Maurizio Mattiuzza Giacomo Vit
Il post che segue nasce da un commento postato recentemente da Giacomo Vit il quale, a proposito della poesia di Maurizio Mattiuzza postata su Blanc il 22 settembre 2011, scrive: “Sono poesie deboli, sia in italiano che in friulano. Ma dico, avete letto Giacomini, Bartolini e Morandini? Ma di cosa stiamo parlando? Sono esangui, versi mollicci che non reggono a confronto con i nomi sopracitati. Manca una tensione, manca la metabolizzazione di quei padri, mai studiati. Una scorciatoia che porta a niente. Mi dispiace, e non è l'unico caso in Friuli”.
Ecco la replica di
Mattiuzza:
“Contravvenendo
ad una mia piccola regola, che normalmente mi fa astenere dal commentare
opinioni riguardanti il mio lavoro, raccolgo, anche per la grande stima che gli
porto, l’invito di Stefano Guglielmin ad entrare direttamente nella
discussione. Sì Stefano, è vero: sono diatribe che riguardano soprattutto i
poeti friulani e portano quindi con sé il rischio d’un certo provincialismo.
Dato che però per me il Friuli e la poesia sono due cose serie quanto basta a
meritar di meglio, proverò a sconfinare. Rispondere a opinioni con altre
opinioni, magari anche riferendosi a citazioni d’altri, m’annoiava già all’Università, figurarsi ora, ma una premessa ci tengo a
farla. I maestri, alla scuola della vita, chi è adulto se li sceglie da solo. A
Giacomo Vit, che qui usa termini clinici quali “metabolizzare” però mi corre
l’obbligo di precisare che, tra quelli da lui citati e che io a dir suo avrei
“letto male” o addirittura non letto, ve n’è almeno uno che oltre a farmi
l’onore d’una prefazione e di diverse recensioni mi ha donato qualcosa di
incommensurabilmente più grande. La sua stima e il suo affetto, la sua
amicizia. Il piacere d’essere stato al suo fianco in tante serate pubbliche e
la bellezza di tante riflessioni tra noi, anche oltre la poesia. Non permetto
quindi, per amore di verità, a Giacomo Vit o a chicchessia d’intaccare con
opinioni vaghe un pezzo della storia della mia vita e soprattutto di altri che
mi furono maestri e amici. Detto questo il contenuto della mia biblioteca lo
decido io, con buona pace di Vit. Così come scelgo di leggere, accanto ad
Amedeo Giacomini, Izet Sarailiċ e Claudio Lolli, oppure che ne so, Dino Campana
Federico Tavan e Gregory Corso. Cercare di andare avanti lungo una strada
significa inevitabilmente anche allontanarsi, l’han fatto tutti, meno quelli
che hanno trasformato l’arte e la cultura in una specie di “tappo reazionario”.
La diatriba è vecchia come il mondo e m’appassiona poco, soprattutto quando ha
i toni minimi e rancorosi di una specie di “mondo regionale”. La poesia, per
sua fortuna, sa essere anche altro che antologie e medagliette votive; a me
piacciono i poeti che lo sanno. E tra questi ci sono maestri veri. Detto questo
a Giacomo Vit devo comunque anche un ringraziamento sincero. Con le sue
opinioni, opinabili come quelle di tutti, m’ha fatto un regalo che inseguivo da
tempo: quello d’esser riuscito col mio lavoro, per una buona volta, ad
accendere una dicotomia, a dar fuoco alle polveri d’una piccola polemica. Uno
status che ad un sincero ammiratore della radicalità artistica come me dona per
un attimo l’ebbrezza di un minuscolo Cabaret Voltaire. Sarei bugiardo a non
confessare che la cosa mi soddisfa e un po’ pure mi diverte”.
Caro Stefano,
RispondiEliminale risposte di Mattiuzza confermano il giudizio che ho dato, non lo spostano di una virgola. Non c'entrano rancori, provincialismi etc. La verità di quei versi è che sono deboli.
