(foto di Rachel Defay-Liautard)
[Stefano Guglielmin in L'immaginazione, n.279, gennaio-febbraio 2014]
L'architettura di rete
concepisce la realtà come un sistema in cui elementi casuali e organizzati
interagiscono tra loro, in dinamiche talmente complesse che non è possibile
scindere l'uno dall'altro. Tale struttura, inoltre, è pensata come costituiva
di differenti organizzazioni del reale, dall'economia alla natura, dalla
società alla comunicazione. Marco Giovenale la pratica da un paio di decenni, e
in modo sempre più consapevole, sulla scorta di esperienze internazionali poco
conosciute in terra nostrana. Tanto è vero che egli fatica a far passare l'idea
che la sua scrittura non sia semplicemente epigona delle avanguardie, ma viva
prima di tutto in stretta connessione con i saperi della complessità e della
neotecnologia informatica. Saperi che hanno rinunciato alla possibilità stessa
di dire oggetto, soggetto, identità, preferendo pensarli all'interno di un
indefinito sistema di rimandi, orientati, non orientati, connessi in differenti
direzioni, adiacenti, dialoganti, conflittuali: la realtà è questa rete di
connessioni plurali, dove l'io perde qualsiasi pretesa di convergenza monodica.
L'io sparisce nella sua forma moderno-romantica, per darsi quale funzione e
legante, ma anche disfunzione / interferenza, antenna che capta i segnali e li
rimette in circolo secondo archi di cui non dispone pienamente. In rebus,
che riprende il detto oraziano est modus in rebus, ossia "c'è un
modo corretto di fare ciascuna cosa", ci mostra quale sia quello della
poesia, laddove essa voglia essere ancora praticabile. Prendi "un piccolo
fatto vero" scriveva Sanguineti quarant'anni fa; Giovenale mette in
rebus (Zona, 2012), la sarabanda di tensioni comunicative che costituiscono
la possibilità stessa di pensare a un fatto vero, per quanto piccolo,
all'interno dell'apertura epocale contemporanea, che ha nel capitalismo
onnipervasivo, secondo la formula di Guy Debord, la sua sostanza. Niente si
salva da questa colla distorcente, per quanto "un pezzo di lama sia
in tutti" e passi di bocca in bocca: è la lama-linguaggio da cui, postumi
all'ottimismo moderno, ritagliamo un senso al reale che ci permetta di
sopravvivere nella finzione identitaria.
L'atto del
tagliare, dell'incollare è centrale nell'agire poetico di Giovenale, sempre
tenendo presente che la parola poesia, qui, è osso di seppia, dado
tratto, loboscopia, gabbia per canarini inceneriti, fantasma che chiede un
posto a tavola: uno degli innumerevoli tentativi degli enti per sopravvivere
all'obliloquio contemporaneo. "Obliloquio", se non erro, è neologismo
giovenaliano, che degli apparati retorici fa buon uso nel libro, giocandoli con
ironia e gusto per il suono e per il ritmo, proprio perché la macchina dotata
di capacità di scelta, l'io, non scompare del tutto. Ce lo dice chiaramente in Cambio
di paradigma ("il Verri" n.43, giugno 2010), un saggio decisivo
per comprendere la sua scelta di campo: anziché de «l’objet trouvé dadaista»
scrive Giovenale, meglio parlare, sulla
scorta della ricerca di K.S.Mohammad, «di
testi non "trovati" bensì "cercati": non "found"
ma 'sought'»: azione, appunto, che presuppone una volontà individuale, per
quanto franta e in balia delle suggestioni e/o burrasche più imprevedibili (E
tuttavia, en passant: soltanto "init", "gruppo" e
"Camera di Albrecht" sono l'effetto di cut-up, della tecnica sought
poetry).
Lo statuto di poesia dell'autore romano
rivendica la propria esistenza – e lui sta al gioco, le dà la parola, gliela
toglie – attraverso le strategie retoriche messe in opera dalla voce plurale
che dice questo e quello nel libro: paronomasie, allitterazioni, assonanze,
rime, ironia, lapsus, climax (discendente e autocertificante, come questo:
"tra stelle, cintura / climax cenere") e straordinari virtuosismi
fonico-semantici, capaci di metamorfosi inaspettate: Shelf diventa Self, eco →
ego; mirto, per "inversione [di] due vocali", morti. Spetta tuttavia
al lettore agire: l'autore, senza autoritas per volontà metodologica e
resistenza politica, gli lascia ellitticamente sospeso nel bianco il lavoro da
fare, come capita in tanti altri luoghi di questo libro destabilizzante, lucido
nell'aprire il ventre al capitale e alla nostra favola bella (sto al gioco in
rebus: alla favella), facendo ovunque uscire un paesaggio cosale (natura
morta del moderno) riletto, nell'ultima sezione, attraverso l'occhio della
camera obscura e la mano / biografia di Albrecht Dürer. Sequenza molto
apprezzata da Nanni Balestrini, che così ne ha scritto nel 2009, in occasione
del Premio Delfini: "Sondaggio trasversale delle Memorie di Albrecht Dürer, disarticolazione e
compressione di tessere che srotola un mosaico brulicante di percorsi città
villaggi facce persone paesaggi ma soprattutto oggetti: quattro frecce di
canna, un corallo bianco, cinque gusci di chiocciola, una borsa di cuoio,
vesciche vuote, di calce, due pesciolini essiccati...".
