lunedì 28 aprile 2014

Alessandra Paganardi

Poetessa milanese, Alessandra Paganardi ha assorbito e fatta propria la linea montaliana, contaminandola con le voci più recenti di molta poesia lombarda, e non solo. Penso per esempio alla verticalità dell’Anedda e alla radice del tempo primo pavesiana, che attraversano La pazienza dell’inverno (puntoacapo, 2013), libro della maturità espressiva, segnato dalla ricerca di una saggezza in grado di cogliere l’assolutezza dell’attimo quale risposta al dolore di cui è intrisa la memoria. La poetica degli oggetti e il loro correlarsi con la malattia del vivere emerge sin dalla prima lirica, lapidaria nell’assertività (“E’ dato il salto – come questo marmo”), colta (“quell’orecchio di Dioniso svuotato / nel venerdì di Pasqua”), capace di intrecciare spazio e memoria (“[…] il tempo che attende / di tagliare i ricordi, di spostarli / via dalla mente in blocco”), usando metafore concrete, disseminate in tutto il libro, che cerca la narrazione allegorica, non con fine didascalico o conflittuale, ma piuttosto emblematico, quale esempio amplificato di un accadimento, di un’esperienza.

Che cosa sia la scrittura poetica, ce lo dice “paratesto”, citando implicitamente Osip Mandel’štam:  “[…] un solco / che si gonfia di terra sempre nuova / una crepa che chiama sotto i piedi”. La Poesia della Paganardi convoca talvolta il tempo abissale, ma spesso evita di perdersi in quell’infinitezza mistica propria del neoromanticismo, riconoscendo che “la traccia è vera ma non è invisibile – è lì nascosta”. E con essa si può cercare un confronto, uno scontro, persino, a partire dall’affermazione di mitezza, di accondiscendenza verso il finito: “Scrivo che anche il tempo / diventa mite se lo lasci sfogare”. Accettare il divenire, raccontarlo nei dettagli, diventando quasi crepuscolare (“Fuori piove. Mi cedono il posto // Non sono fredde le strade del mondo”), ma soprattutto, con piglio nietzscheano, trasformare l’io devo in io voglio sono appunto i compiti, esistenziale e artistico, che la Paganardi s’impone. Propositi che, appunto perché fondati sulla consapevolezza che nulla permane in eterno, non portano con sé il lutto della perdita irreparabile. Ce lo mostra per esempio “Ritaglio V”, nella figura gioiosa del bambino quando guarda staccarsi da sé l’aquilone. Ordinariamente, tuttavia, quando il peso dell’esistenza vince sull’intelletto emancipato, vivere è un andare affannoso, nella misura in cui significa sentirsi in esilio dall’origine; lo ribadisce “Ritaglio I”: “Un giorno, tanto tempo prima, / qualcosa era felice” recita il primo verso; “e noi camminavamo più leggeri / come una fiamma che ritorna al sole”, conclude il distico finale, alludendo forse al ritorno al Padre di cristiana memoria, o dantesca, perlomeno.

La pazienza dell’inverno trova nell’endecasillabo e nel settenario la sua pronuncia preferita, lasciando con ciò intendere il legame della poetessa con tutta la tradizione lirica italiana, che attesta la fiducia nel canto e nei suoi strumenti retorici. Dello stesso parere è Marco Ercolani nella prefazione, quando scrive che “Alessandra Paganardi ha naturale familiarità con il dolore della mente, con la malinconia dell’esistenza, con le virgiliane lacrimae rerum che si addensano su ogni destino, ma sente la sua poesia come arma complessa e potente di salvezza”.

Dalla sezione “Farsi altro”

La cava

È duro il salto – come questo marmo.
Bisogna flettere il calcagno freddo
alla salita, rendere le suole
alla polvere che si fa più scura
nel passo. Appiattire il respiro
alla pietra. Poi l’ultima stanza –
quell’orecchio di Dionisio svuotato
nel venerdì di Pasqua, dadi immensi
allineati come case a schiera.
Non sarà mai acqua
il fiume – è un rumore la voce
impigliata tra fango e sassi.
Ci siamo messi in fila anche noi –
rocce cave per il tempo che attende
di tagliare i ricordi, di spostarli
via dalla mente in blocco, uno su uno.
E tutto ricomincia a farsi altro.