Inutile procedere, anche perché dovrei elevare il livello di scontro, e credo non interessi nessuno. Chiudo aggiungendo che non ho criticato la persona in questione, ma i suoi versi.
Piuttosto, Stefano, io sposterei l'attenzione dei tuoi lettori su un altro punto, che deriva, comunque, dal mio impietoso giudizio sul poeta in questione.
Spesso in facebook o sui blog si nota una formula critica buonista su poeti e poesie. Vuoi per amicizia, vuoi per evitare storie (non si sa mai, quello organizza un evento e non mi chiama etc). In questo senso, Stefano, io ho apprezzato molto quando tu, mi pare proprio su questo blog, hai un po' smontato SALVA CON NOME della Anedda, e lo hai fatto con estrema perizia tecnica, evidenziando alcuni versi "scontati". Ho apprezzato anche Andrea Ponso quando su facebook ha avuto il coraggio di demolire PROVE DI LIBERTA'di Stefano Del Bianco.
Infatti, caro Stefano, il problema è tutto qui. Esiste ancora la critica che ha il coraggio di stroncare? Si deve per forza accondiscendere a tutti i costi?
Amedeo Giacomini, a costo di tirarsi addosso gli strali di molti, non ha mai avuto paura di dire "questo libro fa schifo!"
E ora, che si fa? Si tace?
Conosco tutti e due i poeti, personalmente. Ed ho letto, credo, tutti i loro libri. Sono persone che hanno qualcosa da dire, una loro visione del mondo, tante letture alle spalle. Mi sembra già molto, di questi tempi. Ha ragione, Vit, a reclamare il diritto di critica. Ma, allora, bisogna andar oltre a poche righe lapidarie, che poco o niente aiutano noi e, soprattutto, chi è oggetto di tali critiche. Altrimenti non assistiamo ad una reale volontà di migliorarsi, assieme. Amedeo Giacomini, persona coltissima che ho molto frequentato, effettivamente non aveva peli sulla lingua quando qualcosa non gli piaceva ma, poi, era disposto anche a spiegarti per filo e per segno ciò che di irrisolto limitava un verso, un paragrafo, un testo critico. Mattiuzza, come ognuno di noi, può avere i suoi alti e bassi; ma è una persona che sa ascoltare, mettersi in discussione. Ecco: penso che Giacomo faccia bene a dire che non ama questi versi, se non gli piacciono, ma dico, anche, che Maurizio (un uomo che, lo ribadisco, stimo molto, anche sul piano artistico) si merita molto di più, magari una stroncatura lunga e ben motivata, qualcosa su cui meditare a fondo, la possibilità di vedersi da una diversa angolazione.
RispondiEliminaA Giacomo Vit, che a parer mio, non risponde a quanto ho cercato di puntualizzare, a questo punto dico soltanto che la libertà di critica non solo si rivendica, ma si esercita, pena il sospetto dell’invettiva .
RispondiEliminaQuando però Vit scrive che se lui fosse “critico” ed elevasse lo “scontro” a livelli inaccessibili a noi poveri umani la cosa non interesserebbe a nessuno, allora a me sfugge il senso e la forza dell’operazione che lui fa passare sopra la mia testa. Di certo però se lui, con tutti i poeti che ci sono in giro, ha avuto bisogno di quest’occasione per fare finalmente il critico tout court e rompere col buonismo, allora al mio lavoro, mi pare ovvio, deve molto più di quanto lui stesso creda. Quello che mi interessava confutare qui però, come ho già cercato di spiegare ,non sono i suoi gusti ma le cose inesatte che dice opponendo opinioni a fatti invece veri. Tutto qua. Ai lettori, se vorranno, il resto. Mattiuzza
Cari amici, io ho già esercitato la mia funzione critica pubblicando, assieme al saggista e poeta Giuseppe Zoppelli, due antologie della poesia friulana contemporanea: Fiorita periferia, Itinerari nella nuova poesia friulana, Campanotto, 2002 e Tiara di cunfin, Biblioteca di Pordenone 2012. Inoltre, faccio parte di diverse giurie di premi letterari, come il Premio Malattia della Vallata (dove c'è anche Pierluigi Cappello) e il San Vito al Tagliamento (dove c'era Bandini, ma c'è ancora Guagnini, Naldini, Anselmi ecc). Insomma, ne ho letta i di poesia, ho confrontato spesso le mie posizioni con quelle di altri etc. Avendo poi sessant'anni, ho conosciuto a fondo vari personaggi della poesia come Giacomini, Zanzotto, Loi, Bartolini ecc. e ho imparato da loro soprattutto una cosa: essere severi con se stessi (e di riflesso, con gli altri), poiché la poesia è una cosa seria. Ergo, non ho bisogno di sparare su Mattiuzza per mettermi in mostra ecc.
