mercoledì 11 gennaio 2012

Storia della poesia venezuelana novecentesca (prima parte)


                                           Caracas

Erika Reginato Muñoz, traduttrice, poetessa e critica letteraria, dona a Blanc un suo saggio inedito sul novecento della poesia venezuelana. Nei prossimi giorni, il seguito.                   

  I RUMORI DELLA POESIA IN VENEZUELA

Comincio con il raccontare la mia esperienza in quegli anni quando cominciavo ad ascoltare i primi rumori della parola in una città dove la contaminazione, la politica, il petrolio, la musica, la economia, il dinamismo della gioventù e l’Amazzonia misurano la poesia venezuelana. I poeti che trovai negli anni 90, appartenevano a voci che scrivevano nella modernità ma sempre nutriti della letteratura legata ad altri paesi del continente sudamericano e anche alla letteratura europea. La scoperta della tradizione era la sostanza che univa tutte le voci della poesia contemporanea e che cominciavo a recuperare nei libri della piccola biblioteca della Casa della Poesia Pérez Bonalde a Caracas, negli autori che percorrevano i corridoi della Casa Romulo Gallegos e della Università Centrale del Venezuela. La ricerca delle voci che avevo appena letto, rendeva omaggio alla letteratura venezuelana nel secolo XIX e XX. Noi, studenti, cominciavano ad attraversare lo spirito poetico e il contesto storico che si scriveva nella memoria con il modernismo di Rubén Darìo (Nicaragua, 1867-1916), l'ispano-americanismo di José Enrique Rodò (nasce in Montevideo, 1871 e muore a Palermo, 1917) e lo spirito romantico di poeti come Juan Antonio Pérez Bonalde (Venezuela, 1846-1892) con il poema “Ritorno alla Patria” e il rigore concettuale di Antonio Arráiz (Venezuela,1903-1962): La mia vocazione era quella di Carleton Willians / il chirurgo degli alberi. E il poeta Juan Liscano scrive: “se Whitman ha potuto commuoverlo, lo ha fatto anche Omero. La parola di Arráiz è diretta e corre con tutta la sua velocità”.
Il segno riflessivo della avanguardie lo aprono gli integranti del gruppo Viernes (Venerdì), nel 1936 che nella rivista “Válbula” scoprono il confronto surrealista e la risonanza verbale e libera senza limiti e si trovavano tra due generazioni. I suoi principali rappresentanti erano i poeti: Angel Miguel Queremel (1899-1939), Luis Fernando Álvarez (1901-1952), Pascual Venegas Filiardo (1911-xx) ,  Otto D'Sola (1908-1975), José Antonio Ramos Sucre (Cumana 1890-Ginebra 1930), maestro del poema in prosa, erudito, simbolico, Juan Antonio Pérez Bonalde (Caracas, 1846 -  La Guaira 1892), Fernando Paz Castillo (Caracas 1893-1981), Enriqueta Arvelo Larriva (Barinitas, 1886 - Caracas 1962) e Vicente Gerbasi (Carabobo, 1913- Caracas, 1992) una delle voci liriche più interessanti d’America latina, di origine italiane, con il poema “Mio padre, l’emigrante” (1943), che scrive:

Veniamo dalla notte ed alla notte andiamo.
Avvolta nei vapori, resta dietro la terra
dove il mandorlo vive, e il bimbo e il leopardo.
Dietro restano i giorni, con laghi, nevi e renne,
con adusti vulcani, e con selve incantate
dove albergano azzurre l' ombre del terrore.
Restano dietro le tombe, ai piedi dei cipressi,
sole nella tristezza delle stelle lontane
(…)

Con riferimento alla morte come punto di arrivo e punto di partenza, come forza e potere, Gerbasi scrive la poesia che spiega la superioritá eterna del Padre, l’essere superiore che fa, dei sentimenti infiniti, il sentimento interminabile su tutte le cose. L'immagine del Padre come protettore –  persona che ha rischiato nella distanza e che ha fondato la casa di famiglia lontano della terra natale – convive nella voce del poeta  Vicente Gerbasi. In uno dei suoi ultimi libri, ricordando la storia di un lungo viaggio e anche la sua nostalgica infanzia, scrive:  El solitario vento delle foglie (1989):

È nella notte piovosa,
a dieci anni,
io pensavo al grande viaggio.
Pioveva nei tempi dei sogni,
         tra le montagne.