VIII

Esistono parole passeggere
frasi da temporale – un esperanto
alla rovescia. Un verso mai più scritto,
dimenticato. È una menzogna il mito.
Nulla si perde se soltanto smetti
di trattenerlo. Tutto si fa vuoto -
i polmoni, il cassetto, il fiume dopo
la bracciata. Nessun magazzino
contiene mai la gioia.


Dalla sezione “Museo e parola”

I

C’è un horror vacui fin nelle pareti –
non amano l’assenza, non si deve mai
aspettare. Prima un po’ di brutta carta
da parati, quindi l’invasione
barbarica dei quadri.
Questi fiori sembrano tutti veri
- i seni all’erta, ripartiti in due
dal sentiero del cuore. Che la vita
mimi la vita, dove non sa andare
dritta e bella. I vasi alle finestre
paiono finti, covano l’abbraccio
osceno di una bambola di gomma
dicono un’intenzione di cemento
di stare sempre qui, di non morire.

IX

Ma non è chiacchierare con il foglio
fingendoselo amico. È revocare
senza voce la parola sospesa.
Tornare nella stanza ancora chiusa
andare solamente per vedere
per abitarvi mai. Una cura qualunque
non basta, serve all’ora – non al poi.


Dalla sezione “Voci in ombra”

VII

Di quella pietra nel cemento
non è rimasta che un’impronta vuota.
La terra ha una memoria minerale
si riempie quando passa forte il vento
o il piede indelicato del passante
a scalciare la vita
allora il vuoto sente ancora il grave
un diapason che mai nessuno vede –
la cartina si tinge dietro gli occhi
se ritorna il dolore.


Dalla sezione “Ritaglio”

I
Un giorno, tanto tempo prima,
qualcosa era felice.

La venatura perfetta del marmo
il rosa improvviso, il giallo gentile
come se fosse sempre mattina
o una notte di stelle senza male.

Alberi dritti in un cielo impreciso
accoglievano l'aria con le mani
la cattedrale bastava alla piazza
il feltro consolava le sue note
e noi camminavamo più leggeri
come una fiamma che ritorna al sole.


Alessandra Paganardi (Milano, 1963) ha pubblicato, oltre a varie plaquettes, le raccolte di poesie Tempo reale (Novi Ligure 2008), Ospite che verrai (2005), Poesie (Facchin Editore 2002).
Ha pubblicato la raccolta di saggi critici Lo sguardo dello stupore: lettura di cinque poeti contemporanei, (Viennepierre edizioni 2005, finalista al Premio Nabokov 2008).
Dal 2003 sino alla sua chiusura è stata redattrice della rivista “La Mosca di Milano” e collabora con “puntoacapo Editrice”.


26 commenti:

  1. Bella lettura, interessante ...apre a delle riflessioni leggere citazioni come questa:
    è una menzogna il mito.

    fa riflettere il suo modo di osservare, ciclico, conservatore...
    "la terra ha una memoria minerale"

    il desiderio di custodire si percepisce tra le righe e diventa la pazienza di una stagione, delle mani che accendono un fuoco.
    antico come la nascita dell'universo...

    un saluto

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    1. grazie! Buona serata anche a te!

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    2. Gentile Carla, quando diventerò più brava nel consultare i blog riuscirò ad aprire il suo...ho tentato comunque di contattarla, spero di non aver fatto disastri :-)...e grazie ancora

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    3. Anche io mi sono fermato a lungo su "la terra ha una memoria minerale", e ancora prima alla pietra e al cemento. Sembrano rimandare , con tutta la loro durezza, a una saggezza e a una mestizia senza fondo e senza tempo...

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    4. In effetti il libro inzia con questi versi: "E' duro il salto/ come questo marmo" (prima poesia antologizzata da Guglielmin)....

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  2. E' sempre un piacere leggere i testi di Alessandra Paganardi. Sempre intensi e mai fuori misura. Una scrittura nel pieno della propria maturità.
    Nino

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    1. Spero che ne arrivino altri...so per esperienza che anche i lunghi periodi di silenzio sono importanti per chi scrive.

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  3. Questo libro di Alessandra è splendido. Massimiliano Damaggio

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  4. Sono commossa dalle vostre letture e dalla vostra partecipazione. Mi sento onorata dall'analisi di Stefano Guglielmin, che coglie a fondo i miei sforzi di tanti anni di scrittura e il tentativo di coniugare poesia e riflessione.

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  5. Brava, Ale. Non deludi mai e sorprendi sempre!