RispondiEliminaE' vero, forse ho commesso l'errore di aver emesso dei giudizi su di lui senza averli motivati verso per verso, giungendo subito alla conclusione. Comunque, abbiate fede, ci sarà prima o poi il momento in cui avrò modo di fare un discorso più articolato sulla poesia in Friuli V.G. e fuori Regione.
Una cosa però vorrei che fosse da subito chiara: io non mi affido, per giudicare un testo, al mio gusto personale. Per me una poesia va sempre messa in relazione con quanto è stato scritto almeno negli ultimi trent'anni (a livello regionale, nazionale ed extranazionale. )
Giacomo V.
Allora vediamo, da lettore, mi permetto di dire la mia.
RispondiEliminaQuesta polemica è nata su altri canali per poi approdare qui, evidentemente per somma gioia di chi riuscirà a farsi un po' di pubblicità. In un mondo in cui per essere critici fuori dalle righe, basta urlare senza darsene una ragionevole spiegazione, beh mi balzano agli occhi 6 punti poco decorosi. Primo: il signore che sta commentando con veemenza i versi del poeta friulano, che ebbi la fortuna di conoscere diversi anni fa oltre la linea del Piave, parole “alte” fin qui non ne ha trovate per spiegare una sua opinione. Da persona che sta nel pubblico dei reading, le dico che a meno che lei non sia un musicista rock, a sputare sul pubblico - considerandolo idiota - si finisce con prendere solo botte. Due: incensare i veri critici non credo sia un modo per diventarlo per emanazione. Tre: lei cita solo morti. I fatti sono 2: o pratica sedute spiritiche o usa un atteggiamento di cattivo gusto portando dalla sua chi , ahinoi, non può più proferir parola. Quattro: lei si chiamia Vit e non Giacominini, ergo, mi pare il suo ego sia vagamente espanso a ergersi portavoce di un criticismo di genere che di genere rimane (vedi punto 3). Cinque: le faccio i complimenti perché chiudere una finta critica citando se stessi, è tipico di pochi saccenti soggetti. Ce l’ha fatta, ha parlato di sé: clap clap, che mi dicono in friulano significhi, sasso. E non dica che lei ha lanciato un sasso contro “versi deboli, esangui..” perché a leggerla pare invece l’abbia lanciato in aria per altri scopi. Sei. Ci ha messo 3 anni per commentare in questo blog un libro a distanza di quasi 3 anni dalla sua pubblicazione! Primo, fosse un critico, lo sarebbe in differita e con l’aggravante di non enucleare ancora le sue argomentazioni, secondo, speriamo ci metta altrettanto per elaborare la sua profezia messianica riguardo la critica poetica. Amen.
T.S.J.
Mi sento in dovere di intervenire anche io, anche se sinceramente mi sento a disagio nel farlo. Ma, nel mio piccolo, sono uno fra quelli che ha definito Mattiuzza uno dei più credibili eredi di una tradizione culturale friulana che annovera tra i principali esponenti, per fortuna, i nomi citati da Giacomo Vit. Quantomeno sono in buona compagnia, sia di Luciano Morandini, sia almeno di un altro dei "grandi vecchi" che non cito perché tanto non potrebbe più esprimere qui la sua opinione, dunque è inutile tirarlo per la giacca.
