Nota ridotta dell’autore
Nell’estate 2012 ero a Bilbao, nei Paesi Baschi, tra il pubblico di una
conferenza;
si discuteva sulla ricerca che ha confermato l’esistenza del Bosone di
Higgs. Il relatore introdusse l’idea di un esperimento per capire come sia
fatto un oggetto: scagliarlo contro un muro, e poi raccoglierne e studiarne i
pezzi. O, ancor meglio, scagliarlo contro un altro oggetto identico: così, dopo
lo scontro si troverebbero solo frammenti dell’oggetto, senza frammenti di muro che ne confonderebbero lo
studio. […]
In questo libro, scritto durante il mio soggiorno di
un anno a Bilbao, si tentano due esperimenti simili: si
scagliano il presente contro il futuro
e la lingua italiana contro altre lingue straniere. I pezzi che risultano da
questi scontri non si possono analizzare come i frammenti di materia negli
acceleratori di particelle, né apriranno visioni sulla natura dell’Universo.
Sono testi che aspirano ad uno spazio minimo, per guardare dal basso al futuro
della lingua, o meglio, alle forze unilaterali (e deterioranti) che agiscono
nel tempo sulla lingua. Inoltre: la scienza del giorno d’oggi si scontra con le
strutture di potere entro le quali opera. A differenza delle due citate prima,
questa collisione, nel libro,non fa parte del metodo né dello scopo: piuttosto
lo origina lo permea .[…]
Ora, uno studio basato su
collisione e successiva raccolta e disamina di frammenti, sia in scienza che in
poesia, può generare una certa oscurità: sia perché il metodo presuppone la
distruzione delle strutture che studia, sia perché una serie di frammenti
rischia di far perdere il senso dell’insieme.[…]
Recensione di Cristina Annino
Per
le edizioni di Gattomerlino, Roma, è appena uscito - marzo 2014- il libro di
poesie Vamosaver di Pietro Roversi.
Nel 2010 lo stesso autore aveva pubblicato con l’editore Puntoacapo (Novi
Ligure) la sua raccolta di esordio: Una
crisi creativa.
Vamosaver è un libro che consiglierei di leggere a tutti, non
solo ai poeti. Libro particolarissimo, divertente, fuori da ogni genere, che meritava perlomeno
il consiglio dell’editore di mettere come introduttiva l’originalissima nota di
Roversi, sistemata invece in fondo al volumetto. Sarebbe stata utile per godere
meglio questi testi che appunto schizzano su da un esperimento linguistico che
non ha nulla da invidiare alla scienza, ma al quale solo uno scienziato poteva
pensare.
Consiglierei la lettura ai poeti di tanta
poesia stanca, che ritengono la poesia un travaglio di parole serie, di
etimologia, di comprensibile classicità (rispetto per una tradizione dalla quale escono nudi).Queste
parole che ho pronunciato tante volte, qui hanno una consistenza diversa.
Lo
consiglierei ai tristi poeti che puntano solo su se stessi e sulle proprie
emozioni; lo consiglierei ai poeti cosiddetti comici, per mostrare quanto sia
meglio far sorridere che ridere, perché questo è troppo facile e non ci sposta
dal sistema di cui è serva, la risata, a pensarci, è sempre complice, mentre l’autore apre con semplicità finestre alternative alla
“postura” di simili autori.
Roversi
solo apparentemente sembra divertirsi, con la
sua musica a volte rap, a volte meno intonata, distratta anch’essa
apparentemente, oppure magari si diverte, non conta questo; conta il fatto che
comunque ci offre il risultato di come situazioni o persone, possono vivere una
vita traslata in poesia dopo che è avvenuto uno
scontro tra un’impostazione tradizionale e ciò che non ha più alcuna
ossatura. Attua tale effetto generando un impatto tra la sua
concezione di linguaggio, e ciò che non è più lingua. Ci fa capire infatti, con
una grazia solida, che anche l’intero
vocabolario italiano organizzato in componimenti poetici, ha troppo spesso la
caratteristica sfortunata di non “esistere”; che la lingua può continuare a mantenersi
viva solo dopo uno schianto contro qualcosa di assolutamente diverso da sé.