Anche il poeta venezuelano Antonio Arraíz, nei primi versi di “Canti ribelli”, nomina il padre conferendogli un'essenza eroica:

Alto come torre, duro come blocco
stabile come sublime, forte come Padre. (...)

Con queste parole il poeta si riferisce a un uomo capace di affrontare la vita. É un eroe che rappresenta la grandezza universale. Enriqueta Arvelo Larriva sviluppa il mito paterno che trascende tra il buono e l'orrendo, tra l'incertezza e la realtà credibile della fede, che si trova insieme alle visione del paesaggio o dello spirito religioso.  Scrive in “Casa della mia infanzia”:

Mio padre fu sempre un uomo, vero
forte, alzato, senza aureola

É l'uomo che protegge non soltanto l'umanità terrena, ma che ha superato il limite, diventando eterno, così che religiosità supera la materialità e il conoscibile. Si può dire allora che nel poeta José Barroeta (rettore della Scuola di Lettere della Università di Mérida e nato nella provincia di Trujillo, 1942 – Mérida, 2006) si sviluppa il mistero del lutto e del dolore che accompagna la forma di morire nella poesia Néstor:

            Se non mi ami, uccido mio padre.
            Lo lascerò cadere giù per le scale e vedrò
            come il suo cranio annoso scorre precipitato
            tra piccole file.
            Guarderò quello che sempre ho desiderato, la sua memoria…

  Quello più antico, il più ancestrale, si ricupera attraverso il soffio della morte. La memoria paterna nasce e muore come origine della vita. È la sostanza irraggiungibile che esiste tra cielo e terra.  Néstor, figura paterna, saggia, ha sorpassato gli anni, e già sa il mistero incedibile per i mortali. È il poema della confessione, di quello non detto di fronte alla vita solo nel oscurità che guarda in alto.
           
Mio padre riscopre una storia dove passa l'ombra
            di una notte magica (…)
 
 Alla fine degli anni Cinquanta e negli anni Sessanta, sorgono gruppi che vivevano in mezzo alla crisi politica (l’equilibrio della nuova democrazia) e sociale di una “Venezuela Saudita”: il boom petrolifero. Sono stati tempi di misura della contemporaneità, anni che stabilivano una libertà nell’esplorazione del linguaggio e di gruppi come Sardio e di Tabla redonda (1959). I progetti culturali si rifugiavano nelle riviste letterarie Válvula, Contrapunto e El ingenioso hidalgo. L'importanza di queste riviste sta nell'aver tradotto autori come Rilke, Valery, Rimbaud e Eliot. Ricordiamo I poeti della generazione degli anni Sessanta: Gustavo Pereira (1940) che si laureò nell'Università di Parigi e Alfredo Silva Estrada (Caracas 1933 - 2009) che viaggiò a Francia in questi anni; entrambi grandi traduttori. Pereira scrive versi che colpiscono l'intorno sociale:

Sono uscito a lottare però hanno vinto le furie.
Ho cercato nel fondo però la luce diminuiva
Sono salito a respirare
ma in tutta l'aria c'era sabbia (...)

Silva Estrada da un altro angolo scrive versi di perfezione e astrazione geometrica. La sua è una ricerca molto personale:

Essere il dentro e il fuori di questa luce

sfioro
(in questo circolo)
piegato in pensiero


1 commento:

  1. é cosí come la ho vista e la vedo, i poeti che abbiamo trovato nella Casa della Poesia Peréz Bonalde era l'inizio della ricerca della gioventú ma adesso é la via piú sicura che ho trovato per vivere la Parola.

    RispondiElimina