RispondiEliminaNon mi mette a disagio la critica in sè che è legittima: quando del resto Stefano ha criticato la Anedda, o Franzin, o anche me, lo ho sempre apprezzato per i modi e i contenuti. Non bisogna sempre parlare bene di tutti, anzi è vero che parlare un po' peggio sarebbe molte volte più utile.
Mi mette a disagio il tag "polemiche", in questi toni fatico a ritrovarmi. Così come mi mette a disagio il fatto di conoscere entrambi. Con Maurizio c'è un rapporto di affetto consolidato da molti anni, a cui si unisce una sincera ammirazione per ciò che scrive e fa. Con Giacomo ho sicuramente, per motivi anagrafici, geografici o forse semplicemente casuali, un rapporto più distaccato. Recentemente con lui ho avuto uno scambio di mails piuttosto vivace su un altro argomento. Ma questo non mi impedisce di riconoscerne il valore sia come operatore culturale (purtroppo non ho la prima antologia, ma la seconda sì), sia come poeta (e non a caso il bellissimo Zyklon B ha trovato ospitalità proprio su questo sito).
Quello che penso su Mattiuzza ha due motivazioni, la prima sull'approccio alla scrittura, la seconda che invece riguarda la scrittura stessa.
La prima.
Sono convinto che la poesia debba avere un ruolo di testimonianza, e che a volte, soltanto a volte, qualcuno abbia la dote, la capacità, il dono di raccontare se stesso con una voce che appartiene anche ad altri. Se penso a questo Nordest - e non solo al piccolo Friuli - vedo una terra che in mezzo secolo è passata dal mondo contadino al miracolo economico all'illusione dello sviluppo globale allla grande crisi, che non è soltanto economica, anzi. E' una terra che ha i piedi nelle case coloniche e le mani sporche di vernice delle fabbriche, di campagna violentate e di radici recise; la peggiore crisi è questa, si è abbandonato tutto per ritrovarsi con poco o nulla. Quando penso a chi ne scrive oggi, trovo che alcune delle poesie contenute ad esempio ne Gli alberi di Argan (cito a memoria "Lis cjasis di Sesto e di Milan", oppure "Piccola canzone per Marghera") abbiano la capacità, appunto, di dare voce, e che sia una voce forte; così come penso che questa sia una delle linee guida di base del lavoro che Maurizio porta avanti da molti anni.
Segue...
La seconda.
RispondiEliminaMi esprimo da lettore e non da critico, accetto che ci possano essere opinioni differenti dalla mia, ma mi sembra che definire quelli di Mattiuzza versi "mollicci" sia sbagliato. E' vero, è senza dubbio vero che la scrittura di Mattiuzza segue dei canoni differenti dalla ricerca poetica più classica, e si appoggia invece maggiormente al ritmo e alla costruzione presenti in certe forme di canzone popolare. Bene, non verrà apprezzato dai critici che valutano la poesia su questa base. In compenso però ne ricava una forza espressiva notevole, e mi piace sottolineare che questa emerge ancora di più dal vivo, dove la costruzione a livello di sonorità si rafforza e si approfondisce. Del resto anche questo bisogno di oralità è proprio della cultura popolare, mi sembra, anche della nostra. E Mattiuzza, sia nella scrittura in senso stretto, sia nelle sue collaborazioni con altri che sono senza dubbio figure di spicco della friulanità - penso ad esempio in ambito musicale a Straulino e Stefanutti - da anni traccia un percorso a suo modo coerente rivolto non al semplice recupero, ma all'attualizzazione della cultura e della lingua.
Il tutto per ribadire la mia idea, che essendo mia è discutibile come tutte. Rispetto quelle degli altri, ma in questo caso ne resto convinto, e non per semplice amicizia.
Francesco Tomada
Cari amici, due lapidarie risposte ai due interventi.
RispondiEliminaPer T.S.J. Spassoso il suo intervento. Mi sono molto divertito.