Diventando qualcos’altro. Che questo potrebbe essere comunque un inizio.
Roversi da l’avvio, è come se mostrasse la strada; poi staremo a vedere.
Di
questo parla nella nota finale del libro: immagina di usare quella parte di linguaggio che
rimane dopo un esperimento provocatorio anche a fini solo scientifici. Già il
pensiero di crederlo possibile, anche metaforizzandolo, da l’idea di una istallazione poetica. Oppure un immaginario
happening che ci faccia vedere la nascita del suo metodo attraverso una
performance attuata dalla poesia stessa.
Affascinante
perché provocatorio senza eccessi,
snodato quanto lo è la musicalità con cui parla, dimostra che l’arte è infatti il contrario esatto
della codificazione, utile solo per i rapporti tra persone nella vita
quotidiana, le quali ovviamente possono comunicare con un’intesa anche
formalmente logica. A questo forse già molti erano arrivati e da tempo.
Significativo e, a mio giudizio, importante è che lui faccia di due metodi un
metodo solo. Affermando che nella poesia, come nella musica, pittura, nell’arte
insomma, ogni linguaggio d’uso comune
deve spaccarsi contro la barriera di una elaborazione ritenuta decisamente contraria, quella
scientifica per esempio, in una collisione che genera soprattutto diversità espressiva.
Farei leggere questo libro di Roversi ai
poeti sacri, che si impegnano di dare
il massimo di dignità a un idioma che loro non sono più capaci di far muovere e
non si sono ancora accorti, insisto volutamente, di quanto una sperimentazione
totalmente opposta passi attraverso
un’elaborazione molto simile a ciò che dovrebbe definirsi la “poetica”
di un autore. Perchè la poesia può contenere tutto, se di poesia vogliamo
parlare.
“Il
segreto del dogma è averlo giusto,/ quello naturale per esempio, ma/ di rado
c’entra il punto chi è così/ insicuro e
vocale. Innaturale, appunto./ Bulli e pure citrulli.” pag. 21
Vamosaver è di facile lettura,
per gli occhi e per la mente di chi vuol accettare sensazioni nuove;
resta più duro ricavarne un senso di unità globale. Ma forse a Roversi non
interessa la progettualità del libro, interessano più le poesie che hanno,
volta a volta, una risoluzione propria.
Per questo potrebbe apparire come un
gioco sperimentale. Ma non dovremmo commettere il facile errore di definire gioco tout-court ciò che obbliga
il lettore a fare un passo avanti o di lato,
che insomma lo invita a spostarsi dal suo luogo fermo. La vitalità del
libro è tale che sfugge a ogni termine di contenzione, necessario per i
liquidi, ma allergico per i solidi.
Il libro è introdotto da un saluto Aupa! e termina con un commiato Agur! in lingua basca. Già questo modo
di offrire le sue composizioni, di aprirle
e chiuderle dentro una diversità
linguistica, oltre al sapore di novità
ha quello di movimento scenico. Di divertissement. Niente come il sorriso o lo
sberleffo genera pensieri profondi!
Il corpo delle poesie è diviso in tre sezioni: “Discendenti”, “Vamosaver”, “Caustico incauto”, che credo
alluda a quel che resta, quel che possiamo dire. E tra l’altro, possiamo
affermare questo, che “I tipi poetici
sono tre: fresco, surgelato e in scatola./ Prendere e mangiatene tutti, nessuno
escluso, poi direte/di ognuno se credete abbia una data di scadenza e quale/ E
qui un certo rischio sia pur con prudenza va preso uguale.” pag. 49
Anche se rivolgo all’autore una domanda di
sfida: quale cioè potrà essere la strada percorribile da questo organismo
poetico , considero i suoi testi un
piccolo decalogo sulla scrittura. Perché non danno l’idea di una riflessione
sulla poetica propria o altrui, ma
mettono in discussione o alla prova l’ars poetandi in quanto Statuto
Letterario. Decalogo fitto di rime, volontariamente: in tal modo la rima si
svaluta, cozza contro il muro, si sfracella cascando in terra, si definisce.