Dalla
sezione polis ware
plures
dieci,
ragni
(plures,
ha detto)
ragni
ovunque (agnus / tollit / tolla ramata)
ragni
in scatola dieci – tutti ii, che dicono
«ío»
un milione di volte, per tutte distese,
miglio
per miglia, migliaii – sin dubio –
mugnai,
e al séguito: mulino, sinus, tit, dóppiano «ío»
tit
tit, un milione di volte, fino a farlo
varo
vero, vetri, veste, varice /du/
(cicatrizza,
taglio cieco).
mentre
il palazzo capriola nella mente monosogno
e
cade giusto dove già era
giusto.
giunti a questo punto
della
storia, il prence fa a meno
del
non-stato (inazione) che è. ha
lo
stato.
stazione
eretta, ha, pino di Carrà, ma: ritto, a lato,
coi
suoi lari, coi colari e i latrari, loro, batteri birilli, altari a bielle
file
fini statuine, di gestalt,
genetica
che fa un fiorito.
“d’arte”.
“dei ricchi”. (che hanno scelto, naturalmente, e duplicato, moralmente,
quanto
c’era = avevano, maturamente).
{miglio,
mais, orzo, avena, cotone, lino, grano, riche crâne}
è
ager è
ricca
la marca, il corridoio bizantino, e
i
preti che ne ventano.
ne
vengono giù a Roma.
ricalano
dai mazzi, a emme, con le unghie
come
scavano, e
non c’è bisogno di parola.
gli
esattori smontano,
scesi
scintillati a valle.
la
dolcezza delle mani, l’acqua.
i
cani alzati
***
dice dice, ma poi no. non investe i cervi, i daini
andando. piuttosto ribalta la diligenza
andando.
i filologi dell'assai poi trovano
la scatola nera, mundus, ossicini, non tremando
vedono qual era il film che aveva
visto e chiodato la sera prima, muro marcio,
andando, una delle tante
sere prima, di cui con cui
si sfa la più seria,
sera generale, il dècimo di scienza
/che resta, il poco stato, cosa extra, restato, fortepiano
di testa, cervice, fascia finita ma che ancora
fa recinto, consiste, resiste per separare, s/k/z,
là una cosa, qui un'altra
(es, | soleil | couchant) - macchia. che si disfa.
un che di lunato, di albo e trito,
detrito manierato. un noto arare militare, e ride, oltre, entro:
un ridelimitare «
(end. amico che manca, che è
mancato. halo labile. tutto
senza, tutto tolto
il- il
reverse)
***
e itti ritti, iatromanti, di
aspettazione. clone fa le chele
bidone di polvere, aspetta
impettito. alla fermata
subspiando le inshort e il recintato,
il recitato, oppure più di lato, certi
orinatoi, preromani. alla testa del serpente,
capolinea, mani in mano. è molto conscio
del suo valore/lavoro.
dell' inclinazione della puntatura.
sa, sa. che l'attesa premia il forte
dalla
sez. operare tutti
ossa
d’Eco, ossa déco
–
sonus est, qui vivit in illa –
una
è una | fonte senza filo
di
fango, altro bestiame
che
sale allo specchio
(vedere
riflette vedere) (oo) (oo)
curva
e test di stereoscopia
la
dottoressa decide di andare
all’incasso:
«operare tutti sùbito»,
secondo
alcuni testimoni
secondo
altri in quel vaso o vano fine
di
grande buio che immette nella veglia,
nella
mattina
dalla
sez. home cam
lire
| rire ___________________ la verité
nel
“nel” del fondobottega
tra
le vertigini cata-, di scatoli
minacciato
da film (di mantidi)
si
chiede dove ha sbagliato
(senza
convinzione)
vero
varo di fallito
coerente
solo con l’esame del sangue occulto
class
1. premium Don Alejo
che
licenzia tutti e vende tutto.
«avete
il Manzoni?», gridano da skype, no
è
via, ridono, allora
sulla
rampa per maritare le maggiori
Qui la biobibliografia
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