Per Tomada (poeta che stimo). Può darsi che Mattiuzza punti anche sull'oralità, sulla poesia recitata, come sostieni tu, tuttavia, bisognerebbe, una volta che si trasferiscono quei ritmi, quelle sonorità sulla carta, riuscire ad esprimerli anche con la scrittura convenzionale. Tutti i vecchi come me hanno apprezzato "Urlo" di Ginsberg sulla pagina, prima che giungessero in Italia le registrazioni delle sue recitazioni. Stessa cosa per "Il flauto di vertebre" e "La nuvola in calzoni" di Majakovskij, che abbiamo letto (in traduzione) su carta, pur immaginando come sarebbero state lette in russo da Vladimir stesso. Eppure, la "trascrizione" su carta non ci ha impedito di provare forti emozioni. E allora?
(oddio, cito sempre dei morti!)
Giacomo V.
Si Vit, lei cita sempre dei morti. Ma come traspare dalle smentite che qui si leggono e che a chi come me ha buona memoria neppure servono, in un paio di occasioni, riferendosi al percorso di Mattiuzza, li cita pura in maniera inesatta. A leggerla qui a me la faccenda pare abbastanza chiara, C’è un signore, lei, che veste due abiti. Quello del poeta e quello del critico. Il secondo però, almeno qui, criticando il lavoro di Mattiuzza e rispondendo a chi dissente si vede lontano un miglio che le va stretto. A TSJ, che le pone delle vere questioni di metodo lei risponde con un generico “mi sono divertito”. Una mossa che a lei forse sarà parsa astuta, ma che a me mostra solo il vuoto. A Mattiuzza e altri che qui giustamente le fanno notare che ciò che distingue una critica dall’invettiva sono gli argomenti lei risponde arroccandosi nel “tanto voi non capireste” o mettendo in campo toni da antico testamento pregandoci “d’aver fede” in suo ritorno sull’argomento. Anche quello del critico, che io sappia, è un lavoro se fatto per intero. Se c’è qualcosa di molliccio qui dunque a mio parere Signor Vit per ora sono proprio le sue critiche, Il resto è poesia, che lei può liberamente anche non considerare tale ma che ha, per fortuna di Mattiuzza e di altri, una sua strada in Friuli e pure fuori. FM
RispondiEliminaFaccio mio l'incipit di Crico, a proposito di Mattiuzza e Vit (ma questo vale anche pergli interventi qui sopra): "Sono persone che hanno qualcosa da dire, una loro visione del mondo, tante letture alle spalle.". sono poeti, appunto. E come tali si sentono portatori di una scelta stilistica, anzitutto, in cui credono.
RispondiEliminaSono d'accordo sul fatto che le critiche vadano motivate, almeno sinteticamente. qui c'è lo spazio. Basta chiedere.
Le stroncature, ci vogliono certo, basta che non diventi un atto di crudeltà: tutti i libri possono avere delle parti non all'altezza (rispetto al proprio modello o rispetto agli standard delle precedenti raccolte: la mia critica all'Anedda si basava proprio su questo).
Scusate, ma avete letto ciò che aveva scritto T.S.J? Meritava una risposta articolata?
RispondiEliminaG.
si, la meritava eccome. Pablo
RispondiEliminaFM non so se il signor Vit ha voglia di sintonizzarsi!
RispondiEliminaT.S.J.
https://www.youtube.com/watch?v=tSoCrcalk00
quello che non va nello scritto di TSJ è il tono: offendere l'autore anziché limitarsi a rilevare debolezze nel suo testo, non è nelle corde di Blanc. E poi ci si firma per intero, ci si espone.
RispondiEliminaInfine, se Vit non intende "sintonizzarsi", ha il diritto di farlo: provocare e nascondersi è mediocre.
Anch'io penso che il giudizio tranchant di Giacomo Vit sia riconducibile ad attriti risentimenti ( gelosie ? ) pregresse , circostanza non infrequente nel nostro ambiente . La cosa appare ancora più evidente conoscendo lo spessore e l'esperienza di Vit , che non credo si sarebbe mai pronunciato in questi termini in assenza delle pregiudiziali di cui sopra ; a fronte di una poesia concreta , umana , terrestre , espressiva , dove l'assenza di tensione che gli si rimprovera - ampiamente smentita dal linguaggio - suona paradossale .