Pag. 33:”
Così arriva/ un’emozione dopo l’altra,
olive/ ciliegie, cacio sui maccheroni,/ contrazioni, droga./ Il tutto contro il
tempo. Toma!/ oppure, meglio ancora,/ contro un altro orologio, altro/ che
muro! L’idioma del futuro!”
Voglio
terminare questa breve nota con alcuni versi che sarebbero degni di essere
messi in esergo a eventuali poesie altrui, pag 22:
“Che
se gli altri ci fregano?/ Se alla fine ci rubano/ gli uffici? Com’è dura/ la
missione, mai fidarsi, mai fermarsi, segare/ la segatura, filtrare/ anche
l’acqua ultrapura!”
Vitalità,
cinismo divertito ed esperienza vitale. Qualche sprazzo di malinconia subito
presa a calci da quella sua musica quasi non calcolata, messa lì come
all’improvviso, e una grande curiosità nel chiedersi se noi fossimo capaci di
rifare con le briciole di una collisione qualcosa di nuovo, rendono questo
libro, a mio giudizio, un testo che dimostra di saper ricomporre a modo suo le
varie parti dell’orologio rotto contro il muro. Facendo però girare al
contrario le lancette. Perché questa è la sfida di Roversi pronunciata contro
di noi: a che serve rifare nello stesso modo ciò che già esiste?
Sindrome di Adamo
I miti più commoventi
li inventi
sull’infanzia tutta
pomi, pappa e frutta
omogeneizzata e illesa.
Comandata la festa
del Sabato Santo,
al lavoro calpesti, l’attacco
la miglior difesa.
Una pulcina passione ti strapazza
di perduta perdita
(l’unica vera invecchiando
quella del fiato).
Di fatto, gli adoratori di altari,
facendosi gli affari
propri, sempre idolatrano l’altrui
ex-padre Abramo. Quanto all’angoscia
d’asilo, gli strilli,
chi aveva un filo di saggezza
era Eva, colpevole
di tacerlo a chi alleva,
ma non divaghiamo. Stringi stringi,
la vomitevole
spocchia d’angelo cacciato
tra la pazza folla, chi te la leva, io
con la faccia di tolla,
che mi ritrovo? Che non
recrimino e non approvo? No.
Un marcio rammarico imperversa.
Un maschio come te è una causa persa.
Repressione
Dice: Cristo era eversivo.
Forse, ma chi fa il catechismo
fa bere ai bimbi detersivo
(molti perché non possono farsi
chierichetti). Confeziona
manicaretti morali magari ma
getta carte di caramella, e preferisce
la Coca Cola alla cannella. Colleziona
cicche false, pontifica, si contraddice,
mi cita Sant’Ignazio non Galileo,
(come dire, preferire
allo spazio un matroneo), vanta
en passant grandi scopate
e non s’avvede che mente
giustificando il cosmo
col ruolo dell’uomo. Fa l’anta
sopraffino, mi lascia
il suo telefonino “Chiama te”.
L’uomo sin más
Incolore, insapore, inodore,
oremus!
Tutto casa pote pintxo e chiesa,
senza offesa, ma oggigiorno
più del crocifisso
amo lo stoccafisso,
meno morboso più gustoso,
se anche si deve
togliergli il sale
mettendolo a mollo,
io il mio lo inzuppo
dove so. Además,
dell’uomo sin más
meglio quello con gas,
il peloso del liscio,
dell’acqua distillata
il piscio, lo sgrollo.
Anello, corpo, campo
Aziono il telecomando del teletrasporto:
s’approssima a fiato grosso,
gira, prende ai fianchi, mette la mente
di schiena contro il muro.
Accelera il futuro, poi
rallenta. Di buona lena
mette sotto il presente.
Manomette le leve,
si arrampica, non dà
scampo, si scatena.
Io elenco mentalmente l’alfabeto
da meno A a meno Z: arrivato
a reni senza freni, con un grido
s’impenna, trema. Si quieta.
Dice “Siamo a cavallo”, condivido.
Ridiventa una bestia mansueta.
