Caracas
Erika Reginato Muñoz, traduttrice, poetessa e critica letteraria, dona a Blanc un suo saggio inedito sul novecento della poesia venezuelana. Nei prossimi giorni, il seguito.
I RUMORI DELLA POESIA IN VENEZUELA
Comincio con il raccontare la mia esperienza in quegli anni quando
cominciavo ad ascoltare i primi rumori della parola in una città dove la
contaminazione, la politica, il petrolio, la musica, la economia, il dinamismo
della gioventù e l’Amazzonia misurano la poesia venezuelana. I poeti che trovai
negli anni 90, appartenevano a voci che scrivevano nella modernità ma sempre
nutriti della letteratura legata ad altri paesi del continente sudamericano e anche
alla letteratura europea. La scoperta della tradizione era la sostanza che
univa tutte le voci della poesia contemporanea e che cominciavo a recuperare
nei libri della piccola biblioteca della Casa della Poesia Pérez Bonalde a
Caracas, negli autori che percorrevano i corridoi della Casa Romulo Gallegos e
della Università Centrale del Venezuela. La ricerca delle voci che avevo appena
letto, rendeva omaggio alla letteratura venezuelana nel secolo XIX e XX. Noi,
studenti, cominciavano ad attraversare lo spirito poetico e il contesto storico
che si scriveva nella memoria con il modernismo di Rubén Darìo (Nicaragua,
1867-1916), l'ispano-americanismo di José Enrique Rodò (nasce in Montevideo,
1871 e muore a Palermo, 1917) e lo spirito romantico di poeti come Juan Antonio
Pérez Bonalde (Venezuela, 1846-1892) con il poema “Ritorno alla Patria” e il
rigore concettuale di Antonio Arráiz (Venezuela,1903-1962): La mia vocazione era quella di Carleton
Willians / il chirurgo degli alberi. E il poeta Juan Liscano scrive: “se
Whitman ha potuto commuoverlo, lo ha fatto anche Omero. La parola di Arráiz è
diretta e corre con tutta la sua velocità”.
Il segno riflessivo della avanguardie lo aprono gli integranti del gruppo Viernes
(Venerdì), nel 1936 che nella rivista “Válbula” scoprono il confronto
surrealista e la risonanza verbale e libera senza limiti e si trovavano tra due
generazioni. I suoi principali rappresentanti erano i poeti: Angel Miguel
Queremel (1899-1939), Luis Fernando Álvarez (1901-1952), Pascual Venegas Filiardo
(1911-xx) , Otto D'Sola (1908-1975),
José Antonio Ramos Sucre (Cumana 1890-Ginebra 1930), maestro del poema in
prosa, erudito, simbolico, Juan Antonio Pérez Bonalde (Caracas, 1846 - La Guaira 1892), Fernando Paz Castillo
(Caracas 1893-1981), Enriqueta Arvelo Larriva (Barinitas, 1886 - Caracas 1962)
e Vicente Gerbasi (Carabobo, 1913- Caracas, 1992) una delle voci liriche
più interessanti d’America latina, di origine italiane, con il poema “Mio
padre, l’emigrante” (1943), che scrive:
Veniamo dalla notte ed alla
notte andiamo.
Avvolta nei vapori, resta dietro la terra
dove il mandorlo vive, e il bimbo e il leopardo.
Dietro restano i giorni, con laghi, nevi e renne,
con adusti vulcani, e con selve incantate
dove albergano azzurre l' ombre del terrore.
Restano dietro le tombe, ai piedi dei cipressi,
sole nella tristezza delle stelle lontane (…)
Avvolta nei vapori, resta dietro la terra
dove il mandorlo vive, e il bimbo e il leopardo.
Dietro restano i giorni, con laghi, nevi e renne,
con adusti vulcani, e con selve incantate
dove albergano azzurre l' ombre del terrore.
