Qualche
volta i bei libri sfuggono, specie quando il poeta preferisce stare nell’ombra. Uno di questi l'ha scritto Cristiano
Poletti che, con Porta a ognuno (L’arcolaio,
2012), ci regala una poesia in cui l’occasione, il crudo evento, viene
rarefatto, trasfigurato in una cifra metafisica, in un tempo sospeso che deve
supplire la fugacità mortale del tempo ordinario, qui incarnato dall’allegoria
del “vento”: “Il vento smangia / motivi ore, soffia / via e porta a ognuno /
niente e tutto, segni / su segni, tra paese e paesaggio”. Poletti si muove su queste due temporalità,
tra “l’imbuto del giovedì” (bellissima metafora dal sapore deangelisiano) e una
luce dechirichiana, che eternizza l’essenza di ciascun accadere, alla ricerca
di “una voce / senza crepe”, sine cera
direbbero i latini, così che “la cosa nuda” possa mostrarsi nella sua integra
presenza, francescana oserei dire, allorché si convenga che Poletti parte da
posizioni cristiane prima che cattoliche, di testimonianza verso la
povertà-autenticità dell’anima, prima che dall’istituzione. Anche la sua poesia
crede che “l’inizio [sia] un sorriso, sempre” e poi la vita si corrompa, sino a
un esilio irrimediabile: “Li rimettiamo al vento i nostri debiti” dice in A futura memoria, dopo aver chiarito, citando
I Re 19, 11-13, che “Il Signore non era nel vento”, con ciò ribadendo che è nel
tempo della storicità che la perfezione si spezza. All’uomo, anzi al poeta
Poletti, spetta di ricrearla attraverso la parola, pur nella consapevolezza
dell’inanità dell’impresa. Egli affida,
sì, a essa questo compito, parafrasando la formula rituale (“dire soltanto /
una parola, essere salvati”), ma già conosce che camminerà come un Cristo sul Calvario,
cadendo, sanguinando: “Mi faccio avanti, poi / passi e cado, sbuccio / le
ginocchia all’altare / della poesia”. Questa consapevolezza si traduce
immediatamente nel ritmo franto del verso, in un sincopato che sembra nascere
da un camminare in salita, quando il fiato manca (un esempio fra i tanti: “Ricordami,
se dimentico / questa luce naturale. Entri pure, / mi tocchi se vuole, poi via
/ dalla mente, e si sbrighi, sul foglio”), come se l’intero, il senza crepe,
fosse indicibile e non ci si potesse avvicinare che strisciando, con frasi
semplici, ma sempre inadeguate, sulle labbra. È il tempo della caducità – il
vento, appunto – a portare a ognuno questo carico quale senso ultimo e
salvifico del vivere. “Siamo attesi” a questo ufficio d’inchiostro non per
soddisfare vanità, ma, ci dice Cristiano Poletti, per portare a compimento la
nostra natura umana, che ha nella parola autentica il suo legame con l’eterno.
Il rifugio
Brucia
al sole aperto dagli auspici,
fino
alle posizioni del sangue,
la
nostra attesa. Ci portiamo
dal
meccanismo del rifugio
al
labirinto dell’alfabeto.
È
qui - qui sopra -
che
chiamiamo
qualcosa,
qualcuno.
Un
grido, un giorno.
Tu
intanto leggi
una
preghiera. Io la rileggerò
fino
a ferirmi
ma
niente che sia
una
via, un’uscita.
Come
le mani, così i pensieri
si
aggrovigliano. È vero,
c’è
odore di camino.
Il
futuro dell’io che brucia
annuncia
il freddo.
Al
rifugio, certo,
torneremo.
Chiaro il resto
Su
per la collina, poi in cima
l’ordine
di un disegno, la casa,
pare
un cerotto messo al prato.
Confuso,
il viso
prestato
al paesaggio,
ferito
dai giorni, non sa
la
trincea di ogni notte -
ogni
notte più scura.
Così
chiaro il resto,
sul
monte appena distante
il
valzer nemico
inizia
in un momento.
Sì,
arrivano, non c’è tempo,
la
piastrina smetterà
di
ricucire il sangue.
L’uomo
è preparato a questo.
È
quel che pensavo,
è
ciò che amo e lo riconosco.
Solo virgole
Il
giorno è leggero, davvero
siamo
giudicati, lo siamo già stati,
da
un vuoto di tempo. È così,
non
pesa più il verbo,
cancellato
dai giorni.
Già
orfani di frasi,
solo
virgole.
Al parcheggio del Castorama
Presto
diventerà il Self, mi dicono.
Io
non lo trovo il posto, al buio.
Dell’insegna
sotto cellofan non sapevo.
Avanti
e indietro, niente.
Poi,
l’abito della sua voce,
l’annuncio
fino
alla febbre e trovarlo
in
torace e mani.
Quando
finalmente nel parcheggio
per
decollare prendiamo fiato
e
toccandoci le ali ci diciamo
andremo
lontano
mi
fa capire
che
si respira male. Sì
e
oltre l’affanno di due respiri
nessuna
intenzione di riprovare
il
volo. Così due colombe vanno via
in
finta pace con la parola del Signore.