Semu chiddi ca semu
Scontata dell’età la perentoria
certezza, sta tuttavia sulle spine
della protezione
della prole
in stato di ebbrezza, dove loro
ammiccano e i colori sgorgano
dalla spatola nottambula,
in calzoncini pieni. Una quasi
catastrofe. Salvano per fortuna
pittura scrittura lui me
nell’ordine, sicché ancora
le forze non ci calano.
E a proposito di Montalbano, a mare
siamo troppo pigri per andare,
colpevolmente, di colpe in ogni caso
esistiamo, ancora una volta sul filo
dell’emozione, questa droga gratis
(chi ama dona il proprio corpo,
ma in vita non all’Aido, all’Avis).
Poi si chiacchiera del più e del
meno laido, osservando la tecnica
dei quadri notturni.
Scartando una banale cinema-
tografia, scopriamo
che la vita avuta in sorte
è migliore di quella immaginata,
e che nell’altra eravamo
un cespuglio di spine
nell’Asia Centrale:
il cielo ci sovrastava,
i cavalli brucavano in pace.
Questa serenità proiezionista
non ci convince, però ci accontentiamo.
Certo, un attico pieno di luce
per dipingere, una volta in pensione
non sarebbe male, un ricordo
estremo. E una puntatina
lontano dagli occhi nemmeno,
giusto per il momento in cui vedremo
tutta la nostra vita
passar loro davanti,
reale virtuale e marginale,
in un unico finale,
essere stati chi siamo.
Quattro formaggi
Un fatto accade,
un fattone
si fa. Del resto
se ne fa a meno, di una
buona metà.
Per vostra enorme regola,
ed eccezionalmente,
non si ha scelta, si taglia
roba scelta, stracchino.
Del reale si fa realtà.
Credete a me, che
faccio testo, spaccio
ovvietà.
Tropi-xxx
Lamenta un maldicapo e un poco questo commuove.
Rimane il fatto che la pigrizia deteriora, a prescindere
da quel che s’aspetti, la pietra filosofale o l’ovetto Kinder.
Allora come toccasana gli diamo una buona lavata di capo.
Pietro Roversi è nato nel 1968 a Novara da famiglia
emiliana. Cresciuto tra Carpi e Verona,
ha studiato prima per una laurea e poi un per un dottorato in Scienze Chimiche
(1987–1997) all’Università Statale di Milano. Nel 1993–1994 ha prestato un anno
di servizio civile presso la Cooperativa Lotta contro l’Emarginazione di Sesto
San Giovanni (Mi). Durante il dottorato si è trasferito in Inghilterra, a
Cambridge (1995–2003) e a Oxford, dove vive e lavora come biologo strutturale presso
il Dipartimento di Biochimica dell’Università. È un anarchico tradizionalista,
un rivoluzionario conservatore e un iconoclasta benigno.
È coautore di più di 70 articoli
in riviste scientifiche internazionali. Nel 2010 ha pubblicato il suo primo
libro di poesia, “Una crisi creativa”, presso Puntoacapo (Novi Ligure). Altri suoi
testi sono apparsi su riviste in rete/blogs e in varie antologie.
Vamosaver significa "va mò a sapere" , giusto? Cristina è puntuale nel leggere e commentare altri autori, sapendo ben porre in evidenza la bontà del loro lavoro, come nello specifico di Roversi. Evidenzio una frase inquietante nella recensione "Vamosaver è un libro che consiglierei di leggere a tutti, non solo ai poeti." Se solo potessi prevedere che i miei lavori venissero letti esclusivamente da poeti e critici, beh smetterei di scrivere. Un'ultima nota, concordo sulla gradevolezza della poesia di Roversi.
RispondiEliminaSono felice per Pietro, persona, prima che poeta, che merita elogi particolari per la sua umanità globale e sincera.
