martedì 31 maggio 2011

Lara Lucaccioni


Per quanto, e in parte a ragione, Renata Morresi parli della poesia di Lara Lucaccioni nei termini di alleanza fra "voce poetica" e "forze ctonie", di "figura mitica primigenia" in cui "l'eros si confonde con l'anelito mistico", difficile radunare E i seni azzurri (Perrone LAB, 2009) nell'alveo della poesia mistica femminile contemporanea. E ciò in quanto Lucaccioni tiene sempre la briglia del controllo razionale, anche quando si spalanca all'eros. Un controllo esercitato dall'occhio, anzitutto, dall'attenzione per il dettaglio, dal preferire la descrizione alla fusione, lo snocciolamento della sequenza all'annullamento del tempo: viviseziono il nome, dice ad un certo punto per via emblematica, ossia agisco scientificamente sull'oggetto mio proprio (la poesia), per poi annusarlo, riaprendo così la strada animale della donna strega, cui allude la Morresi.

A mio avviso, la poetica di questa autrice marchigiana, pur tenendo vive entrambe le voci, sacrifica in parte quella ctonia in favore di quella del discernimento, quasi per curarsi da un abbandono, il cui dolore può essere parzialmente vinto soltanto facendosene una ragione, mutando il mito in logos, la forza generativa dell'eros in racconto di un amore perduto. Il medicamento ottenuto con la parola civile pare qui indispensabile per sopportare la sensazione d'esser preda, in balia di un Ulisse che non ritorna. La Scrittura-tela netta la ferita non soltanto scegliendo il tema del ricamo, ma anche fin tanto che la tessitrice può prendersi cura dei suoi nodi, nello specifico, del metro, chiuso dal settenario e dall'endecasillabo, che danno vita ad un recinto retorico in cui il divergere doloroso dell'essere si geometrizza, trattenendo in questo spazio anestetizzante il grido, la disperazione, sino a scioglierla in canto, sia pur trattenuto e, a volte, franto.

Anche la seconda parte del libro, dopo il canzoniere d'amore imbastito nella prima parte, mantiene volutamente viva la distanza dal centro, scoprendolo inautentico, giacché costituito dalla chiacchiera e dall'ipocrisia contemporanea (mentre prima, l'Ulisse, pur "sporco" e con "la barba lunga", è presenza salvatrice per quanto padrona). Il sentimento d'indecisione rimane, montaliano ("Sento il passo decisivo di chi sa / dove andare e ci va, senza fiatare, / io no, io resto ferma e forse arranco"), ma lo spirito critico si fa avanti, così come, appunto, la sicurezza consolatoria di essere differente dalla masnada di cittadini integrati, di consumatori d'immagini stereotipate, dagli ingiusti narcotizzati dal progresso.

In definitiva, mi sembra che, in questa opera prima, maschile e femminile interagiscano fecondamente, il primo incidendo retoricamente il corpo della lingua e anche analizzando con freddo raziocinio il reale, il secondo arricchendo tale esercizio con l'afflato dei sensi, della pelle affacciata sul mondo, restituendo in tal modo l'interezza della persona, la sua relazione archetipica con la realtà.




Oggi è silenzio, solo bianco e carta,
ricordi corti dove si provava
la voce da telefono, le strisce
di senso che coglievo tra le risa

e un “bella” a indovinare il tempo e il sesso
sincronico di noi sere a venire.
Mi chiedo nuove prove di parole
per vedere se riesco a immaginare

quel che già è nella mia testa e resta
si fa dettaglio, pelle che si sfiora,
linee di nei come costellazioni

sguardi streganti, mente dirottata,
due tazze colazione e ancora il letto
lo stesso scivolare nella notte.



Le età di Lulù



Pallina rossa sulla bocca arsa
e nastro nero che mi benda gli occhi,
sei giunto all’osso non c’è proprio altro,
che vertebre che scattano sonore
ed organi a eseguire sacri Requiem

E mi fletto giunchiglia, onda e riflusso,
dilato e prosciugo anse di fiumi
e campi arati e ceneri cosparse.
E cura tu mi attacchi sanguisuga,
di me affamata ancora l’aria e l’ombra
e sangue che confonde il mio col tuo.
Ti so, però, nel buio del mio sguardo
sai di odore, di umido e respiro
e poi hai l’aria sicura, sempre più
ora che stento, non vedo, ma ti so.

Sappi che non conosco altro che te
sotto la pelle, intorno, dentro e fuori
la riconoscerei tra tutte la tua mano
che sola viene a me, ancora sola.