In coro
E
mano
nella
mano radunate
in
questo nostro ininterrotto
ospedale
la musica, quella
cresciuta
alla fine,
al
minuto contato. Vi avvicina
allora
un passo da soldato. Presto
troverete
intera la materia
del
distacco, la materia
insegnatemi.
Sein zum Tode
Non
amano il sole,
riescono
a splendere
nel
cuore di un
buio
dopo il buio;
riprendono
voce,
si
prendono gioco
di
noi che restiamo
nel
vivo di quanto
prosegue
la trama
finita
del corpo.
Non
metterti contro
i
morti. Lo sanno
del
fiore che porti
sul
muro degli anni
che
scrivi perché
li
vedi nel vento.
Piangi
ancora molto:
i
morti lo sanno.
È
che attraverso in terrore parole
costrette
al fiato. Tu invece non vieni
a
complicare il profilo del giorno.
Apri
la porta al filo del sole
perché
ci stenda i panni dei miei anni.
Prendi
la sera, la tua ombra
la
vedo stesa vicino a me. Sì
dico
rimani. Mi fermo, ho voglia
di
terminare la notte
e
noi sappiamo che serve ripeterlo.
Abbandonato una sera
Una
musica lo insegue
dentro
il suo sorriso.
Ma
non sento né vedo
tra
luci accese per la sera quella
che
ha forma di parola
nel
dirmi: resta.
Cristiano Poletti
è nato nel 1976 a Treviglio, in provincia di Bergamo.
Autore
delle raccolte: Mari diversi, Book,
2004; Non Nome, Manni, 2007; Porta a ognuno, L’arcolaio, 2012.
Autore
del saggio Trovandomi in inviti superflui
in L’attesa e l’ignoto – L’opera
multiforme di Dino Buzzati, a cura di Mauro Germani, L’arcolaio, 2012.
Dal
2007 dirige Trevigliopoesia, festival
poesia e videopoesia (www.trevigliopoesia.it).
Redattore
del blog collettivo Poetarum Silva (http://poetarumsilva.com)
Laureato
in Storia all’Università di Padova, è impiegato all’Università di Bergamo.
Ringrazio moltissimo Stefano Guglielmn per la bontà della sua lettura: "le due temporalità" individuate, tanto bene evidenziate, in dettaglio, dalla sua intelligenza critica. Così le sottolineature rispetto a storicità-imperfezione e cristianesimo-caducità. Davvero grato, con un caro saluto,
RispondiEliminaCristiano Poletti
Le ho sentite dalla voce di Cristiano due anni fa, credo, un'emozione. Una poesia che merita attenzione senz'altro.
RispondiEliminaCiao, Liliana
grazie per il commento. Merita più attenzione di quanta ne abbia in rete e fuori. ciao!
Eliminami piace quel: Al rifugio, certo, torneremo.
RispondiEliminasottolinea una necessità, un bisogno....credo che la poesia migliore sia sempre quella che trasmette un bisogno, come un messaggio che non tutti possono recepire, per questo non tutti paleseranno la loro attenzione, passando di qua.ma anche passando in altri luoghi.
è il problema della poesia, ha bisogno di vocalità per raggiungere più direttamente l'altro.
il messaggio scritto è qualcosa che si disperde, una presenza, no.
un saluto caro
c,
troppo tardi per articolare un commento.. ma qui ci torno di sicuro..
RispondiEliminanon è mai troppo tardi per articolare un commento. l'autore legge e anche i suoi lettori, di mese in mese.
EliminaTorna, sei sempre la benvenuta.
però se intendevi "l'ora tarda", allora sì. Ma che ci facevi sveglia nel cuore della notte? E sola, per giunta!
Eliminainfatti intendevo l'ora tarda...
Eliminasono quasi sempre sveglia in quelle ore.. proprio per la solitudine che mi regalano.. :)
:-)
EliminaDesidero ringraziare Liliana, Carla per i loro interventi e "amara" per l'idea di tornare su questa pagina. E Stefano, s'intende, per l'attenzione e la cortesia. Grazie davvero.
RispondiEliminaBella questa poesia semplice ma sapiente, capace di passare fra le dita come acqua e fermarsi come goccia che resta quel tanto che basta.
RispondiEliminaQuesto è il mio -sentire-
Un saluto
Tiziana
rieccomi.. ho letto e riletto, finalmente, con tranquillità..
RispondiEliminaè uno scrivere che già alla seconda lettura lo 'conosci,' ti è familiare..
almeno a me..
mi piace così tanto questo modo di parlare del piccolo che apre all'enormità delle cose, una misura che entra e dilaga, perché anche propria..
o meglio, così la senti e senti tutti quei fili che, nell'unicità di ciascuno (esperienze, pensiero, dire) legano in una sola trama..
si sarà capito che è poesia che mi cattura per poi rilanciarmi oltre..
proprio quella che piace a me..
Grazie, "amara", di vero cuore. Sei molto gentile, il tuo commento è un regalo. Dunque, grazie.
RispondiElimina:)
Elimina(il regalo è sempre la parola che muove, passo e chiudo)