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    1. Grazie Anna! Il commentatore è stato bravissimo.

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    2. Sono bravissimo con la poesia vera :-)

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    3. Da studioso di filosofia sai benissimo che anche la parola vera diventa vera quando la si dice...ed è quello che fa chi legge la poesia con profondità e passione.

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  6. Questo dire contiene una commozione soffermata, una mosca nell’ambra, si sente nella recisione, trema nella limpidezza, inquieta il controllo, lascia la parola viva nella sua scaglia, assolve il lirismo nella freddezza e questa in un tepore indichiarato, chi vuole lo avverta, complimenti
    Paolo Donini

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    1. Gentile Paolo Donini, grazie anche a lei; spero di poter interagire con lei su FB (non so fare molto altro in rete)... :-)

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  7. In questi testi, letti con attenzione profonda da Stefano Guglielmin, la voce di Alessandra cresce in forza e consapevolezza mostrando tutta la sua vocazione ad una poesia che non si limita a registrare le cose, ma le attraversa nominando in esse anche l'altro da cui sono abitate.
    Un abbraccio ad Alessandra e grazie a Stefano per le sottolineature.
    Corrado Bagnoli

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  8. In effetti credo che il senso dell'altro sia una fra le caratteristiche più rare in assoluto. Chi tenta di coltivarlo, anche attraverso l'esperienza della poesia, sa quanto poco sia incoraggiato nelle nostre scuole e luoghi di lavoro...

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  9. "Tornare nella stanza ancora chiusa
    andare solamente per vedere
    per abitarvi mai."
    Bellissimi testi, nella selezione e lettura offerte da Stefano Guglielmin. Mostrano la capacità di sfondare la porta dell'immaginario poetico, di quella visionarietà per cui il poeta vince il tempo, pur non abitandolo se non per un attimo di luce, come in una profezia. La scrittura di Paganardi pullula di questi flash, se ne resta colpiti anche per il ritmo ancora efficace nell'incidersi del caro vecchio endecasillabo. E, come l'autrice dichiara di desiderare, il lettore scivola dallo stupore alla riflessione. In fondo, sulla mitezza del mondo e sì, sull' "intenzione di stare sempre qui (abitare nella parola che salva), dunque davvero di " non morire". Leggiamo allora l'intero libro! un caro saluto,
    Annamaria Ferramosca

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    1. Grazie per questa nota!

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    2. Cara Annamaria, sono onorata del tuo commento. Questo libro apparentemente snello è frutto di cinque anni di duro lavoro. Ne è parte un silenzio in cui sto ascoltando nuovi suggerimenti interiori e culturali per andare ancora avanti nella mia ricerca. La scrittura aforistica mi è maestra e misura. Un caro saluto, ale

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  10. L'ho già osservato in altre occasioni di lettura in rete, ma questo ultimo lavoro di Alessandra è davvero limpido, profondo, sostanzioso, convincente. La ragazza è cresciuta moltissimo. Serve le parole, le riflessioni, le suggestioni, il pensiero (da buona filosofa) con una destrezza e sapienza (non me ne voglia per il paragone indegno) da chef consumato. Chapeau, davvero. Luisa Pianzola

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    1. La ragazza gradisce moltissimo il paragone e ringrazia della profondità e dell'arguzia. Forse non sembra ma è una buona forchetta e lo è stata soprattutto da ragazza!! :-)

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  11. Mariolina De Angelis14/5/14 10:14

    Del testo di Alessandra, che mi ha colpito per il contenuto e la raffinatezza della scrittura cosparsa di metafore, mi ha particolarmente emozionato "Ritaglio". Una poesia in cui, in un giorno lontano, "qualcosa era felice", in "una notte di stelle senza male". Come se il dolore del mondo, non solo il proprio, si placasse nel respiro puro della notte, dalla quale presto si riaffaccerà il sole benefico. Momento perfetto e unico, forse, che ha il potere di sospendere il tormento della psiche e sciogliere il disagio esistenziale.

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    1. è davvero un bel testo "Ritaglio" e affronta un tema decisivo del moderno, appunto la distanza dall'origine.

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  12. Un tema tipicamente pavesiano...forse anche per questo l'intero poemetto, di cui questa è la prima stanza, è dedicato a Cesare Pavese. Grazie a Mariolina de Angelis e a Guglielmin per questo nuovo spunto di riflessione, sul quale non mi ero ancora concentrata.

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