è essenziale.
Francesco t.
Complimenti a Stefano per aver riportato questo passaggio di Magrelli, memorabile a mio parere perché cruciale: intendo dire la piccola morte rappresentata dal libro, la scadenza di sé. Una morte-o-scadenza che si nutre profondamente in se stessi e si rivolge segretamente a se stessi. Semplicemente perché si viva poi altro in altra - nuova necessariamente - forma. Non fosse altro per il testo depos(ita)to sulla pagina che solo un lettore può far vivere (e questa mi sembra la ragione della necessità - sempre - di un pubblico, piccolo che sia. Necessità del chiedersi: a chi mi rivolgo?)
RispondiEliminaIn fondo è l'essenza viaggio, il proseguire, questo ci dice Magrelli. Dunque, ancora: grazie.
Cristiano Poletti
Caro Stefano per me è una sorta di mantra questo incipit che inizia il volume antologico di Magrelli.
RispondiEliminaun caro saluto
Antonio B.
Ciao Cristiano, molto forte e vera l'immaginedle testo depos(ita)to.
RispondiEliminaOccorre dirlo, caro Antonio: sei stato tu a ricordarmi di questa pagina (letta e sottolineata da me qualche anno fa e poi dimenticata)
Figurati :-)
RispondiEliminaCerte cose non si dimenticano mai, rimangono nel fondo e poi, un giorno, all'improvviso si ripresentano, o da sole, o accompagnate da qualche forza fresca :-)
salutoni
Antonio B.
salutoni.
RispondiEliminaSe il “sé scaduto”, è un “falso sé”(Winnicott) è giusto che si chiuda.
RispondiEliminamargherita rimi
già!
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