RispondiEliminaA maggior ragione sullo sfondo di questa poesia, così ricca di suggestioni contemporanee e di slanci direi euforici, sbarazzini, dove si risentono, come già scrissi su Pietro in una mia nota al suo primo libro, gli echi inconsci di poeti come T. Scialoja, anche se in maniera radicalmente diversa per gli esiti, oppure di G.P. Bona o di Leopoldo Attolico, ma sicuramente Pietro ha portato una ventata di freschezza e originalità nel panorama odierno della poesia, con questa sua lirica "astuta", così piena di grazia e ariosità, che si prende quasi gioco di se stessa, pur rimanendo fedele a principi etici precisi, solo parzialmente provocatori, dato che nella precisa scacchiera del gioco vi è l'intreccio intrigante dei vari sensi districati sul nesso esistenza/essenza, o sull'asse rivolta(esteriore)/raccolta (interiore), riflettendo così "raramente", in maniera straniante ma chiara, sulle cose d'ogni momento un nuovo spessore, personalissimo, che questa poesia porta con sé da sempre, essendo diretta scatola d'esperienza dell'autore, contenente l'intero bagaglio culturale e sociale dell'uomo, ossia della vita stessa del poeta Roversi, dove il plurilinguismo giornaliero rimescola le carte di un italiano quanto mai vigile e flessibile, e dove ancora fonde ulteriormente un tratto scientifico con la semplicità quasi canterina del quotidiano, riscoperto e rinvigorito da questa cifra che finalmente, vedo, inizia ad avere i giusti riconoscimenti che merita. Un plauso a Pietro per essere così puro e vivo. E come sempre brava a Cristina, occhio vivo e lungo, che ha visto ben oltre ciò che io posso ora a stento e malamente dire. Un caro saluto a tutti da Bux
Bux
E' vero, leggere Roversi è "altra" possibilità, non solo in poesia. Lo spiazzamento provocato, non perché ne fosse il "fine" è notevole, riconsegna la precisione della composizione stessa: "si può" dire scientifica, non che lo "si debba" dire. Ed è vero che questa poesia "sostiene" la poesia, il lettore stesso di poesia e, come dice Annino, anche il "solito" poeta. La prima volta che ho letto dei versi di Roversi (come suona bene!) ho pensato di doverglielo dire quanto fossero "paradossalmente accoglienti": così glielo scrissi. Di questa scrittura mi stupisce sempre il rigore, nella puntuale intromissione della "sorpresa divertita". L'ospitalità, non so esattamente ben dirlo se non così, con questa parola. E l'occasione appropriata di stare a vedere questo "ingranaggio" di orologio sfracellatosi contro un muro che tempo "altro" porterà nell'"invenzione" (non priva di intenzioni diversificate) della poesia contemporanea, uhm, della poesia, ché "contemporanea" a volte mi suona "superfluo" se non si sta storicizzando il secondo vivente, presente. Anch'io "promuovo" il Vamosaver di Pietro Roversi per tutta la lingua nel linguaggio che contiene possiede scardina e offre, ripeterei come ampia possibilità di stupore e sorridere (riflettere, insomma).
RispondiEliminaSaluti, Giampaolo Dippì
Attenzione e spazio che ci siano dedicati generano sempre gratificazione; quando poi come in questo caso attenzione e spazio vengono da poeti dalle intelligenze critiche quali quelle di Annino e Guglielmin, al di là della gratificazione io provo soprattutto una grande gratitudine. Una gratitudine non meno autentica va a Bux e De Pietro per i loro commenti. In questo clima di ascolto questo blog riesce nell'intento che si è prefisso da quando esiste.
RispondiEliminaQuanto alla domanda di Annino sulle direzioni possibili per la mia scrittura dopo questo libro, posso dire che in un certo senso chi legge dei testi e non li dimentica immediatamente, di più, sceglie di dar loro visibilità, su quei testi scommette, e io qui spero che se scriverò ancora non deluderò. Anch'io credo che la poesia nasca da una visione del mondo che si scontra con il mondo e lo ricrea: se guardo indietro (i libri pubblicati sono due ma ci sono anche una mezza dozzina di manoscritti nel cassetto!) non credo la mia visione del mondo sia cambiata più di tanto, e in tal senso non saprei cosa aspettarmi di diverso dal prossimo libro, se mai esisterà. So però che il mondo cambia - o perlomeno cambia come io lo sperimento. Questo una certa novità alla scrittura come esito dello scontro tra visione e esperienza lo dovrà portare. E in ogni caso dai propri errori e successi si impara sempre. Allora, con Vamosaver mi pare che la mia scrittura si sia sbarazzata quasi del tutto dell'intimo, se non anche del lirico: su questa conquista spero di poter far conto per il futuro. Se poi questo libro si riveli un vicolo cieco o un trampolino, non lo posso dire. Iremosaver!