Restano dietro le tombe, ai piedi dei cipressi,
sole nella tristezza delle stelle lontane (…)
Con
riferimento alla morte come punto di arrivo e punto di partenza, come forza e
potere, Gerbasi scrive la poesia che spiega la superioritá eterna del Padre, l’essere
superiore che fa, dei sentimenti infiniti, il sentimento interminabile su tutte
le cose. L'immagine del Padre come protettore – persona che ha rischiato nella distanza e che ha fondato la casa
di famiglia lontano della terra natale – convive nella voce del poeta Vicente Gerbasi. In
uno dei suoi ultimi libri, ricordando la storia di un lungo viaggio e anche la
sua nostalgica infanzia, scrive: El
solitario vento delle foglie (1989):
È nella notte piovosa,
a dieci anni,
io pensavo al grande viaggio.
Pioveva nei tempi dei sogni,
tra le montagne.
Anche il poeta
venezuelano Antonio Arraíz, nei primi versi di “Canti ribelli”, nomina il padre conferendogli
un'essenza eroica:
Alto come torre, duro come blocco
stabile come sublime, forte come Padre. (...)
Con queste
parole il poeta si riferisce a un uomo capace di affrontare la vita. É un eroe
che rappresenta la grandezza universale. Enriqueta Arvelo Larriva
sviluppa il mito paterno che trascende tra il buono e l'orrendo, tra
l'incertezza e la realtà credibile della fede, che si trova insieme alle
visione del paesaggio o dello spirito religioso. Scrive in “Casa della mia infanzia”:
Mio padre fu sempre un uomo, vero
forte, alzato, senza aureola
É l'uomo che
protegge non soltanto l'umanità terrena, ma che ha superato il limite,
diventando eterno, così che religiosità supera la materialità e il conoscibile.
Si può dire allora che nel poeta José Barroeta (rettore della Scuola di
Lettere della Università di Mérida e nato nella provincia di Trujillo, 1942 –
Mérida, 2006) si sviluppa il mistero del lutto e del dolore che accompagna la
forma di morire nella poesia Néstor:
Se non mi ami, uccido mio padre.
Lo lascerò cadere giù per le scale e
vedrò
come il suo cranio annoso scorre
precipitato
tra piccole file.
Guarderò quello che sempre ho
desiderato, la sua memoria…
Quello più antico, il più ancestrale, si
ricupera attraverso il soffio della morte. La memoria paterna nasce e muore
come origine della vita. È la sostanza irraggiungibile che esiste tra cielo e
terra. Néstor, figura paterna, saggia,
ha sorpassato gli anni, e già sa il mistero incedibile per i mortali. È il
poema della confessione, di quello non detto di fronte alla vita solo nel
oscurità che guarda in alto.
Mio padre riscopre una storia dove passa l'ombra
di una notte magica (…)
Alla fine degli
anni Cinquanta e negli anni Sessanta, sorgono gruppi che vivevano in mezzo alla
crisi politica (l’equilibrio della nuova democrazia) e sociale di una
“Venezuela Saudita”: il boom petrolifero. Sono stati tempi di misura della
contemporaneità, anni che stabilivano una libertà nell’esplorazione del
linguaggio e di gruppi come Sardio e
di Tabla redonda (1959). I progetti
culturali si rifugiavano nelle riviste letterarie Válvula, Contrapunto
e El ingenioso hidalgo. L'importanza di queste riviste sta nell'aver
tradotto autori come Rilke, Valery, Rimbaud e Eliot. Ricordiamo I poeti
della generazione degli anni Sessanta: Gustavo Pereira (1940) che si
laureò nell'Università di Parigi e Alfredo Silva Estrada (Caracas 1933 -
2009) che viaggiò a Francia in questi anni; entrambi grandi traduttori. Pereira
scrive versi che colpiscono l'intorno sociale:
Sono uscito a lottare però hanno vinto le furie.
Ho cercato nel fondo però la luce diminuiva
Sono salito a respirare
ma in tutta l'aria c'era sabbia (...)
Silva Estrada da un
altro angolo scrive versi di perfezione e astrazione geometrica. La sua è una
ricerca molto personale:
Essere il dentro e il fuori di questa luce
sfioro
(in questo
circolo)
piegato
in pensiero
é cosí come la ho vista e la vedo, i poeti che abbiamo trovato nella Casa della Poesia Peréz Bonalde era l'inizio della ricerca della gioventú ma adesso é la via piú sicura che ho trovato per vivere la Parola.
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