RispondiEliminaGrazie per l'ospitalità
Mi dispiace davvero che il mio tono sia risultato offensivo: il sarcasmo mi è connaturato è un mio modo d'esprimermi. E' un modo per prendere la vita.
RispondiEliminaMi permetto altresì di salutarvi con due osservazioni:
Su questo blog permettete l'anonimato. Se è da mediocri restare anonimi, forse lo sarò, ma voi me lo concedete.
L'identità si ha a prescindere da un nome identificativo, quantomeno per gli altri. Le parole hanno valore a prescindere da chi le usa e hanno un peso a prescindere da chi le pronuncia. Ed è anche vero che a volte il giudizio di merito sull'esposto, dipende anche dalla fonte, che può essere considerata attendibile o meno, di vaolre o meno anche a seconda della bocca da cui proviene. Ecco che il mio "non esserci" come nome identificato, sta nell'idea che chiunque potrebbe scrivere ciò che ho scritto per semplice spirito di verità e di conoscenza e che non serve che io abbia un nome, che potrebbe essere un peso sia per chi "colpisco" che per chi "difendo", e che fuorvierebbe il senso di ciò che ho posto, portando a leggère considerazioni.
Detto questo, confido che la verità della poesia ci si stagli sempre di fronte e che si abbia sempre la forza e la capacità per vederla.
Grazie e arrivederci.
(Ti Spieghi Jo)
Blanc lo gestisco da solo per cui ogni cosa che passa di qui entra il casa nia.
EliminaLascio la libertà di non firmarsi: non è un reato, infatti, ma solo buona educazione. che poi le parole siano lasciate sole e non abbiano una paternità, ne dubito: la stessa frase in bocca a Hitler e a Madre Teresa, va contestualizzata diversamente. In ogni caso, il merito della questione è statosottolineato anche da altri. Io sottolineavo il tono. Se è caratteriale o strategico lo decida lei. Per me cambia poco. Il peso del nome è il peso della responsabilità, dello schierarsi: troppo facile altrimenti, troppo da intellettuali da salotto. Probabilmente non è il caso suo, ma anche questo deve deciderlo lei. cordiali saluti.
La mia intenzione non era entrare malamente in casa sua o mancare di rispetto a nessuno; non sono neppure il soggetto del suo ironico post (cit. AQS)!
EliminaSono un curioso lettore vagamente "situazionista".
Ho posto delle questioni di metodo che sono state prese come una barzelletta, scambiando erroneamente il tono con il contenuto, il che mi fa specie. Tutto qui.
Se poi mi sono permesso di fare dell'ironia su un acronimo di nome (FM), beh, pensavo che potesse passare come caduta dall'iperuranio! (FM che nella mia ironia è diventato Frequenza Media: da qui il sintonizzarsi! era solo questo!).
Per tornare ai suoi esempi, e chiudendo il mio ciarlare, certo che "la stessa frase in bocca a Hitler e Madre Teresa, va contestualizzata diversamente", ma se per assurdo entrambi avessero detto "mi piace Mozart" forse avrebbero voluto dire la stessa cosa! Ma restiamo serenamente col beneficio del dubbio.
Cordiali saluti a lei.
T.S.J.
va bene, se proprio non riesce a evitare l'ironia o il sarcasmo quando scrive qualcosa, significa che fa parte del suo stile.
EliminaE se a dire "mi piace Mozart" è un cannibale?
Questi scambi sottolineano una questione cruciale: quanto è "vincolante" un giudizio estetico? Non si può semplicemente fare "spallucce" di fronte ad uno che consideri qualche nostro artefatto "molliccio"?
RispondiEliminaPerché cercare di convincerlo del contrario oppure a rendere "falsificabile" la propria tesi? Tale "molliccio" non si riferisce forse all'INCONTRO fra un insieme di versi ed una psiche largamente inattingibile, essa stessa ignara delle metamorfizzazioni operatesi nel corso delle proprie particolarissime sedimentazioni disciplinari? Insomma perché non prenderlo come un semplice "dato di fatto" RELATIVO ad un incontro infelice, invece di fingere di scambiarlo per un attributo dell'artefatto stesso?
