foto di Dino Ignani
Le poesie di
Raffaela Fazio, anche e soprattutto in questo L’ultimo quarto del giorno (La Vita Felice 2018), tendono a
significare una reciproca compenetrazione tra mondo umano e naturale. E lo
fanno con una misura talmente precisa che la penetrazione (nel fondo oscuro,
nelle sedimentazioni dell’animo e nel labirinto della mente) avviene attraverso
la mappatura delle superfici, secondo un passo e secondo moduli che possiamo
definire della messa a fuoco più nitida. Così che temi di vasta portata, e di
costante implicazione esistenziale, si fissano in componimenti pieni di luce e
di colori.
I versi
netti e rigorosi ci immettono, ogni volta di incanto, in una dimensione
autoriflessiva che quasi inavvertitamente si interroga sul mistero delle cose e
sul significato della vita mentre ne subisce il fascino, per la legge
dell’inversamente proporzionale. E il taccuino degli appunti e delle
annotazioni è, insieme, l’album della memoria critica, l’almanacco della
propria condizione e il diario delle pagine privilegiate trascelte a comporre
(e a verificare, a interrogare, a mettere sotto esame) il senso di una vicenda
e di una vita.
Tema
centrale in tutta la poesia di Raffaela Fazio è, a ben guardare e oltre
l’apparente silenzio (che è, poi, la voce del segreto e del mistero: “va
riportata / ogni prova di amore / al mistero”), il tempo: termine ineludibile
del confronto, enigma esistenziale, l’altra faccia della medaglia, vuoto di
assenza in cui precipitano errore e disguido, ma in cui si scioglie anche il
doppio senso della vita (“noi siamo vivi, fatti di tempo / e il tempo è fatto a
nostra misura”). Perché l’orizzonte resta comunque aperto nella continuità
ultraindividuale, in una dimensione che proprio l’improvvisa illuminazione
poetica ci fa scoprire a un tratto con inattesa evidenza come indistruttibile.
Esiste una
condizione psicologica di confronto consapevole con il vuoto che assedia l’uomo
e sottrae credibilità alle sue fedi, che in poesia si esprime come tentativo di
restituire alle funzioni verbali la razionalità altrimenti, nella vita,
insidiata e smarrita. Senza, con questo, inibire alla parola le virtù liriche,
evocative, fantastiche, anzi concentrandole e come allineandole alla retta
obliqua che attraversa da una parte all’altra la propria personale esperienza
di vita. È il caso appunto di Raffaela Fazio, in tutto il percorso di questo
libro coinvolgente. Ma, rispetto al procedimento più “visionario” che
caratterizzava certe sue prove precedenti, l’autrice è andata ricomponendo “l’instabile
profilo del presente” come la consistenza materiale delle cose, degli oggetti e
delle persone, proprio contro quello spettro del vuoto con cui si è sempre
misurata la sua poesia e attraverso il progressivo uso oggettivante e
oggettivato dei quadri delle sue immagini lampeggianti.
Qui una riflessione filosofico-religiosa dell’autrice.
Ti
parlo
come
l’erba
alle
pietre
tra
cui s’insinua
finché
il muro
cede
dove
lei cresce,
più
umida la sera.
Nelle
tue crepe
nella
tua immota fuga
ch’io
sia
quel
corpo estraneo
vivo
attorno
a cui ti sfaldi.
E sul
confine
che
segni involontario
sia
dolce anche l’incuria
la
rovina
il mio
verde
abbracciato
alle
macerie.
*
Nella
vita pare che tutto
vada
restituito.
Il
crollo del corpo
alla
sua lievità
il
dolce di un labbro
alla
prima matrice
il
fuoco guerriero
al
fodero di pace
la
bellezza (sempre)
all’alterità
la
verità di un’arte
all’insieme
e l’insieme
alla
più piccola parte.
Va
riportata
ogni
prova di amore
al
mistero
e
lasciata
fuori
dall’inventario
una
cosa soltanto
un
fendente di gioia
assoluta
insolente
non
necessaria.
*
Quando
un uomo
si sveglia
nella
notte capisce
che
non basta a se stesso.
Lo
ferisce l’assenza
come
un fianco strappato
che
era argine al buio
e lo
tenta un possesso
una
terra abitata
la
fortezza di un nome
scandito.
Ma salvezza
sarebbe
al contrario
il
donarsi – sorretto dal vuoto –
di un
bordo
all’altro
contiguo
stupito
come
di barca in barca
passa
la luce
dall’acqua
all’infinito.
*
(per i miei bambini, maggio 2016)
Il mio
tempo
cammina
sul crinale.
Ritenta
l’equilibrio
tra
gli opposti:
una
valle nascosta lo precede
una
piana gli succede
lo
trascende.
Quando
il mio tempo
pende
sul
più azzurro versante
intravede
la sua
stessa fine
il suo
segno più in basso
come
il rotolare
di un
sasso
nell’erbetta
nuova.
E nella vita
che
senza me prosegue
forse
un ricordo
di
quel lieve
franare:
prova
in
fondo
che
oltre la morte
solo
l’amore
è
guardia di frontiera.
*
Al Dio ignoto
Lascia
che dentro Te
integra sabbia
io
pianti la punta
come
anfora d’argilla nella stiva
un
poco storta.
Ma fa’
che mai non abbia
la
certezza
se sia
d’amara oliva
o
d’uva
il
sangue
che in
me questa natura
a
un’altra meno labile pienezza
già
trasporta.
Raffaela Fazio, nata ad
Arezzo, vive e lavora a Roma come traduttrice. Laureata in Lingue e Politiche
europee a Grenoble e specializzata in traduzione/interpretariato a Ginevra, ha poi conseguito a Roma un diploma in Scienze religiose e
un master in Beni Culturali.
Ha pubblicato diverse opere di poesia. Gli ultimi tre libri sono: “L’arte di cadere” (Biblioteca dei Leoni, 2015), “Ti slegherai le trecce” (Coazinzola Press, 2017) e “L’ultimo quarto del giorno” (La Vita Felice, 2018).
Ha pubblicato diverse opere di poesia. Gli ultimi tre libri sono: “L’arte di cadere” (Biblioteca dei Leoni, 2015), “Ti slegherai le trecce” (Coazinzola Press, 2017) e “L’ultimo quarto del giorno” (La Vita Felice, 2018).
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