**



non io, io non più, non ci sarò
a leggere le mani di nascosto
che ti tengo e attraverso ti indovino
anche solo dal calore imprevisto

ma ho riempito il vaso fino all'orlo
è morto annegato da troppa cura
senza misura del tempo passato
di quando stai a guardare solo il niente

sono andate lontano le parole
neppure loro sanno bene dove
e chi resta diventa muto o sordo

e mi ricordi che non sono quella
che credevo o credevi, che parlava,
quella che le ringraziavano gli occhi



Reset


Tre pagine di word sono bastate
a contenere un anno di tue assenze
son tutti lì, è seme e seme, ecco
sono la luna e poi non son nessuno
sono le parti dell’intero, tutte,
e poi pezzi di me, così, a casaccio
sono la dea la vergine la strega
e poi quella che non perdona affatto
sono latte carezze baci e lingue
e poi un giro di casa con il gatto
sono le mani tue quando mi stringi
e lacrime sul letto la mattina



**


La scoperta dell’alba
mentre sto lì che dormo
ancora e non ritrovo
il tempo che mi aspetta

sotto il lenzuolo resta
il giorno potenziale
quello che dovrei fare
per credere lo stesso




**



L’unica certezza è il nome sul quaderno bianco
Sta di sasso, è il nome di suo nonno,
l’altro, quello andato in guerra e risposato.
L’altra faccia di lui è il figlio
di quel figlio di quel nonno
Stesso orecchio a campana, la spalla un po’ cadente,
le mani a setacciare sassi che mangiano diamanti,
le schegge sulla pelle, la barba appuntita dall’arsura
tre sampietrini storti tra strisce di asfalto rado
e altre carezze e macchine più oltre




Marche


Sfrigolano le albe e odorano di fritto
accarezza il passo l’abside svettante
e i seni azzurri e il quadro e il sonno sotto



Lara Lucaccioni nasce nel 1974 e vive a Macerata. E’ dottore di ricerca in Conservazione dei Beni culturali e si è occupata di storia dell’arte moderna, in special modo marchigiana, specializzandosi su Carlo Crivelli e sulla scuola di Camerino del Quattrocento E’ stata attrice e di recente è andata in scena ne “Il Monaco” di Alessandro Seri (febbraio 2010). Finalista al Premio Fiurlini 2008, ha vinto il premio di poesia indetto dall’associazione Tapirulan per il 2008 e la sezione “Opera di Poesia” della II edizione del concorso Fili di parole indetto da Giulio Perrone editore (2009), col quale ha pubblicato il suo primo libro “E i seni azzurri” (2009). Ama molto performare le sue poesie e si è avvicinata anche alla regia, lavorando a un ciclo di corti poetici.

E’ socia fondatrice di Licenze poetiche, l’associazione che cura il Licenze poetiche festival di Macerata, e, nel 2010, di ADAM (Accademia delle Arti Macerata).

4 commenti:

  1. Ringrazio moltissimo Stefano per la nota critica puntuale e complessa. Ciò che scriviamo, quando viene pubblicato, non ci appartiene più totalmente ed è sempre molto interessante scoprire le scelte e le preferenze degli altri, cosa "leggono" in ciò che abbiamo scritto, in come lo abbiamo scritto.
    Mi sembra si sia colto perfettamente nel segno quando si dice che cerco di controllare logicamente e razionalmente ciò che in realtà non lo è, ciò che sfugge inevitabilmente dalle mani, perché tutto diviene in ogni momento e fermarlo è spesso un atto impossibile, e forse anche inutile.
    La scelta del metro dimostra di certo questa ricerca del controllo su tutto e forse spesso gli è stato affidato proprio un argine al caos delle cose e degli eventi, come se sapere che ci sia un'esattezza della forma cui aggrapparsi sia di momentaneo sollievo.

    Grazie ancora per tutti gli spunti di riflessione forniti

    Lara

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  2. forse il taglio che ho datto è troppo "psicologico", ma è comunque una possibile lettura. E' la somma dei punti di vista sull'opera che avvicina alla natura della stessa. Natura per forza fuggevole, non essendo oggetto, bensì "evento".

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  3. renatamorresi3/6/11 10:56

    sì, è una lettura molto convincente. in effetti la poesia di lara non sta semplicemente nella tradizionale polarità femminile-maschile come allegoria dell'incontro/scontro natura-cultura, corpo-razionalità, ma incrocia anche la traiettoria speculare: la ricerca di controllo contro la forbice doppia del logocentrismo, da una parte, e dell'ignavia, dell'incosapevolezza, dall'altra ("la pura mente" e "il sonno sotto"). ecco perché non può non riversarsi nei temi civili.
    da qualche parte devo averlo accennato, dicendo che comunque la voce poetica di lara non si identifica con l'ordine biologico-pulsionale ma cerca di costruire un soggetto che diventi ella stessa "padrona" del verbo.
    ma, stefano, tu hai decifrato questo movimento molto più esplicitamente e coerentemente, ti ringrazio per questo.
    un saluto caro,
    renata

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  4. cara Renata, ti ringrazio io per questo bell'intervento!

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