Suppongo che questa finzione abbia a che fare con le regole del gioco: occorre credere che il lavoro onesto e lo scambio franco che avviene a livello della comunità degli interessati producano necessariamente delle verità (antropologicamente) "assolute" riguardo a questo o quell'artefatto, altrimenti perché darsi tanta pena?
Occorre in altre parole credere che il lavoro onesto e lo scambio franco portino al riconoscimento del talento.
In quest'ottica, può produrre una certa costernazione constatare come percorsi di formazione e di vita tutt'altro che grossolani o limitati conducano a simili divergenze, inclinando allora a supporre che tale lavorio comunitario scovi più spesso degli ottimi "locali" - soluzioni che rappresentano adattamenti a tensioni culturali a raggio medio-corto, che non a degli assoluti antropologici (if any).
penso che il confronto sia salutare. l'importante è essere consapevoli che l'assoluto non riguarda i mortali.
EliminaNon capisco la relazione causale fra la premessa (le divergenze fra autori) e la conclusione (la mediocrità delle scoperte autoriali). Vuole dire che il genio lo scopre il genio? (es: Joyce scopre Svevo senza confrontarsi con Montale?)
Provo a chiarire il nesso. E' possibile stabilire in via definitiva se quei versi sono "mollicci" o meno? A me pare che il responso si inoltri talmente a fondo nella rete semantica e somatica di ognuno da renderlo pressoché inestricabile dal corpo individuale e individuato, ovvero da ciò che la vita ha sedimentato in esso. In tal caso, il ricorso "argomentativo" a modelli teorici, ovvero ad astrazioni, appare sconfitto in partenza: non v'è astrazione che possa ritorcere forze affettive come quelle che sembrano dispiegarsi in questo caso.
EliminaSe effettivamente si dà - aldilà delle esigenze e convenienze sociali che operano in senso opposto - questa irriducibilità radicale del giudizio estetico, allora che il genio scopra il genio, operando tutte le ingiustizie "distributive" del caso, mi appare quasi come la modalità normale.
Aristotele dice che c'è un livello di esattezza e precisione per ciascuno dei campi del sapere: teoretico, pratico, poietico.
EliminaDirei che si deve partire da questo, altrimenti soltanto il sapere apoditico-dimostrativo è tale, mentre gli altri sono opinione. Se così fosse, tutta la poltica e l'etica aristotelica andrebbero a farsi friggere. Cosa ridicola, mi sembra :-)
Oh naturalmente! Tutto s'arrangia, in qualche modo. Come la Matematica non è crollata con il paradosso di Russell o il teorema di Goedel, così la Poesia non scivolerà sopra questo indecidibile "molliccio" :-)
RispondiEliminaCavoli che meraviglia leggervi!
RispondiEliminaMi sono perso un po' tra le righe, però non ho perso di vista il "cannibale".
Allora ho pensato che:
1. se si parlasse di "un cannibale" qualsiasi, forse Mozart si sarebbe portuto preoccupare (più o meno a seconda della distanza del cannibale dalla coscia di Mozart);
2. se invece "cannibale" fosse stato uno dei seguaci della rivista dadaista omonima del 1920 di Picabia (e poi del '77 di Tamburini), avrebbe tutta la mia stima, ma dicendo "mi piace Mozart" si sarebbe forse morso un dito tra un lancio di verdure e uno di frutta del pubblico astante;
2. se invece si parlasse de "il cannibale", beh sarai felicissimo di sapere che anche Eddy Merckx ogni tanto si dedica all'ascolto di Mozart!
vedo che usi benissimo google :-)
RispondiEliminaA mio parere c' é stata leggerezza nell' usare l ' aggettivo "mollicci" ; se avesse scritto "fanno cagare" nessuno avrebbe potuto imbastire questo scambio di opinioni.A me Mattiuzza non dispiace ma come quella di tutti è solo un opinione. M.L.
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