Grazie di nuovo di cuore a Cristina, Stefano, Antonio e Giampaolo, e a Piera Mattei e tutti a Gattomerlino per lo splendido lavoro editoriale. Cari saluti. Pietro.
La vita non è per fortuna un atto di fede, ma di fiducia. io ho fiducia nella poesia di Roversi, qualunque svolgimento abbia in futuro, perchè credo in un poeta che da venti anni usa la lingua italiana solo nelle e mail e raramente in altri rarissimi casi muti come le letture. In un poeta che esce indenne dalle tante "fabbriche" della vita senza nutrirsi del dolore che pure a lui elargiranno, né del lavoro poetico altrui che conosce e studia molto, ma rispetta. credo in una poesia che sa ridere e non martoriarsi soltanto le mani, e infine ritengo sia enormemente più difficile essere gai (mi si passi il termine, neutro, desueto, ma simpatico) che lasciare se stessi dentro ciò (vedi dolens)che non ha prove reali di esistenza, ma può costituire il lasciapassare di maniera anche e soprattutto, per essere considerati poeti "sul serio".
RispondiEliminaCristina Annino
Una recensione perfetta, appagante per chi voglia comprendere un poeta e il suo pensiero.
RispondiEliminaPietro Roversi è da conoscere a fondo, cosa che io stessa mi riprometto di fare, per tutte le ragioni esposte da Cristina, ragioni che sono l’interfaccia della complessità in cui si forma e afferma la poesia.: fresca, libera, espressivamente coinvolgente.
“Essere considerati poeti sul serio” nello specifico così è, la serietà che comporta esserci e annotare, offrire in maniera nuova anche ciò che è l’esperienza di ogni essere umano.
“ la lingua può continuare a mantenersi viva solo dopo uno schianto contro qualcosa di assolutamente diverso da sé”
Ne sono sicura anch’io.
cb
Ho avuto occasione di presentare il libro di Pietro Roversi e leggendolo ho avuto l'impressione che dietro una serie di apparenti nonsense si celino una serie di "semi": piccoli paradossi, piccole illuminazioni, piccoli ossimori che non vogliono costituire un tutto unico ma una serie di segnali, come delle luci nel buio, una serie di verità che contraddicono le verità apparenti alle quali per abitudine crediamo. Da questi semi potrebbero nascere degli alberi, sia nella futura poesia di Roversi ma anche nella mente dei lettori. Come diceva un'immagine proiettata durante la presentazione scelta e citata dall'autore, è il lettore che scrive il testo.
RispondiEliminaMi fa piacere che queste poesie siano su Blanc, così come mi piace il tono, tra il provocatorio e l'interrogante, di Cristina Annino. Con Roversi siamo di fronte a un poeta che conosce il mestiere e prende posizione ironica nei confronti dei tanti altarini dei potere, politico, religioso e culturale. Con Annino incontriamo il punto di vista di una poetessa che non si è mai adagiata alla moda e che non ha mai patteggiato per un posto in antologia. Annino e Roversi sono due viaggiatori negli accidenti del mondo quotidiano, che riproducono nello stile, con enjambement inaspettati e/o molto forti, dove la musica sta nel corpo del testo, nei luoghi dove meno ce lo aspettiamo. Ringrazio anche gli autorevoli commentatori.
RispondiEliminaA Roversi, dico inoltre che liberarsi dell'intimo e del lirico non è per forza un pregio (e nemmeno, tuttavia, un difetto): dipende da come li fai agire nella lingua e nella società che li riceve.
RispondiEliminaecco qui due autori che apprezzo da tanto.. l'una a dire dell'altro.. leggo con vero interesse e piacere..
RispondiEliminaRoversi per me è sempre stato stupore (sorridente) nelle parole.. e lo riconosco perfettamente nella recensione di Cristina..
grazie ad entrambi..
la poesia e un cervello brillante non sono esattamente la stessa cosa
RispondiEliminaè una frase vera, che meriterebbe una firma
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